Numero2470.

 

I L    D I L E M M A

 

1980
Pressione Bassa

 

Giorgio Gaber – musica e interpretazione
Alessandro Luporini – testo        (N.d.R. : per me, il migliore paroliere Italiano di testi per canzoni)

 

In una spiaggia poco serena
Camminavano un uomo e una donna
E su di loro la vasta ombra di un dilemma

L’uomo era forse più audace
Più stupido e conquistatore
La donna aveva perdonato, non senza dolore

Il dilemma era quello di sempre
Un dilemma elementare
Se aveva o non aveva senso il loro amore

In una casa a picco sul mare
Vivevano un uomo e una donna
E su di loro la vasta ombra di un dilemma

L’uomo è un animale quieto
Se vive nella sua tana
La donna non si sa se è ingannevole o divina

Il dilemma rappresenta
L’equilibrio delle forze in campo
Perché l’amore e il litigio sono le forme del nostro tempo

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Come una cosa normale e ricorrente
Perché morire e far morire
È un’antica usanza
Che suole aver la gente

Lui parlava quasi sempre
Di speranza e di paura
Come l’essenza della sua immagine futura

E coltivava la sua smania
E cercava la verità
Lei l’ascoltava in silenzio, lei forse ce l’aveva già

Anche lui curiosamente
Come tutti era nato da un ventre
Ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa

In un giorno di primavera
Quando lei non lo guardava
Lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova

E ancora oggi non si sa
Se era innocente come un animale
O se era come instupidito dalla vanità

Ma stranamente lei si chiese
Se non fosse un’altra volta il caso
Di amare e restar fedele al proprio sposo

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Con le parole che ognuno sa a memoria
Sapevan piangere e soffrire
Ma senza dar la colpa
All’epoca o alla Storia

Questa voglia di non lasciarsi
È difficile da giudicare
Non si sa se è cosa vecchia o se fa piacere

Ai momenti di abbandono
Alternavano le fatiche
Con la gran tenacia che è propria delle cose antiche

E questo è il succo di questa storia
Per altro senza importanza
Che si potrebbe chiamare appunto resistenza

Forse il ricordo di quel Maggio
Gli insegnò anche nel fallire
Il senso del rigore, il culto del coraggio

E rifiutarono decisamente
La nostra idea di libertà in amore
A questa scelta non si seppero adattare

Non so se dire a questa nostra scelta
O a questa nostra nuova sorte
So soltanto che loro si diedero la morte

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Non per una cosa astratta
Come la famiglia
Loro scelsero la morte
Per una cosa vera
Come la famiglia

Io ci vorrei vedere più chiaro
Rivisitare il loro percorso
Le coraggiose battaglie che avevano vinto e perso

Vorrei riuscire a penetrare
Nel mistero di un uomo e una donna
Nell’immenso labirinto di quel dilemma

Forse quel gesto disperato
Potrebbe anche rivelare
Come il segno di qualcosa che stiamo per capire

Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Come una cosa normale e ricorrente
Perché morire e far morire
È un’antica usanza
Che suole aver la gente

 

Significato di Il Dilemma

 

 Il Dilemma è una storia d’amore d’altri tempi, dei bei tempi andati, forse, ma c’è da sperare di no. É più facile dire cosa non sia questa meraviglia, perché è talmente tanto che sarebbe impossibile dire tutto qui e ora.

Provandoci, potremmo dire che è una delle più belle riflessioni su un amore in crisi, e sarebbe vero, ma come un riflesso, appunto, sarebbe fugace e superficiale.

Il Dilemma è figlia del suo tempo. Giorgio Gaber, questa è una mia opinione per cui potete sgridarmi, o fustigarmi, compose gran parte delle sue canzoni migliori a partire da fine ann’70 in poi, quando aveva raggiunto una maturità umana e artistica di altri livelli.

Come con Io Se Fossi Dio, i suoi brani nascono da riflessioni personali ma diventano molto più universali di quello che sembrano. Più o meno negli stessi anni della bomba contro tutto e tutti, fingendosi Dio, Gaber vede una nuova forma d’amore tra la gente comune.

E lo comunica.

