Numero2959.

 

I L    S E N S O    D I    C O L P A

 

È un condizionatore, un congelatore, un aspiratore, una lavatrice, ma non è un elettrodomestico.
Funziona per mezzo di una corrente che non è quella elettrica.

Che cos’è?

È un condizionatore di spiriti, un aspiratore di credulità, un congelatore di coscienze, una lavatrice di cervelli e funziona con la corrente di pensiero della religiosità.

Per millenni, su miliardi di persone, ha funzionato egregiamente attraverso la religione, e continua a farlo nella vita di ogni giorno di tanti intorno a me: è il giogo del “senso di colpa”.

Un giogo che non è un gioco.

Per la religione Cattolica, ad incutere il senso di colpa è il “il peccato”, addirittura quello originale: la colpa di essere nati e, proprio solo per questo, peccatori.

Colpevolizzare la gente è un “trucco” psicologico perfidamente sottile ma vincente per il controllo delle coscienze.

Non riesci a liberartene. Se qualche volta, in certe rare occasioni, ce la fai a divincolarti da esso, subito dopo ne senti la mancanza e sei tu stesso ad “autoaggiogarti” di nuovo, perché, a starne senza, ti trovi perso.

Allenato come sei ad averlo sempre addosso, ad essere soggiogato, se non ne avverti il peso, ti senti, ancora una volta e sempre, …. in colpa.

Numero2958.

 

da  QUORA

 

Quanto puzzavano le strade nel passato?

 

Scrive Emanuele De Feo, corrispondente di QUORA.

 

Nel Settecento non esistevano cestini della spazzatura né pulizia delle strade. Nelle vie cittadine si accumulava una quantità incredibile di letame ed escrementi sia animali che umani e la carrozza diventava necessaria, per chi se lo poteva permettere, per tenersi lontani dalle schifezze.

Si indossavano stivali alti e si arrivava anche ad andare sui trampoli per guadare veri e propri ristagni di sporcizia e acqua lurida.

Parigi aveva l’aria talmente infestata di cattivo odore che si era costretti a passeggiare con un mazzo di fiori per annusarne il profumo ogni pochi passi.

I cortili puzzavano di urina, sulle trombe delle scale si trovavano escrementi di ratti, le strade piene di escrementi e anche all’interno delle case la situazione non cambiava di molto. Le stanze non venivano mai aerate, le lenzuola mai lavate e nelle camere da letto ristagnava l’urina nei vasi da notte.

Le persone puzzavano di sudore e di vestiti non lavati e dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti. Puzzavano tutti, dal più povero al più nobile.

Perfino il re: è noto che Luigi XIV fece solo due bagni in tutta la sua vita perché ordinati dal medico.

A Roma, invece, si tenevano pulite solamente le vie percorse dai pellegrini che andavano dal Papa, mentre i rifiuti dei mercati venivano ripuliti dai maiali che ingurgitavano tutto. Per questo la zona veniva spesso data agli allevatori di maiali. E pensare che i primi sistemi fognari furono creati ai tempi dell’antica Roma!

La cattiva fama dell’acqua si diffuse soprattutto durante le pestilenze con la convinzione che lavarsi apriva i pori della pelle facendosi infettare con più facilità.
Ai bambini veniva insegnato che lavarsi con l’acqua faceva male alla vista e alla salute.

Oggi invece, il profumo largamente usato in passato per coprire i nauseabondi odori, in vari Paesi viene tacciato come portatore di batteri. In alcune zone del Canada e degli U.S.A. sono banditi perché disturbano l’olfatto. Nel Massachusetts, l’aula comunale è divisa tra chi si profuma e chi non si profuma, mentre in una chiesa del Minnesota è stato eliminato dalla funzione l’incenso. In Nuova scozia alcuni giornali hanno proibito ai loro impiegati dopobarba, deodoranti, collutori e shampoo. I divieti sono severi e compaiono sugli schermi dei computer e nei cartelli appesi nei bagni.

 

 

Numero2956.

 

B I L A N C I O    D I    V I T A

 

Ormai ho trovato la mia strada

per il mio esodo da questo mondo.

Ora so che, qualunque cosa accada,

questa mia vita non è stata, in fondo,

 

così inutile. Ma non me ne vanto:

forse poteva anche essere migliore,

e se non sono stato proprio un santo,

non sono stato neanche un peccatore.

 

E non è andata male, dopotutto:

non ho grandi successi che festeggio,

ma ho più costruito che distrutto,

 

è più una vittoria che un pareggio.

Invecchiare ora so che è proprio brutto,

però l’alternativa è molto peggio.

Numero2955.

 

 

P O E S I E    I N    R I M A

 

 

Ma scrivere le poesie in rima,

perché mai mi piace così tanto?

Mi costringo a pensare tutto prima,

prostituendo delle idee l’incanto.

 

Le parole non sono mie nemiche,

ne ho fatta una scorta nella mente,

sono il retaggio di letture antiche:

se le cerco, le trovo facilmente.

