Numero2435.

 

  1. Le persone sicure di sé sono umili e rispettano tutti. Non discriminano.
  2. La migliore lezione di vita viene da coloro che hanno sofferto e sono guariti.
  3. I veri ricchi non si vantano mai di quello che hanno. Anche se qualcuno li nota, sono umili al riguardo.
  4. Chi grida e parla inutilmente manca di fiducia: i vuoti fanno rumore.
  5. Le persone che possono sorridere agli estranei sono quelle a cui non importa cosa pensano gli altri.
  6. Colui che è disposto a prendersi una colpa è il più responsabile.
  7. Le persone che non mostrano mai compassione verso le vittime sono crudeli e sadiche.
  8. Prendere le critiche in modo positivo e andare avanti è un segno di successo.
  9. Chi ascolta i consigli di qualcuno, anche se scontati, è uno studente della vita.

Numero2434.

 

SOGNO  E  REALTÅ

 

Un sogno è un bisogno,

che si ha in due.

Un sogno d’amore

è un bisogno d’amore.

È un sentire sublimato

nel darlo, nel riceverlo.

Sono diversi tutti

i nostri amori,

dipendono dagli spiriti

intercettati, coinvolti,

dall’alchimia

della reazione,

dalla magia

della relazione,

unica, incomparabile.

Tutti i sogni, però,

muoiono all’alba

del giorno dopo,

quando il sole

dischiude la crudezza

della realtà.

La luce ti costringe

ad aprire gli occhi

e a guardare tutto,

anche le ombre che,

al buio del sogno,

non riuscivi a discernere.

Un amore nasce di notte,

da un sogno, ma vive

solo alla luce di un sole:

quello quotidiano

delle nostre vite.

Numero2431.

 

In questo periodo, di una cosa mi meraviglio: che il nome di PUTIN ( che si comporta come un RAS) non sia mai stato accostato, per assonanza, a quello di RASPUTIN.

 

Grigor Efimovich RASPÙTIN (1869-1916) è stato un personaggio molto controverso e inquietante nella storia della Russia Zarista, prima della Rivoluzione d’Ottobre. Della sua biografia, reperibile facilmente dovunque, nulla dirò se non che aveva un influenza nefasta e malvista alla corte dello Zar Nicola II, perché si era proposto come guru mistico carismatico e guaritore, con cure discutibili, del piccolo principe Alexei, sofferente di emofilia.
In realtà, succedeva che, per alleviare i malesseri e i pericoli di questa patologia, allora non curabile perché genetica, si somministrava al ragazzino l’aspirina, farmaco da poco scoperto e che pareva essere la panacea per tutti i mali. Ma, come ben si sa, l’aspirina è un potente fluidificante del sangue, quindi, anziché curare il malato, ne aggravava le condizioni: ogni piccola ferita esterna od ematoma interno non guariva mai, ancora di più. Non si sa bene come, questo specie di sciamano aveva capito la deleteria complicanza del farmaco per il piccolo principe. Normalmente, l’aumentata fluidità del sangue favorisce la ridistribuzione di ogni ristagno infettivo e quindi il suo assorbimento a livello dell’intero sistema circolatorio: da cui i suoi effetti benefici. Rasputin, semplicemente, ne proibì la somministrazione. Col tempo, le condizioni del piccolo migliorarono, pur senza guarire, e, per questo, la figura del mistico contadino Siberiano crebbe in attendibilità e in potere, nell’ambito della corte, specialmente per il credito di fiducia della Zarina Alessandra. Ma, di malefatte, lui ne perpetrava quotidianamente, con ogni sorta di dissolutezza. Era diventato l’anima nera della Russia, mal sopportato, anzi odiato dall’entourage della nobiltà cortigiana. Dopo diversi tentativi, un commando di nobili, guidati dal principe Jussupov, riuscì ad ammazzarlo. Neanche un anno dopo, scoppiava la Rivoluzione d’Ottobre.

Non ci sono accostamenti storici di rilievo, le similitudini sono inesistenti o incongruenti ma, oltre al nome, questi due personaggi, chissà perché, mi suggeriscono una stessa conclusione nefasta delle loro gesta che, forse, li potrebbe accomunare. Non c’è niente di buono in simili personalità: stanno dalla parte sbagliata della storia.

Numero2429.