Due coppie. Nella prima, è lui l’audace animale da conquista, lei invece l’ha perdonato nonostante la sofferenza; nella seconda, lui è tranquillo e dedito alla famiglia, lei è una splendida illusione vivente. Nei versi convivono le vite di entrambe le coppie, il cui fattore comune è l’enorme dilemma che incombe sulle loro vite

Ha senso o non ha senso il nostro amore?

Gaber parla dell’amore moderno, libero dalle repressioni dei “tempi antichi”, gli anni precedenti agli ’80, un decennio con una libertà individuale, politica, culturale così trasversale che anche il concetto di amore sta cambiando. Una coppia può vedere nell’infedeltà la sicurezza della propria sopravvivenza.

L’amore giovane ha “la smania di ascoltare i brividini del cuore”, come dirà lui stesso in un esibizione del 1991, una smania che divide le coppie e moltiplica gli amori.

Nella canzone una coppia si sfalda e l’altra resiste. Quest’ultima si suicida, togliendo il loro amore dal destino della morte, un gesto estremo che forse sposta l’attenzione dalla crisi di coppia a qualcosa di molto più profondo e generale. Quasi cosmico, forse.

Un elogio alla fedeltà, al coraggio di fare una scelta e resistere, difendendola nel tempo, con pazienza, adattandosi e modellando la pazienza e le forze contro vento e nelle giornate di sole, quando il cielo è a un passo o quando tutto è nero, affrontando le difficoltà per la semplice voglia di non lasciarsi.

Ma non solo tra due persone che stanno insieme, ma in tutto.

“Resistenza” come concetto generale, verso qualsiasi scelta facciamo nella nostra vita. Che sia una scelta che sia una, in un mondo che non ci lascia possibilità di scegliere o ci illude di permetterci di scegliere.

Che sia una dannata scelta.

La società crea stereotipi di persone e prototipi di relazioni, nelle coppie e in un singolo individuo. Nasce un nuovo concetto d’amore, moderno e libero dal concetto di impegno, e una persona può sentirsi obbligata a scegliere, ed essere obbligati a scegliere allora vuol dire non avere scelta.

La vita diventa un concentrato di azioni indipendenti dalla propria volontà, una nuova versione di destino o, come le parole della canzone, una “nuova sorte”, l’esatto opposto di “scelta”.

Allora la coppia ha preferito morire, e non si sa se “a questa nostra scelta” o a questa “nuova sorte”, appunto perché non c’è alcuna differenza tra le due. Una forza che regola in modo imprevedibile le vicende umane è paragonabile a un impulso che non ti lascia scelta.

C’è una crisi di mentalità. a grattare un po’ la superficie di questo delizioso brano sulla crisi di coppia. Giorgio Gaber forse sta cantando la crisi di coppia tra uomo e donna solo perché è lo strumento più efficace per comunicare una crisi con radici molto più profonde, quella tra uomo e la propria morale.

Una crisi che si può correggere assumendosi una responsabilità, impegnandosi a difenderla dalle normali interferenze esterne della vita, restando fedeli ai propri principi e coerenti con le proprie azioni.

Se necessario, difendendo i propri valori anche con gesti estremialla morte, proprio come hanno fatto la coppia (o le coppie?) di questa canzone.

Tutti segnali che Gaber non vede in una società italiana con una crisi morale viscerale, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.

Quel “segno di qualcosa che stiamo per capire” forse è proprio la nostra involuzione morale. E amore e litigio, le “forme del nostro tempo”, forse non sono intese nei confronti di una persona, perché con una persona esiste anche l’indifferenza, una terza forza in campo che annulla ogni forma, semplicemente: il nulla.

Ma se guardiamo oltre alla crisi di coppia, l’amore e il litigio possono significare il valore di assumere un impegno e difendere un principio. E, al contrario, il valore di scontrarsi contro un idea sbagliata e accusare l’ingiusto.

Dovremmo amare o litigare con un’idea, queste le uniche due forze in campo e le nostre uniche scelte, e dovremmo arrivare a morire per essa o a far morire a causa di essa, un “antica usanza che suole avere la gente”.

Sempre più antica e lontana da noi.

