Numero1850.

Ho letto “GENERAZIONE  SEX”, un testo divulgativo evidentemente in materia di sesso, scritto da Paul Joannides & Goofy Foot Press. Press vuol dire “stampa”; Foot vuol dire “piede” e Goofy è un aggettivo che significa “eccentrico, bizzarro, balzano”: Goofy Foot è un termine strettamente tecnico legato al mondo del surf. Così si definisce l’azione del surfista quando guida la tavola con il piede destro in avanti, anziché col sinistro (piede giusto). È un modo per orientarsi diversamente rispetto all’onda.
Insomma, Goofy Foot Press significa pressapoco Stampa Alternativa o Controcorrente. Tanto per dire che il taglio editoriale del libro è assolutamente anticonformista e bandisce i parrucconi della medicina e della morale, per dire tutto quello che si può sapere oggi sul sesso, senza peli sulla lingua e senza ipocrisia. Come piace a me.
È anche ben illustrato con espliciti ed eleganti disegni, più vicini all’arte che alla pornografia. Non è un libercolo, ha ben 700 pagine.

Riporto qualche curioso e, per me, interessante passaggio.

Ogni cultura ha la sua definizione di cosa sia maschile, femminile ed erotico.
Ecco alcuni esempi del modo in cui tali definizioni varino a seconda della cultura e dell’epoca.
Nei paesi mussulmani, le donne si coprono dalla testa ai piedi quando devono apparire in pubblico. A Hollywood, le donne appaiono in pubblico con indosso poche molecole di tessuto nero elesticizzato, che serve più a provocare che a coprire. Le donne di Hollywood ritengono che le loro controparti mussulmane siano prigioniere del sesso, mentre le donne mussulmane ritengono che le vere prigioniere siano quelle di Hollywood. Per un osservatore neutrale, potrebbe trattarsi di un pareggio. Una lettrice dice che nessuna delle due è prigioniera del sesso, perché entrambe usano il sesso per controllare le persone che le circondano!

In Giappone, è normale che la gente si spogli nuda e faccia il bagno assieme. Nessuno giudica erotico o scandaloso questo genere di nudità, ma Dio aiuti due giapponesi che osano baciarsi in pubblico.
Nella nostra società è esattamente l’opposto; non c’è nulla di male nel baciarsi in pubblico, mentre esibirsi nudi è un crimine perseguibile.
Kim Edwards è una donna che ha insegnato inglese per due anni in un paese islamico integralista, per poi trasferirsi in Giappone. Nei paesi islamici, un corpo femminile esposto viene considerato strumento del diavolo e, di conseguenza, le donne si coprono dalla testa ai piedi per salvare le anime degli uomini. Dopo due anni vissuti in quel paese islamico, la signorina Edwards riferisce di aver iniziato letteralmente ad odiare il proprio corpo.
Quando, finalmente, si trasferì in Giappone, rimase sconvolta nel constatare che veniva trattata come una persona normale, a prescindere da ciò che indossava. Poteva persino fare il bagno nuda ai bagni pubblici, cosa per cui sarebbe stata lapidata nel paese islamico in cui viveva prima.

Negli Stati Uniti, non è affatto insolito che una ragazza di 18 anni, non sposata, abbia rapporti sessuali. Tra i più tradizionalisti fra gli arabi mussulmani, cristiani, drusi ed ebrei di posti come la riva occidentale del Giordano, in Palestina, o nella Striscia di Gaza, una ragazza che fa una cosa del genere rischia di essere brutalmente assassinata dai suoi stessi parenti per aver danneggiato “l’onore della famiglia”. Questo genere di omicidio, detto “d’onore”, viene sostenuto dall’intera famiglia della ragazza, nonché dagli abitanti del villaggio. Persino la madre e la sorella sarebbero d’accordo, per proteggere il nome della famiglia.

In Africa, quasi 80 milioni di donne sono state mutilate da piccole con il taglio brutale del clitoride e delle labbra interne. Questo genere di “operazione chirurgica” viene considerata un passaggio importante per l’ottenimento dello status di donna e, in molti casi, viene praticata dalle madri stesse.
Nel mondo occidentale, se una madre facesse una cosa del genere a sua figlia, verrebbe messa in galera. Naturalmente, le donne africane potrebbero controbattere che l’infibulazione ha lo stesso valore, dal punto di vista cosmetico e della femminilità, della nostra inclinazione alle plastiche chirurgiche al seno e chissà cosa penserebbe una donna africana di interventi come la liposuzione.

Nei quartieri ispanici di Los Angeles, molti uomini non si sentono tali finché non hanno messa incinta una donna (le hanno “dato un figlio”). Allo stesso modo, molte ragazze di cultura ispanica non si sentono realizzate finché non hanno messo al mondo un figlio. Trenta chilometri più ad ovest, nei Pacific Palisades e a Malibù (in California), avere un figlio è l’ultima cosa che una giovane coppia desidera. Se la ragazza rimane incinta, in molti casi, si ricorre all’aborto. Inoltre, una donna di Malibù si preoccuperebbe del fatto che potrebbe perdere il fisico, in molti casi anoressico, mantenuto negli anni con tante fatiche e rinunce, mentre una donna di cultura ispanica sarebbe felicissima della sensazione di pienezza data dal pancione.

