Numero2159.

LA  NOTTE  DELLE  NINFEE

 

Trascrizione dal libro, che ha lo stesso titolo, di Luca Ricolfi.

Parla della Pandemia da Coronavirus.

 

“Chiedo scusa al lettore se inizio con una digressione.
Ma è una digressione assolutamente necessaria. Anzi, forse è il centro del libro.
Se vogliamo capire dove, quando e perché si è sbagliato nella lotta all’epidemia, è assolutamente indispensabile comprendere come un’epidemia funziona. Qual è la sua aritmetica.
Non vi spaventate. L’aritmetica dell’epidemia è semplicissima, il problema è soltanto che è tremendamente controintuitiva. Ti insegna che dovresti fare il contrario di quel che il senso comune ti indurrebbe a fare.
Provo a spiegarla, questa benedetta aritmetica, con un esempio che si usa talora a scuola per spiegare ai ragazzi che cos’è una crescita esponenziale.
C’è uno stagno, e dentro lo stagno c’è una ninfea.
Come si sa, il numero di ninfee raddoppia ogni notte. Lo stagno ne può contenere fino a un migliaio, prima di saturarsi e far soffocare tutto ciò che contiene.
Il contadino – pescatore che custodisce lo stagno si sveglia al mattino e nota che, al posto della ninfea del primo giorno, ce ne sono 2.
Il giorno dopo, nota che sono 4. Il giorno dopo ancora, che sono 8. Dopo una settimana sono 128, e occupano poco più di un decimo della superficie dello stagno. Il custode non è preoccupato: penserà domani a ripulire lo stagno, in fondo in sette giorni le ninfee sono cresciute lentamente, meno di 20 ninfee al giorno.
Ma l’indomani è domenica, e il contadino – pescatore pensa: no, nel week end mi riposo, lo stagno lo ripulirò lunedì.
Lunedì le ninfee sono 512, ma il contadino – pescatore rimanda ancora una volta la pulizia al giorno dopo, e in una sola notte le ninfee diventano1024, riempiendo tutto lo stagno: ora è troppo tardi, perché in una sola notte le ninfee sono cresciute di numero quanto nei nove giorni precedenti. Lo stagno è saturo, tutta la vita animale e vegetale che conteneva è morta o sta morendo.

Questa, all’osso, è l’aritmetica di un’epidemia. I giorni del nostro apologo sono le settimane che, quando il contagio è in corso, un governo ha di fronte per intervenire. Lo scopo del governo, logicamente, è ripulire lo stagno in modo che ci siano poche ninfee. Il governo sa benissimo che non può eliminare tutte le ninfee ( il virus non si può azzerare ), ma vuole che lo stagno sia ragionevolmente pulito. Se no la vegetazione imputridisce, i pesci muoiono, le barche dei pescatori non riescono a muoversi. Fuor di metafora: l’economia muore.
Il governo è perplesso. Quando comincia a vedere un po’ troppe ninfee, vorrebbe ripulire lo stagno, ma per ripulirlo deve interdire la pesca per un certo tempo. I pescatori sono contrarissimi, preferiscono pescare zigzagando tra le ninfee piuttosto che stare fermi. il governo esita, pensando: aspettiamo ancora un po’, vediamo come va domattina. La mattina dopo ci sono ancora più ninfee, ma i pescatori non cedono: guai se fermate la pesca. Il governo non vuole irritare i pescatori e aspetta ancora un po’, sperando che le nuove ninfee non siano troppe, ma ancora una volta l’aritmetica non perdona: le ninfee raddoppiano ogni notte.
Un bel giorno, tutti vedono che lo stagno è quasi completamente coperto da ninfee. La pesca è diventata difficilissima, perché i pesci boccheggiano e non abboccano ( fuor di metafora: i consumatori non si muovono e non comprano ). A quel punto, e solo a quel punto, il governo trova il coraggio di intervenire: sospende la pesca, e comincia a ripulire lo stagno.
C’è un piccolo problema, però: ora che lo stagno è quasi tutto ricoperto di ninfee, per ripulirlo non basta una settimana, ma ci vogliono due mesi ( fuor di metafora: gli esercizi commerciali devono star chiusi due mesi, anziché una settimana soltanto ).

