Numero2654.

 

 

da QUORA

 

R E L I G I O N I   M O N O T E I S T E

 

Come la nascita delle grandi religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo e Islam) ha influito sulla formazione delle società e sullo sviluppo della politica e della cultura nell’antichità e nel Medioevo?

 

Per quanto riguarda l’Ebraismo il fatto che gli Ebrei credessero in un unico Dio era ciò che rendeva unito il popolo ebraico. Essi cercarono di giungere in Palestina credendo che fosse la terra promessa, ma successivamente il loro territorio fu sottomesso al dominio dei Romani. Gli Ebrei dovettero aspettare molto tempo per fondare un regno e quando iniziò a esserci la figura del re, quest’ultima non aveva poteri assoluti . Infatti, siccome il primo comandamento diceva “Non avrai altro Dio al di fuori di me “, essi non potevano venerare il re come Dio e quindi il re veniva accompagnato dai profeti che cercavano di fargli rispettare la morale religiosa. Siccome gli Ebrei subirono diversi attacchi, essi iniziarono a credere nel Messia, una figura che prima o poi li avrebbe liberati .

Per quanto riguarda il Cristianesimo, esso nacque con Gesù. Siccome lui predicava l’uguaglianza di tutti gli uomini, i suoi seguaci iniziarono a opporsi alla divisione in padroni potenti e schiavi, in popoli dominanti e in popoli sottomessi e quindi cercarono di diffondere tali teorie nell’Impero Romano. Ovviamente ciò metteva a rischio il potere dell’imperatore ( perché considerato uguale agli altri uomini e non alle divinità) e quindi, in base alla personalità dell’imperatore, i cristiani subirono diversi trattamenti: gli imperatori illuminati come Adriano e Antonino erano relativamente tolleranti, mentre quelli dispotici come Diocleziano li facevano crocifiggere o dare in pasto alle belve. Poi l’Impero diventò cristiano con Costantino che, con l’Editto di Milano del 313, diede libertà di culto ai cristiani e con Teodosio che impose il cristianesimo nel 380. Ma in un certo senso il cristianesimo si deformò. Infatti l’uguaglianza di diritti e dignità non fu raggiunta. Nell’Alto Medioevo la religione fu ritenuta importantissima per la salvezza dell’anima e quindi influì su ogni aspetto della vita privata e pubblica. Infatti la salute del corpo fu trascurata poiché si credeva che fosse più importante quella dell’anima e il Papa diventò la figura politica più potente ( poteva anche togliere il potere all’imperatore) . L’imperatore comunque era molto potente poiché si credeva avesse ricevuto da Dio il ruolo di preoccuparsi della vita terrena. Pertanto pure qui, il cristianesimo non fu propriamente quello voluto da Gesù, anche se lui non fondò nessuna religione, poiché il popolo non era libero e non vi era uguaglianza sociale. Semplicemente, altri uomini gestirono il potere in nome suo e dei sui principi morali e sociali. Molto, troppo spesso anche con la violenza, abusando di tale potere che si sono attribuiti da soli.

Per quanto riguarda l’Islam esso nacque con Maometto , il quale predicò l’esistenza di un unico Dio che considerava gli uomini tutti uguali. Da lì l’Islam si diffuse nella penisola araba e, cercando di diffondere il suo messaggio, gli Arabi fecero varie guerre per fondare un vasto impero musulmano. Pure qui quindi non vi era ciò che voleva Maometto, poiché se lui voleva l’uguaglianza sociale e l’amore verso il prossimo, di fatto era stato fondato un impero in cui vi era intolleranza religiosa ( e quindi violenza) e continuarono a esserci i potenti e gli schiavi.

Ciò quindi ci insegna che le religioni, pur se ispirate e formulate in termini di altruismo ed equilibrio morale e sociale, quando sono spinte all’estremo, a causa di interpretazioni che giustifichino il proprio diritto a gestire un potere, portano solo alla violenza.
Molto spesso vi è una bella differenza tra come vengono formulati degli ideali e come essi vengono applicati.

Numero2653.

 

G I O R D A N O   B R U N O

 

“Verrà un giorno che l’uomo

si sveglierà dal suo oblio e

finalmente comprenderà chi è

veramente e a chi ha ceduto

le redini della sua esistenza:

a una mente fallace, menzognera

che lo rende e lo tiene schiavo.”