 

Ma in certi giorni, soli ed alienanti,

scambio poche parole con qualcuno,

e di pensieri ce ne sono tanti:

ecco, li metto in ordine, uno ad uno.

 

Quando più elegante scorre il testo,

più piacevole sarà la lettura:

con questa spiegazione ho il pretesto

di fare, forse, una più bella figura.

 

Ma, magari, mi sbaglio, non è così:

c’è chi trova la rima puerile,

vetusta, non è una moda d’oggidì,

chi l’adopera non ha proprio stile.

 

Non me ne frega niente! Non è detto

che il RAP, ad esempio, sia armonioso:

la metrica, assai spesso, è in difetto

e l’ascolto è, del tutto, obbrobrioso.

 

Il mio antiquariato letterario

è diventato una ricercatezza,

io ne resto ambasciatore onorario:

so che qualcuno, forse, non l’apprezza.

 

Ma sono originale e creativo,

odio l’ovvietà, amo il paradosso,

sono fidato e collaborativo,

ma faccio come mi va, più che posso.

 

 

 

 

Numero2954.

 

da QUORA

 

Scrive Domenico Zampaglione, laureato in Filosofia, corrispondente di QUORA.

 

QUAL  È  IL  MESSAGGIO  NASCOSTO  DELLA  BIBBIA?

 

A sentire Mauro Biglino la Bibbia non parla di Dio ma degli Elohim, tra i quali uno sarebbe quello in contatto con gli ebrei.

Gli Elohim poi non sarebbero altro che gli alieni, il cui intervento sulla terra avrebbe dato l’avvio alla civiltà umana.

Questo per dimostrare che nella Bibbia si può leggere qualsiasi cosa, dato che è un libro in cui c’è di tutto: mito delle origini, poesia, riflessioni filosofiche sulla natura umana, discorsi politici, imprese di eroi mitici ai quali Dio fornisce aiuti soprannaturali molto più improbabili di quelli forniti dagli Dei agli eroi greci sotto Troia, principi morali, effettive vicende storiche del popolo ebraico.

Tutto ciò fornito con un linguaggio sapienziale, altisonante, che impressiona il lettore ingenuo per la sua carica profetica.

E nessuno si chiede la cosa più ovvia: come possono storie elaborate nella tarda età del bronzo e poi raccolte insieme cinquecento anni prima di Cristo, quando non si aveva alcuna conoscenza reale del mondo fisico ed una visione mitica della nascita e sviluppo dell’umanità avere altra importanza per l’uomo moderno al di là del fatto di costituire un documento storico di tempi primitivi?

La Bibbia è questo documento, è l’Iliade e l’Odissea degli Ebrei, è il libro delle Upanishad, il Canone buddista, tutti testi riflessivi sulla natura e il destino dell’uomo, nati in un tempo in cui, oltre alle religioni, prese l’avvio anche la filosofia greca.

Numero2953.

 

da QUORA

 

Scrive Joel, uno psicologo corrispondente di QUORA

 

IL VALORE DELLA SINCRONICITÀ.

 

La sincronicità tra due persone si può verificare quando tra di loro è presente un’armonia di fondo, che nella maggior parte dei casi è diretta conseguenza di una relazione basata su: empatia, fiducia, comunicazione e ascolto reciproco.

In realtà per Jung (Carl Gustav Jung 1875 – 1961, psichiatra, psicoanalista, antropologo) le sincronicità sono delle coincidenze significative, che descrivono la sorpresa che si verifica quando un pensiero nella mente si riflette in un evento esterno, senza che vi sia alcuna connessione causale apparente.

L’Universo comunica costantemente con noi, in modo misterioso, spesso attraverso sensazioni, segnali del corpo, simboli, o coincidenze, tuttavia, non sempre è facile riconoscerli poiché la nostra mente, spesso troppo razionale, ragiona attraverso i preconcetti dettati dalla società odierna in cui viviamo, dove tutto viene attribuito alla fortuna o alla sfortuna, dove tutto ciò che non è visibile agli occhi “non esiste”.

Sviluppare una mentalità aperta vuol dire lasciar lavorare la curiosità, non dare mai nulla per scontato, porsi dubbi, imparare a cambiare prospettiva, ascoltare e cercare di comprendere anche quello che sembra lontano anni luce dal nostro modo di fare e pensare in totale contrapposizione con i nostri principi.
Purtroppo oggi i social, le TV, non ci aiutano in questo, anzi rafforzano sempre più i muri tra persona e persona.

Auguro a tutti di avere una mente aperta.

Numero2952.

 

da  QUORA

 

A N C O R A     S U    C R E D E N T I    E    A T E I

 

Scrive Guido Capuani, corrispondente di QUORA.

 

Sono credente. Più precisamente mi considero un teista agnostico: credo che Dio esista, ma che non sia possibile conoscerlo per via esclusivamente razionale. Dio è al di fuori del campo di applicazione della scienza.

