Numero3387.

 

C O L L O Q U I    C O N    M E    S T E S S O

 

Giorno 1 – Presenza

Il primo respiro del mattino
è già un pensiero che si affaccia.
Ma se resto quieto,
posso abitare il silenzio
dove ancora nulla ha nome.

In quel vuoto semplice
mi accorgo di esserci:
non come persona,
ma come campo,
come attenzione pura
che precede il mondo.


🜂 Giorno 2 – Silenzio

Il silenzio non è assenza,
ma profondità.

Sotto ogni pensiero,
sotto ogni parola,
vive un suono che non si sente,
eppure tutto contiene.

Quando lo ascolto,
il tempo si ferma
e la mia coscienza si fa cielo.

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Giorno 3 – Sé

Mi sveglio,
e prima ancora del mio nome,
sento un punto immobile che mi abita.

Non è pensiero, né emozione,
ma una sorgente ferma
da cui tutto nasce.

Questo sono:
non l’idea che ho di me,
ma l’essere che osserva
anche quell’idea.


🜂 Giorno 4 – Io

L’“io” è utile per orientarmi nel mondo,
ma non dice chi sono.

È la maschera gentile
che porto tra gli altri,
ma io sono anche
chi la toglie la sera,
e chi sogna mentre dorme,
e chi ascolta in silenzio al mattino.

Sono ciò che resta
quando l’“io” si fa da parte.


🜂 Giorno 5 – Osservare

Quando osservo senza giudicare,
il mondo si mostra com’è.

La coscienza non ha bisogno
di cambiare nulla,
solo di vedere.

E nel vedere,
ogni cosa si illumina
senza sforzo.


🜂 Giorno 6 – Pensare

Il pensiero è uno strumento,
non un padrone.

Quando lo lascio scorrere
come un fiume,
posso navigarlo.

Ma se mi aggrappo a ogni onda,
dimentico il mare.


🜂 Giorno 7 – Essere

Al mattino,
prima di agire,
prima di parlare,
prima di volere,
posso semplicemente
essere.

Essere senza aggiunta,
come il cielo prima della nuvola,
come la luce prima del colore.

Ed è lì che tutto inizia davvero.

Settimana 2 – Tema: Tempo

Il tempo non come misura, ma come esperienza vissuta nella coscienza.
Ogni giorno esplora un volto diverso del tempo: l’attimo, la durata, il futuro, il ritmo…


🕰 Giorno 1 – Attimo

L’attimo non è ciò che passa,
ma ciò che è.

Quando lo afferro, svanisce.
Quando lo accolgo, mi rivela.

L’attimo non si misura,
si vive.
E in quell’istante,
io sono eterno.


🕰 Giorno 2 – Durata

Alcune esperienze durano un minuto,
ma restano per sempre.

La durata non sta nel tempo,
ma nella densità del sentire.

Il tempo che vale è quello
che lascia un’eco nell’anima.


🕰 Giorno 3 – Memoria

La memoria non è passato,
è presente che ricorda.

Ogni volta che rivedo un volto amato,
non sto tornando indietro,
ma portando qui ciò che non vuole svanire.

La memoria è il modo in cui il tempo
si trattiene tra le mani della coscienza.


🕰 Giorno 4 – Futuro

Il futuro non esiste ancora,
eppure ci abita.

Ogni attesa è una forma di creazione:
immagino, temo, desidero,
e così lo costruisco.

Ma il futuro vero
si rivela solo
quando smetto di aspettarlo
e lo accolgo come dono.


🕰 Giorno 5 – Attesa

L’attesa è un tempo vuoto
solo per chi non lo ascolta.

In realtà, ogni attesa è un tempo di gestazione.
Qualcosa sta maturando,
anche se non si vede.

L’attesa è una forma segreta di fiducia.


🕰 Giorno 6 – Ritmo

Ogni essere ha il suo ritmo.
Forzarlo è violenza,
assecondarlo è armonia.

Il tempo naturale è circolare,
come il respiro, come le stagioni.

Tornare al proprio ritmo
è ritrovare il sentiero di sé.


🕰 Giorno 7 – Eterno

L’eterno non è ciò che dura per sempre,
ma ciò che non ha bisogno di durare.

È il lampo che apre il cielo,
il pensiero puro,
lo sguardo che comprende tutto in un solo istante.

Quando l’io tace
e l’essere si mostra,
ecco: quello è l’eterno.

Numero3207.

 

da Ascuolaoggi.com BLOG

 

E S S E R E    E    A P P A R I R E

 

Galimberti: per esistere bisogna mettere in mostra la propria immagine ed è per questo che, almeno nella nostra società, è più complicato “essere” che “apparire”

Nella società odierna l’apparenza sembra aver completamente preso il sopravvento sull’essenza all’insegna di un’esistenza priva di significato in cui i più giovani stentano a trovare una loro identità, omologandosi a stereotipi privi di senso, determinando ciò sicuramente degli effetti deleteri nel loro processo evolutivo di crescita.

Ed è proprio per tal motivo che una ragazza di ventun anni, Chiara, si rivolge al filosofo, saggista e psicoanalista Umberto Galimberti per trovare delle risposte ad alcuni suoi interrogativi.

Le parole della ragazza celano, in realtà, le difficoltà e le insicurezze dei giovanissimi alle prese con un mondo che pretende di plasmare ogni soggetto a suo piacimento, trasformandolo e facendolo diventare diverso da ciò che è realmente . L’influenza che subiscono è così forte ed incontrollabile che inconsapevolmente le nuove generazioni si comportano non come vorrebbero ma come la società ritiene più corretto ed opportuno, sottostando a delle rigide regole che presuppongono l’approvazione degli altri per poter sentirsi bene con se stessi, mostrando la propria immagine o meglio la maschera che, giorno dopo giorno, si finisce con l’indossare, dimenticando chi si è realmente.
In tale prospettiva il confine è labile e si finisce col perdersi, non distinguendo più ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, i colori diventano sbiaditi e la confusione predomina incontrastata, senza valori che svolgano una funzione guida.
Da ciò deriva la profonda solitudine e tristezza che connota i più giovani, spesso disorientati ed incapaci di scegliere consapevolmente e responsabilmente, insicuri e privi di una personalità forte.

A tal fine Umberto Galimberti coglie l’occasione per sottolineare come oggi sia più complicato “essere” che “apparire” all’interno di una società in cui l’uomo stesso si è degradato al livello di merce e perciò si può esistere solo mettendosi in mostra, pubblicizzando la propria immagine.

Di conseguenza chi non si espone, chi non si mette in mostra, non viene riconosciuto, quasi neppure ci si accorge di quella persona.
“Siamo infatti nelle mani degli altri, al punto che il nostro pensare e il nostro sentire, la nostra gioia e la nostra malinconia non dipendono più dai moti della nostra  anima che abbiamo perso e probabilmente mai conosciuto, ma dal “mi piace” o “non mi piace” espresso dagli altri, a cui ci siamo consegnati con la nostra immagine, che, per non aver mai conosciuto noi stessi, è l’unica cosa che possediamo e che vive solo nelle mani degli altri. Ci siamo espropriati e alienati nel modo più radicale, perdendo ogni traccia di noi”, così sottolinea Galimberti.