 

Segnalata e letta da Jennifer, in una piccola cerchia di amici del Tennis Club Martignacco.

 

Quando si parla della guerra, il pensiero corre subito alle armi a disposizione di una fazione e dell’altra. Protagoniste assolute dei conflitti, le armi hanno spesso fatto la differenza per ottenere la vittoria di uno scontro armato. Oggi leggiamo una breve poesia di Bertolt Brecht che accosta alla forza di questi strumenti un altro tipo di forza, in grado di sopprimere anche la violenza delle guerre. Ecco “Generale, il tuo carro armato è un’arma potente”, una poesia di Bertolt Brecht che costituisce un vero e proprio inno all’umanità.

 

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente

 

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
spiana un bosco e sfracella cento uomini.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante.
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
Può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

 

N.d:R. : con tutto il rispetto per Bertolt Brecht e per il valore del suo pensiero  lirico, che condivido ed apprezzo, nella seconda strofa io avrei scritto che il bombardiere ha bisogno di un pilota per volare. Un meccanico potrebbe anche non saperlo guidare; di solito fa le riparazioni.

 

Il valore delle nostre scelte

 

“Generale, il tuo carro armato è una macchina potente” è un breve componimento in cui Bertolt Brecht si avvicina al tema della guerra rivolgendosi in prima persona a un generale, oggetto dell’anafora ripetuta in tutte e tre le strofe che compongono la poesia. Le tre quartine si configurano tutte come un dialogo in cui il generale è il destinatario di una verità per lui scomoda: il carro armato della prima quartina, tanto quanto il “bombardiere” della seconda, sono armi potenti, capaci di distruggere tutto ciò che si trova dinanzi ad essi. C’è un però: entrambi hanno bisogno dell’essere umano per essere manovrati e adoperati.

Né la quantità sillabica, né le rime, vengono attenzionate da Bertolt Brecht nella versione originale del componimento. Brecht si preoccupa soltanto di creare assonanze e armonia, senza rendere i versi troppo ridondanti o studiati. Il risultato è una poesia che spiazza per la sua semplicità e per la scorrevolezza che la contraddistingue. Il messaggio si srotola come un gomitolo, che nell’ultima quartina giunge alla meta finale: non importa quante armi distruttive possegga l’uomo. La guerra non dipende da esse. Dipende dalla volontà degli uomini, dalle loro scelte, perché: “Generale, l’uomo fa di tutto./Può volare e può uccidere./Ma ha un difetto:/può pensare”. Una poesia che costituisce un autentico inno all’umanità, che ha il potere di decidere le sorti del mondo discernendo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato.

Bertolt Brecht

 

Eugen Bertolt Friedrich Brecht, conosciuto come Bertolt Brecht, nasce in Germania nel 1898 in una famiglia borghese. Cresce schivo e solitario; i frequenti problemi di salute gli impediscono di trascorrere un’infanzia spensierata. Nel 1913 comincia a scrivere i suoi primi componimenti. Prosegue gli studi con scarso interesse, più appassionato all’arte, al cinema e alla letteratura.

Quando nel 1920 muore la madre, Bertolt Brecht rompe tutti i legami con Augusta, la città di origine, e si trasferisce a Monaco, città culturalmente ricca e vivace. Qui, infatti, Brecht si entra a far parte della Lachkeller, la “Cantina delle risate”, un gruppo diretto dal famoso cabarettista Karl Valentin, che si esibisce in spettacoli comici e clowneschi.

Questa esperienza influenza moltissimo il lavoro dell’autore che, in questo periodo caratterizzato dalle espressioni dadaiste e futuriste, si interessa sempre di più ai poeti ribelli, come i francesi Villon, Rimbaud e Verlaine e il drammaturgo tedesco Büchner.

I componimenti di Brecht, che prima erano più incentrati sul patriottismo e sulla grandezza della Germania, adesso si focalizzano sulla povertà del popolo: la fame, la guerra, la miseria, l’emarginazione e la povertà sono tematiche che il poeta tratta facendo uso della pietas e riesumando la forma semplice e tradizionale della ballata.