Nel confronto con gli atei, do più importanza all’agnosticismo che al teismo. Dopotutto, posso fornire prove razionali in favore dell’uno, ma non dell’altro. L’ateismo agnostico (“non credo che Dio esista, ma non posso dimostrare razionalmente che non esiste”) è una posizione assolutamente legittima, secondo me. Discutere con un ateo agnostico è per me spesso più proficuo che discutere con un teista, perché mi costringe a mettere in discussione i presupposti della mia fede. Essere agnostici non vuol dire essere irrazionali: significa piuttosto sapere che qualsiasi argomento razionale in favore o contro l’esistenza di Dio non è conclusivo. Per questo è sano esporre i propri argomenti soggettivi alla critica di chi la pensa diversamente.

Quello che faccio fatica a capire è l’ateismo gnostico: “Dio non esiste, io ne ho le prove”. Le dimostrazioni “razionali” della non esistenza di Dio non sono meno fallaci delle dimostrazioni di esistenza, e spesso sono più ingenue dal punto di vista filosofico (penso soprattutto alla propaganda del cosiddetto New Atheism). Per me non vale la pena discutere con un ateo gnostico: posso rispettare le sue argomentazioni, ma non me ne faccio nulla. Così come non mi faccio nulla delle argomentazioni di un teista gnostico.

Mentre scrivo, mi risuona in testa il versetto evangelico in cui Gesù invita a “sforzarsi di entrare per la porta stretta”: forse è un’interpretazione eterodossa, ma mi sembra che si possa intendere come un invito a non considerare mai conclusa la propria “lotta” con l’idea di Dio. Gli gnostici, teisti o atei, ritengono di aver risolto la questione in un senso o nell’altro (“sono entrato per la porta stretta” o “non esiste alcuna porta”). Gli agnostici, al contrario, ritengono che l’importante sia continuare a sforzarsi.

A quanto pare, l’ateismo fa crescere la barba.

Numero2951.

 

Le persone che hanno avuto un’infanzia difficile spesso hanno questi 5 tratti caratteriali

di Emma Moretti

Le esperienze infantili hanno un impatto significativo sullo sviluppo della nostra personalità. Un’infanzia difficile, segnata da sfide come problemi familiari, violenza o abbandono, può influenzare fortemente i nostri comportamenti e atteggiamenti da adulti. In questo articolo esploreremo cinque tratti caratteriali spesso presenti nelle persone che hanno vissuto un’infanzia difficile. Vale la pena sottolineare che queste caratteristiche non sono universali e possono variare da un individuo all’altro.

1. Maggiore empatia

Gli individui esposti a esperienze difficili in gioventù spesso sviluppano una maggiore capacità di comprendere e condividere i sentimenti degli altri. Questa empatia di solito deriva dalla necessità di navigare rapidamente in situazioni complicate per rilevare segnali emotivi e adattare le proprie reazioni di conseguenza. Possono quindi costruire stretti legami con gli altri ed essere sensibile ai loro bisogni e preoccupazioni. Gli adulti che hanno affrontato un’infanzia complicata spesso comprendono meglio come si sentono gli altri e sono in grado di adattarsi facilmente alle diverse situazioni.

L’altro lato della medaglia

Tuttavia, questa empatia può anche comportare un’elevata sensibilità che rende queste persone vulnerabili e sopraffatte dalle emozioni degli altri. È quindi essenziale che sviluppino meccanismi per mantenere un equilibrio tra empatia e benessere personale.

2. Resilienza

La resilienza è definita come la capacità di riprendersi dalle difficoltà e di adattarsi a situazioni difficili. Le persone che hanno vissuto un’infanzia difficile spesso hanno imparato a superare le avversità sviluppando strategie per affrontare gli ostacoli e trasformare il proprio dolore in forza. Ciò può includere lo sviluppo di capacità di risoluzione dei problemi, comunicazione assertiva e gestione dello stress.

Attenzione

Va notato che questa resilienza non significa necessariamente che l’individuo sia completamente guarito o che non sia più influenzato dalla situazione passata. Al contrario, è una capacità di continuare ad andare avanti nonostante gli infortuni, rimanendo sempre pronti ad affrontare le sfide con determinazione.

3. Indipendenza

Molti di coloro che crescono in ambienti instabili imparano rapidamente a fare affidamento su se stessi e a prendere le proprie decisioni. Questa indipendenza si manifesta spesso nella tendenza ad essere autonomi, a cercare soluzioni per se stessi e a non aspettare l’aiuto degli altri per progredire. Pertanto, questi individui possono essere estremamente autonomi e in grado di assumere il controllo della propria vita senza eccessiva dipendenza dagli altri.

L’importanza dell’autosufficienza

Saper essere autosufficienti è una competenza preziosa nella vita adulta e permette di affrontare le difficoltà con più sicurezza. Tuttavia, a volte può essere utile circondarsi di persone su cui fare affidamento e a cui rivolgersi nei momenti difficili – anche questo dimostra una grande forza interiore.

4. Creatività

Un passato difficile spesso spinge a sviluppare talenti artistici o un’immaginazione sconfinata per sfuggire alla realtà della vita quotidiana. La creatività fornisce un mezzo di fuga e di auto-espressione, che può essere particolarmente importante per coloro che hanno vissuto situazioni traumatiche. Cercando costantemente nuovi modi per esprimersi, questi individui possono scoprire nuove passioni e talenti, contribuire positivamente alla società e sfruttare le loro esperienze passate in progetti creativi concreti.