Pur di metterci in mostra abbiamo perso la nostra intimità, interiorità, essenza, il nostro pudore. La spudoratezza diviene una virtù e viene meno la vergogna. Di intimo è rimasto solo il dolore, la malattia, la povertà, che ciascuno cerca di nascondere per non essere isolato dagli altri.

Ecco dunque l’importanza per i giovani di riappropriarsi della loro identità, della loro essenza, riscoprendo quei valori guida che indicano la strada giusta da percorrere per non perdersi mai e che illuminano il cammino come un faro nella notte così da permettere loro una crescita sana, all’insegna dell’essenza e non dell’apparenza.

Numero2863.

 

Chi vuole svalutarti usa queste frasi

Anna De Simone      Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia.

 

Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologa.

 

Sei brava/o a distinguere chi ti vuole genuinamente bene da chi, invece, ti usa per alimentare il suo insaziabile ego? In teoria, discernere il bene dal male non dovrebbe essere così difficili ma in pratica lo è, e anche tanto. Falliamo in questa impresa tutte le volte che riponiamo la nostra fiducia nella persona sbagliata, tutte le volte che sistematicamente ci deludono, tradiscono e che, in qualche modo, ci fanno sentire usati, sviliti e ignorati. Ignorati nei nostri bisogni di stima, validazione e affetto. Già, perché chi ti sta accanto per rinforzare il suo ego, ignora completamente cosa vuoi tu: è dannatamente concentrato su se stesso.

A tutti può capitare di riporre fiducia e speranze nella persona sbagliata, tuttavia, una volta notato il gap relazionale, chi sa discernere il bene per sé dal male per sé, sa come correre ai ripari e impara dall’esperienza. Al contrario, chi non riesce a fare agilmente questa distinzione, si ritrova spesso in relazioni del tutto sbilanciate e fa fatica a uscirne. A volte, distinguere ciò che è davvero bene per sé non è facile, perché nella nostra storia personale, nessuno ce l’ha mai mostrato davvero, in più, chi tenta di sminuirci, spesso lo fa in modo subdolo ed è molto bravo a camuffare i suoi reali scopi. Allora vediamo quali sono le caratteristiche tipiche di chi, per stare bene con se stesso, ha bisogno di farti sentire sbagliato e quali sono le frasi che potrebbero fungere da campanellino d’allarme.

Le caratteristiche di chi ha un «ego insaziabile»

Chi ha un ego insaziabile, dà un’immagine di sé irrealistica e, in parallelo, usa il riconoscimento esterno per compensare i propri vuoti e gli inaccettabili fallimenti personali. Tutti noi cerchiamo accettazione e consenso all’esterno, e fin qui è tutto bene: siamo animali sociali, abbiamo bisogno di sperimentare senso di appartenenza e gratificazione interpersonale e questi bisogni possono essere soddisfatti instaurando rapporti paritetici fatti di stima reciproca. Il problema insorge quando il riconoscimento esterno viene ricercato con la svalutazione, il controllo e il dominio sull’altro.

Queste persone, infatti, stanno bene con se stesse solo quando possono sentirsi migliori degli altri, le ho definite con un «ego insaziabile» perché è talmente grande la precarietà affettiva che si portano dentro, da essere impossibile da colmare, almeno non dall’esterno, almeno senza una profonda presa di consapevolezza. In realtà, queste sono così barricate nel loro stesso ego, da perdere ogni lucidità: esistono solo loro, ciò che pensano e ciò che vogliono. Gli altri non sono altro che strumenti e guai a farli sentire incompresi: uno dei tanti modi che hanno per piegare l’identità altrui e il non accettare che si possano avere valori diversi dai propri. Nelle relazioni che stringono, se l’altro ha idee diverse, semplicemente non ha valore, non viene accettato. L’accettazione, infatti, può passare solo per l’accondiscendenza più totale.

Quel grande ego smisurato e insaziabile, finisce per dissipare le energie altrui, per esercitare controllo, umiliare, disprezzare e distruggere tutto ciò che ha a tiro, fino a sminuire anche la più nobile e benevola delle intenzioni. Si nutre delle attenzioni degli altri ma non lo fa sempre in modo palese: l’ego insaziabile, infatti, è ben nascosto sotto una scintillante armatura costruita ad hoc. In più, l’ego insaziabile può indossare diverse armature, tante quanto sono le occasioni: più che una persona, ti ritrovi davanti un prestigiatore che fa giochi di magia distorcendo fatti ed emozioni. L’armatura più usata è quella del cavaliere senza macchia e senza paura, che si prodiga per gli altri. Un’armatura mantenuta scintillante per raccogliere consensi.

Esistono, poi, molte variabili, spesso l’armatura scintillante proietta un’immagine sempre affaccendata: tempo e risorse, all’apparenza, sono investiti in una «più alta causa»: il lavoro, la famiglia, il volontariato… Attenzione! È bellissimo dedicare del tempo ai propri affetti, avere ambizioni lavorative o fare volontariato, ma queste persone, enfatizzano il sacrificio. In fondo, se si sacrifica e se si sta impegnando così tanto per gli altri e non per sé, come potrebbe essere accusato di egocentrismo?

Frasi tipiche di chi vuole sminuirti

Queste persone, nelle relazioni, possono essere estremamente caustiche, corrodono anche la personalità più forte e tenace. La difficoltà sta nel fatto che all’apparenza non sono «persone tossiche» (estremamente lamentose, che parlano male di tutti…), sono piuttosto degli affabulatori, dei racconta storie che condiscono la realtà a loro piacimento, che possono dartela vinta al momento ma che poi hanno sempre in serbo per te una frecciatina, un rimprovero, un’osservazione scomoda da fare. Per queste persone c’è sempre un però, c’è sempre un ma, «Sì, tutto è bello ma…»; c’è sempre un modo più o meno velato per farti pesare tutto, ciò che hai fatto e ciò che non hai fatto. Come premesso, riescono a sentirsi soddisfatte, solo facendoti sentire in difetto.

Le critiche nascoste di chi dice di volerti bene

Chi ha un ego vuoto può sfruttare falsi complimenti per screditarti . I falsi complimenti finiscono spesso con un punto interrogativo, un punto di domanda che però non solleva un dubbio concreto, piuttosto sottolinea un’ipotetica fragilità.

  • Bellissimo questo appartamento, sicuro di potertelo permettere?
  • Ti sta bene questo cappotto, ma non è un po’ troppo stravagante per te?
  • Sei meravigliosa con quel vestito ma mi chiedo, non avresti dovuto prenderlo di una taglia più grande?
  • Ora hai ottenuto questo nuovo lavoro, ma ne vale la pena?

Altre frasi possono svalutare qualcosa che fai, sfruttando una generalizzazione o riportando casi reali o fittizi. Per esempio, ti sei laureato e, dopo repentine congratulazioni, ecco che arriva: «anche Tizio ha la tua stessa laurea, ora lavora nella paninoteca in fondo alla strada, speriamo che a te vada meglio». Oppure, hai vinto un concorso «beh, ormai tutti possono farlo, non è più come una volta…» o ancora «beato te, a me queste fortune non capitano mai», per sottintendere che non hai alcuna abilità, che sei solo stato baciato dalla fortuna mentre lei/lui, le cose, deve sudarsele. Sì, perché l’armatura scintillante che mostrano è quella di una persona che non ha mai avuto alcuno sconto dalla vita, come se tutti gli altri, invece, avessero trovato realizzazioni pronte all’uso in confezioni regalo! E, come se non bastasse, le realizzazioni degli altri sono sempre banali e scontate ma non le sue, le sue sono sempre imprese epiche!

