T E S T A M E N T O S P I R I T U A L E
Come seguito del Numero2202., che invito a leggere come premessa necessaria, qui tento di approfondire le mie idee sulla MORTE E L’ALDILÀ. Anche stavolta, come ho fatto al Numero citato, sono ricorso alla formula della rima e della metrica: ho cambiato, però, la disposizione dei quattro versi della strofa . I primi due versi sono liberi, i secondi due sono rimati con finale fisso ( desinenza in ale) per 36 strofe, come nel Numero2202.. Tutti i versi sono, questa volta, non senari ma settenari, cioè composti di 7 sillabe, rispettando le elisioni vocaliche di fine e inizio delle parole. Il contenuto dell’argomento è un riassunto per sommi capi, senza pretese, senza uno schema, magari saltando di palo in frasca, delle mie personalissime convinzioni in merito a temi così importanti e dibattuti.
Non stupitevi se non condivido le affermazioni, oggetto di fede cattolica, su Inferno, Paradiso e sul collocamento delle anime eternamente destinate ad espiare peccati o a godere di celestiali armonie. Tutto quanto mi è stato insegnato fin da piccolo, e anche trattato con maestria da Padre Dante, l’ho sottoposto, dentro di me, a revisioni e recensioni critiche nell’arco di decenni, arrivando, per gradi, ad un mio personale panorama, misto di intuizione e di razionalità, di aspettativa e di speranza, che mi ha portato ad adagiarmi su una specie di autoconvincimento, che qui espongo, su questo argomento sconosciuto perché inconoscibile.
Confesso, con assoluta trasparenza, che quello che penso e dico non è assolutamente provato: non è possibile provarlo compiutamente, a ragion veduta.
Ci sono molti indizi. Ad esempio il ritorno dello spirito, trapassato nell’aldilà, in altro corpo è oggetto di indagine di molte correnti di pensiero e dottrina di fede di diverse religioni sulla terra, ma non è mai stato suffragato da prove inconfutabili. Mi interessa poco. Così come non m’interessano argomenti come il libero arbitrio, la possibilità di scelta o la capacità di decisione che è fatta di volontà e di libertà. Mi interessa la morte come passaggio ad una dimensione che sarà nota solo dopo averla raggiunta e che, come leggerete, io stesso sono curioso di raggiungere.
Chi ha detto che solo questa vita corporea è l’unica situazione di essere e benessere dell’anima? Restare avvinghiati ostinatamente ad un corpo consunto può darsi che non sia la soluzione migliore ad un certo momento dell’esistenza fisica. Può darsi che sia l’anima stessa che si vuole liberare del suo involucro deteriorato e aspiri ad un “grado di libertà” più alto e più appagante. Per me, guardare tutto nell’ottica della fede inculcata, ma mai provata, mi sta stretto. Vorrei saperne di più. Ma l’unico modo per farlo è….morire.
Q U A N D O V I E N E L A M O R T E
Quando viene la morte,
che n’è dello spirito?
La sua forza vitale,
che è esistenziale,
emigra in altro sito,
liberata dal corpo,
che l’ha resa reale
e diventa immortale.
È altra dimensione
dove ogni suo valore
non resta più uguale,
dove il bene ed il male
non saranno gli stessi
che valevano prima:
il criterio morale
diventerà banale
perché là l’energia
non ha più fisicità
e quello che qui vale,
nel nostro tribunale,
di là non conta niente,
non è come si crede:
tutto sarà veniale
il bene come il male.
È un’ipotesi mia,
non lo so, ma ci credo:
è una fede mentale,
un parto intellettuale.
Pur se piange qualcuno
che non puoi consolare,
lì, al tuo capezzale,
quando tu starai male,
che ti frega del mondo
che stai per lasciare
se sei in ospedale
o al tuo funerale?
Pensa all’anima tua
che rinasce più pura,
che s’eleva e che sale
nell’eterea spirale.
E, se sei stato buono,
tu sarai più leggero,
a percorrere il viale
del tramonto finale.
Però non ti crucciare,
se male avrai vissuto.
Peccato originale
o pena capitale,
tutto è cancellato
da un salvifico reset:
la fedina penale
ritornerà normale.
Io non temo la morte,
anzi, sono curioso:
è uno slancio sensuale
a una vita virtuale.
La vita che hai fatto
ti condanna o ti premia:
rivivrai tale e quale
il bilancio morale.