 

ALTRA  INTERPRETAZIONE:

 

Davide 28 Ottobre 2020

Condivido in gran parte il tuo commento, ma vorrei aggiungere alla discussione un altro punto di vista, che sicuramente non ha la pretesa di essere quello giusto.
Gaber parla di una sola storia d’amore e di una sola coppia, ma, raccontando la storia attraverso vari flash-back, che inquadrano la coppia in diverse fasi della loro relazione, si potrebbe pensare che si parli di due o più coppie.

Il punto a mio parere fondamentale, è che questa storia d’amore deve essere inquadrata all’interno dell’eterno ciclo della vita, che coinvolge tutti gli esseri viventi incluso l’uomo, in cui c’è un continuo affannarsi in cerca di un miglioramento (nel testo questo ruolo viene affidato alla figura dell’Uomo), mentre la cosa davvero essenziale nel ciclo della vita è la possibilità che la vita si rigeneri, generando nuova vita (nel testo questo ruolo viene affidato alla figura della Donna).
A sua volta, il ciclo della vita deve essere inserito all’interno del grande ciclo della Storia, in cui si ha sempre l’impressione che certi valori siano superati, antiquati, senza rendersi conto che in realtà sono eterni, proprio perché sono punti fermi all’interno di questa ciclicità (nel testo questo ruolo viene affidato alla Famiglia). Questo rende il messaggio della canzone, che giustamente è da contestualizzare negli anni immediatamente successivi alla liberazione sessuale, valido sempre, anche ai nostri giorni.

Nella prima immagine si vede la coppia verso la fine della loro storia.
L’Uomo ha già compiuto il suo percorso di “affermazione personale”, che verrà descritto in seguito, ma Gaber lo definisce come uno “stupido”.
La Donna, che ha dovuto subire il tradimento del suo Uomo, dimostra la sua superiore statura attraverso il perdono. Specialmente perché il perdono non è stato indolore.

La seconda immagine è un flash-back, che ci mostra l’inizio di tutta la storia.
L’Uomo, novello sposo, è appena passato dalle braccia della madre alle braccia della sua sposa. È poco più che un cucciolo.
Mentre la Donna, che è la depositaria del ciclo della Vita, al suo confronto è molto più matura, quasi “divina”.

Proseguendo nel racconto, l’Uomo, o sarebbe quasi meglio definirlo “il maschio”, intraprende il suo percorso di affermazione personale, che è tipico anche di altre specie animali.
La Donna, o “la femmina”, semplicemente lo osserva nel suo affannarsi da una posizione di superiorità, perché lei la “verità” già la possiede. Ovvero lei sa cosa è davvero importante.

Ma l’affermazione personale e sociale del maschio, lo portano a credere di essere diventato superiore alla sua sposa, fino al punto di tradirla, come se lei fosse un qualcosa di vecchio, inutile, ormai superato.
E qui la bellissima immagine che Gaber ci regala è quella dell’uomo, nato dal ventre di donna, crede di essere diventato onnipotente, infinitamente superiore alla sua donna.
Mi verrebbe da citare il modo di dire toscano: “ecché tu voi insegnare al tu babbo a trombare?”.
Non si rende conto l’Uomo, che questa sua tracotanza lo rende in effetti ridicolo?

A questo punto il Grande Amore di questa coppia è sul punto di morire. Come succede a tutti gli altri. Banalmente.
Magari per dare origine ad un nuovo “grande amore” tra l’uomo e la “fanciulla nuova”, destinato anch’esso a sciogliersi al sole…
Invece no.
La forza della Donna, che sceglie di perdonare, segna la strada da seguire.
Una strada che non è facile come nelle Telenovelas.
Lei mostra la strada della resistenza, del rigore, del coraggio. E il suo sposo sceglie di seguire assieme a lei quella strada.
L’uomo e la donna decidono di tornare ad essere una coppia. Decidono di restare legati ai famosi vecchi valori che sembrano sorpassati e che invece sono eterni.
E qui ritorna alla mente l’immagine iniziale: la coppia si trova su di una spiaggia tormentata, non è tutto rosa e fiori, c’è un enorme dilemma che li opprime, ma la coppia sceglie di lottare, di rifiutare la banalità e la miseria della “libertà in amore”.