Altri esempi di svalutazioni vertono sull’invalidazione di un’esperienza o un traguardo. Per esempio: «ho fatto un corso d’inglese, mi è piaciuto tantissimo». La replica: «Sì, sono contentissima per te, ma l’hai fatto con un madrelingua? Dovresti trascorrere qualche mese all’estero come ho fatto io, è l’unico modo vero per imparare la lingua». Lo scopo è quello di spegnere l’entusiasmo e la validità dell’impresa dell’altro.

«Carina quella borsa, ormai si vedono tanti falsi in giro». Una velata frecciatina sull’autenticità dell’accessorio che indossi. Queste persone hanno sempre da mettere becco su come gestisci il tuo tempo, il tuo denaro, le scelte che fai… lo fanno sentendosi legittimati. Si prendono anche più confidenze del dovuto e non si inalberano se tu provi a mettere distanze: sono bravissimi a fare gli offesi e si vendono egregiamente come vittime.

In tutte le frasi c’è una costante: una netta incongruenza. Quando un complimento non è esattamente un complimento e quando una domanda in realtà nasconde un’allusione scomoda, l’interlocutore è disorientato e, nella più calda ingenuità, si tende a ignorare il messaggio sgradito che però, avrà sortito il suo effetto: avrà istillato dubbi, avrà creato una crepa, avrà fatto sentire l’altro migliore.

Un breve aneddoto per comprendere meglio fin dove si spingono alcune persone per non affrontare i propri limiti

Condivido con voi un’esperienza personale: un episodio vero e molto emblematico. Sono nella sala d’attesa di un centro medico. Un uomo non sa come azionare la macchinetta automatica che eroga bibite. La moglie mi chiede di aiutarlo. L’uomo è restio ma dopo qualche minuto e diversi tentativi falliti, accetta suo malgrado il mio aiuto: la moglie aveva sollecitato il mio intervento in quanto aveva un forte calo di pressione.

Mi avvicino alla macchinetta, inserisco una moneta, immetto il codice e la bibita esce puntuale: porgo la bibita alla moglie. Sto per andare via quando l’uomo esordisce: «Senta, qui ci sono 50 centesimi di resto, ma non è capace neanche a prendersi il resto?». Un uomo decisamente corrosivo, troppo preso da se stesso e dalle sue paure per ammettere una banale difficoltà. Pur di non accettare un limite (in questo caso, una palese difficoltà con la tecnologia), quell’uomo stava causando disagio a sua moglie e ha sentito il bisogno di sminuire il mio gesto.

Alcune persone sono così rigide che, per loro, ammettere un limite, significa ammettere di non valere. Vivono una precarietà interiore tale da dover riversare tutto il loro malessere nel mondo che li circonda. Una condizione molto triste che solo raramente riesce a trovare un aiuto adeguato: come premesso, queste persone mancano completamente di capacità introspettiva. Non potendo leggersi dentro, spostano tutto all’esterno.

A volte, le critiche sono spudorate, altre volte sono nascoste ma in tutti i casi, non raccontano nulla su chi le riceve, raccontano piuttosto il mondo emotivo di chi le muove. Chi sta in pace con se stesso non sente il bisogno di sminuire il tuo nuovo lavoro, non sente il bisogno di dire «acquistare un’auto super-accessoriata è una cazzata, fai lievitare il prezzo per nulla, è da fessi», dopo che ha saputo del tuo ultimo acquisto full optional.

Ma se non è un’auto, è lo smartphone, il vestito, le scarpe, il tuo aspetto, i tuoi capelli… queste persone trovano sempre il modo di disprezzarti, e lo fanno! Lavorare sui propri confini, sul proprio valore personale e senso di auto-efficacia, è l’antidoto migliore per qualsiasi critica, anche alla più distruttiva e subdola di tutte!

Per affermare il tuo valore

Dobbiamo stabilire dei limiti. Non bisogna tollerare critiche e disprezzo celato. Il disprezzo costante è un abuso psicologico che può danneggiare chi ha già delle fragilità di fondo. Non possiamo normalizzare il disprezzo. Permettere agli altri di sminuirci significa precipitare in un abisso in cui perdiamo di vista il nostro valore. Allora cosa fare? Per cambiare radicalmente la tua vita, inizia a formarti e a capire come funzionano davvero le cose.

Esiste una realtà ben concreta in cui tu sei al centro della tua vita. In cui tutti i tuoi bisogni hanno un senso, vanno ascoltati e appagati! Una realtà in cui puoi affermare te stesso, accoglierti e amarti. In tal modo, attrarrai a te solo persone che sono capaci di darti la considerazione che meriti. Che, come nel mio esempio, hanno cura del legame che instaureranno con te. Non si tratta di un’utopia. Tutto questo è possibile e puoi averlo in tutti i rapporti.

 

Numero2038.

 

P I A C E R E

 

Devo piacermi

per dare piacere.

 

Mi sono appuntato questa semplice frase, che ho sentito pronunciare, a notte inoltrata, durante una simpatica trasmissione televisiva che tratta esclusivamente di sesso e argomenti connessi, senza intenti didascalici, senza dottori o psicologi, ma che è condotta con leggerezza e senza ipocrisia, facendo parlare liberamente le persone presenti dei loro gusti, dei loro comportamenti, delle loro esperienze.
A pronunciarla era una donna che, intervistata dalla conduttrice sul tema del “piacere” e del “desiderio”, ha così, sinteticamente, espresso il proprio pensiero, che io ho percepito come illuminante, quasi folgorante. E ho tentato di prendere sonno, elucubrando e rimestando, in balia di mille considerazioni che si accavallavano nella mia mente.
Alla fine, ci ho dormito sopra, ripromettendomi di dedicare a questo argomento un numero del BLOG, per sviscerarlo meglio.

La prima considerazione che mi è balzata in testa è stato il parallelismo di questo aforisma con l’evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso” (Matteo, 22. 37-39). E anche  «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuorecon tutta l’anima tuacon tutta la forza tuacon tutta la mente tuae il tuo prossimo come te stesso» (Luca 10, 25-37) . Dopo il primo comandamento, quello di amare Dio, questo secondo è il comandamento più fondante di tutta la “morale cristiana”. Sappiamo che su di esso si è sviluppata la teoria etica  della Religione Cristiana, con la sottolineatura stringente e apodittica dell’amore per il prossimo. Non per niente, al primo posto, nell’enunciazione, viene “ama il prossimo tuo”. Tale e tanta è stata la preponderanza di questo concetto, che per duemila anni è stato messo in ombra, in secondo piano e, dico io, accuratamente, volutamente, intenzionalmente trascurato il “come te stesso”.
Ebbene, io intendo riesumare il paragone del vangelo, ribaltando i termini della questione: ama te stesso, per amare meglio gli altri.
La frase della signora intervistata, è la trasposizione esatta, sul piano della sessualità, di questo elementare enunciato. Al primo posto, in una sana ed equilibrata visione della vita, io ci metto l’amore per se stessi.
Non voglio mica fondare una Controreligione! Voglio solo riabilitare una esigenza primaria e naturale della personalità umana, che è quella di occuparsi della propria salute mentale, morale e fisica e, vivaddio, anche della propria felicità, prima di abbracciare supinamente ogni dettato altruistico, per quanto cogente possa essere: è l’istinto di sopravvivenza, ma di buona sopravvivenza.

