Numero1142.

LA MACCHINA DEL TEMPO

Tra le invenzioni mitiche che potrebbero rivoluzionare la vita degli uomini, la “macchina del tempo” è quella che, da sempre, ha affascinato geni, inventori e, ovviamente, scrittori di tutte le nazionalità e di tutte le epoche storiche. E, negli anni settanta, sembrò che tale possibilità potesse passare da un piano teorico a quello pratico. Per merito di un uomo, Pellegrino Alfredo Maria Ernetti.
Non un uomo qualsiasi, ma un autentico erudito e, cosa più importante, un prete. Sì, perché si trattava di un monaco Benedettino, con fama di esorcista e studioso di musica, conosciuto a livello internazionale, titolare dell’unica cattedra al mondo di musica prepolifonica.
La notizia esplose come una bomba, quando la Domenica del Corriere, nel numero 18 del 2 Maggio 1972,riportò il testo di un’intervista, fatta a padre Ernetti, sugli esperimenti eseguiti con altri fisici (tra i quali va citato Enrico Fermi), circa 30 anni prima, che avevano portato alla costruzione di un apparecchio denominato “macchina del tempo”, capace di trasportare lo spettatore indietro nel tempo, come se stesse guardando la TV, in un qualsiasi punto  o momento scelto fra la miriade di avvenimenti passati.
Padre Ernetti parlò della sua rivoluzionaria invenzione con l’inviato del settimanale, Vincenzo Maddaloni, spiegandogli, nel dettaglio, sia come era giunto alla costruzione dell’apparecchio, sia le cose alle quali aveva assistito, nel corso della sperimentazione della “macchina”.Raccontò di aver ascoltato e visto un discorso di Mussolini, di aver visto Napoleone Bonaparte mentre pronunciava il discorso sulla abolizione della Repubblica della Serenissima.
L’apparecchio miracoloso era costituito da una serie di antenne, utili a sintonizzarsi sull’avvenimento prescelto, funzionante sullo stesso principio utilizzato dagli astronomi per osservare il collasso delle stelle e delle galassie, basato sull’ipotesi che tutto quello che accade si trasforma in onde visive che, lungi dal distruggersi, si trasformano in una fonte di energia e che permangono in una sorte di cappa che avvolge la terra. Basta saperle captare per vedere la moviola della storia.

 

Numero1141.

Se noi ci trovassimo su un’astronave, lontana circa 160 anni luce dalla terra, e puntassimo un potentissimo cannocchiale sull’Italia, sapete cosa potremmo vedere in diretta? Lo sbarco dei Mille a Marsala, al comando di Garibaldi. Sorpresi? Eppure, è proprio così. Sappiamo che la luce viaggia velocissima e la luce del sole impiega circa 8 minuti per arrivare a noi: quando noi guardiamo il sole, lo vediamo così, com’era, e dov’era, 8 minuti fa. Quando noi guardiamo Sirio (la stella più luminosa, distante 100 anni luce da noi), la vediamo com’era e dov’era 100 anni fa. Ci sono stelle distanti da noi qualche miliardo di anni luce e, quindi, ciò che noi vediamo è soltanto qualcosa che, magari, non esiste più da 500 milioni di anni….eppure, noi le vediamo!
Se noi volessimo, oggi Febbraio 2019,  sapere chi ha ucciso Kennedy , nel novembre 1963, basterebbe situarsi in un luogo distante circa 56 anni luce da noi e aspettare che l’immagine dell’assassinio (partita 56 anni fa e che sta viaggiando per l’universo alla velocità della luce), arrivi: con un potente cannocchiale, potremmo renderla chiara e, finalmente, scoprire come sono andate effettivamente le cose. Potremo riscrivere la storia in maniera corretta, vedendo con i nostri occhi come sono andate davvero le cose quando Giulio Cesare è morto, quando Gesù Cristo è resuscitato,, quando Garibaldi ha riunito l’Italia. Un po’ come la moviola (o il VAR) per il calcio alla TV, riproponendo le azioni delle partite. Una grande moviola storica: tutti i fatti, non più raccontati dai libri di storia (sempre, più o meno, di parte), ma vissuti in prima persona, come spettatori.
Sembra che uno strumento così fantascientifico esista veramente… e che, come al solito, la realtà superi la fantasia.
L’hanno chiamata LA MACCHINA DEL TEMPO.

Numero1140.