Il finale della storia, ovvero la scelta di darsi la morte, come segno estremo di rifiuto di una “nuova sorte” quasi obbligatoria, riporta ad illustri precedenti, quali i filosofi greci, i patrioti italiani, Jan Palach…
Ovvero non è una morte fine a se stessa, ma una morte come strumento di illuminazione, di rivelazione per gli altri.
Che chissà se capiranno davvero l’insegnamento, perché far male e farsi del male è la nostra specialità della casa…e della vita.

Numero2468.

 

Da WIKIPEDIA

Ergotismo    

 

L’intossicazione da ergot, detta «ergotismo», era conosciuta nel medioevo con il nome di «fuoco di Sant’Antonio» (soprannome in seguito attribuito anche all’herpes zoster), «fuoco sacro» o «male degli ardenti». Il fenomeno era noto già fin dal XVII secolo, tanto che nel 1676 gli scienziati francesi riuscirono a convincere le autorità a proibire l’uso della segale in luogo del frumento per preparare il pane.

Claviceps purpurea  è un ascomicete del genere Claviceps parassita delle graminacee. Il suo nome comune è il termine francese ergot, che in italiano significa “sperone” Detta specie, infatti, genera nelle piante infette degli sclerozi simili a speroni o spesso — come nel caso della segale — delle escrescenze a forma di corna, da cui anche il nome comune di segale cornuta per indicare il cereale affetto da ergotismo.

Claviceps purpurea è la specie più studiata e conosciuta per i suoi rilevanti effetti nella contaminazione di alimenti confezionati con cereali da essa attaccati. Gli speroni della segale cornuta sono corpi fruttiferi del fungo stesso contenenti diversi alcaloidi velenosi o psicoattivi del gruppo delle ergotine (tra cui l’acido lisergico) che presentano vari tipi di effetti sui soggetti che li assumono. Tali alcaloidi, essendo vasocostrittori, compromettono la circolazione; inoltre interagiscono con il sistema nervoso centrale, agendo in particolare sui recettori della serotonina.

L’ergotismo era spesso fatale e aveva sempre effetti devastanti sulle comunità che ne erano colpite. Esso poteva presentarsi in due forme: ergotismus convulsivus, caratterizzato da sintomi neuroconvulsivi di natura epilettica, oppure ergotismus gangraenosus, che provocava gangrena alle estremità fino alla loro mummificazione.

Gli alcaloidi della segale cornuta sono resistenti anche alle alte temperature dei forni di cottura del pane e ciò è ritenuto essere all’origine di molti fenomeni di allucinazione e superstizione tipici di realtà campestri in epoca preindustriale. Pare infatti riconducibile a ergotismo l’ondata di fenomeni registrati a fine Seicento a Salem, nel Massachusetts, che diedero origine alla più grande caccia alle streghe mai vista sul suolo americano. Parimenti attribuibili a effetti allucinatori da ergotismo sono, altresì, presunti eventi soprannaturali quali le cosiddette apparizioni (si citino a esempio Lourdes o Fátima), caratterizzate dall’accadere, sempre in un contesto socio-economico di estrema povertà e di scarsa alfabetizzazione, in cui il nutrimento più diffuso era il pane di segale verosimilmente infetto da ergotismo e in cui i fenomeni allucinatori erano pesantemente influenzati dalle esperienze pregresse e dalla credulità popolare.

Una possibile ipotesi circa il nome “Fuoco di Sant’Antonio” è che nel Nord Europa, dove il pane veniva fatto con la segale, spesso si contraeva questa malattia, dovuta al fungo che infettava la segale. I malati, recandosi in pellegrinaggio verso i santuari di sant’Antonio in Italia, man mano che scendevano verso Sud cambiavano alimentazione mangiando pane di grano, e ciò attenuava o eliminava i sintomi dell’intossicazione. Tale effetto veniva attribuito a un miracolo per opera di sant’Antonio.