Nella frase evangelica, quello che viene collocato al primo posto è l’amore per gli altri. Nella frase mia, che pur mantiene l’esortazione e l’ammonimento all’amore, al primo posto ho messo l’uomo, l’individuo pensante, responsabile, sensibile, empatico, pronto alla fraternità, alla collaborazione, alla generosità, alla misericordia. Ma solo dopo aver fatto proprio, compiutamente, il bagaglio di questi valori, inglobandolo nel proprio DNA esistenziale.
Sì, perché l’uomo non nasce, secondo natura, dotato di questi buoni principi.

L’amore per se stessi è una categoria naturale, insita nell’uomo. L’amore per gli altri è una dotazione culturale acquisita nel corso dell’evoluzione sociale ed esistenziale.

Per completare la nozione del radicamento di questi principi, nel tempo e nello spazio dell’umanità, invito il lettore a consultare brevemente il numero seguente (Numero2037.).

“Homo homini lupus” (l’uomo è un lupo per l’uomo) è una espressione latina che troviamo nella commedia di Plauto, L’Asinaria. 

Il concetto dell’ “homo homini lupus” è stato ripreso dal filosofo britannico Thomas Hobbes nella sua opera De Cive (Il cittadino); secondo Hobbes, la natura dell’uomo è essenzialmente egoistica e a determinare le azioni umane sono solamente l’istinto di sopravvivenza e quello di sopraffazione; egli ritiene impossibile che l’uomo si senta spinto ad avvicinare un proprio simile in virtù di un amore naturale; i legami di amicizia o di società degli uomini sono dovuti solamente al timore reciproco.
Nello stato di natura, ovvero in quello stato non regolato da alcuna legge, ogni persona, mossa dal suo più recondito istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare tutti coloro che rappresentano un ostacolo al raggiungimento dei propri scopi; in altri termini, ogni individuo vede nel proprio prossimo un nemico.
Fuori dall’ambito puramente filosofico, l’espressione latina è ancora oggi utilizzata, talvolta ironicamente, talvolta sconsolatamente, per sottolineare la malvagità, l’egoismo e la malizia dell’uomo; in questo senso ha pressoché il valore dell’altrettanto celebre detto mors tua vita mea (la tua morte è la mia vita).

Egoismo, egocentrismo, soggettivismo, individualismo, egotismo, solipsismo, narcisismo. Sono tutti termini che, con sottili sfumature a differenziare l’uno dall’altro, si riferiscono allo stesso concetto. Ma si badi bene, non hanno niente a che fare con il contenuto del mio pensiero.
L’amore per se stessi, come lo intendo io, o amor proprio, è occuparsi di sé, non trascurando gli altri, ma per meglio occuparsi degli altri.
Una personalità equilibrata ed armonica, consapevole e partecipativa non potrà mai erigere steccati, ma solo costruire ponti verso gli altri da sé. Probabilmente, nella costruzione del proprio “taglio mentale” e nella messa a fuoco della propria “Weltanschauung”, o “concezione, visione del mondo e della vita”, il compito più difficile è quello di predisporsi un filtro critico agguerrito e ben attrezzato. Per ottenere questo, è necessaria una straordinaria serie di azioni e di impegni, che non tutti trovano né possibili, né utili, né agevoli: studi, fino ad alti livelli, esperienze, le più disparate, interessi, impegnativi e formativi, frequentazioni, a volte selettive e non facili, stili di vita, talvolta costrittivi e, comunque, di elevato spessore umano e sociale.
Insomma, amare se stessi, per prepararsi alla vita, non è una cosa da ridere, anzi, è un percorso pieno di sacrifici, di difficoltà, di rinunce. Un percorso per nulla autocelebrativo, bensì autoformativo, spesso affrontato con mezzi propri ed inadeguati, combattendo battaglie dove le sconfitte sono sempre più frequenti, ma, comunque, più illuminanti delle vittorie.
Il traguardo di arrivo è una personalità matura, consapevole, preparata ad affrontare la vita, il lavoro, la famiglia, la società con una corazza temprata, con armi affilate, non con  “lo spirto guerrier ch’entro mi rugge” (Ugo Foscolo – Alla sera), ma con animo determinato e motivato, ricco della propria autostima.
Pensate che questa personalità sia ben predisposta verso gli altri, o che si manifesti e si imponga attraverso l’arroganza o la sopraffazione?
Il mio punto di vista, è quello che mi auguro di aver interpretato nella mia vita: è la prima delle due alternative appena citate. Per questo ne parlo, come esperienza personale, senza profferire sentenze o sprecare giudizi sul comportamento di altri.

D’altra parte, qualche secolo prima della frase evangelica, l’oracolo di Delfi, ripreso e sottolineato da Socrate, aveva raccomandato il “conosci te stesso”, come la chiave per aprire le porte del mondo, per interagire e misurarsi con esso. Non ho mai conosciuto, in tutto lo scibile umano, un precetto più illuminante ed esaustivo di questo.
Su quanto detto finora, segnalo e raccomando la lettura dei seguenti Numeri: 1758, 1559, 1400, 1396, 1370.

 

Tornando alla frase di partenza, mi ha stuzzicato una curiosità: ma una donna che dà piacere (sessuale) ad un uomo, dà piacere (orgasmo) anche a se stessa, perché si piace? Vuol dire perché è più disinibita, per il fatto di piacersi?
Allora, l’uomo che funzione avrebbe? E l’atto sessuale, è un darsi piacere reciprocamente, oppure è un'(auto)masturbazione attraverso il corpo del partner? Mio Dio, che guazzabuglio!
Con l’aiuto della vostra pazienza ed attenzione, tento di fare chiarezza: in realtà, non so dove questo discorso andrà a parare.
Quando una donna ha la consapevolezza di avere un bel corpo, armonioso, gradevole, curato, seducente (non solo agli occhi del partner, ma anche ai propri) è sicuramente ben disposta all’atto sessuale e predisposta a goderne lei stessa, oltre che a dare piacere sessuale al compagno. Fin qui, tutto potrebbe quadrare. E questa è la “conditio sine qua non” ( condizione imprescindibile), per instaurare un rapporto sessuale. Almeno da parte femminile.
Ribaltiamo i termini della questione. Una donna che non ha un corpo di suo gradimento, che è consapevole di non essere tanto sexy, non mi dilungo ad appurarne i motivi, ma che si concede ugualmente al proprio partner, per un’attrattiva sessuale di non precisata alchimia, vuol dire, forse, che può non essere così disinibita, come le circostanze richiederebbero? E che, pur facendo arrivare all’orgasmo il compagno, che compie decorosamente il suo dovere, senza tante fisime, può risentire di un freno inibitorio, che deriva dalla coscienza della propria condizione, e non godere appieno del rapporto, impedendosi di suo, in qualche modo, l’orgasmo?
So bene che molte donne non raggiungono mai, o quasi mai, l’orgasmo facendo l’amore col proprio compagno, e che il colpevole di questa “défaillance”, sarebbe proprio lui, il maschio egoista o inadeguato che, pensa a soddisfare le proprie voglie, senza pensare al piacere della compagna.
Ma, in presenza di un rapporto normale, come durata ed intensità, per la prestazione del maschio, può accadere che la femmina manifesti una partecipazione psicologicamente impedita da una scarsa autostima?
Dicono tutti che, nell’altro campo, quello maschile, l’eiaculazione precoce ha motivazioni sintomatiche di carattere psicologico. Perché non potrebbe essere dello stesso tipo, intendo psicologico, in campo femminile, la mancanza di orgasmo (anorgasmia)? E la causa potrebbe essere proprio la scarsa considerazione delle proprie fattezze muliebri?
Quello che, sul piano puramente fisico, la moderna medicina ha riscontrato essere una patologia autoimmune, ovvero, detto in soldoni, il corpo si fa male da solo, non potrebbe verificarsi, attraverso la somatizzazione, anche in ambito psicologico o psichiatrico? Cioè la mente cerca una espiazione, un’autopunizione, negandosi ciò che desidera, cioè la soddisfazione sessuale?