Bertolt Brecht diventa sempre più famoso. Gira l’Europa e conosce molti intellettuali dell’epoca. Alcune delle sue opere teatrali causano tensioni con i governi dei paesi in cui esse vengono rappresentate, come avviene più volte a Berlino Est. Il suo teatro, che ha fortemente influenzato l’arte scenica del Novecento, lo rende celebre in tutto il mondo e lo fa entrare a pieno diritto nel canone artistico e letterario europeo. Muore nel 1956, a causa di un infarto cardiaco che è solo il culmine di un lungo periodo di malattia.

Numero2428.

 

IN QUESTA VITA, MORIRE NON È UNA NOVITÀ,

MA, DI CERTO, NON LO È NEMMENO VIVERE.

 

 

I Russi stanno scrivendo col sangue ( Ucraino) alcune delle più brutte pagine della storia dell’umanità.

 

Scrivere col sangue (proprio) per, poi, impiccarsi ad appena 30 anni, è stata la macabra performance di un elevato ed eletto spirito, interprete della cultura artistica Russa, il poeta Sergéj Esénin.

 

 

La notte del 27 dicembre 1925, in un albergo di San Pietroburgo, il poeta russo Sergei Esenin (o Sergej Yesenin, 1895-1925, pronuncia: Serghiéi Iessénin) si tagliava le vene e col sangue appena sgorgato scriveva la sua ultima composizione. 

È una poesia d’amore e d’addio per il poeta Anatoli Marienhof (o Anatolij Mariengof), che era stato suo amante (e per un certo tempo anche convivente) negli ultimi quattro anni della sua vita.

Quelle righe, l'”Addio a Marienhof“, sono spesso citate da chi parla di Esenin, ma sempre nascondendo il fatto che sono l’estremo saluto all’uomo amato:

 

Arrivederci, amico mio, arrivederci,
tu sei nel mio cuore.
Una predestinata separazione
un futuro incontro promette.
Arrivederci amico mio, 
senza strette di mano e parole,
non rattristarti e niente
malinconia sulle ciglia:
morire in questa vita non è nuovo,
ma più nuovo non è nemmeno vivere 

Quella notte, fosse questa l’ultima chance offertagli dal destino o fosse imperizia, il taglio delle vene non risultò fatale: Esenin sopravvisse. Come spesso avviene in questi casi egli fece allora un ultimo gesto di richiesta d’aiuto, cercando di farsi bloccare dagli altri prima di compiere il gesto irreparabile: la poesia scritta col sangue fu consegnata a un amico, Elrich, che però non ebbe il tempo per leggerla immediatamente.Fu così che nessuno arrivò in tempo per fermarlo la notte successiva, quando nel medesimo albergo Esenin ripeté con successo il tentativo di suicidio, impiccandosi. Aveva appena trent’anni.

La sua carriera era stata folgorante e aveva toccato i vertici della fama mondana: un destino questo che arride a pochissimi poeti. Eppure quando morì la fama mondana, incostante, iniziava ad abbandonarlo con la stessa capricciosa rapidità con cui lo aveva toccato, complice anche la soffocante atmosfera della Russia di Stalin.


Figlio di contadini benestanti, Esenin era cresciuto in campagna, presso i nonni assai tradizionalisti. Fu la descrizione e la nostalgia di questo mondo agricolo e arcaico (destinato a sparire pochi anni dopo nel dramma della Rivoluzione sovietica) che gli fece toccare le sue corde più sentite e lo rese celebre.

Esenin è un classico esempio di uomo “che si è fatto da sé”, o quasi, usando per farsi strada ora il talento artistico e ora (molto) la bellezza, due doti che la sorte gli aveva concesso con pari generosità:

 