La necessità di esprimersi

In alcuni casi, altri arriveranno addirittura a utilizzare la propria creatività come strumento terapeutico, trasformando la propria sofferenza in arte e contribuendo così a guarire alcune ferite emotive indelebili.

5. Flessibilità psicologica

Affrontando situazioni complesse e spiacevoli, molte persone che vivono un’infanzia difficile hanno la capacità di adattarsi rapidamente alle mutevoli circostanze. In altre parole, verificano una larga flessibilità psicologica, la capacità di adattarsi con successo di fronte a situazioni nuove e difficili. Le persone che hanno avuto questo tipo di esperienza riescono quindi in genere ad adattarsi rapidamente alle varie situazioni, modificando il proprio modo di pensare o di agire per soddisfare nuovi bisogni o problematiche.

Sempre pronto al cambiamento

Questa caratteristica conferisce un vantaggio anche a livello professionale, dove l’adattabilità è spesso considerata una competenza chiave. Aiuta anche le persone colpite a rimanere ottimiste e proattive di fronte agli imprevisti.

Sebbene ogni individuo sia unico, in coloro che hanno avuto un’infanzia difficile si riscontrano spesso diversi tratti caratteriali: maggiore empatia, resilienza, indipendenza, creatività e flessibilità psicologica. Queste qualità aiutano le persone colpite ad affrontare le sfide della vita adulta con coraggio e determinazione, anche se continuano a essere influenzate dalle esperienze del loro passato.

Numero2950.

 

da  QUORA

 

Scrive Corrado Montoro, corrispondente di QUORA

 

Friederich  Nietzsche e il superUomo (o Oltreuomo)

 

L’Oltreuomo di cui parla Nietzsche, soprattutto nello Zarathustra, è la conseguenza di alcune riflessioni che devono prima essere introdotte per comprendere il concetto di Übermensch.

In Così parlò Zarathustra, Nietzsche narra del Profeta Zarathustra, saggio Eremita che, dopo essersi ritirato per dieci anni, scende dalla montagna in cui viveva per dispensare la sua saggezza.

Questo profeta scende e porta con se “il grande annuncio”: la morte di Dio (di cui aveva già parlato nella Gaia Scienza).

Morti sono tutti gli dèi: ora vogliamo che l’Oltreuomo viva» – questa sia un giorno, nel grande meriggio, la nostra ultima volontà! (Così parlò Zarathustra)

Alla già enigmatica affermazione della morte di Dio, egli aggiunge che sono stati proprio gli uomini ad ucciderlo:

Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso! (Ecce homo)


  • Morte di Dio

Perché Nietzsche ci accusa di essere gli assassini di Dio?

Perché Nietzsche non vuole tanto provare la non-esistenza di Dio, quanto affermare che la fede cristiana non è più la guida etica delle persone. Sono le persone che stanno mano a mano diventando atee e così facendo hanno ucciso Dio.

Nietzsche fu così lucido da vedere i germi del secolarismo e da capire che esso sarebbe avanzato e rimasto. In questo senso, l’annuncio della morte di Dio è l’annuncio della fine dei valori religiosi come pilastro della nostra società.

Ma non è tutto.

Dio rappresenta la più antica delle bugie che gli uomini si raccontano per non affrontare la vita. Ci rassicuriamo al pensiero che la vita sia ordinata, sensata e che ci sarà una ricompensa per le buone azioni. Dio è la speranza che il mondo abbia un perché, ma purtroppo è solo una nostra invenzione.

Pensa l’uomo: d’altra parte, la sofferenza deve pur avere un senso. Perché dovrei alzarmi ogni mattina per mungere la vacca, se no? Che senso avrebbe mettere al mondo – un mondo pieno di sofferenza – un figlio? E, poi, tutti i miei cari che non sono più qui con me, saranno pur da qualche parte ad aspettarmi. In un bel posto, una realtà metafisica, una realtà altra, diversa da questo mondo imperfetto. Un paradiso, pieno di luce e senza dolore, governato da Dio.

No. Queste sono solo bugie. Menzogne che ci diciamo da sempre, calunnie che ci servono a sopportare le difficoltà della vita. Gli uomini, ritrovandosi in un mondo pieno di incertezze, si sono rifugiati in esse.

La differenza tra l’Oltreuomo e l’uomo consiste proprio nel coraggioso rifiuto delle menzogne millenarie.


  • La morale del Gregge e la morale dei Signori

Ma questa verità non può essere accettata da tutti, scrive Nietzsche. Di sicuro non dal gregge (il popolino).

Il Gregge ha assorbito acriticamente la cultura in cui si trova. Il Gregge non si chiede neanche perché giudica una certa cosa buona o cattiva. Semplicemente segue quello che gli è stato insegnato, la religione, la tradizione e la cultura di cui è impregnato.