Messa così, un po’ semplicisticamente, la cosa potrebbe riassumersi in questo modo: le donne che si piacciono, che sono contente di sé, hanno molto probabilità di soddisfare sessualmente il partner e anche se stesse.
Le donne che hanno problemi di gradimento del proprio stato fisico, pur soddisfacendo il compagno, potrebbero avere grossi problemi a provare il proprio orgasmo.
L’altra faccia della medaglia, in campo maschile, potrebbe dirci che gli uomini che sono sicuri di sé, delle proprie “performances” e delle dimensioni del loro apparato sessuale, hanno, almeno, normali rapporti, soddisfacenti per se e per la compagna; mentre gli uomini che manifestano insicurezze e problematiche di varia natura, è più probabile che cadano vittime dell’eiaculazione precoce.
Fatto sta, in entrambi i casi, che l’autostima gioca un ruolo di primaria importanza in ambito sessuale.
Ed è proprio giusto e vero che l’apparato sessuale che conta e vale, di gran lunga, di più non sta in mezzo alle gambe, ma in mezzo alle orecchie.

Sono stati scritti migliaia di libri e trattati su questi temi. Darete voi ascolto ad un povero disinformato, ma disinibito, come me? Come sempre, a me interessa gettare il sassolino nello stagno.

 

 

 

 

 

Numero1758.

CONOSCI  TE  STESSO       NOSCE  TE  IPSUM       γνῶθι σεαυτόν

Al pari di Nulla di troppo (μηδὲν ἄγαν).

«Conosci te stesso» (in greco antico γνῶθι σαυτόνgnōthi sautón, o anche γνῶθι σεαυτόνgnōthi seautón) è una massima religiosa greco antica iscritta nell’ingresso del tempio di Apollo a Delfi :

Ti avverto, chiunque tu sia :
Oh tu, che desideri sondare gli arcani della Natura,
se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi,
non potrai trovarlo nemmeno fuori.
Se ignori le meraviglie della tua casa,
come pretendi di trovare altre meraviglie?
In te si trova occulto il tesoro degli Dei.
Oh Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’Universo e gli Dei.

La locuzione latina corrispondente è nosce te ipsum.] È anche utilizzata in latino la versione temet nosce.

Un concetto simile si trova anche nel monito di Sant’Agostino: “Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas” («Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell’uomo che risiede la verità»).

Molteplici classificazioni tipologiche

Nella nostra vita ci capita spesso di distinguere e classificare noi stessi e gli altri sulla base di caratteristiche le più diverse: alto /basso, bello /brutto, interessante / non interessante, colto / non colto, ricco /povero, credente non credente…. Alcune di queste tipologie si riferiscono in particolare a caratteristiche psicologiche; ad esempio: attivo / passivo, introverso /estroverso, stabile / instabile, ottimista /pessimista, battagliero /arrendevole, materialista / spirituale, disciplinato / ribelle, progressista / conservatore, rigido / adattabile, affidabile / inaffidabile.

Distinzioni tipologiche sono anche:

i 12 segni zodiacali : a loro volta suddivisi in, maschili e femminili, – cardinali, fissi e mobili – acqua, fuoco, terra e aria.

l’enneagramma (vedi la tabella  degli “enneatipi” in fondo al Numero),

i gruppi sanguigni ( esistono quattro gruppi sanguigni diversi: il gruppo A, il gruppo B, il gruppo AB, il gruppo 0 (zero),

i quattro temperamenti secondo Steiner , (sanguinico, collerico, flemmatico e melanconico),

le quattro costituzioni omeopatiche (Carbonica, Sulfurica, Fosforica, Fluorica),

 le categorie di personalità distinte in base alla subpersonalità primaria prevalente (ossessivo, depresso, ansioso, istrionico, narcisista paranoico, etc.).


Non per niente, non esiste sulla terra un uomo uguale ad un altro.

            Classificare vuol dire suddividere un insieme di oggetti in gruppi omogenei, in classi, in  categorie. L’uomo tende a classificare tutto ciò con cui viene in contatto: le sostanze chimiche, le creature viventi, le stelle, i libri, gli abiti, le automobili e così via. Non c’è oggetto che non sia classificabile e che in qualche modo non sia stato classificato. Viene spontaneo chiedersi: perché tanto impeto classificativo? Una delle possibili risposte richiama il fatto che classificare è uno dei processi insiti al nostro meccanismo di conoscenza: da un lato conoscere ci porta a classificare, dall’altro classificando conosciamo e approfondiamo la nostra conoscenza. Una seconda risposta possibile ci riporta alla nostra natura di manipolatori e trasformatori della realtà con cui veniamo in contatto; classificare ci aiuta a definire la materia prima su cui poter intervenire con la trasformazione e ci facilita l’utilizzo degli oggetti.

Ciascuno di noi usa di continuo giudizi, valutazioni e classificazioni su se stesso e sugli altri. È importante prendere coscienza che i giudizi possono causare molta sofferenza o viceversa piacere, possono nutrire l’autoapprezzamento e essere stimolo alla crescita; vanno pertanto usati in modo consapevole e saggio.

 

Le classificazioni tipologiche di Assagioli: Psicologia Differenziale in Psicosintesi

Roberto Assagioli, psichiatra fondatore della Psicosintesi, espone il suo pensiero sulle classificazioni  tipologiche basate sulle caratteristiche psichiche nell’Appendice quinta al testo “L’atto di volontà” e in alcuni scritti raccolti nel libretto intitolato “I tipi umani”.

Nell’Appendice quinta Assagioli introduce i termini “Psicologia differenziale”: “Secondo il Dictionary of Psychological and Psychoanalytical Terms, la psicologia differenziale è la branca della psicologia che studia i tipi, le quantità, le cause e gli effetti delle differenze individuali e di gruppo nelle caratteristiche psicologiche.”

Una parte dell’interesse di Assagioli per le tipologie deriva probabilmente da un simile interesse di uno dei suoi maestri: K. G Jung.  Jung ha identificato quattro tipologie di persone sulla base del prevalere di una delle quattro funzioni psichiche che egli riconosce nell’uomo: sensazione, sentimento, pensiero ed intuizione. La classificazione di Jung diviene poi ottuplice considerando che il prevalere di una funzione si può associare ad un modo di essere principalmente estroversi o introversi.