 

Queste parole si possono considerare il compendio del pensiero filosofico, sociale e morale di Giordano Bruno (Nola 1548 – Roma 1600) filosofo, scrittore e frate domenicano.
Lui, uomo di Chiesa, scriveva questo indicando proprio nella Chiesa la “mente fallace, menzognera”.

Per le sue teorie filosofiche, giudicate eretiche ed essendosi rifiutato di rinnegare i propri principi e le convinzioni maturate nella sua esperienza di vita clericale, dal Tribunale dell’Inquisizione fu condannato al rogo e arso vivo a Roma, in Piazza di Campo dei Fiori, il 17 Febbraio 1600.

Numero2652.

 

da QUORA

 

Secondo te, qual è la peggiore pecca della scuola italiana?

 

Che non boccia chi se lo merita e disincentiva all’impegno e al rispetto degli insegnanti. Una scuola simile non garantisce nemmeno quel minimo di disciplina senza la quale non è possibile nessuna attività seria. Una scuola che promuove i pelandroni, umilia i docenti e la dà vinta ai maleducati è diseducativa. Una scuola dove i genitori difendono con successo i figli maleducati e/o sfaticati è fallimentare. Queste considerazioni vengono prima anche dei programmi, che comunque in molti casi non vengono affatto svolti . La mia esperienza di docente universitario è triste: c’è stato un crollo della preparazione media degli studenti che vengono dai licei rispetto a quella che avevano negli anni 80.

 

È vero che gli studenti Italiani sono molto poco preparati?

 

Vediamo: se all’esame di maturità il 99% sono promossi uno dovrebbe pensare che gli studenti sono stati bravissimi…
Se nelle scuole del Sud Italia gli studenti con il massimo dei voti e lodi sono molti di più che al Nord, uno arriverebbe alla conclusione che sono molto più preparati.
Peccato che le prove INVALSI e PISA raccontino tutta un’altra storia. Peccato che la metà dei diplomati non comprenda un testo scritto di media complessità.
Peccato ancora che lo stesso ministro dell’istruzione abbia detto che la metà dei maturandi abbia una preparazione a livello di terza media..

 

Insegnanti Italiani

 

È vero che in Puglia ci sono più 110 e lode che in qualsiasi altra regione d’Italia?

 

Beh i dati parlano chiaro!

In Puglia e in generale nel Sud Italia, ci sono studenti molto più dotati intellettualmente di quelli del Nord Italia.

Questo è fattuale e anche altri dati ci vengono incontro per dimostrarlo.

Prendiamo per esempio il test INVALSI. Test uguale in tutta Italia rigido e senza cuore che non guarda la persona: il Nord Italia ha risultati ottimi, ma al Sud? Un disastro!

I risultati mostrano proprio un’Italia spaccata, il Nord ha notevolmente battuto il Sud nella famigerata prova INVALSI. Il Sud è a quasi un livello di analfabetizzazione funzionale, mentre il Nord ne esce di sicuro a testa alta.

Ma allora sono due le opzioni:

1• O se si è analfabeti funzionali si ha più probabilità di prendere 100 e lode alla maturità. Oppure se hai svolto la prova INVALSI in modo pessimo hai più possibilità di prendere un voto alto nel diploma.

2• Oppure evidentemente chi frequenta una scuola del mezzogiorno è notevolmente avvantaggiato in quanto, nonostante l’istruzione sia carente, è aiutato da un sistema di docenza che non corregge o generalmente non fa il suo dovere nella valutazione aiutando forse un po’ troppo.

Questo non solo aiuta i meridionali a scalare immeritatamente i concorsi pubblici, siccome hanno tutti voti di maturità altissimi, rubando e ribadisco RUBANDO il posto a chi si è duramente guadagnato una dignità da maturando ma rende il sistema scolastico italiano poco credibile.

 

Anonimo.

Numero2651.

 

G L I   I T A L I  A N I   E   L’ I N G L E S E

 

Da Quora

 

Perché tanti italiani non conoscono l’inglese anche se lo hanno studiato a scuola?