Gay e lesbiche.

Molti pensano che gli uomini gay e le donne lesbiche siano simili, solo perché sono entrambi omosessuali. Poveri sciocchi. Per darvi un’idea di quanto possano essere diversi, eccovi una statistica.
Negli Stati Uniti, la maggior parte degli uomini gay ha contatti sessuali con almeno 100 partner diversi nel corso di una vita, mentre la media delle donne lesbiche va da due a cinque partner.
Inoltre, fra gli uomini gay meno del 20 percento ha fatto sesso con una donna, mentre fra le donne lesbiche oltre l’80 percento ha fatto sesso con uomini.
Secondo la sessuologa Ira Reiss, è impossibile stabilire lo stereotipo della donna lesbica.
Fra gli uomini gay, sono stati scoperti tratti distintivi di personalità e percorsi comuni che conducono all’omosessualità, mentre, fra le donne lesbiche, la Reiss è riuscita a scoprirne ben pochi.
Nella nostra “normale” società, le donne si possono abbracciare, tenere per mano e ballare tra loro, e ciò non viene considerato sintomo di omosessualità.
E gli uomini?
“Tempora mutantur et nos mutamur in illis”.
“I tempi cambiano e noi cambiamo con loro”. (N.d.R.)

Numero1849.

IL  VIGILANTES  BELLUNESE  CHE  HA  FERMATO  LE  AUTO SUL  BARATRO :  “NON  SONO  UN  EROE”.

Questo è il titolo di un articolo pubblicato Martedì 26 Novembre 2019 su GAZZETTINO.IT (versione digitale della omonima testata) a firma di una giornalista, Yvonne Toscani.

“Da domenica è il “vigilantes” più famoso d’Italia….”- così esordisce l’articolo – e, più oltre ribadisce, “Ho semplicemente fatto il mio dovere” afferma il 56enne “vigilantes”.

 

TORINO,  MINACCIA  CON  UNA  SIRINGA  VIGILANTES  DI  UN  SUPERMERCATO.

Quest’altro è il titolo di un articolo pubblicato il 1 Settembre 2018, su “la Repubblica”, a firma della giornalista Carlotta Rocci.

“…. A questo punto, il rapinatore ha preso una siringa ed ha minacciato il “vigilantes”, che però si è difeso con uno spray al peperoncino ed ha chiamato la polizia”.

 

La parola “vigilantes”, in entrambi i casi citati,  ed è ormai un’abitudine consolidata, si riferisce ad una singola persona.
Dai miei ricordi di studente del Liceo Classico, – e senza fare il professore – mi risulta che “vigilantes” è la prima persona plurale della voce “vigilans – vigilantis”, aggettivo participio presente del verbo “vigilare”.
La voce “vigilans – vigilantis”, con tutta la sua declinazione, significa “colui che vigila”.
La voce “vigilantes”, di questa declinazione, è la prima persona plurale e   significa, “coloro che vigilano”.
Pertanto non è appropriato adoperare un termine plurale, malaccortamente  riesumato, riferendosi ad un singolo. Meglio sarebbe, a mio modesto avviso, italianizzarlo semplicemente chiamando questa persona “vigilante”, voce esistente anche nel vocabolario italiano. Ma sembra che aggiungervi una “s”, che è di troppo, sia più esotico, faccia….più cultura o, magari dia più prestigio. Mah !

Un altro termine incriminato, a mio avviso, per uso improprio è:

“Catturandi” – così è stata chiamata una Squadra o Sezione Mobile della Polizia di Stato, che si occupa di investigare, perseguire ed assicurare alla giustizia pericolosi criminali, latitanti, mafiosi e via dicendo.

Nel giornalismo comune, si scrive, ad esempio: la Sezione “Catturandi” della Squadra Mobile della Questura di Palermo….
“Catturandi”, ( dal latino “captare”, iterativo, intensivo del verbo “capere”, che vuol dire “prendere”: il latino “captor” si traduce “cacciatore”), in italiano significa: “coloro che sono da catturare” o “che devono essere catturati”: prima persona plurale del gerundio passivo.
Ma, ad essere “catturandi” sono i malviventi!

Meglio sarebbe stato se, trattandosi di Poliziotti, li chiamavano “Catturanti” che, in Italiano, significa “coloro che catturano, o stanno per catturare, o, comunque, hanno il compito di catturare”, cioè i “catturatori”: prima persona plurale del participio presente del verbo in questione, insomma coloro che fanno, non subiscono, l’azione di catturare.
Così come “un gruppo di laureandi” significa “un gruppo di studenti universitari in procinto di ottenere una laurea, o essere laureati”, anche “un gruppo di catturandi” è, se riferito a forze dell’ordine, “un gruppo di poliziotti che stanno per subire una cattura, o essere catturati”.

A meno che non si voglia intendere “Sezione catturandi” come “la squadra che cattura coloro che devono essere catturati”, nell’infelice equivoco linguistico, forgiato nelle fumose officine del “burocratese”, sembra quasi che ci sia stato uno scambio di ruoli fra “guardie” e “ladri”. O no?