Bello, affascinante e grande opportunista, Esenin arrivò a Pietroburgo nel 1915 all’età di vent’anni fermamente deciso a diventare un poeta famoso.
Per ottenere questo scopo Esenin si servì del suo fascino, dell’origine contadina (molto di moda in quel periodo) e, quando necessario, dell’attrattiva che esercitava sugli omosessuali. Le brevi relazioni con Sergej Gorodetskij e con Rjurik Ivnev gli aprirono molte strade letterarie.Nell’aprile 1915 Esenin scrisse al già celebre poeta Nikolaj Kljuev una lettera piena di ammirazione esprimendo il desiderio di incontrarlo. Come le memorie di Gorodetskij rivelano, Kljuev venne a Pietroburgo e “si impadronì di Esenin diventandone l’esclusivo possessore“.Nei due anni seguenti i due poeti lavorarono in coppia, ostentando simili e sgargianti costumi folkloristici, dando insieme letture di poesia e passando insieme molto del loro tempo. Le raccolte di poesie di Esenin di solito includono tre poesie d’amore per Kljuev del 1916, ma non specificano a chi queste poesie sono rivolte.Sergej Esenin fu bisessuale e per tutta la vita non seppe decidersi fra uomini e donne. Alla fine si staccò da Kljuev e si orientò verso i matrimoni molto pubblicizzati con l’attrice Zinaida Raich, con Isadora Duncan e con la nipote di Leone Tolstoj, per non parlare degli affari di cuore con signore e dei clandestini coinvolgimenti con uomini. Quello più duraturo di questi ultimi fu la relazione durata quattro anni con il poeta Anatolij Marienhof, al quale Esenin rivolse la bellissima poesia “Addio a Marienhof“.
Kljuev non riuscì mai a rassegnarsi alla perdita di Esenin, cantando nelle sue poesie la speranza che Esenin sarebbe tornato da lui, affermando che essi sarebbero rimasti coniugi negli annali della poesia” 

La carriera di Esenin inizia dunque grazie a relazioni con uomini in grado di “lanciarlo” sulla scena letteraria.La cerchia a cui si indirizza è ovviamente quella dei “poeti-contadini” della quale il giovane poeta Sergei Gorodecki (o Gorodeckij, 1884-1967) è un po’ il teorico.
Oltre tutto, suo amante e protetto era già stato in precedenza un altro poeta gay che cantava la Russia rurale, il già citato Nikolai Kljuev (o Nikolaj Kluev, 1887-1937).

Nelle sue Memorie Gorodecki descrive il suo incontro con Esenin in termini trasparenti: Esenin

 

era incantevole, con quella sua voce melodiosa da monello, con quei suoi riccioli biondo chiarissimo, (…) con quei suoi occhi blu… Esenin venne a stare a casa mia. Alleviai le sofferenze del suo cammino con le mie lettere di presentazione per tutte le relazioni che conoscevo

Le “lettere di presentazione” del primo amico furono sfruttate al meglio, e in breve, come abbiamo visto, Esenin divenne (dal 1915 al 1917) partner inseparabile di Kljuev, assieme al quale mise in piedi veri show folkloristico-poetici (accompagnati dalla fisarmonica suonata da Esenin), che fecero discutere la società “bene” e portarono fama al giovane poeta (la cui carriera non fu danneggiata dalla chiamata alle armi)
In quegli anni e in quelli successivi Esenin fece di tutto per conquistarsi una fama da “teppista“, concedendosi atteggiamenti genettiani che riempirono di deliziato scandalo i salotti pietroburghesi. 
Le pose di Kljuev ed Esenin vanno insomma viste come una vera attività “promozionale” che centrò il bersaglio: se i due vivessero oggi sarebbero di certo star televisive

Così un contemporaneo, Cerniavskij, descrisse nel dicembre 1915 il sodalizio fra i due:

Kljuev ha completamente sottomesso il nostro Sergej: gli lega la cintura, gli accarezza i capelli, se lo mangia con gli occhi” 

Lo stesso si affretta però ad aggiungere che la sana virilità di Esenin fu tale che non è nemmeno concepibile che egli abbia reciprocato le attenzioni erotiche di Kljuev e degli altri omosessuali!
 In realtà la disinvoltura erotica di Esenin fu molto maggiore di quanto Cerniavskij pensasse. Non appena ebbe ottenuto dagli uomini quel “lancio” che desiderava, Esenin passò infatti senza esitazioni a costruirsi una fama più “regolare”, usando le donne nello stesso modo in cui fin lì aveva usato gli uomini. 
Esenin passò così attraverso tre matrimoni: le mogli avevano tutte nomi tali da garantire l’interessamento delle cronache mondane.

Dalla prima moglie, l’attrice Zinaida Raich, Esenin ebbe due figli, ma il matrimonio, avvenuto nel 1917, nel 1920 era già fallito, e si concluse con un divorzio.

La seconda moglie, la danzatrice americana lesbica Isadora Duncan (1878-1927) lo conobbe nel 1921. Nonostante i due non parlassero nessuna lingua comprensibile a entrambi, fu “amore a prima vista”: le nozze avvennero nel 1922.