Il motivo principale è scomodo da dire, ma è la verità: la maggior parte degli insegnanti italiani non sono in grado di insegnare l’inglese vivo, semplicemente perché non hanno dovuto studiarlo per laurearsi. Nella maggior parte dei casi, hanno frequentato Lingue e Letterature Straniere, dove gli esami sono in italiano e ci si specializza nello studio della letteratura, non della LINGUA. Le programmazioni delle scuole superiori, quindi, sono improntate sulla (non) preparazione di questi esperti di storia delle letteratura. Di conseguenza, per un preciso calcolo e manifesta incapacità, la scuola italiana non fornisce ciò che serve ai ragazzi, ma ciò che fa comodo ai docenti. I quali, per convenienza, naturalmente ingigantiscono l’importanza della letteratura. Per forza, sono in grado di insegnare solo quella e in quella si rifugiano.

Nella scuola italiana si insegna pertanto la base nozionistica: liste di vocaboli alle elementari (animali, colori e oggetti per 5 anni) e grammatica a ripetizione alle medie (facile, basta dire la regola ai ragazzi e assegnare esercizi all’infinito). Nessuno insegna a parlare fluentemente o a leggere un giornale.

Arrivati al liceo, la mazzata finale: i ragazzi italiani vengono letteralmente imbottiti di letteratura inglese, la cui utilità – rispetto agli obiettivi – è zero. Non si capisce perché un sedicenne italiano debba essere un esperto dei simbolismi di James Joyce e Virginia Woolf, ma non sia in grado di fare una semplice conversazione, mandare un’email, sostenere un colloquio di lavoro, comprendere un film in lingua originale.

Motivo? La maggior parte degli insegnanti italiani non hanno le competenze linguistiche per insegnare la lingua viva – comunicazione, scrittura, interazione reale e al passo con i tempi. Perché, per poterlo fare, è necessario avere un livello di inglese almeno B2-C1.

Per insegnare letteratura, invece, l’inglese non è necessario saperlo. Si tratta perlopiù di nozioni da memorizzare. Le lezioni si possono tenere in italiano (nessuno lo vieta), si studia la traduzione dei brani di letteratura e la biografia di scrittori e poeti a memoria. I liceali italiani, pertanto, sanno che THOU era antico per YOU (informazione fondamentale), scrivono dotte dissertazioni sullo stream of consciousness (corrente di consapevolezza) (che manco a Oxford), ma non sono in grado di scrivere un commento su Instagram, di interagire con un coetaneo in inglese, di sostenere una banale conversazione sull’attualità, di fare una telefonata per prenotare un volo.

Approfondire la letteratura compete all’università e deve essere una scelta volontaria, perché di nicchia. Negli anni formativi va insegnata la LINGUA VIVA a 360 gradi, non il passato letterario. Così si azzoppa la conoscenza dell’inglese proprio negli anni in cui ci sarebbe il tempo e l’energia per impararlo. Da insegnante, infatti, vedo quanto drammatico è doversi mettere a studiare l’inglese a 40 anni, quando diventa una vera impresa, per ovvi motivi di tempo – e di cervello. Perché se è vero che “una lingua la impari quando vuoi”, è purtroppo altrettanto vero che la plasticità del cervello giovane fa un’enorme differenza. Direi abissale.

Il risultato di questa scelta di comodo – per gli insegnanti – è che, a fronte di almeno un decennio di inglese (!), i ragazzi italiani usciti dal liceo non sanno nemmeno ordinare una birra al pub. Non capiscono, non parlano. L’inglese per loro è una lingua morta.

Per fare un parallelo: che ne direste se, a scuola guida, invece di insegnarvi a GUIDARE un’automobile e a decifrare i cartelli stradali, vi facessero lezioni interminabili sulla vita di Enzo Ferrari o sulla storia della Mercedes-Benz? Ecco, questo fa la scuola italiana ai propri ragazzi. Li intontisce a forza di contenuti teorici e non dà loro gli strumenti pratici per utilizzare la lingua che, piaccia o no, fa funzionare il mondo intero.

L’inglese vivo è la patente per il mondo. E chi non ce l’ha rimane a piedi.

 

Eleonora  Andretta

 

E che ne è della pronuncia dell’Inglese?

 

Per imparare la pronuncia inglese devi avere degli insegnanti di madrelingua, non insegnanti italiane che spesso soffrono di un forte accento dialettale meridionale e che in Inghilterra avranno speso al massimo qualche settimana in famiglia o in vacanza.