La morale dell’Occidente (quella Cristiana) è una morale “anti-naturale”, la quale va contro l’istinto vitale, contro lo spirito di chi può affermare la propria Volontà di Potenza. Secondo Nietzsche, come abbiamo detto, questa moralità cristiana sta declinando, ma questo non significa che si imporrà quella dei Signori (morale di un’ipotetica Aristocrazia, basata su valori vitali).

Anzi, Nietzsche capì che si sarebbe comunque imposta una morale del Gregge: “il pericolo dei pericoli”, secondo lui, è la vittoria della morale dei deboli, di quelli guidati dal Ressentiment verso chi riesce a imporsi nella vita, verso chi affronta la vita con coraggio.

La morale del Gregge impedisce agli individui di sviluppare i propri talenti, considera tutti uguali e non riconosce il merito dell’impegno e che, così facendo, spinge tutti gli individui con il potenziale di elevarsi sopra le masse a diventare:

Un più piccolo, quasi ridicolo, animale del gregge, un qualcosa facile da compiacere, malaticcio, e mediocre (Al di là del bene e del male)

Anche dovesse cadere l’apparato valoriale cristiano, il Gregge continuerà ad odiare chi si mette in gioco, chi dedica ogni sua energia ad uno scopo e passa la vita alla ricerca di un obiettivo più alto.

Una delle più belle descrizioni del comportamento del popolino nei confronti di chi si riesce ad elevare al di sopra della mediocrità è data dalla figura del funambolo.


  • Il funambolo

Il Profeta Zarathustra è ormai sceso della montagna e si trova al mercato. Lì si è radunato il popolo perché è giunta la voce che si sarebbe esibito un funambolo.

Il funambolo diventa simbolo dell’uomo che tenta di superare se stesso. Un funambolo prende la vita coraggiosamente. Il suo non è un mestiere in cui si possa fingere. Egli si è messo in gioco veramente: o riesce ad attraversare la corda o cade e si spezza l’osso del collo.

La corda del funambolo diventa simbolo del percorso tra uomo e Oltreuomo, tra l’inerzia e il sì alla vita:

L’uomo è una corda annodata fra l’animale e il Superuomo, una corda tesa sopra un abisso (Così parlo Zarathustra).

Nonostante il funambolo cada e fallisca, Zarathustra lo loda. Il popolo però non capisce le sue parole e ride.

Quando Zarathustra ebbe pronunciate queste parole, guardò di nuovo gli uomini e tacque. «Eccoli – disse al suo cuore – essi ridono: essi non mi comprendono, io non sono bocca per queste orecchie.

Perché questa è la punizione che riservano gli altri a chi cerca di elevarsi al di sopra della massa, a chi cerca di essere diverso, di non accettare il mos maiorum (costume della maggioranza): la derisione. Come a dire: tu sei solo un poveraccio, che cosa ti eri messo in mente di fare? Nessuno può uscire dal Gregge, nessuno può pensare di essere autonomo, libero dal passato e dal pensiero comune.

Ma come si fa, volendolo, ad uscire dal Gregge? Nietzsche lo spiega attraverso tre figure quella del cammello, del leone e del fanciullo.


  • Piegarsi a Dio: il Cammello

Il primo simbolo di reazione verso la cultura tramandata (senso di colpa e pregiudizi, religione e morale popolare) è quella del cammello.

Il cammello è colui che nutre ancora timore reverenziale nei confronti di Dio. Questa persona affronta a suo modo la vita, addossandosi carichi pesanti, prendendosi le responsabilità e chinando la testa.

C’è un non so che di dignitoso nel suo addossarsi le difficoltà. Il problema è che non lo fa per sé, ma per paura di una futura punizione divina.


  • Verso la libertà: il Leone

La figura del leone si avvicina a quella dell’Oltreuomo. Il leone rifugge la morale che gli è stata imposta.

Quale è questo drago immane che lo spirito non vuole più oltre chiamar suo padrone e suo Dio? Si chiama egli: «Tu devi». Ma contro di lui lo spirito del leone avventa le parole: «Io voglio» (Così parlò Zarathustra).

Il “drago” di cui parla è la seduzione della facile scelta di seguire ciò che ci impone la tradizione. Ma questo drago è forte e avversario temibile. Sa i suoi punti di forza e ribatte che tutti i valori sono già stati creati.

«Ogni valore fu già creato; e io tutti li rappresento. L’«io voglio» non deve più esistere». (Così parlò Zarathustra).

Il leone può solo limitarsi a dire il suo “sacro no” ai valori tramandati, ma la parte destruens (che smantella) non basta.


  • Volere il proprio destino: il Bambino

E’ la figura dello spirito che vuole la sua propria volontà. Se il leone era la figura della “libertà da…”, il fanciullo è “libertà di…”.

Perché il fanciullo è l’innocenza, è l’oblio: un ricominciare, un gioco, una ruota che gira per sé stessa, un primo movimento, una santa affermazione.

Il fanciullo è appena nato, non ha i preconcetti degli adulti. Quello che Nietzsche aveva in mente era un individuo libero dal peso delle norme sociali, dei costumi e dogmi della società. Ma non solo: il bambino è anche pieno di gioia per la vita, si meraviglia per le scoperte e ama creare cose nuove. E’ quello che Nietzsche chiama il “sacro sì” alla vita.