Per ristabilire il legame col divino, occorre che, “prima togliamo dalle nostre spalle la grieve somma di errori che ne trattiene”. È lo “spaccio”, cioé l’espulsione di ciò che ha deteriorato quel legame:  le “bestie trionfanti”.
Le “bestie trionfanti” sono immaginate nelle costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre “spacciarle”, cioè cacciarle dal cielo, in quanto rappresentanti vizi che è tempo di sostituire con altre virtù: via, dunque, la Falsità, l’Ipocrisia, la Malizia, la “Stolta Fede”, la Stupidità, la Fierezza, la Fiacchezza, la Viltà, l’Ozio, l’Avarizia, l’Invidia, l’Impostura, l’Adulazione e via elencando. Occorre tornare alla semplicità, alla verità e all’operosità, ribaltando le concezioni morali che si sono ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli affetti eroici sono privi di valore, dove credere senza riflettere è sapienza, dove le imposture umane sono fatte passare per consigli divini, la perversione della legge naturale è considerata libertà religiosa, studiare è follia, l’onore è posto nelle ricchezze, la dignità nell’eleganza, la prudenza nella malizia, l’accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella tirannia, il giudizio nella violenza.
Responsabile di questa crisi è il Cristianesimo. Già Paolo aveva operato il rovesciamento dei valori naturali e Lutero, “macchia del mondo” ha chiuso il ciclo: la ruota della storia, della vicissitudine del mondo, essendo giunta al suo punto più basso, può operare un nuovo e positivo rovesciamento dei valori.
Nella nuova gerarchia dei valori, il primo posto spetta alla Verità, necessaria guida per non errare. A questa segue la Prudenza, la caratteristica del Saggio che, conosciuta la Verità, ne trae le conseguenze con un comportamento adeguato. Al terzo posto Giordano Bruno inserisce la Sofia, la ricerca della Verità; quindi, segue la Legge, che disciplina il comportamento civile dell’uomo; infine, il Giudizio, inteso come aspetto attuatorio della Legge.
Bruno fa, quindi, discendere la Legge dalla Sapienza, in una visione naturalistica nel cui centro c’è l’uomo che opera cercando la Verità, in netto contrasto col Cristianesimo di Paolo, che vede la Legge subordinata alla liberazione dal Peccato, e con la Riforma di Lutero, che vede nella “sola fede” il faro dell’uomo. Per Bruno la “gloria di Dio” si rovescia, così, in “vana gloria” e il patto fra Dio e gli uomini, stabilito nel Nuovo Testamento, si rivela “madre di tutte le forfanterie”. La Religione deve tornare ad essere “religione civile”: legame che favorisca la “communione de gli uomini”, la “civile conversazione”.
Altri valori seguono i primi cinque: la Fortezza (forza d’animo), la Diligenza, la Filantropia, la Magnanimità, la Semplicità, l’Entusiasmo, lo Studio, l’Operosità, eccetera. E, allora, vedremo, conclude beffardo Giordano Bruno, “quanto siano atti a guadagnarsi un palmo di terra, questi che si sono cossì effusi e prodighi a donar regni de’ cieli”.

Numero1139.

 

There are people who spend their lives

doing things they detest,

to make money they don’t want,

to buy things they don’t need,

to impress people they dislike.

 

Ci sono persone che passano la vita
a fare cose che detestano,
per fare soldi che non desiderano,
per comprare cose di cui non hanno bisogno,
per creare impressione in persone
per cui nutrono antipatia.

Emile Henry Gauvreau.

Numero1138.

BOLLETTINO  DI   GUERRA   N° 1268

Comando Supremo,

4  Novembre  1918  ore  12.

L’ Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime,  nell’accanita resistenza dei primi giorni e, nell’inseguimento, ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e, pressoché per intero, i suoi magazzini e depositi. Ha lasciato finora, nelle nostre mani, circa trecentomila prigionieri con interi Stati Maggiori e non meno di cinquemila cannoni.
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono, in disordine e senza speranza, le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.

Armando Diaz
Comandante Supremo
del Regio Esercito.

Numero1137.

 

THE  UNANIMOUS  DECLARATION  OF  THE   THIRTEEN  UNITED  STATES  OF  AMERICA.

 

Dichiarazione unanime dei 13 Stati Uniti d’ America.

 

When, in the course of human events, it becomes necessary for one people to dissolve the political bands which have connected them with another and to assume, among the powers of the earth, the separate and equal station to which the laws of nature and of nature’s God entitle them, a decent respect to the opinions of mankind requires that they should declare the causes which impel them to the separation.

 

Quando, nel corso delle vicende umane, diventa necessario per un Popolo sciogliere i legami politici che lo hanno vincolato ad un altro ed assumere, tra le potenze della terra, il rango eguale e separato al quale le leggi di natura e la natura di Dio gli danno diritto, il rispetto del giudizio del genere umano richiede che esso dichiari le ragioni che lo spingono alla separazione.

 

Congresso di Filadelfia,    4 Luglio 1776.

Numero1136.

 

‘A   L I V E L L A

di  Totò   (Antonio De Curtis).