Il problema più diffuso tra gli studenti è quello di non riuscire a comprendere l’inglese parlato. Sanno benissimo la grammatica, meglio degli stessi inglesi, sanno a volte tradurre un testo scritto, ma non capiscono un accidente quando interloquiscono con un inglese madrelingua.

Questo perché si insegna la pronuncia nelle scuole italiane da persone spesso poco preparate le quali insistono sulla pronuncia di una singola parola, come se gli inglesi parlassero facendo una pausa ad ogni parola. Gli inglesi parlano come noi, come noi usano un vocabolario abbastanza ristretto, utilizzano-come noi- molti modi di dire e parlano senza molte interruzioni. La pronuncia di una parola va vista nel contesto della frase e può variare moltissimo a seconda che ci cada sopra o no l’accento ritmico. La maggior parte delle vocali è semimuta , diventa una scevà o schwa , foneticamente descritta come una “e” rovesciata “ə”, quando non ci cade sopra l’accento. Bisogna apprendere le frasi intere e non le singole parole. Ecco perché 99 su 100 non comprendono cosa dice l’interlocutore, la radio o il testo di una canzone.

 

Un insegnante d’Inglese.

 

Numero2649.

 

RISERVATO A COLORO CHE HANNO STUDIATO IL LATINO

Piccolo ripasso e approfondimento sulla pronuncia delle lettere e delle parole in latino.

Io stesso riscopro e apprendo ora alcune cose che riguardano le mie conoscenze del latino del Liceo Classico.

 

da QUORA

 

Nella pronuncia ecclesiastica del latino, la parola “amicae” viene letta come “amice” o “amiche”?

Amice: la pronuncia “amike” è dovuta a evoluzione. Ossia il Latino dell’epoca di Cicerone o Cesare pronunciava in modo molto diverso dalla pronuncia che vi viene insegnata a scuola che è la pronuncia del latino ecclesiastico. Ma in realtà è la pronuncia del Latino di epoca tarda: essa comincia a cambiare alla fine del II secolo, cioè più o meno all’ epoca della dinastia dei Severi e diventa la pronuncia predominante a partire dal III secolo. Così la C si pronunciava davanti a vocale K; si diceva cioè Kikero e non Cicero; e il dittongo ae si pronunciava ae e non e: Kaesar e non Cesar, se non addirittura ai che era la pronuncia di questo dittongo agli inizi del primo secolo a. Cr. , come prova ad esempio la iscrizione della edicola di Giuturna nel Foro Romano: Iuturnai Sacrum ( e non Iuturnae). E il famoso TI si pronunciava ti e non z . Lo stesso in Greco: la pronuncia moderna non è assolutamente quella degli Antichi: un esempio facile e’ Athenai che in greco moderno si pronuncia Athine o, addirittura, Athina.

Hanno senso soltanto due pronunce. Quella Ecclesiastica, perché è la pronuncia di una lingua viva, lingua ufficiale di uno stato (Vaticano) e quella classica ricostruita o restituta. Però io odio il fatto che sia usata a scuola, perché, puntualmente poi, quando arrivi all’università e devi studiare la storia della lingua e la filologia, e confrontarti con altri studiosi seri di latino, quella pronuncia non ha senso. L’unica che ha senso, è la pronuntiatio restituta, ovvero la forma ricostruita della pronuncia classica. Ti faccio un esempio: La pronuntiatio ecclesiastica rende la frase di Brenno, VAE VICTIS (GUAI AI VINTI), come “vé victis”. Ora prova ad immaginare come possa mai aver fatto VAE a trasformarsi nell’italiano “guai” (ma anche in “ahi!” e nel napoletano “ué!”). Prendi invece la pronuntiatio restituta di VAE che è “uae”, con la u semiconsonantica come nell’italiano “uomo”, l’accento sulla a e la e finale breve e chiusa, quasi indistinguibile da una i (la trascrizione in caratteri fonetici IPA sarebbe /’waj/ oppure /’wae̯/). Adesso è chiaro come si tratti della stessa parola che si è “evoluta”? Chiaro, no? VAE > guai. Se rifletti sul fatto che il cane “guaisce” e che il significato originale di “guaio”, anche come usato da Dante (“che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio”), vuol dire lamento, suono di pianto, tutto torna, giusto? Aggiungo che la parola in questione, VAE, è strettamente imparentata con l’inglese (germanico) “woe” e che entrambe le parole derivano da una radice indeuropea ricostruita *wai.
Ci sono migliaia di altri esempi che dimostrano chiaramente che la restituta è la pronuncia che più si avvicina a quella che doveva essere del latino classico. Chi lo nega (di solito preti) è in malafede. Ti faccio solo un altro esempio tratto proprio dalla nomenclatura di chiesa. L’italiano “parrocchia” viene dal latino PAROECIA. La pronuncia ecclesiatica che insegnano a scuola in Italia sarebbe “parécia”, quella restituta “paròechia” o “paròichia”. Cosa ci dice la logica? Ti lascio con un ultima domanda. Perché il soprannome di Mussolini era “duce” ma diciamo “i duchi” se entrambe le parole derivano dal latino DUX?
Se vuoi, in un post ulteriore, ti spiego bene come è la pronuntiatio restituta o pronuncia scientifica e ti faccio altri esempi a dimostrazione di ogni regola.

