Nell’anno 1492, muore, a Firenze, Lorenzo il Magnifico. Da Clarice Orsini ha 10 figli: 3 morti, 4 figlie e 3 maschi: Piero (detto il Fatuo) è il primogenito, che sarà cacciato da Firenze, dove viene instaurata la Repubblica, e morirà in giovane età; Giovanni, che è Cardinale, dall’età di 17 anni, e si trova a Roma: diventerà Papa Leone X; Giuliano, il più giovane, duca di Nemours (1479-1516), è un bambino “vivolino e frescolino com’una rosa, gentile, pulito e nettolino come uno specchio, lieto e tutto contemplativo, con quegl’occhi”. Crescendo, sviluppa una fine cultura letteraria. Anche lui, bandito dalla Firenze repubblicana e costretto all’esilio, nel 1505 riceve da Elisabetta Gonzaga, moglie di Francesco Maria Della Rovere, nipote di Papa Giulio II, l’invito alla sua corte nel castello dei Montefeltro ad Urbino. Lì risiedono anche Pietro Bembo, Baldassarre Castiglione e altri letterati ed artisti dell’epoca.
Giuliano è un libertino e, anche alla corte urbinate, è sempre a caccia di fanciulle con le quali potersi intrattenere. Fra le sue relazioni, una più delle altre, gli sconvolge il cuore. Lei si chiama Pacifica Brandani, figlia naturale, poi legalizzata, di Giovanni Antonio Brandani, un uomo ricco e influente, molto vicino alla casata dei Montefeltro; dunque non è una popolana, ma una benestante, intelligente, sensibile, sposata ma, probabilmente, vedova. I due diventano amanti e Pacifica rimane incinta. Corre l’anno 1511, viene il tempo del parto e Giuliano è altrove, a Roma. Lui non è sicuro di essere il padre della creatura concepita, pensando potesse essere “figliuolo di un misser Federico Ventura, suo concorrente nella pratica della gentildonna”. Subito dopo il parto, Pacifica Brandani muore. Un attimo prima di spirare, però, afferma che il bambino è figlio di Giuliano. In punto di morte, l’attendibilità è fuori discussione. Il fatto giunge alle orecchie di Giuliano.
Al pargolo viene dato il nome di Pasqualino e, il 19 Aprile 1511, viene esposto, ancora in fasce, davanti alla chiesa di Santa Chiara de’ Cortili, sede di culto molto legata alla corte. Secondo la ricostruzione storica di Roberto Zapperi, “il piccolo aveva addosso un panno bianco e una fascia con una moneta, come segno di riconoscimento….”. Tre giorni dopo che era stato esposto, fu affidato a tale Bartolomeo di Giorgio.
Il notaio più importante della città, Lorenzo Spaccioli, interviene nella faccenda e, senza sentir ragioni, impugna l’affidamento già stabilito, dichiarando di voler provvedere alle spese di mantenimento per i successivi quattro anni. Ma, appena qualche mese più tardi, Giuliano de’ Medici bussa alla sua porta e riconosce il bambino come suo figlio naturale. Detto per inciso, sarà il suo unico figlio. Già che c’è, sceglie per lui un altro nome: Ippolito. Preso con sé il piccolo, riparte per Roma, in Vaticano, da suo fratello maggiore, il futuro Papa Leone X.
A Roma, Ippolito cresce, ma piange e si lamenta, gli manca la mamma. Chiede di lei, ma nessuno sa consolarlo. Siamo nel 1515, il bimbo ha quattro anni. Giuliano ha, allora, un’idea: chiama Leonardo da Vinci, che in quei tempi risiede in Vaticano, al Palazzo del Belvedere, dove lavora alle dipendenze di Giuliano, pagato mensilmente. Lavora a progetti urbanistici e alla bonifica delle Paludi Pontine ma, notoriamente, è grande artista anche come pittore. Giuliano chiede a Leonardo di realizzare un dipinto da dare al bimbo, con le fattezze di una mamma. Leonardo non aveva mai visto Pacifica Brandani e, tutto quello che sapeva era ciò che, in qualche modo, risultava dalla descrizione che Giuliano gli faceva della donna. Ma poco importava se non c’era somiglianza somatica, credibile o plausibile. Quello che contava era che il bimbo sentisse il “feeling” materno, da una figura rassicurante e dolce: quella che, per lui, sarebbe stata la sua mamma. Se di ritratto si tratta, fu un ritratto inventato o, tutt’al più, raccontato.
Leone X entra in conflitto con la Francia. Manda Il fratello Giuliano, a capo degli armati, nella pianura Padana. Questi, male in salute, da tempo, per via della tubercolosi, nelle vicinanze di Firenze, si ammala e, improvvisamente, muore. Il dipinto non è finito, il committente è deceduto, il destinatario, cioè il bimbo Ippolito, non lo vedrà mai. Leonardo non rimane a Roma, anche perché là, nell’ambiente artistico, va per la maggiore un certo Raffaello Sanzio, da Urbino, esclusivista delle committenze papali. Porta il dipinto con sè, in Francia, dove sarà accolto da un suo grande estimatore: il re Francesco I. Papa Leone X e Giuliano sono ritratti da Raffaello. Anche Ippolito (1511-1535), che da adulto sarà Cardinale e uomo d’armi, viene ritratto da Raffaello, da bambino, in un affresco delle Stanze del Vaticano, (l’Incoronazione di Carlo Magno), e più tardi, da uomo, in un ritratto ad olio su tela, anche da Tiziano Vecellio. Morirà, a soli 24 anni, avvelenato dal proprio siniscalco, Giovanni Andrea de’ Franceschi di Borgo San Sepolcro. Questi fu processato, ammise il veneficio ma, ciononostante, fu liberato, forse perché aveva confessato che i mandanti erano Papa Paolo III e il Duca di Firenze.