Per capire perché, dobbiamo parlare dell’aritmetica della ripulitura. Torniamo dal custode dello stagno, e supponiamo che la sua “capacità di ripulitura” sia di 16 ninfee al giorno. Supponiamo anche che le ninfee siano in parte nascoste, e che – per bene che vada – lo “spazzino di ninfee” possa eliminarle tutte meno un paio (questa ipotesi riflette il fatto che è difficilissimo scovare tutte le persone contagiose ).
Se lo spazzino interviene dopo sette giorni, ci sono 128 ninfee da eliminare e – a ritmo di 16 ninfee al giorno – per eliminarle quasi tutte occorrono circa otto giorni di sospensione della pesca (*) Ma, se lo spazzino interviene anche solo un giorno dopo, le ninfee da eliminare sono, nel frattempo, diventate 256, e occorreranno sedici giorni di sospensione della pesca. Se poi aspetta un altro giorno, le ninfee da eliminare diventano 512, e di giorni di sospensione ne occorreranno trentadue.
In breve, ogni giorno di ritardo costa otto giorni di sospensione della pesca. I pescatori – esercenti non sono stati lungimiranti: hanno convinto lo spazzino – governo a ritardare di due giorni la sospensione della pesca, e si ritrovano con una sospensione di trentadue giorni anziché di otto. Per guadagnare due giorni ora, ne perderanno trentadue ( anziché solo otto ) domani. Il bilancio costi – benefici è catastrofico.

Questa, in estrema sintesi, è la logica del governo di un’epidemia. Le cifre possono cambiare un po’ perché i contagiati non sono ninfee, e l’interazione governo – economia è più complicata di quella spazzino – pescatori. Ma il nucleo logico è implacabilmente lo stesso. Perché la legge fondamentale dell’epidemia è una sola: se vuoi fare qualcosa, più tardi lo fai più costerà caro a tutti.
Fuor di metafora: più il governo ritarda oggi a intervenire, più lungo e duro sarà il lockdown che dovrà imporre domani.
È precisamente questo che è capitato all’Italia, con la prima ondata e ancor più con la seconda. Il governo ha tergiversato a lungo, prima di decidere. E, quando ha deciso, ha ancora a lungo atteso prima di varare le misure più efficaci.
Ritardare gli interventi ci è costato decine di migliaia di morti non necessarie, e ci ha regalato la seconda ondata. Un evento che molti, con un misto di fatalismo e ingenuità concepiscono come ineluttabile, come un destino cieco cui nessun paese del mondo sarebbe potuto sfuggire.
Non è così. La seconda ondata era evitabile, tanto è vero che, fra le società avanzate, finora ben 10 su 25 non ne sono state colpite.
È ora di chiedersi come tutto questo sia stato possibile.”

(*)  N.d.R.: mi permetto di chiosare criticamente l’algoritmo dell’autore Luca Ricolfi. Quando afferma che per eliminare 128 ninfee ci vogliono 8 giorni al ritmo di 16 ninfee al giorno, lui non tiene conto del fatto che, mentre in un giorno lo “spazzino di ninfee” elimina 16 ninfee, le altre presenti e vitali (128 – 16 = 112) continuano a prolificare e duplicarsi ogni notte. Schematicamente, lui supporrebbe che la replicazione si arresti, non si sa in virtù di cosa: la realtà è molto diversa dalla pura teoria. La metafora, tuttavia, rende molto bene l’idea.

Numero2158.

Ricevo da una cara amica e riporto sottoscrivendo:

 

La vita sulla terra è un passo,

l’amore un miraggio,

ma l’amicizia è un “filo d’oro”….

lo sai?

L’infanzia passa,

la gioventù la segue,

la vecchiaia la rimpiazza,

la morte la raccoglie.