Ci sono moltissimi indizi per la ricostruzione di tutti i suoni del latino. Sono particolarmente importanti i prestiti latini in altre lingue, parole latine scritte in altri alfabeti (soprattutto in greco), i testi dei grammatici latini, le iscrizioni e graffiti con i loro “sbagli”, la metrica e anche le lingue romanze.

Vediamo:

  • ⟨C⟩ latina = /k/: ad esempio, in tedesco ci sono i prestiti Kiste, Keller, Kaiser ‘cassa, cantina, imperatore’ < CISTA, CELLA, CAESAR, in basco si ha, fra l’altro, gela, bake e kipula < CELLA, PACE, CEPULLA. Inoltre c’è, ovviamente, il sardo logudorese che ha conservato la pronuncia velare, e un’ipotetica velarizzazione spontanea (cioè, che il sardo chena deriverebbe da un antico /ʧena/ o /ʦena/) è pressoché impossibile da un punto di vista fonetico, mentre la palatalizzazione si è verificata pure altrove (cf., ad esempio, le parole tedesche Kinn e Kiste con chin e chest in inglese o anche le palatalizzazioni secondarie in rumeno o ladino: QUID > *ki > ci /ʧi/ ‘che cosa’ in ladino, ma che in italiano).
  • ⟨V⟩ latina = /u w/: il suono /v/ (di vino) non faceva parte dell’inventario fonematico latino, cioè ⟨V⟩ poteva stare per /u/ o per /w/ (di uomo), ad esempio in VENVS che si pronunciava U̯enus. Il primo indizio ci dà la grafia: è molto probabile che i Romani avrebbero usato due grafemi diversi per scrivere suoni talmente diversi come /u/ e /v/. Siccome però /w/ è soltanto la “variante semiconsonantica” di /u/ è plausibile usare lo stesso grafema, tanto più che hanno fatto così anche con la I che, a sua volta, poteva essere sia vocale sia approssimante (IVLIVS). (Il latino classico non aveva i grafemi ⟨U J⟩). Un indizio più diretto (anche se non l’ho mai visto citato altrove) si ha nelle forme del passato remoto: la desinenza -ò della terza singolare presuppone un più antico -au, desinenza che è anche conservata in siciliano. Cioè, se CANTĀVIT fosse pronunciato */kantaːvit/, il risultato italiano sarebbe *cantave. Siccome però la pronuncia era */kantaːwit/, la grafia CANTĀVIT > *cantau̯t > cantau̯ > cantò non pone problemi.
  • ⟨L⟩ latina = [l ~ ɫ]: in questo caso erano i grammatici a informarci che il fonema /l/ aveva gli allofoni [l] (in contesto palatale) e [ɫ] (di hall inglese, fala portoghese, in contesto velare). Infatti, chiamavano la prima “exilis” e la seconda “pinguis”. Inoltre, ci sono anche altri indizi per tale pronuncia, ad esempio la coppia volō ‘voglio’ e velim (congiuntivo di volō): ci si aspetterebbe *velō invece di volō. Tuttavia, la vocale velare -ō ha portato alla pronuncia velare [-ɫ-] che ha poi innescato la velarizzazione della *e radicale.
  • ⟨R⟩ latina = /r/: la /r/ latina era certamente velare (cioè, non “moscia”), perché altrimenti la /s/ non avrebbe subito il rotacismo (/s/ > /r/: plūs, ma plūr-ālis): è un fenomeno che interessa soltanto consonanti frontali, appunto perché anche l’esito, la /r/ è un suono frontale. Un ipotetico passaggio /s/ > [ʁ ʀ] è quasi impensabile.
  • ⟨H⟩ latina = [h] ~ ∅: che, un tempo, la ⟨H⟩ latina corrispondesse proprio al suono [h], può essere desunto sia dalla metrica in alcune poesie sia partendo dalla ricostruzione del proto-indoeuropeo o con il confronto con altre lingue indoeuropee antiche. Tuttavia, sappiamo anche molto bene che già in età classica non era più pronunciata. A questo riguardo, sono una fonte molto importante i graffiti pompeiani che presentano sia parole con ⟨H⟩ omesse, ad es. ortu per hortum ‘giardino (orto)’: […] sic te amet que custodit ortu Venus (CIL IV 2776) ‘così ti ami Venere che custodisce il giardino’, sia ipercorrezioni con ⟨H⟩ anetimologica “restituita”, ad es. have per ave: Cresces, have, anima / dulcis et suavis, (CIL IV 1131).
  • ⟨M⟩ latina = [m] ~ ∅: il graffito succitato con ortu per hortum attesta, del resto, anche il dileguo di -m finale. Un altro indizio ne è l’assenza totale di tracce nella Romània (con eccezione dei monosillabici CUM, SUM > con, son(o)).
  • La quantità delle vocali è attestata perfettamente dalla metrica, ma anche dalle lingue romanze. La quantità latina si rispecchia nelle qualità italiane: DĬCTŬ > detto, ma FĪLU > filo; CĒNA > céna, ma PĔRDŌ > pèrdo ecc.

