BREVE RIFLESSIONE SULLA VITA E SULLA MORTE.
Tre cose accadute oggi.
E la vita è così forte
che attraversa i muri per farsi vedere,
la vita è così vera
che sembra impossibile doverla lasciare,
la vita è così grande
che, quando sarai sul punto di morire,
pianterai un ulivo,
convinto ancora di vederlo fiorire.
Mi sono venuti in mente questi meravigliosi versi della canzone “Sogna ragazzo, sogna” di uno dei miei autori di poesie in musica preferiti, Roberto Vecchioni, perché, nel cortiletto davanti a casa mia, ho appena collocato, non dico messo a dimora, perché era già in vaso da qualche decennio, una pianta di ulivo, valendomi della consulenza preziosa di una cara amica, che di ulivi se ne intende e che mi ha aiutato. Mi sono interrogato se mai fossi ancora convinto di poterne vedere la fioritura ed i frutti e, chissà perché, con una coincidenza alchemica e profetica, sono successe proprio oggi due fatti di vita e di morte che, per quanto non mi coinvolgano in prima persona, mi sono tuttavia balzati alla mente come momenti di riflessione.
Mi telefona mio figlio Alexis, in giro per l’Italia per lavoro, che avrebbe dovuto incontrarsi con il suo titolare Alessandro, uno dei due ingegneri giovani che hanno fondato l’Azienda per la quale lui lavora, per andare insieme da certi clienti. È arrivata invece la ferale notizia che il padre di Alessandro era stato trovato senza vita a causa di arresto cardiaco. Il padre era ancora giovane, appena settant’anni, ed era stato un medico, ora in pensione, una persona equilibrata ed attenta ad una condizione e conduzione di vita rispettose della salute. Eppure, la falce lo ha rasato con un colpo secco, senza pietà.
Mio figlio era sconvolto. Mi ricordava quanto questo medico gli fosse stato vicino recentemente per consigliarlo su come uscire presto ed indenne dalla recente pandemia: lo aveva seguito, seppur telefonicamente, giorno per giorno, informandosi costantemente sul suo stato di salute. E mi ha detto: “Papà, non è giusto. Senza avvisaglie, senza trasgressione alcuna delle precauzioni di una sana procedura di vita, come può avvenire una cosa di questo genere?”.
Cercava, il mio ragazzo, una motivazione razionale, un appiglio consequenziale, un rapporto credibile di causa ed effetto fra la vita e la morte.
È uno di quei momenti in cui la mente corre, senza freni, alla ricerca di una risposta nella volontà superiore di un destino o di un Dio.
Ma, se Dio esiste, perché non elargisce quaggiù, su questa terra ed in questa vita, un premio od un castigo alle persone a secondo dei loro meriti o demeriti, con una appendice di esistenza terrena, risarcitoria o punitiva e, comunque, riparatrice ed equiparatrice di ogni male provocato o subito?
Il sillogismo porterebbe alla scontata conclusione che le buone e brave persone meriterebbero di raggiungere la parte finale della loro esistenza, in salute ed in pace, e di andarsene senza traumi, né per loro stessi, né per i loro cari. E, al contrario, chi ha sprecato la propria esistenza dietro futili chimere, o spregiudicate avventure, per non dire esecrabili scopi delittuosi, potrebbe trovarsi a scontare le proprie malefatte, subendo un accorciamento della propria aspettativa di vita. Se io fossi Dio, così farei. E applicherei la “giustizia divina” in questa vita, dove a tutti è palese ogni merito o demerito, a seconda del premio o castigo maturato: un “surplus” o un “surminus” di vita. Sarebbe, oltre tutto, molto più illuminante e didascalico, cioè insegnerebbe a tutti, senza bisogno di prediche e moralismi ipocriti, come si sta a questo mondo.
Per felice contrappasso, mi giunge anche la bellissima notizia che un mio caro amico, di cui altrove ho parlato, e la cui salute mi sta veramente a cuore, eviterà un ulteriore intervento chirurgico, che si era prospettato come probabile, qualora si fossero verificate certe condizioni. Per fortuna o per suo merito, queste condizioni non si sono presentate, perciò niente operazione e …. la vita continua.
Anche questa, per me, è una riprova di quanto sia auspicabile che la vita sia elargita, anche solo come prolungamento, a chi l’ha ben vissuta e, meritoriamente, ha accumulato crediti e bonus. A patto che la vita sia un piacere e non una pena da vivere, e non sempre è così. Anzi, io renderei piacevole, come non mai, la vecchiaia, cioè proprio questa prosecuzione di vita, per chi l’ha ben meritata, ed escluderei, come indegni, coloro che la propria vita hanno passato malamente per se e per gli altri.
Se solo ci fosse Dio. Un Dio giusto.
Chiudo questa breve riflessione con alcuni altri versi della stessa poesia-canzone che l’ha cominciata, e li dedico a mio figlio:
Sogna, ragazzo, sogna,
quando cade il vento ma non è finita,
quando muore un uomo per la stessa vita
che sognavi tu.
E, per finire:
Sogna, ragazzo, sogna,
ti ho lasciato un foglio
sulla scrivania,
manca solo un verso
a quella poesia,
puoi finirla tu.