E’ interessante notare che il fondatore della Psicosintesi mette in guardia i lettori sul rischio di attribuire una eccessiva importanza alle classificazioni tipologiche nessuna delle quali è al momento pienamente soddisfacente peccando di incompletezza o di parzialità ed unilateralità nella scelta dei criteri di suddivisione dei temperamenti.

Su questa base, le classificazioni tipologiche non devono essere però rifiutate bensì opportunamente scelte ed utilizzate. Scrive Assagioli: “una classificazione basata su divisioni artificiose, arbitrarie, o superficiali, sarà di scarso valore pratico, e può diventare un ostacolo e distorcere la nostra percezione della realtà.

Con queste riserve le descrizioni tipologiche basate sulle differenze fondamentali, e quindi in grado di tenere pienamente conto della complessità e della fluidità della vita psicologica degli individui, possono, se usate saggiamente, fornire un sostanziale aiuto per una comprensione più profonda e più precisa.

Ma richiedono di essere perfezionate ulteriormente e di tenere giustamente conto delle molte dimensioni psicologiche. Soprattutto, devono essere sottili e flessibili, aperte alle sfumature e le coloriture individuali, alle sovrapposizioni e alle interpenetrazioni. Non devono essere semplicistiche né pretendere di essere definitive, ma tenere conto del mutamento continuo e dell’illimitato potenziale di crescita di ogni individuo.”

Le classificazioni tipologiche possono condizionare sia in senso positivo che negativo. A questo proposito è interessante ricordare una ricerca di diversi anni fa: alcuni studenti furono divisi alla cieca in due gruppi. Alcuni furono trattati come fossero bravi, gli altri come meno bravi. A fine anno quelli considerati bravi avevano effettivamente ottenuto risultati migliori. Inoltre le classificazioni applicate agli esseri umani e ai gruppi sociali possono portare a sottovalutare ciò che accomuna rispetto a ciò che fa differire con conseguente stimolo alla conflittualità sociale, razziale, religiosa.

Assagioli ha distinto sette principali tipologie di persone. Ciò che caratterizza maggiormente l’appartenere ad una delle diverse tipologie sono gli aspetti vitali che maggiormente realizzano una persona:

  • Tipo Amore: realizza se stesso attraverso rapporti positivi e affettivi con gli altri. Compito evolutivo è integrare in particolare le caratteristiche della tipologia “volontà”. Principalmente è importante che sviluppi la capacità di riconoscere ed esercitare la propria libertà.
  • Tipo Volontà: realizza se stesso attraverso l’espressione libera della propria volontà. Compito evolutivo è integrare in particolare le caratteristiche della tipologia “amore”. Principalmente è importante che sviluppi la capacità di assumersi responsabilità (integrazione libertà-responsabilità), che diventi responsabile per gli altri.
  • Tipo devozionale-idealistico: realizza se stesso spendendosi per un ideale o un valore, dedicandosi con generosità a un progetto, iniziativa, organizzazione.
  • Tipo attivo-pratico: realizza se stesso traducendo le leggi della vita, le idee, le intuizioni in azioni, dando concretezza e tangibilità a ciò che sa e in cui crede.
  • Tipo creativo artistico: si realizza creando delle sintesi. Ricerca l’armonia essendo particolarmente sensibile e insofferente alle dicotomie (es. vita/morte, bello/brutto; es. dell’artista che si cimenta in una ricerca di sintesi tra l’intuizione che ha in testa e la materia con cui realizzarlo)
  • Tipo scientifico:si realizza comprendendo le leggi che sottostanno ai fenomeni, indagando i principi dell’esistenza.
  • Tipo organizzativo:si realizza mettendosi al servizio di un gruppo, promuovendo la crescita di un gruppo o di una istituzione più che la propria

Ciascun individuo ha in realtà tutte e sette queste tipologie ma spesso una o alcune prevalgono su altre come modo abituale di esprimersi.

Dagli scritti di Assagioli è possibile trarre per ognuna delle sue sette tipologie un elenco di caratteristiche psichiche che le descrivono ed identificano:

    Tipo amore:    attaccamento – avidità – golosità – amore per gli agi, pigrizia – indecisione – procrastinazione – paura dell’abbandono – paura di stare soli – tristezza per relazioni insoddisfacenti – necessità di sentirsi amati – necessità interiore di sentirsi innamorati – interesse per le piccole cose, i dettagli –  piacere di insegnare, educare – desiderio di proteggere, nutrire, rinforzare gli altri – sensibilità – costruttività – spirito di cooperazione –  prudenza – giustizia – lealtà – accettazione – tolleranza, rispetto – umiltà – socievolezza – mitezza –  generosità – compassione – empatia – gentilezza – tatto – amore oblativo .

Tipo volontà: separatività – distruttività – aggressività – impazienza – scarsa considerazione dei sentimenti altrui e propri – egoismo, egocentrismo – isolamento – competitività – irritabilità – amore per la discussione e la critica (combattività mentale) – ostinazione – ambizione – desiderio di dominio  – attivismo – fiducia in sé – decisione – fermezza – coraggio – capacità di assumersi responsabilità –  concentrazione – chiara visione .

Tipo devozionale-idealistico: fanatismo – intolleranza – pregiudizio – unilateralità – rinuncia ai compromessi – criticismo – invadenza – ostinazione – venerazione, devozione – idealismo – combattività –  fervore – capacità  di sacrificio di sé – sopportazione –costanza –  ascetismo – misticismo – sincerità – lealtà – fedeltà – assenza di paura .

    Tipo attivo-pratico: attivismo sfrenato – impazienza – fretta ansimante, agitazione – tendenza ad una visione materialista – attaccamento al denaro – arrivismo  –  abilità manuale – capacità di manipolare – abilità nell’osservazione – capacità di analisi – intraprendenza – efficienza – inventiva .

Tipo creativo-artistico: scarsa praticità – perfezionismo – creatività – intuizione – amore per la natura –   amore del bello e dell’armonia – senso estetico – percezione dei contrasti – umorismo – comprensione umana – sensibilità –  imparzialità – equilibrio .

    Tipo scientifico: indifferenza e freddezza – orgoglio ed arroganza – criticismo – disordine materiale – mancanza di concretezza e praticità – distacco –  perseveranza –  concentrazione – accuratezza – intelligenza – visione ampia – onestà intellettuale – elasticità e apertura mentale – chiarezza mentale – diplomazia – capacità di analisi e sintesi – comprensione .

Tipo organizzativo: formalismo – rigidità – pedanteria – eccessiva identificazione nelle regole piuttosto che nello scopo –  orgoglio – pazienza –  perseveranza  sicurezza di sé – cortesia – abilità pratica – cura dei dettagli – accuratezza – attività costruttiva – cooperazione -capacità organizzativa –  mente chiara – disciplina .

Leggendo le caratteristiche possiamo riconoscerci in alcune di queste e ciò può aiutarci a comprendere a quali tipi noi apparteniamo.

E’ importante notare che ne “I tipi umani” troviamo una trattazione a scopo esplicativo di sette tipologie “pure” e delle relative caratteristiche. Nella realtà questi tipi puri  non esistono o sono molto rari. Solitamente una persona appartiene a più di un tipo e questo può creare varie combinazioni e conflitti.