Il più bel fiore del mondo

perde la propria bellezza,

invece un’amicizia fedele

dura per l’eternità.

Vivere senza amici

significa morire

senza lasciare ricordi.

Numero2154.

 

T U R I S M O   S C I I S T I C O

 

Alla vigilia della riapertura degli impianti sciistici delle località turistiche di montagna, innevate addirittura in modo sovrabbondante e ferme dall’anno scorso, è intervenuta, a sorpresa e accolta da disappunto e proteste, la delibera del Ministro Speranza (Ministro della Sanità riconfermato da Draghi dopo l’ esperienza nel Governo Conte 2), che rinviava ancora il via agli impianti a dopo il 5 di Marzo.
Potrebbe comparire su qualche cartello di protesta di impiantisti, albergatori, commercianti ecc. del comparto sciistico:
NON  TOGLIETECI  LA  SPERANZA.
TOGLIETECI  SPERANZA.

Numero2153.

 

E R R A T A   C O R R I G E

 

Se vi prendete la briga di andare a leggere il Numero1982., resterete sorpresi di constatare che il Governo di Draghi ha proprio corretto il tiro. Infatti, in quel Numero1982, vengono elencati i nomi dei Ministri del Governo Conte 2 e le loro provenienze: quasi tutti meridionali.

Invece, questo Governo Draghi annovera fra i suoi componenti, ben il 75% di provenienza settentrionale.
Lo hanno chiamato “Governo dei Migliori”. Staremo a vedere.

Numero2152.

 

A S S E M B R A M E N T I

 

Giuseppe Conte, con il suo Ministro della Sanità Speranza, ci ha martoriato emanando una sfilza di D.P.C.M. che avevano come scopo principale quello di evitare o, almeno, scoraggiare gli “assembramenti”, per il contenimento dell’emergenza CORONAVIRUS.
Ironia della sorte: proprio un “assembramento” politico mai visto (cani, gatti, porci, galletti, asini, oche, galline e chi più ne ha più ne metta), condotto da un appartenente alla stirpe dei “Draghi” è riuscito a scalzare di sella lui e il “faccendiere” Casalino, il suo “Pier delle Vigne”.

N.d.R. : chi era Pier delle Vigne? Era il “factotum” dell’Imperatore Federico II di Svevia. Siamo nel XIII Secolo.

 

Io son colui che tenni ambo le chiavi

del cor di Federigo, e che le volsi,

serrando e disserrando sì soavi

che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi.

 

Dante –  DIVINA COMMEDIA   Inferno XIII.

 

Ecco perché Giuseppe Conte aborriva gli “assembramenti”.

Numero2151.

 

C I N C I N N A T O

 

Vediamo: vi ricordate chi era Cincinnato? Anche alle scuole elementari, fra le notizie di Storia Patria, viene menzionato questo personaggio.
Siamo verso il 450 avanti Cristo. Roma è impegnata in un duro conflitto contro gli Equi e sta soccombendo. La situazione sta precipitando a causa della cattiva conduzione della guerra. La popolazione sollecita la nomina di un condottiero, di un leader che possa, con la propria saggezza e perspicacia, specialmente di carattere pratico, portare fuori dai pericoli e metter in sicurezza la città.
Viene fatto un nome, Lucio Quinzio (appartenente alla Gens Quinctia, uno dei gruppi tribali che furono presenti alla fondazione della città, circa 300 anni prima). Costui ha un soprannome, un epiteto esornativo, un appellativo o nomignolo, chiamatelo come volete: “Cincinnato” che vuol dire “riccioluto”. Lui è persona saggia e responsabile, ben visto e considerato da tutti coloro che lo conoscono. Non è un politico o un funzionario della amministrazione della “res publica”, è semplicemente un contadino. Una delegazione di cittadini, che si reca in missione alla sua dimora per contattarlo, lo trova mentre sta arando il suo campo. Gli viene fatta la proposta di prendere il comando della città e del suo esercito per affrontare la guerra in corso. Dopo aver prestato buon servizio alla causa comune, in qualità di Console, viene in seguito richiamato per ricevere la nomina di “dictator” o “conductor” per le più incombenti minacce belliche. In tale veste mostra tutta la sua sagacia ed esperienza e, pur sottoponendo la città ad una serie di sacrifici e privazioni, riesce a vincere la guerra e a portare Roma ad un periodo di pace e prosperità. Dopo di che egli, con molta modestia e semplicità, si ritira nel suo campicello e nel suo podere e continua a fare il suo lavoro di sempre. Dopo alcuni decenni, aveva allora più di 80 anni, i cittadini romani, memori della buona riuscita della cooptazione precedente, lo richiamarono ad affrontare un’altra situazione d’emergenza. Anche allora il buon “Cincinnato” non si sottrasse all’impegno per il bene della patria e prestò le sua opera per risolvere l’impiccio.
Giuseppe Conte mi ha fatto ricordare la figura di “Cincinnato”.