  • Eterno ritorno e Amor Fati (Amore o accettazione del Destino)

L’Oltreuomo ama la vita. Riesce a superare le vecchie concezioni e le limitazioni religiose. Ma c’è un’ultima caratteristica che lo contraddistingue: il vivere la vita con l’idea dell’eterno ritorno e con l’Amor Fati.

Il concetto di eterno ritorno è stato spesso travisato, dandogli una lettura metafisica che semplicemente non ha. Quello che Nietzsche invita a fare è vivere la vita come se fossimo condannati a riviverla all’infinito. Con questa idea sicuramente saremmo più invogliati a non perderci in inutili questioni, risentimenti senza senso e invidia nei confronti degli altri.

Questo modo di vivere ci consente di vivere a pieno, ci consente di amare ogni singolo avvenimento e ogni nostro gesto, a prescindere dal fatto che nella vita esistano sia gioie che dolori. Anzi, accettando il brutto della vita senza per questo doversi rifugiare nei dolci sogni di paradisi lontani. E se avessimo già sprecato molto tempo prezioso? Poco male, l’amore per la vita di un Oltreuomo consiste anche nell’accettare il proprio passato.

La mia formula per la grandezza dell’uomo è Amor Fati: non volere nulla di diverso, né dietro né davanti a sé, per tutta l’eternità.

Numero2949.

 

da  QUORA

 

Scrive un corrispondente di QUORA

 

Perché gli atei non credono che Dio esista?

 

In verità “la gente” crede che dio esista. Gli atei/agnostici come me sono solo il 15%.

La fede è quindi un sentimento diffuso seppur sbagliato e inconsistente. Ho già scritto mille volte delle contraddizioni della bibbia, dell’incoerenza dei principi religiosi, dell’impossibilità di stabilire quale sia la fede religiosa corretta, per non parlare della mostruosità dei campioni della fede… non ci torno sopra e rispondo al perché alcune persone non credono.

Chi non crede non lo fa per pigrizia o per fare come gli pare o per stuprare i bambini (a questo ci pensano altri). Sarebbe molto più comodo credere, soprattutto quando muore un genitore o un amico. Sarebbe comodo avere tutta una serie di regole morali già belle che pronte, e se fai una porcata con un pater ave gloria ti sei già perdonato. La moralità di un ateo è molto complessa perché esercita la propria libertà di giudizio e sceglie davvero, non per paura dell’inferno, quello che è bene.

Chi non crede lo fa perché comprende che il concetto di divinità è una bugia illogica e insensata. Dio è un racconto per bambini su cui gli adulti hanno costruito un potere immenso sugli altri uomini. E poi se uno non ci crede non ci crede, è inutile che ci guardiate come mostri, non ci crediamo. Siamo diversi? Si siamo una minoranza con un QI discretamente alto.

 

Scrive un altro corrispondente di QUORA, Nicolas Mattos

 

Ti parlo della mia esperienza personale.

Io ero religioso. Ma proprio un casino. La mia massima aspirazione a 7 anni era diventare papa. Si, mentre gli altri bambini volevano fare il calciatore io volevo diventare il pontefice. Ero uno di quelli che passava davanti alle chiese e si faceva il segno della croce così come pregavo inginocchiato al mio letto ogni mattina ed ogni sera.

A catechismo, il prete della mia parrocchia vista la mia devozione parlò con i miei genitori per far presente loro che una carriera ecclesiastica per me sarebbe stata non solo possibile, ma anche consigliabile!

Ero, insomma, una persona molto religiosa.

Alla fine della mia comunione, a tutti i bambini del mio corso di catechesi venne regalato un libro: la “Bibbia dei bambini” e di questo dono fui molto grato. Era un libricino giallo, abbastanza grosso e colorato dentro, e conteneva una versione edulcorata sia dell’antico testamento sia del nuovo. Purtroppo non ricordo su quale Vangelo si basasse il nuovo. Quel libro non lo lessi in quei giorni.

Passano gli anni. Io cresco e comincio ad pensare al mio futuro.

Avevo più o meno 11 o 12 anni ed iniziavo a creare i miei primi videogiochi su RPG Maker e simili. Mi si aprì un mondo di logica davanti in cui ad ogni azione corrisponde una reazione, un mondo in cui C ha come requisiti A e B. Imparare per la prima volta a programmare è un trauma per chiunque anche su Python, ed anche lì logica a manetta. Non succede B se prima non si verifica A. Da Pontefice ero passato a Programmatore.

Poi ritrovai quel libro. Ed ovviamente lo lessi.

Rimasi traumatizzato dalla quantità di decisioni illogiche fatte da Dio nel corso dell’antico testamento. Decisioni che secondo me non avevano senso e logica. Ne parlai con il mio parroco e lui mi disse che “Dio agisce per vie misteriose” e che “Dio ha sempre un disegno per tutto e non pensa come noi”.