Sempre nell’Appendice quinta al testo “L’atto di volontà” Assagioli presenta la classificazione binaria in estrovertiti (estroversi) ed introvertiti (introversi) a seconda che la tendenza o direzione dell’interesse vitale sia rivolta al mondo esteriore o ai contenuti interiori.
Sia gli estroversi che gli introversi si dividono poi in attivi e passivi a seconda dell’atteggiamento assunto nei confronti del mondo esteriore o dei contenuti psichici. Se l’interesse vitale è “rivolto verso il basso” ovvero all’inconscio nei suoi aspetti inferiori si parla di subversione; se è rivolto verso l’alto ovvero verso gli aspetti superiori della psiche, il supercosciente ed il Sé si parla di sopraversione.

Assagioli distingue poi, in base alle direzioni nel tempo dell’interesse vitale, fra persone anteroverse, orientate verso il futuro, innovatrici e persone retroverse orientate verso il passato, conservatrici.
Conclude Assagioli: “il fine psicosintetico è quello di acquistare la capacità di dirigere le energie a volontà  – vale a dire, per mezzo della funzione direttiva della volontà – in ogni direzione e maniera, secondo gli scopi, le intenzioni, le necessità e le richieste specifiche. Questa può essere chiamata poliversione.”

Assagioli sostiene che le classificazioni tipologiche per essere adeguate devono essere aperte alle “sovrapposizioni e interpenetrazioni”. Ognuna delle diverse classificazioni ci dà una differente visuale di noi e ci aiuta ad aggiungere elementi nuovi di auto-conoscenza. Di contro, una classificazione che desse una visione univoca di noi escludendo altri percorsi bloccherebbe il nostro processo di auto-conoscenza.

Appare chiaro che la distinzione dei sette tipi umani bene si integra con le classificazioni dicotomiche che Assagioli espone nell’Appendice quinta al testo “L’atto di volontà”. Ad esempio le persone che si riconoscono nel tipo amore sono solitamente estroversi. Spesso in alcuni prevale, consciamente o inconsciamente, una atteggiamento più passivo che si esprime in un desiderio di essere amati dagli altri (mariti, mogli ,figli, amici, colleghi etc.) mentre in altri può prevalere un atteggiamento più attivo di amore per ciò che gli altri sono realmente, di amore che si fa dono.

In Psicosintesi si distinguono quattro livelli di espressione della persona: il livello fisico, l’emotivo e mentale, il relazionale e lo spirituale. Attraverso questi livelli la personalità si esprime nelle sue caratteristiche distintive e le nostre tipologie si manifestano.

Che una persona possa presentare a livelli diversi caratteristiche tipologiche differenti è un corollario del fatto che raramente esistono tipi puri e che in realtà la maggior parte di noi è un tipo misto con alcune note tipologiche prevalenti che possono trovare nei diversi livelli vie preferenziali di espressione.

Per approfondire la conoscenza di noi stessi possiamo quindi osservare ed analizzare come le nostre caratteristiche psichiche tipologiche si esprimono ai diversi livelli.

Scoprire in noi stessi e negli altri le note tipologiche prevalenti sarebbe relativamente semplice se non ci fossero i desideri.
I desideri complicano terribilmente le cose condizionando pesantemente la percezione di ciò che noi siamo e di ciò che gli altri sono. In alcuni casi l’idea di ciò che siamo e di ciò che vogliamo diventare è condizionata dall’idea di noi che hanno altri (altrui desideri). A volte ci piace, spesso inconsciamente, dare agli altri una immagine diversa di noi e, nelle nostre intenzioni, migliore rispetto a ciò che siamo veramente (desiderio di apparire diversi).
A questo proposito è importante osservare che non è opportuno considerare una tipologia superiore all’altra ma ciascuna va considerata come l’inizio di una via personale di evoluzione.

Del desiderio di apparire diversi da ciò che si è parla Assagioli ne “I tipi umani” presentando i concetti di “meccanismo di compensazione” e di “iper-compensazione” : “Lo stesso principio [di compensazione] è attivo nella nostra vita psicologica, nella quale tende a correggere gli eccessi e le deviazioni, risvegliando gli elementi che sono opposti o complementari a quelli dominanti. Per varie ragioni, però, questo potere di auto-regolazione di compensazione non sempre funziona alla perfezione, sia nella nostra vita fisica che in quella psicologica.
Talvolta esso è insufficiente; in altri casi opera all’eccesso, producendo reazioni esagerate, o ciò che potrebbe essere chiamato iper-compensazione. Infatti abbiamo spesso la tendenza a sopravvalutare proprio le qualità che ci mancano.”

Spesso quindi nella vita possiamo esprimere caratteristiche tipologiche che non sono autentiche ma condizionate dai desideri; ci è quindi richiesto un particolare sforzo per una profonda comprensione. Quanto detto per la conoscenza di noi stessi vale anche per la conoscenza degli altri. Non di rado nell’attribuire ad altri una tipologia di appartenenza siamo condizionati e tratti in inganno dalla parzialità della nostra conoscenza  e dal nostro desiderio di come vorremmo che gli atri fossero.

 

Riconoscere le proprie e altrui tipologie di appartenenza

Scrive Angela Maria La Sala nel suo trattato “I sette temperamenti umani”: “La maggior parte dell’infelicità umana deriva dal fatto che l’uomo non conosce se stesso, non sa distinguere, in mezzo alle molteplici fluttuazioni della sua psiche, la sua vera e intima essenza, la sua nota permanente”.

Comprendere ciò che siamo, la nostra intima natura, le nostre caratteristiche psichiche è spesso opera assai lunga e ardua. Un pungolo molto efficace nello spingerci verso la ricerca di questa comprensione è rappresentato dall’infelicità. Essere infelici, insoddisfatti della nostra vita, ci induce ad essere diversi, a trasformarci.

Per poter diventare diversi, cambiare, migliorare e crescere è innanzitutto necessario conoscere ciò che siamo. Ogni viaggio ha un punto di partenza; e la scoperta di ciò che siamo è al tempo stesso punto di partenza e possibile meta del viaggio. Si parte dalla scoperta di ciò che siamo in questo momento per arrivare a scoprire ciò che siamo veramente e per riuscire ad esprimerlo.

Nel viaggio alla scoperta di noi stessi, così come in ogni altro viaggio, sono di grande aiuto le mappe di riferimento. Le mappe sono disegnate da altri viaggiatori che prima di noi hanno intrapreso la stessa avventura e che descrivono quanto hanno imparato mettendolo a nostra disposizione per renderci il viaggio più agevole.

Le tipologie umane possono essere viste come una  mappa della nostra psiche  e rappresentano pertanto uno strumento utile per imparare a conoscerci.

Riconoscere negli altri le tipologie di appartenenza è per Assagioli “un esercizio interessante e utile per affinare la nostra percezione psicologica”. Inoltre comprendere le caratteristiche psichiche e le tipologie di appartenenza delle persone con cui abbiamo un rapporto ci aiuta a stabilire con loro una relazione più consapevole, più efficace e matura.