N.d.R.: Ripasso di fonetica con due definizioni.

VELARE: velare In fonetica, articolazione (consonante, vocale, fonema ecc.) in cui il dorso della lingua tocca o fronteggia a distanza variabile il velo palatino. In italiano sono velari le consonanti k, ġ,  (cioè n davanti a un’altra velare, per es., granchio ‹ġràṅkio›) e anche le vocali (dette anche labiovelari) ò, ó, u.

PALATALE: In linguistica si dice di suono articolato in un punto del palato duro. Si hanno vocali palatali, dette anche anteriori ‹ä, è, é, i› e consonanti palatali., la cui articolazione richiede, secondo i casi, un accostamento o un momentaneo contatto tra il dorso della lingua e un punto del palato.
In fonetica articolatoria, una consonante palatale è una consonante, classificata secondo il proprio luogo di articolazione. Essa viene articolata accostando il dorso della lingua al palato, in modo che l’aria, costretta dall’ostacolo, produca un rumore nella sua fuoriuscita.

Numero2646.

 

da  QUORA

 

S T U D I A R E

 

«Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: ‘A che serve studiare? Chi sa rispondere?”.

Qualcuno osò rispostine educate: “a crescer bene”, “a diventare brave persone”. Niente, scuoteva la testa. Finché disse: “Ad evadere dal carcere”.

Ci guardammo stupiti. “L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare.

In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”.

Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza.

Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte».

Numero2645.

 

da  QUORA

 

 

Principalmente le persone “normali” hanno due strutture di pensiero, il “passo dopo passo” e il pensiero integrato in cui si includono diversi passi in uno solo.

Le persone “con un QI altissimo” hanno la capacità di creare inconsciamente connessioni utilizzando una rete di informazioni interconnesse, immagazzinate in diversi strati di profondità il che dà loro l’enorme vantaggio di vedere le cose da prospettive ancora più ampie e di fare più associazioni in un lasso di tempo più breve.

Numero2644.

 

da  QUORA

 

U N   I N S E G N A M E N T O   P E R    L A   V I T A

 

Un topo fu posto in cima a un barattolo pieno di cereali. Era così felice di trovare tanto cibo intorno a sé che non sentì più il bisogno di correre in giro alla ricerca di cibo.

Ora poteva vivere felicemente la sua vita.

Dopo alcuni giorni in cui si era goduto i cereali, raggiunse il fondo del barattolo.

Improvvisamente, si rese conto di essere in trappola e di non poterne uscire. Ora doveva dipendere completamente da qualcuno che mettesse i grani di cereali nel barattolo per sopravvivere.

Ora non aveva altra scelta che mangiare ciò che gli avrebbero dato.