 

N.d.R. : Rilevo con stupore che spiegazioni scientifiche (che riguardano medicina, tossicologia, chimica, nutrizionismo) di questo tipo siano così poco conosciute, anche oggi. Io stesso sono venuto a conoscenza di questi fatti storici solo per vie traverse, senza un preciso intento o preconcetto.
Ho approfondito un termine e mi sono imbattuto in un’ipotesi  storica che spiegherebbe gli stati allucinatori di “miracoli” come quelli di Lourdes e Fàtima, come dovuti al tipo di alimentazione con il consumo quotidiano di pane di segale cornuta. Capisco, tuttavia, molto bene perché questa ipotesi, che continuo a considerare tale, non sia di pubblico dominio. Su ciò che non conviene parlare, non si parli.

Numero2467.

 

Dal  FATTO QUOTIDIANO  del 1 Giugno 2022.

 

di Ferdinando Boero, zoologo all’Università Federico II.

 

I ragazzi non capiscono? È utile che sia così. La scuola senza pratica è destinata a fallire

 

Una collega, madre di uno scolaro, mi manda la foto del Manuale per le prove Invalsi della scuola primaria. Ci sono anche io, citato in un capitoletto sulle meduse… Finire su un testo per le elementari mi riempie dei orgoglio. Ma per poco: le prove Invalsi sono andate male. Percentuali significative di studenti non sono in grado di comprendere un testo e di fare calcoli. Gli anziani, categoria alla quale appartengo, si strappano le vesti: il sistema educativo è troppo permissivo, ah… ai miei tempi! I maestri ci rifilavano ceffoni, se sgarravamo. E a casa sarebbe arrivato il resto, se mai la notizia fosse trapelata. Se non si studiava la pena era certa e implacabile, oggi invece non si boccia più, è diseducativo!
Non è che non studiassi, allora. Leggevo, e imparavo senza sforzo, libri che trattavano di argomenti differenti da quelli proposti dai docenti. Risultato: sempre rimandato a partire dalla prima media, bocciato due volte al liceo. Giusto: rifiutavo le regole e ne pagavo le conseguenze. All’università ho scoperto che studiare è bellissimo e, da allora, non ho più smesso.

Ho tenuto corsi universitari per decenni. Alcuni entusiasmanti (biologia marina) altri che potrebbero essere pesanti mattoni (zoologia). Imparare a memoria i nomi di animali, assieme alle litanie che descrivono le loro caratteristiche, può risultare indigeribile a individui poco inclini a studiare a memoria qualunque assurdità, sapendola ripetere a comando. Quell’esame può essere un ostacolo quasi insuperabile, oppure quello di cui gli studenti si ricordano per sempre.

Per comprendere il livello di competenza dei miei studenti, all’inizio di un corso del primo anno, stimolato da una pubblicità, domandai: bevete un litro d’acqua e poi fate la plin plinChe strada fa l’acqua? Per rispondere si devono conoscere gli apparati digerente, circolatorio e respiratorio, il metabolismo cellulare, l’apparato escretore e un po’ di sistema nervoso e endocrino. Ma non basta: bisogna metterli assieme, collegandone le funzioni. Le informazioni sui singoli apparati non sono conoscenza. Per la prima volta, si accorsero della loro fantozziana ignoranza. Era così anche “ai miei tempi”: informazioni che non diventavano conoscenza.

Non sapere come funziona il proprio corpo è sintomo di grave carenza culturale, forse più dell’ignoranza di un teorema, o dell’origine della metafora nel primo verso del Purgatorio.
Noi siamo animali che imparano, e comunichiamo verbalmente. Come impariamo a parlare? Studiamo la grammatica e la sintassi, e poi parliamo, oppure prima parliamo e poi studiamo le regole? Quando, qualche eone fa, studiai lingue straniere (dal latino al francese all’inglese) il sistema di apprendimento era proprio quello: declinazioni, liste di parole da imparare, regole. Di parlare non se ne parlava. Se ci insegnassero così la nostra lingua madre, saremmo degli infelici.

Prima viene la pratica e poi la teoria: approccio induttivo. L’approccio deduttivo, fondamentale in moltissime scienze, prevede che si elabori prima la teoria, e poi si passi alla pratica: per perseguirlo, però, si parte da percorsi induttivi, esperienziali.