Fu un’astuta mossa promozionale per entrambi.

La Duncan si garantì l’attenzione del pettegolezzo mondano esibendo per il mondo quel folcloristico pezzo di marcantonio di poeta russo scapigliato, mentre per Esenin essere “marito della grande Isadora Duncan”, idolatrata in tutto il mondo, non costituì certo uno svantaggio…

Tuttavia

molto si è discusso sull’amore di Esenin per Isadora, se amò lei o la sua fama. 
Forse però sarebbe meglio cogliere come naturalmente si integrino nel poeta la compiaciuta astuzia contadina, la filosofia da arrampicatore sociale e l’esibizionismo da gran parvenu
Comechessia il periodo estero del rapporto non solo distrusse la possibilità di vivere insieme, ma disintegrò durevolmente la vita di entrambi” 

In effetti già nel 1923 arrivò il divorzio dalla Duncan e il ritorno definitivo in Russia, dove però attendeva Esenin un periodo sempre più cupo (il poeta ebbe fra l’altro seri problemi di alcolismo e subì un internamento in clinica psichiatrica).Poco prima di morire Esenin fece un estremo sforzo di regolarizzare la propria vita, sposando il 18 settembre 1925 Sofija Andreevna Tolstaja, ma il tentativo fu vano. 

Eppure, nonostante le vicissitudini, la produzione poetica di Esenin si mantenne di alto livello fino all’ultimo.


Pur avendo, come tutti, i suoi limiti, Esenin fu indubbiamente una persona di gran fascino, capace di suscitare quelle passioni che lasciano per sempre un segno. Basti pensare a come, dopo tanti anni di separazione, alla notizia della sua morte Kljuev scrivesse una lunga poesia in cui vibra ancora l’amore d’un tempo:

 

Bambino mio carissimo, dolce disgraziato,
ogni difetto ha nascosto il coperchio della bara;
perdona me, uomo disonesto, che per troppa rozzezza
non ti ho pianto con un suono dorato di campane.
(…)
Oh, seppellirsi con te nella bara,
nella rena gialla, ma senza quel laccio al collo!…
Ma è vero o no, che lungo le strade della Russia
si può trovare un fiore più azzurro dei tuoi occhi?
Sconsolato, mi è rimasto solo un amaro assenzio:
vedovo sono rimasto, come un forno senza scopino” .

La fama del poeta-contadino, che era stato così celebre in vita, subì un’eclisse dopo la morte: Stalin mise addirittura al bando la sua opera e non c’è dubbio che se Esenin fosse vissuto più a lungo avrebbe condiviso il fato di Kljuev, che fu deportato in Siberia e vi morì nel 1937.Solo con la “destalinizzazione” la poesia di Esenin ha potuto circolare di nuovo anche in patria (“ovviamente” depurata da ogni allusione omosessuale) ed esservi riconosciuta come una delle più importanti della letteratura russa (e non solo) del Novecento.

Negli ultimi decenni l’opera di Esenin ha goduto nuovamente di un buon successo di pubblico: in Italia una sua poesia del 1920, la “Confessione d’un malandrino”, è addirittura diventata un best-seller popolare, nella traduzione di Renato Poggioli, come canzone musicata e cantata da Angelo Branduardi:

 

Mi piace spettinato a camminare
col capo sulle spalle come un lume
e così mi diverto a rischiarare
il vostro triste autunno senza piume” .

Insomma: anche da morto Esenin ha conservato il dono di piacere. Segno che il suo fascino andava ben al di là dei ricci biondi e degli occhi azzurrissimi che lo hanno fatto amare dagli uomini e dalle donne.