Alcune lezioni da imparare da questa vicenda:

1) I piaceri a breve termine possono portare a trappole a lungo termine.

2) Se le cose sono facili e ci si sente a proprio agio, si rimane intrappolati nella dipendenza.

3) Quando non utilizzate le vostre capacità, perdete molto più delle vostre capacità. Perderete le vostre SCELTE e la vostra LIBERTÀ.

4) La libertà non è facile da ottenere, ma può essere persa rapidamente. NULLA arriva facilmente nella vita e se arriva facilmente, forse non ne vale la pena.

Non maledite le vostre lotte. Sono le vostre benedizioni sotto mentite spoglie.

Numero2643.

 

G E S Ù   C R I S T O

Un anarchico sui generis

 

 

E’ scritto chiaramente nei Vangeli, ma per qualche ragione molti lo ignorano.

Quello che interessava sottolineare, molto di più, ai fini fideistici era un altro aspetto del profilo di questo personaggio storico, cioè tutto quello che riguardava gli episodi miracolosi e gli aspetti etici del suo messaggio. Ma questa fu la vera matrice storica della morte di Yeshua ben Youssef (Giosuè figlio di Giuseppe): questo è il nome ebraico di Gesù Cristo.

Domenica Gesù entra trionfalmente a Gerusalemme (domenica delle Palme). Lo precede una ottima fama di guaritore, quella cioè di aver compiuto dei miracoli, e anche uno straordinario carisma di diffusore di prediche ispirate. Insomma tutto bene. Eppure venerdì, dopo soli 5 giorni, è crocefisso dai Romani. Perché?

Che è successo in quei 5 giorni? Lunedì o martedì (le fonti divergono), Gesù compie un atto scandaloso, sovversivo e dal significato, sia religioso che politico, di impatto devastante. Un episodio centrale nella sua vita e in quella dell’intera città di Gerusalemme: la cacciata dei mercanti dal Tempio con frustate, ribaltamento di banchi e parole di fuoco. Le sue escandescenze non sono ironiche e istruttive, ma quasi da “fuori di testa”: un’ira funesta. Gesù ha perdonato tutti nella sua vita, ma i mercanti no.

Non si è limitato a predicare, a guarire, a diffondere le sue parabole tra il popolo, come magari si aspettavano in tanti. Macché, ha preso la frusta e ha iniziato a dare botte a destra e a manca nel Tempio.

I Romani subito alzano le orecchie: altro che innocuo predicatore, quello era un ribelle sovversivo che minava l’ordine costituito e il centro commerciale ed economico della intera regione. E pure con un certo ascendente sul popolo. Ma, ancor più che i Romani, sono allarmati i potentati politici Ebrei ed, in primis, le autorità religiose, fedeli e gelosi custodi di consuetudini e “status quo” riguardo a certi, inveterati interessi commerciali, i cui proventi mantenevano da sempre, nella sua agiatezza, la classe sacerdotale.

Bisognava intervenire. Gesù, che non è uno stupido, capisce che le cose si mettono male e giovedì sera c’è l’Ultima Cena. Quella stessa notte viene arrestato nell’isolato orto del Gethsemani (significa Frantoio), lui che frequentava per cautela sempre posti affollati. Prima lo processano sommariamente i Sacerdoti del Gran Sinedrio. Poi lo consegnano ai Romani che, come padroni della Regione, amministrano la giustizia. Dopo un altro processo farsa, questi lo condannano a morte (sono conquistatori, non vanno tanto per il sottile), con la pena che infliggono ai ribelli contro lo stato: la crocefissione. Lo portano venerdì mattina da Ponzio Pilato, che conferma tutto e se ne lava le mani. La condanna viene comminata a mezzogiorno. La morte arriva nel pomeriggio..

Una pena di morte molto umiliante e dolorosa, che doveva fungere da monito per tutti: se fate i ribelli, questa sarà la vostra fine.

Il resto, come si suol dire, è storia. O, fede.

Numero2642.

 

Da  QUORA

 

U O M I N I   E   D O N N E      (scrive una donna)

 

Gli uomini e le donne non sono uguali.

Meritano di avere gli stessi diritti? Certamente.

Devono essere trattati rispettosamente? Senza alcun dubbio.

Sono ugualmente capaci? Assolutamente.

Devono essere garantite loro le stesse opportunità nella vita? Ovvio.