Numero2149.

 

Ricevo da Efrem, amico recente, ma assiduo e competente lettore, questo contributo che apprezzo molto, senza piaggeria.

 

Un pensiero di Joel Dieker tratto dal romanzo “L’enigma della camera 622”.

“….La vita è un romanzo di cui si conosce già la fine: il protagonista muore.
La cosa più importante, in fondo, non è come va a finire,
ma in che modo ne riempiamo le pagine.”

 

N.d.R. : Non mi rimane che ribadire il concetto:

La vita è un morso
e conta solo
ciò che provi
mentre mordi.
Il resto è un torso.

 

Numero2148.

 

R I F L E S S I O N I

 

L’altro giorno, una ragazza giovane mi ha chiesto:

“Cosa provi nell’essere vecchia?”

Mi ha sorpreso molto la domanda,

dato che non mi sono mai ritenuta vecchia.

La ragazza, vista la mia reazione,

immediatamente si è dispiaciuta, però

le ho spiegato che era una domanda interessante.

E poi ho riflettuto, ho pensato

che invecchiare è un regalo.

A volte mi sorprende la persona che vedo

nel mio specchio. Ma non mi preoccupo

di lei da molto tempo.

Io non cambierei nulla di quello che ho

per qualche ruga in meno e un ventre piatto.

Non mi rimprovero più perché

non mi piace riassettare il letto,

o perché non mangio alcune “cose”.

Mi sento finalmente nel mio diritto

di essere disordinata, stravagante

e trascorrere le mie ore contemplando i fiori.

Ho visto alcuni cari amici andarsene

da questo mondo, prima di aver goduto

della libertà che viene con l’invecchiare.

A chi interessa se scelgo di leggere

o giocare sul computer fino  alle quattro

del mattino e poi dormire fino a chissà che ora?

A chi interessa se ballo da sola ascoltando

la musica anni 60? E se dopo voglio

piangere per un amore perduto?

E se cammino sulla spiaggia in costume da bagno,

portando a spasso  il mio corpo paffuto

e mi tuffo fra le onde lasciandomi  cullare,

nonostante gli sguardi di quelle

che indossano ancora il bikini:

saranno vecchie anche loro se avranno fortuna.

È vero che negli anni il mio cuore ha sofferto

per la perdita di una persona cara, ma

è la sofferenza  che ci dà forza e ci fa crescere.

Un cuore che non si è rotto è sterile e non

saprà mai della felicità di essere imperfetto.

Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza

per far ingrigire i miei capelli e per conservare

il sorriso della mia giovinezza, di quando ancora

non c’erano solchi profondi sul mio viso.

Quindi, per rispondere alla domanda con sincerità,

posso dire che mi piace essere vecchia,

perché la vecchiaia mi rende più saggia, più libera!

So che non vivrò per sempre, ma mentre sono qui,

voglio vivere secondo le mie leggi, quelle del mio cuore.

Non voglio lamentarmi per ciò che non è stato,

né preoccuparmi di quello che sarà.

Nel tempo che rimane, semplicemente amerò

la vita come ho fatto fino ad oggi,

il resto lo lascio a Dio.