 

Per chi volesse approfondire la conoscenza di questo giovane poeta Russo, SERGÈJ ESÈNIN (1895-1925), pubblico qui, da WIKIPEDIA, un trattato di LEV TROTSKY ( 1879-1940), il famoso politico, rivoluzionario della Rivoluzione d’Ottobre, nato nell’Ucraina allora ancora Russa, sulla sua figura e personalità artistica:

 

“Abbiamo perso Esenin, un poeta così meraviglioso, così fresco, così vero. E in che modo tragico l’abbiamo perso! È andato via da solo, ha salutato col sangue l’amico indefinito, magari tutti noi. Questi suoi versi sono impressionanti per quanto riguarda la loro dolcezza e leggerezza! Ha abbandonato la vita senza un grido di rancore, senza una nota di protesta – non sbattendo la porta, ma accompagnando la chiusura con la mano, una porta dalla quale grondava sangue. In questo posto l’aspetto poetico e umano di Esenin è scoppiato in un’indimenticabile luce di addio. Esenin componeva scottanti canti ”di un teppista” e tradiva i versi nelle maliziose osterie di Mosca. Lui non di rado ha fatto uso del gesto violento, della parola aggressiva. Ma nonostante ciò rimaneva in lui la dolcezza particolare di un animo insoddisfatto, indifeso. Esenin si nascondeva dietro l’aggressività, si nascondeva ma non è riuscito a nascondersi. Non ce la faccio più, ha detto il poeta il 27 dicembre vinto dalla vita, ha detto senza gesta di sfida e senza rimproveri… Ci tocca parlare della sua insolenza perché Esenin non scriveva solo poesie ma mutava il suo modo di comporre a causa delle condizioni del nostro tempo non del tutto delicato e assolutamente rigido.

Si nascondeva dietro ad una maschera spavalda pagando questa sua scelta volontariamente con la corruzione dell’anima. Esenin si sentiva sempre estraneo. Non è per lodarlo, proprio a causa di questa estraneità abbiamo perso Esenin. Ma non è nemmeno per rimproverarlo: ha senso lanciare il rimprovero affinché raggiunga il più lirico dei poeti, che non siamo riusciti a proteggere per noi? Il nostro tempo è un tempo severo, magari uno dei più severi della storia dell’uomo cosiddetto civilizzato. E lui invece di essere un rivoluzionario, nato per vivere in questi decenni, era ossessionato da un severo patriottismo della sua epoca, della sua patria, del suo tempo. Esenin non era un rivoluzionario. Autore di Pugacev e de La Ballata dei ventisei era un poeta lirico. E la nostra epoca non è lirica. È questa la causa fondamentale per cui autonomamente e così presto, si è allontanato per sempre da noi e dalla sua epoca. Le radici di Esenin sono profondamente popolari e, come ogni sua cosa, la sua identità popolare era autentica. Di questo, senza dubbio, vi è testimonianza non in un poema che narra della rivoluzione, ma ancora una volta in una sua lirica:

”Silenziosamente nel bosco folto di ginepri vicino al dirupo

l’autunno, giumenta arancione, si gratta la criniera”

L’immagine dell’autunno e molte altre immagini lo hanno plasmato sin dall’inizio, come l’immotivata spavalderia. Ma il poeta ci ha posti di fronte alle radici cristiane della propria cultura e ci ha obbligati accoglierle dentro di noi. Fet non avrebbe detto così e nemmeno Tjutcev. Risultano forti in Esenin le radici cristiane, riflesse e modellate dal talento. Ma è nella fortezza della sua cultura cristiana che risiede la motivazione della debolezza personale di Esenin: dal passato lo hanno strappato con le radici, radici che nel presente non hanno attecchito. La città non lo ha rafforzato, ma lo ha fatto traballare e lo ha estraniato. Il viaggio all’estero, in Europa e oltre oceano, non lo ha raddrizzato. Lo ha accolto più calorosamente Teheran rispetto a New York. La sua lirica, proveniente da Riazan, ha trovato più popolarità in Persia che nei centri culturali europei e americani. Esenin non era né ostile alla rivoluzione né etraneo ad essa; anzì, tendeva sempre verso di lei, da un lato nel 1918:

”Mia madre – Patria, sono un bolscevico”

dall’altro lato, negli ultimi anni:

”Adesso nel paese dei Soviet,

sono il più impetuoso compagno di strada”

La rivoluzione ha fatto irruzione sia nella struttura della sua poesia sia nelle immagini, soprattutto per mezzo delle citazioni, successivamente con i sentimenti. Nella catastrofe del passato, Esenin non ha perso nulla e non ha rimpianto nulla della catastrofe. No, il poeta non era estraneo alla rivoluzione – lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Esenin era intimo, tenero, lirico – la rivoluzione è pubblica, epica, catastrofica. Per questo la breve vita del poeta si è troncata in maniera così catastrofica. Si dice che ognuno di noi porta dentro di sé la molla del proprio destino, ma la vita dispiega questa molla fino alla fine. In questo c’è solo una parte di verità. La molla dell’attività letteraria di Esenin, dispiegandosi, si è infranta sul limite dell’epoca, si è rotta. Esenin ha tante strofe preziose, colme di avvenimenti. Di questi è circondata tutta la sua attività letteraria. Allo stesso tempo Esenin è estraneo. Non è il poeta della rivoluzione.