Se la formazione comincia con la teoria e manca di concretezza, soprattutto nelle fasi iniziali, la sua efficacia diminuisce. La mia interpretazione del fallimento del sistema educativo è tutta qui: adotta un sistema deduttivo, quando sarebbe necessario un sistema induttivo a cui far seguire l’approccio deduttivo. Inutile imparare a priori tutti gli apparati e i sistemi che compongono il nostro corpo se poi non si sa come interagiscono per farlo funzionare (la pipì). Sempre restando in acqua… quali mari bagnano l’Italia? Ligure, Tirreno, Ionio, Adriatico, giusto? E l’Atlantico? Quando piove in Italia, da dove viene l’acqua che ci bagna? Pensate alle previsioni del tempo. Le perturbazioni (le nuvole) si formano in Atlantico e poi si spostano verso l’Europa, Italia inclusa. Quando piove, è l’acqua dell’Atlantico che ci bagna. Il Po è in secca perché non piove. La sorgente è il Monviso, ma l’acqua del Po viene prima di tutto dall’Atlantico. Quando lo sai è così ovvio.Ci volevano cinque minuti a spiegare la plin plin; che l’Atlantico bagni l’Italia richiede ancor meno tempo. La plin plin e la pioggia sono “pratica”, e si passa dal livello del nostro corpo a quello planetario. Con quella “pratica” si arriva a capire il significato della “teoria”. “Capire”, non “imparare a memoria”. In 13 anni di scuola non c’è spazio per la pratica, a meno di avere docenti illuminati che la propongono in percorsi extracurriculari. I bambini, magari, studiano l’importanza della biodiversità… ma non sanno i nomi degli alberi che incontrano tornando a casa da scuola.

Questo sistema educativo, e ora faccio il complottista, sembra fatto apposta per chi vuole che i cittadini adulti abbiano i livelli di comprensione di scolari svogliati che siedono nell’ultimo banco. È utile che non capiscano… Talmente utile che siamo chiamati a votare un referendum che vuole abolire il divieto per i condannati di sedere in parlamento, chiedendo misure restrittive per i magistrati. Una bella prova Invalsi che misura l’intelligenza dell’italiano medio, o il tasso di delinquenzialità degli elettori.

Numero2466.

 

LODE ALL’ AMICO RISANATO.

 

Antonietta Fagnani Arese: chi era costei?
Era una contessa Milanese, ben conosciuta nel giro della Nobiltà Meneghina, amica ed amante, per qualche tempo (1800 – 1803) di Ugo Foscolo, il nostro poeta, noto esponente del Neoclassicismo del Primo Ottocento, di cui abbiamo studiato a scuola odi e sonetti.
A questa gentile Signora, il Foscolo ha dedicato un’Ode, pubblicata nel 1802, dal titolo ALL’AMICA RISANATA, un polpettone ottocentesco e neoclassico, che oggi farebbe ridere, ma che allora, secondo i criteri didattici dei nostri tempi giovanili, si doveva studiare come esemplare storico della nostra Letteratura. È un omaggio all’innamorata che usciva da un periodo di malattia e ritornava alla vita normale. Evito ogni ulteriore dettaglio sull’opera: non varrebbe la pena approfondire.
Invece, la cito qui, come aggancio e riferimento, per il suo titolo, che mi è venuto in mente oggi, 1 Giugno 2022, dopo aver giocato l’ennesimo doppio di tennis, avendo come avversario il mio caro amico “biondo”. Detto per inciso, anche per la brillante prestazione del giocatore ora citato, che mi giocava contro, ne sono uscito, seppur di poco, sconfitto. E lo riferisco con grande piacere perché, dopo tanti mesi di traversie, lui, “il biondo”, ha oggi dimostrato di essere pienamente recuperato ad una condizione fisico – atletica accettabile e soddisfacente. La sua palla malefica ha ricominciato a tormentarmi e a mettermi in difficoltà: complimenti e congratulazioni, con l’augurio che questa condizione di benessere si prolunghi per tanto tempo ancora.

Ma, Ugo Foscolo scrisse l’ODE “ALL’AMICA RISANATA”.
Io scrivo, invece, questa LODE ALL’AMICO RISANATO.