 

 

Ogn’anno, il due Novembre, c’è l’usanza
di andare, per i defunti, al cimitero.
Ognuno ll’ha dda fa’ chista crianza,
ognuno ha dda tené chistu penziero.

Ogn’anno, puntualmente, nel giorno
di chista triste e mesta ricorrenza,
pur’io ci vado e, con i fiori, adorno
il loculo marmoreo ‘e zi’  Vicenza.

‘St’anno m’è capitata ‘n’avventura.
Dopo di aver compiuto il triste omaggio,
Madonna, si ce pienzo, che paura!
Ma po’ facette un’anema ‘e curaggio.

‘O fatto è chisto, statemi a sentire.
S’avvicinava ll’ora d’ ‘a chiusura
e io, tomo tomo, stavo per uscire,
buttando l’occhio su qualche sepoltura.

QUI DORME IN PACE IL NOBILE MARCHESE
SIGNORE DI TREVISO E DI BELLUNO
ARDIMENTOSO EROE DI MILLE IMPRESE
MORTO L’ 11 MAGGIO DEL 31.

‘O stemma cu ‘a curona ‘ncoppa a tutto…
…sotto,’na croce fatta ‘e lampadine,
tre mazze ‘e rose cu ‘na lista ‘e lutto,
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata ‘a tomba ‘e ‘stu signore
ce steva n’ata tomba piccerella,
abbandunata, senza manco un fiore,
pe’ segno, sulamente ‘na crucella.

E ‘ncoppa ‘a croce, a stento si liggeva:
ESPOSITO GENNARO NETTURBINO.
Guardannola, che ppena me faceva
‘stu muorto, senza manco nu lumino!

Chista è ‘a vita, – ‘ncapo a me penzavo-
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
‘Stu povero maronna s’aspettava
ca pure all’atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo ‘stu penziero,
s’era gia fatta sera e quase notte,
e i’ rummanette chiuso priggiuniero,
muorto ‘e paura…’nnanze ‘e cannelotte.

Tutto a ‘nu tratto, che veco ‘a luntano?
Doje ombre avvicenarse ‘a parte mia…
Penzaje: ‘stu fatto a me mme pare strano…
Songo scetato, …duormo, o è fantasia?

Ate che fantasia: era ‘o Marchese,
c’ ‘o tubbo, ‘a caramella e c’ ‘o pastrano;
chill’ato, appriesso ‘a isso, male in arnese,
tutto fetente e cu ‘na scopa ‘n ‘mmano,

e chillo, certamente è don Gennaro,
‘o muorto puveriello… ‘o scupatore.
‘Int’a ‘stu fatto i’ nun ce veco chiaro:
so’ muorte e se retireno a chist’ora?

Putevano stà ‘a me quase ‘nu palmo,
quando ‘o Marchese se fermaje ‘e botto,
s’avota e, tomo tomo, …calmo calmo,
dicette a don Gennaro: “Giovanotto!

Da voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me, che sono un blasonato?!

La casta è casta e va, sì, rispettata,
ma voi perdeste il senso e la misura:
la vostra salma andava, sì, inumata,
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la vostra vicinanza puzzolente!
Fa d’uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i pari vostri, tra la vostra gente”.

“Signor Marchese, nun è colpa mia.
i’ nun v’avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa’ ‘sta fessaria,
i’ che putevo fa’ si ero muorto?

Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse ‘a casciulella cu ‘e qquatt’osse,
e, proprio mo, obbj …’nd’a ‘stu mumento,
mme ne trasesse dint’ a n’ata fossa”.

“E che cosa aspetti, oh turpe malcreato,
che l’ira mia raggiunga l’eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato,
avrei già dato piglio alla violenza!”

“E famme vedé… e piglia ‘sta violenza!
‘A verità, Marché, mme so’ scucciato
‘e te sentì, e, se perdo ‘a pacienza,
mme scordo ca so’ muorto e so’ mazzate!

Ma chi te cride d’essere…nu ddio?
Ccà dinto, ‘o vvuò capì ca simmo eguale?
Muorto si’ tu e muorto so’ pur’io,
ognuno, comm’ a’ nato, è tale e qquale!”

“Lurido porco,!… Come ti permetti
paragonarti a me ch’ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?”

“ma qua’  Natale …Pasca e Ppifania!!
T’ ‘o vvuò mettere ‘ncapo…’int’a cervella
che staje malato ancora ‘e fantasia?
‘A morte ‘o ssaje ched’è?…È ‘na livella.

‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo,
trasenno ‘stu canciello ha fatto ‘o punto
c’ha perzo tutto, ‘a vita e ppure ‘o nomme,
e tu, nun t’è fatto ancora chisto cunto?

Perciò, stamme a ssentì…nun fa’ ‘o restivo,
suppuorteme vicino,… che te ‘mporta?
‘Sti pagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo seri…appartenimmo ‘a morte!