”Sono pronto ad andare lungo il terreno già battuto,

darò tutta l’anima all’Ottobre e al Maggio

Ma solo la lira non darò alla cara ndr. rivoluzione”

La sua molla lirica avrebbe potuto dispiegarsi fino alla fine solo a condizione di avere una società armoniosa, felice, in cui non regna il conflitto ma l’amicizia, la tenerezza, la partecipazione. Questo periodo arriverà. Dopo il periodo attuale, in cui si nascondono ancora spietati e salvifici scontri uomo contro uomo, arriveranno altri tempi, gli stessi che si stanno preparando con gli scontri odierni. L’essere umano allora sboccerà del suo autentico colore. E assieme a lui, la lirica. La rivoluzione per la prima volta non solo riconquisterà il diritto al pane per ogni uomo, ma anche alla lirica. A chi stava scrivendo Esenin col sangue prima di morire? Magari ha interloquito con un amico che non è ancora nato, con un uomo del futuro che qualcuno sta preparando con il conflitto, Esenin con i canti. Il poeta è morto perché lui e la rivoluzione non erano fatti della stessa pasta. Ma, nel nome del futuro, lei lo adotterà per sempre. Esenin era teso verso la morte sin dai primi anni della sua attività letteraria, consapevole della propria fragile condizione interiore. […]

Solo adesso, dopo il 27 dicembre, magari tutti noi, conoscendo poco o non conoscendo affatto il poeta, possiamo apprezzare fino alla fine la sincerità intima della lirica eseniana in cui quasi ogni verso è scritto col sangue delle vene tagliate. Lì c’è una pungente amarezza data dalla perdita. Ma non uscendo dal proprio circolo personale, Esenin trovava un conforto malinconico e toccante nel presentimento della sua imminente scomparsa:

”E, l’ascolto del canto nel silenzio

L’amata mia in compagnia di un altro amato

Magari si ricorderà di me

Come di un ineguagliabile fiore”

E nella nostra coscienza la ferita dolorante e non ancora completamente rimarginata si consola al pensiero che questo meraviglioso e autentico poeta a modo suo ha raccontato la sua epoca e l’ha arricchita di canti, parlando d’amore in modo innovativo, del cielo azzurro, caduto nel fiume, della luna, che come un agnello pascola nel cielo, e dell’ineguagliabile fiore, di se stesso. Durante le sue celebrazioni non vi deve essere nulla di triste o decadente. La molla, posta nella nostra epoca, è smisuratamente più forte della molla personale posta in ognuno di noi. La spirale della storia si dispiegherà fino alla fine. Non bisogna opporsi ad essa ma aiutare i pensieri e le volontà con consapevoli sforzi. Stiamo preparando il futuro! Continueremo a conquistare per ciascuno il diritto al pane e il diritto al canto. È morto il poeta. Evviva la poesia! È caduto nel burrone un bambino indifeso. Evviva la vita ricca di attività artistica, in cui fino all’ultimo minuto Sergej Esenin ha intrecciato i fili preziosi della sua poesia.”

 

Numero2426.

 

13  COSE  CHE  LE  PERSONE  MENTALMENTE  FORTI  NON  FANNO

DAL BEST SELLER INTERNAZIONALE DELLA PSICOTERAPEUTA  AMY MORIN.

 

Non cercare di compiacere il mondo

Non rinunciare al tuo potere

Non preoccuparti del successo degli altri

Non perdere tempo a compatirti

Non avere paura del cambiamento

Non sentire che il mondo ti deve qualcosa

Non fare sempre lo stesso errore

Non rimanere bloccato nel passato

Non avere paura di rischiare

Non arrenderti dopo il primo fallimento

Non concentrarti su quello che non puoi controllare

Non aspettarti risultati immediati

Non evitare di stare da solo.