Ma sono uguali? No, non direi.

Uomini e donne sono diversi.

Mi irrita tantissimo vedere come alcune donne combattano costantemente per assomigliare agli uomini piuttosto che per accettare loro stesse. Non c’è qualcuno migliore di qualcun altro, ma non si può nemmeno dire che siano uguali.

Uomini e donne dovrebbero lavorare insieme come una squadra, e noi dovremmo riconoscere i nostri punti di forza e utilizzarli al meglio. Non tutti i membri di un gruppo si occupano della stessa cosa, ma ciò non significa che ci siano individui più o meno importanti.

È questo il modo in cui vedo gli uomini e le donne.

Certo, ci sono delle eccezioni, come ad esempio il fatto che, personalmente, non riesca ad identificare dei tratti tipicamente maschili o femminili, ma è irrilevante.

Il femminismo dovrebbe diffondere il messaggio che noi donne dobbiamo essere sicure di noi stesse in ciò che facciamo perché possiamo e vogliamo farlo. Eppure, sembra che stiamo cercando di trasformarci in uomini.

Lasciate che le donne cucinino, che facciano le avvocate, le dottoresse, che facciano sport o che stiano a casa a mangiare e basta. A chi importa?

ll punto è che una donna che decide di dedicarsi esclusivamente ai propri figli non è né debole né arretrata, anzi, è fondamentale per la società tanto quanto una che lavora a tempo pieno.

Facciamo cadere lo stereotipo della “vera” donna e permettiamo a chiunque lo voglia di accettare la propria femminilità.

Numero2641.

 

Da  QUORA

 

  • Il cervello è una macchina. La macchina più perfetta che si possa trovare. Funziona grazie agli impulsi elettrici.
  • Il cervello è plastico. Ciò significa che è in grado di cambiare in base alle esigenze e al modo in cui viene utilizzato.
  • Più lo si usa, più cresce.
  • La personalità è regolata dal cervello e cambia con l’età.
  • Gran parte del cervello è costituita dai cosiddetti neuroni specchio. Ciò significa che si può imparare una nuova abilità semplicemente guardando qualcun altro che la fa.
  • La parte che collega i due emisferi del cervello si chiama corpo calloso e crea nuove connessioni ogni volta che si impara qualcosa di nuovo.
  • È possibile resettare il cervello semplicemente non facendo nulla per 24 ore.
  • Ciò che differenzia il cervello umano da quello animale è lo sviluppo della corteccia prefrontale. Questa è la sede della nostra capacità di pianificare, ricordare, comunicare, creare e pensare in modo logico.
  • Il nostro cervello emette onde elettromagnetiche in hz.

Numero2640.

 

I L   S E G R E T O   D E L L A   V I T A.

 

 

Un padre diceva ai suoi figli da piccoli: —Quando avrete tutti 12 anni vi dirò il segreto della vita. Un giorno, quando il più grande compì 12 anni, chiese ansioso a suo padre quale fosse il segreto della vita. Il padre rispose che glielo avrebbe detto, ma che non doveva rivelarlo ai suoi fratelli.

Il segreto della vita è questo: la mucca non dà latte. “Che dici?” chiese il ragazzo incredulo. — “Ascolta bene, figliolo: la vacca non dà il latte, devi mungerla tu. Devi alzarti alle 4 del mattino, andare al campo, attraversare il recinto pieno di letame, legare la coda, zoppicare le zampe della mucca, sederti sullo sgabello, posizionare il secchio e fare il lavoro da solo”.

Questo è il segreto della vita: la mucca non dà latte. La mungete o non avrete latte. C’è questa generazione che pensa che le mucche DANNO il latte. Che le cose sono automatiche e gratuite: la loro mentalità è che “se voglio, chiedo….. ottengo”.

“Sono stati abituati a ottenere ciò che vogliono nel modo più semplice… Ma no, la vita non è una questione di desiderare, chiedere e ottenere. Le cose che si ricevono e ottengono sono lo sforzo di ciò che si fa. La felicità è il risultato dello sforzo . La mancanza di impegno crea frustrazione.”

Quindi, condividi con i tuoi figli fin dalla tenera età il segreto della vita, in modo che non crescano con la mentalità che il governo, i loro genitori o le loro facce carine daranno loro tutto ciò di cui hanno bisogno nella vita.