Un handicap ti spetta:
tu riparti più indietro,
se hai fatto del male;
se no, rimani tale.
La coscienza ti aiuta
per trovare la pace
nel momento fatale
di morte naturale.
Questo è ciò che ho capito
vivendo la mia vita:
non è un carnevale
o una lotta bestiale.
È un percorso creativo
e di rinnovamento:
riscatto spirituale
dallo stato animale.
Quando tu rinascerai
alla nuova esistenza,
la dote cerebrale
sarà “condizionale”
per riorganizzare
il piano della vita,
per questo sei speciale,
nessuno ti è uguale.
L’anima non muore mai,
neanche dopo la morte:
è forza celestiale,
entità universale.
Per veder se sei morto
e lasci questo mondo,
se un dubbio ti assale,
non leggere il giornale.
Così, viva la vita,
a causa della morte.
Vi sembrerà banale,
ma questo è radicale.
Che ci sia altra vita
dopo quella vissuta
non mi pare anormale,
niente d’ eccezionale.
Credo che lo spirito
sia eternamente vivo,
trionfo immateriale
sulla scorza animale.
La morte è un parcheggio
dove si paga un ticket,
è la tassa tombale
per un’anima astrale.
Per ognuno è diversa,
non è noto l’importo,
né l’esborso venale
esiguo o colossale.
Chi ci sia alla cassa
non è dato sapere:
la sentenza arbitrale
è comunque imparziale.
Questo mio pensiero
non vuole fare scuola,
niente di dottrinale
né d’anticlericale,
sono elucubrazioni
senza secondi fini,
esercizio verbale
di taglio razionale.
È solo una speranza,
forse una fantasia,
un trucco concettuale,
retaggio ancestrale
di ore che ho passato
sui miei sudati libri:
l’ignoranza abissale
è stata il mio messale.
Chissà, forse ho pensato
molto più che vissuto,
essere un asociale
mi è parso abituale,
ma ho trovato conforto,
coi miei limiti umani,
nel mondo culturale,
nella sfera ideale.
Per la tua riflessione,
dedico questi versi,
lascito spirituale,
a te, figlio mio, Ale.
N.d.R. : Se siete arrivati fino in fondo e non vi siete annoiati, vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione che mi regalate leggendo le mie “panzane”. Questo, che avete appena letto, con le sue rime sempliciotte e uno stile fra il serioso e il faceto, si potrebbe definire un piccolo trattato di filosofia teoretica spicciola ad uso personale che, con la pubblicazione, si rimette al giudizio critico dei pochi lettori che hanno la bontà di seguirmi. Se, anche stavolta, riuscirò a suscitare qualche reazione, di qualsivoglia natura, in merito alle mie “elucubrazioni”, ne sarò onorato e sarò oltremodo felice di pubblicare i commenti al riguardo. Se non ve la sentite di intraprendere un’impresa così impegnativa, grazie anche solo per avermi letto. Almeno, mi sarò fatto conoscere meglio da chi poco mi ha frequentato e superficialmente con me ha condiviso tempo e idee.
Forse coglierete in questa mia insistenza ad affrontare temi così spinosi e complessi, un “cupio dissolvi”, che in latino significa “desiderio di scomparire”: non è così. E, magari, una certa volontà di strafare, esagerare, una sottolineatura fuori luogo e non necessaria. Accetto l’osservazione, ma vado oltre. Anche stavolta, più che mai, ribadisco il concetto informatore di questo BLOG: qui, io penso quello che dico e dico quello che penso. Altrimenti non mi sarei cimentato in quest’impresa. Questo è uno spazio di libertà, mio e di tutti, e nei riguardi di qualunque argomento.
Come trovate al Numero2209, recentemente pubblicato, Voltaire dice: “Giudica un uomo dalle sue domande, piuttosto che dalle sue risposte”. Qui, io mi sono interrogato ed ho risposto a modo mio. Non intendo insegnare niente a nessuno, perché sarebbe follia pretendere di insegnare ciò che non si sa. Non ho mai trovato l’argomento “morte” fra le materie della didattica umana. Ma, vivaddio, parlarne si può a livello di scambio d’idee e qui vi ho esposto le mie.
Buona vita a tutti.
N.d.R. : Ricordo e ripeto, perché mi sembra molto attinente al contesto, il seguente (che poi è precedente)
Come si fa a vivere
in compagnia di un’assenza?
Dopo aver imparato a vivere,
imparerò a morire.