Nell’Introduzione a “I tipi umani” Assagioli  illustra le difficoltà che possiamo  incontrare nel collocare alcuni individui all’interno delle tipologie. Questo può essere dovuto ad uno scarso sviluppo e ad apatia per cui le caratteristiche tipologiche non hanno avuto modo di manifestarsi oppure può essere dovuto alla situazione opposta: un individuo evoluto, poliedrico e versatile che ha sviluppato numerose qualità delle diverse tipologie.

Vi sono poi situazioni della vita nelle quali particolari esperienze possono nascondere il tipo fondamentale. E’ il caso di una persona mentale-scientifica che si innamora; o di una persona organizzativa che per un forte dolore o lutto subisce uno svuotamento energetico. A rendere più complicata la identificazione dei tipi prevalenti in un individuo si aggiungono poi i su accennati meccanismi di compensazione e iper-compensazione.

Lavorare in gruppo sul riconoscimento delle proprie e altrui tipologie è un esercizio molto utile. Gli altri con le loro osservazioni e giudizi, con le loro risonanze, con le loro testimonianze possono aiutarci a riconoscere e comprendere aspetti di noi che da soli non riusciamo a cogliere. Un punto di vista esterno è una risorsa preziosa.

Altro aspetto interessante è l’osservazione di quali aspetti tipologici mettiamo in gioco nelle relazioni con gli altri e come quindi veniamo percepiti dagli altri in base a questi aspetti.
Vi sono ad esempio delle persone timide che vengono scambiate per fredde, distaccate ed altere; questo può essere dovuto al fatto che pur presentando molte caratteristiche del tipo amore quando sono in relazione con gli altri tendono a mettere in gioco difese di tipo intellettuale che li possono far erroneamente interpretare come tipi scientifici freddi e distanti dal mondo emotivo.

 

Utilizzare le tipologie come strumento di crescita

Dopo aver utilizzato la classificazione in tipologie come occasione di conoscenza e comprensione di noi stessi, di ciò che siamo e di ciò che desidereremmo essere, possiamo impiegare questo stesso strumento per la nostra trasformazione ed evoluzione.

Assagioli ne “I tipi umani” suggerisce tre modalità di lavoro complementari con le tipologie:

1) Espressione : accettare interiormente il tipo cui apparteniamo, le sue caratteristiche e potenzialità, esprimendolo e sviluppandolo “nel modo più puro e più evoluto possibile”.

2) Controllo :   scrive Assagioli: “Tutti noi abbiamo la tendenza a seguire la linea di minor resistenza, a continuare cioè ad esprimere e sviluppare le facoltà che sono già attive in noi. […] E’ quindi necessario che le facoltà prevalenti siano saggiamente controllate e tenute entro certi limiti.”

3) Armonizzazione : “consiste nel coltivare le facoltà finora non sviluppate in noi e che non fanno parte del nostro bagaglio psicologico attuale.”

Assagioli indica chiaramente anche la meta del processo di trasformazione e di crescita della personalità: “lo scopo ultimo della nostra evoluzione, è quello di produrre  individui     completi , con tutte le loro facoltà sviluppate a tutti i livelli. ”  ( “I tipi umani” pag. 10)

            Come nella ghianda c’è già la quercia, così in ciascuno di noi ci sono delle vibrazioni tipologiche principali costitutive, spesso presenti fin dalla nascita. Compito che ci attende è riconoscere queste note tipologiche e utilizzarle per la crescita ed il benessere.

I nove Enneatipi in sintesi

Tipo Carattere Ruolo Ego Idea fondamentale Paura fondamentale Desiderio fondamentale Tentazione Vizio/Passione Virtù (cardinali) Stress Sicurezza
1 Istintivo Riformatore, Perfezionista Risentimento Perfezione Corruzione, parzialità, essere malvagio Bontà, integrità, equilibrio Ipocrisia, ipercriticismo Ira Serenità (Fortezza) 4 7
2 Emotivo Altruista,Aiutante Adulazione Libertà, volontà Non essere amato Essere amato Negare i propri bisogni, manipolazione Superbia Umiltà (Prudenza) 8 4
3 Emotivo Vincente, Esecutore Vanità Speranza, legge Mancanza di valore Essere valutato bene Essere reputato il migliore Inganno Autenticità (Prudenza) 9 6
4 Emotivo Individualista, Artista Malinconia Idea di sè Non avere identità/essere insignificante Essere se stessi Abusare di immaginazione in cerca di sè Invidia Equanimità (Giustizia) 2 1
5 Razionale Investigatore, pensatore Conservazione Onniscienza, Trasparenza Incompetenza, incapacità Maestria, comprensione Sostituire le esperienze reali con concetti Avarizia Non attaccamento (Temperanza) 7 8
6 Razionale Leale, Difensore Preoccupazione Fiducia Non avere supporto o guida Avere supporto o guida Indecisione, dubbi, cercare rassicurazione Paura / Codardia Coraggio (Fortezza) 3 9
7 Razionale Entusiasta, Avventuriero Pianificazione, Anticipazione Saggezza Provare dolore e deprivazione Essere felici e soddisfatti Credere che la felicità vada cercata altrove Gola Sobrietà (Temperanza) 1 5
8 Istintivo Competitivo, Leader Rivalsa Verità Essere debole, controllato, manipolato Protezione di sè Crede di essere forte e autosufficiente Lussuria Innocenza (Temperanza) 5 2
9 Istintivo Pacificatore, Mediatore Indolenza Amore Conflitto Integrità, pace mentale Evitare conflitti Accidia Azione (Fortezza) 6

Numero1023.

L A   P A R O L A   I O                    Giorgio Gaber     testo Alessandro Luporini

La parola io

è un’idea che si fa strada a poco a poco,

nel bambino suona dolce come un’eco,

è una spinta per tentare i primi passi

verso l’intima certezza di se stessi.

 

La parola io

con il tempo assume un tono più preciso,

qualche volta rischia d’esser fastidioso,

ma è anche il segno di una logica infantile,

è un peccato ricorrente ma veniale.

 

Io, io, io,

ancora io.

 

Ma il vizio dell’adolescente

non si cancella con l’età

e negli adulti, stranamente,

diventa più allarmante e cresce.

 

La parola io

è uno strano grido che nasconde invano

la paura di non essere nessuno,

è un bisogno esagerato e un po’ morboso,

è l’immagine struggente del Narciso.

 

Io, io, io

e ancora io.

 

Io che non sono nato

per restare per sempre confuso nell’anonimato,

io mi faccio avanti,

non sopporto l’idea di sentirmi un numero fra tanti,

ogni giorno mi espando,

io posso essere il centro del mondo.

 

Io sono sempre presente

son disposto a qualsiasi bassezza per sentirmi importante,

devo fare presto,

esaltato da questa mania di affermarmi ad ogni costo,

mi inflaziono, mi svendo,

io voglio essere il centro del mondo.

 

Io non rispetto nessuno,

se mi serve, posso anche far finta di essere buono,

devo dominare,

sono un essere senza ideali assetato di potere,

sono io che comando,

io devo essere il centro del mondo.

 

Io vanitoso, presuntuoso,

esibizionista, borioso, tronfio,

io superbo, megalomane, sbruffone,

avido e invadente,

disgustoso, arrogante, prepotente

io, soltanto io,

ovunque io.

 

La parola io,

questo dolce monosillabo innocente

è fatale che diventi dilagante,

nella logica del mondo occidentale

forse è l’ultimo peccato originale.

Io.