Dio però ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, non dovremmo quindi essere in grado di fare gli stessi suoi ragionamenti?

Ricordo un momento molto specifico, in cui pensai “Dio non può essere così cattivo”. Pensiero SUBITO auto-censurato dalla mia mente.

Per pura curiosità quindi, cominciai ad analizzare criticamente l’operato di Dio, smettendo quindi di “fidarmi” del  giudizio della chiesa e della gente. Rimasi meravigliato dalla quantità di gente uccisa dalle sue azioni durante l’antico testamento quando esistevano infinite alternative atte a “salvare” i suoi figli. Le le sue continue richieste barbare come “sacrifica tuo figlio” erano semplicemente troppo assurde per avere dei motivi logici in grado di giustificare queste decisioni.

Subito dopo abbiamo Gesù Cristo, che si palesa come figlio di Dio e allo stesso tempo Dio. Dio stesso cambia personalità e da “ammazza tuo figlio per me” diventa “va beh sta volta il figlio lo ammazzo io”. Almeno non uccide tutti i primogeniti questa volta…

Subito dopo la morte di Gesù, Dio sparisce dalla circolazione, quasi come nella canzone “La Paranza”. Vedo il cielo e non ci trovo più Dio perché manca qualsiasi segno della sua esistenza. E non mi vengano a parlare di miracoli perché credo più ad una anomalia scientifica o al fatto che qualcuno vinca la lotteria Divina, perché per ogni buon cristiano che guarisce miracolosamente dal cancro (che attenzione, succede in natura che il cancro regredisca da solo, raramente ma succede), MILIONI muoiono pregando.

La gente MUORE pregando nelle chiese in certi paesi. Bambini africani MUOIONO DI FAME e la soluzione di Dio è contare sulla (poca) generosità del mondo nel donare soldi ai più poveri per giunta spesso di altre religioni (ah, forse per questo Dio le ignora?).

Da quando DIO ha bisogno dell’essere umano per risolvere i problemi?

Questo fottuto pianeta è un posto di merda in cui vivere e Dio non fa ASSOLUTAMENTE UN CAZZO. Il nostro Padre che così tanto ci ama non si fa vedere da duemila anni. Duemila cazzo di anni!

E non mi si venga a raccontare la storia del libero arbitrio perché è una puttanata colossale.

  • Se il libero arbitrio esiste, Dio presentandosi non influenzerebbe nessuno, avremmo tutti la possibilità di capire che lui c’è e potremmo davvero credere in lui, senza fidarci di un libro scritto da persone interamente per sentito dire.
  • Se il libero arbitrio non esiste, tutto questo non ha importanza. Veniamo creati già destinati al paradiso o all’inferno e non abbiamo margine di manovra. In poche parole o Dio ci ama o ci odia e questo già dal momento del nostro concepimento.
  • In ogni caso, l’onnipotenza e l’onniveggenza di Dio fotte tutto perché lui sa già cosa faremo e cosa penseremo ancora prima di farlo e di pensarlo. In poche parole sa già prima della nostra nascita come vivremo e come moriremo, e se andremo in paradiso o in inferno.

Per poi arrivare al fatto che il cristianesimo sia l’unica vera religione. Davvero siamo così arroganti? Vuol dire che altre 8 miliardi di persone si stanno sbagliando…

Se fossero gli ebrei ad avere ragione? Se fossero gli induisti? Se fossero gli islamici?

Qualcuno qui sta sbagliando, e considerando la quantità incredibile di religioni nel mondo, ANCHE quelle estinte perché non più praticate, quante possibilità abbiamo di vincere la lotteria delle religioni?

Ti immagini la scena? Muori e sali al cielo, attorno a te nuvole ed isole galleggianti. Ad un tratto noto che c’è un tizio alto 6 metri che ti guarda incazzato. Lui è Zeus e ti dice “hai sbagliato religione stronzo!” e ti fulmina. A dire il vero, fulmina chiunque da duemila anni a questa parte.

Insomma, per farla breve, io non sono diventato ateo per via della sofferenza. La sofferenza fa parte della vita. Ogni cosa su questo pianeta è sofferenza. La fame è sofferenza. La sete lo è. Il sonno, il desiderio sessuale, tutto! Tutto è sofferenza altrimenti non ne avremo bisogno.

Il problema è che la sofferenza nella Bibbia è assolutamente immotivata ed inutile. E quando realizzi ciò diventa tutto pericoloso, perché cominci a farti domande sulla coerenza di tutta la baracca teologica, e questo tipo di costituzioni mentali tendono a collassare appena metti alla prova una qualsiasi colonna portante…

Invidio i credenti, almeno loro hanno qualcosa per cui credere in un domani migliore.

Io neanche facendo finta ci credo…

 

Numero2948.

 

da  QUORA

 

Scrive Shiro Fukò, corrispondente di QUORA

 

Le nuove generazioni sono più ignoranti delle precedenti?

 

Nel corso dei secoli le nuove generazioni sono sempre state più intelligenti delle precedenti, secondo una normale regola evoluzionistica.

