L A P A R O L A I O Giorgio Gaber testo Alessandro Luporini
La parola io
è un’idea che si fa strada a poco a poco,
nel bambino suona dolce come un’eco,
è una spinta per tentare i primi passi
verso l’intima certezza di se stessi.
La parola io
con il tempo assume un tono più preciso,
qualche volta rischia d’esser fastidioso,
ma è anche il segno di una logica infantile,
è un peccato ricorrente ma veniale.
Io, io, io,
ancora io.
Ma il vizio dell’adolescente
non si cancella con l’età
e negli adulti, stranamente,
diventa più allarmante e cresce.
La parola io
è uno strano grido che nasconde invano
la paura di non essere nessuno,
è un bisogno esagerato e un po’ morboso,
è l’immagine struggente del Narciso.
Io, io, io
e ancora io.
Io che non sono nato
per restare per sempre confuso nell’anonimato,
io mi faccio avanti,
non sopporto l’idea di sentirmi un numero fra tanti,
ogni giorno mi espando,
io posso essere il centro del mondo.
Io sono sempre presente
son disposto a qualsiasi bassezza per sentirmi importante,
devo fare presto,
esaltato da questa mania di affermarmi ad ogni costo,
mi inflaziono, mi svendo,
io voglio essere il centro del mondo.
Io non rispetto nessuno,
se mi serve, posso anche far finta di essere buono,
devo dominare,
sono un essere senza ideali assetato di potere,
sono io che comando,
io devo essere il centro del mondo.
Io vanitoso, presuntuoso,
esibizionista, borioso, tronfio,
io superbo, megalomane, sbruffone,
avido e invadente,
disgustoso, arrogante, prepotente
io, soltanto io,
ovunque io.
La parola io,
questo dolce monosillabo innocente
è fatale che diventi dilagante,
nella logica del mondo occidentale
forse è l’ultimo peccato originale.
Io.