Tuttavia, negli ultimi dieci anni, stiamo assistendo a un fenomeno insolito: i figli sono meno intelligenti dei loro genitori.

Il Quoziente Intellettivo medio della popolazione occidentale è in declino, con particolare riferimento alle capacità di memoria e apprendimento.

Una delle ragioni di questo fenomeno è da ricercare nell’impoverimento del linguaggio.

Diversi studi hanno rivelato una correlazione tra la ricchezza lessicale e la capacità di elaborare pensieri complessi.

La graduale scomparsa dell’uso dei tempi verbali si accompagna a un ridotto uso delle parole.

La ragione della sempre più dilagante violenza nella società è causata anche dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso il linguaggio.

Quando mancano le parole per spiegarsi e difendere le proprie ragioni, il ricorso alla violenza fisica diventa un rischio concreto.

La semplificazione dell’ortografia, come l’abolizione dei generi, dei tempi, delle sfumature lessicali rappresentano una causa dell’impoverimento della mente umana.

Numero2947.

 

S E S S O    E    A M O R E

 

Dice Venditti (e non solo lui) che “non c’è sesso senza amore”, ma lui, quando cantava questo, era innamorato.
Molti, specialmente gli uomini, vogliono fare sesso anche senza essere innamorati. Si tratta di una pulsione naturale che considera il sesso un atto ricreativo e di personale gratificazione, come può essere anche l’autoerotismo del resto, che può essere desiderato a prescindere dall'”alibi” del rapporto d’amore con il/la partner.

Una donna è molto più coinvolta emotivamente ed affettivamente e vorrebbe che il rapporto sessuale fosse l’espressione più alta del desiderio reciproco che è la risultante di tante componenti.
Per il maschio queste componenti sono prevalentemente di ordine fisico: ed esempio la bellezza corporea, “il sex appeal”, la complicità e la partecipazione erotica di un certo livello e via dicendo. Tutte cose riscontrabili e reperibili anche genericamente, senza bisogno di concentrarsi e monopolizzarsi su una sola e unica donna.

Per la femmina, invece, conta molto di più il bisogno di essere amata e desiderata per quella che è, intendendo per questo di godere di una certa esclusività ed anche di un “ascendente” particolare che lei detiene come arma di seduzione personale che, ovviamente, si attribuisce per sana autostima.
Essere concupita sessualmente dal maschio, legittimo od occasionale, le conferisce una straordinaria conferma della propria caratura umana ed erotica.

 

Ma ribaltiamo l’ipotesi: esiste l’amore senza il sesso?
È ancora e sempre amore quello che i due componenti di una coppia provano reciprocamente, senza avere rapporti sessuali?

Possono essere tanti i motivi per cui, in una coppia, non si pratica più il sesso.
Può succedere che uno dei due diventi portatore di una patologia ostativa, o di una carenza o di una condizione fisica debilitante, oppure riporti qualche trauma, anche psicologico, che pregiudichi in modo continuativo la sua praticabilità dal punto di vista della sessualità.
Oppure, molto più banalmente, è scemata del tutto l’attrazione fisica ed emotiva preesistente.
Però, possono persistere immutati i rapporti, psicologicamente appaganti, della stima personale, del rispetto reciproco, dell’affetto, vero e profondo, che, magari da tanti anni, ha unito i componenti della coppia.

Il sesso può anche passare in secondo, terzo o quarto piano ma estrometterlo del tutto vuol dire rinunciare all’unico vero momento intimo e gratificante di una coppia. Il momento in cui ci si guarda dentro. Un momento in cui il tempo si ferma, si fermano i pensieri e si lascia il mondo fuori. E non è solo sesso… È anche il prima: come ci si arriva. È il dopo: come ci si sente…
Due componenti fondamentali! È abbandonarsi. Desiderarsi. Concedersi in modo esclusivo.

Per rispondere al quesito di partenza, direi che non si tratta più di Amore con la A maiuscola, quello della gioventù, quello della pienezza dei sensi, quello degli exploit, quello che De André chiama “l’amore che strappa i capelli”.

L’amore senza sesso è, però, una specie di “amore in tono minore”, senza esaltazioni, non conclamato, non gridato od esibito, ma vissuto a basso profilo, molto intimizzato, molto complice e, a suo modo, egualmente profondo.
Anzi, è fatto di tante piccole cose ed attenzioni, anche di tante parole che rispecchiano lo stato d’animo, di due che, consapevolmente e onestamente, hanno scelto di continuare la loro relazione su un altro binario che, ben lungi dall’essere un binario morto, li può portare molto lontano, con condizioni di viaggio molto più confortevoli e confacenti alla loro età presente e futura.
Io lo considero un “coronamento” dell’amore della prima fase.

Insomma, l’Amore con la A maiuscola non è un assoluto, non è per sempre. È una chimera transeunte.
Decade e si trasforma, adattandosi alla legge del tempo, e diventa un Affetto con la A maiuscola.
E questo è la versione più nobile e umanamente gestibile del rapporto di coppia, che si consolida e rimane valido, nella misura in cui era valido l’amore originale, quello dei tempi migliori.