Numero2001.

 

D A   Q U I    I N I Z I A   I L    T E R Z O   M I L L E N N I O

 

N.d.R.   Dopo aver dedicato a mio figlio il Numero2000. di questa raccolta, a titolo del tutto personale, ho preparato, per inaugurare il “terzo millennio” della raccolta stessa, una pubblica edizione dei miei pensieri e sentimenti riguardo al nostro paese.

Quello che leggerete, qui di seguito, potrebbe apparire come la bozza del manifesto di un movimento o di un soggetto politico. Niente di tutto questo. No, no, e poi no. Questo è, e vuole essere, invece, solo una esternazione personale, uno sfogo autoconsolatorio, insomma, coma fa un bambino quando si succhia un dito. Mi parlo addosso, più che altro, e non ho secondi fini. Per parlare forbito, questo è un “anacolùto”, una figura retorica che vuol dire “senza seguito”.

 

STAVOLTA  SCRIVO  DI  POLITICA       (Una esercitazione di buon senso).

 

Ho sempre nutrito una certa idiosincrasia per il mondo della politica, ma, quotidianamente, come tutti, sono tampinato, bombardato dai telegiornali, dai talk show, dai dibattiti da salotto e non posso evitare di essere coinvolto nel  brusio del cicalare vuoto e fumoso di questo rituale pecoreccio.
Pur schivandole con risolutezza, ho, tuttavia, sempre seguito, da lontano, le vicende politiche di questo dopoguerra, perché è normale che ti interessi dei tuoi interessi: le scelte di campo, gli accadimenti storici, i mutamenti sociali, le ricadute economiche e gli adeguamenti alle vicende della vita richiedono una presenza conoscitiva costante e aggiornata, se non vuoi essere relegato a gestire, semplicemente da succube, l’inevitabile.
Dopo gli anni della giovinezza, quando gli interessi erano, magari, altri e diversi, dal periodo della maturità e della piena consapevolezza in poi, io mi sono identificato e collocato, anche e soprattutto attraverso il voto, nel “partito” che, da solo, senza coalizioni, è risultato sempre al primo o al secondo posto in tutte le elezioni degli ultimi 20 anni: quello dei “non votanti”. Semplicemente perché non c’è nessun partito, in Italia, nel quale io potrei riconoscermi. Né per i valori, né per i programmi, né tanto meno, per gli uomini. Lo ribadisco, nessuno.

Attualmente, stando alle statistiche delle ultime elezioni Europee del 2019, al netto di una fisiologica percentuale di “impossibilitati” al voto, per cause di salute, di assenza per lavoro ecc., il “raggruppamento”, per non chiamarlo “partito”, di coloro che non esprimono il voto o, che lo esprimono votando scheda bianca oppure scheda da annullare, è, manifestamente e incontestabilmente, il primo in Italia.

Invito tutti coloro che, leggendo questo Numero, non si saranno annoiati, a leggere anche un corollario molto interessante di quanto appena scritto, al Numero1999. Vi si parla di schede bianche e di dissenso. Segnalo anche il Numero2023 che parla di astensionismo e disamore per la politica.

Posso anche azzardarmi a dare delle indicazioni numeriche:
Alle Europee del 2019, ha votato il 56% degli Italiani.

I primi 3 partiti hanno ottenuto queste percentuali di voti:
Lega     34,3%
PD        22,7%
M5S     17,1%.

Dal 44% che non hanno espresso il voto, togliamo, per arrotondare, il 4% degli impossibilitati a votare (gli statistici dicono che è fisiologico un 3 – 5%). Pertanto, il “raggruppamento” di coloro che non hanno dato il loro voto raggiunge il 40%. A questa percentuale va aggiunto un 2 % abbondante di schede bianche e un 1% abbondante di schede annullate per precisa intenzione del votante. Ed è, di gran lunga, il primo partito.

Stando ai sondaggi pubblicati ieri, 14 Maggio 2020, le intenzioni di voto degli Italiani interpellati, sono queste:
Lega      26,6%
PD         21,0%
M5S      16,0%.
F.d. I.     14,2%
F.I.           6,7%
Altri       15,5%

E non credo che la percentuale di coloro che andrebbero a votare, alle prossime elezioni, sarebbe più alta del 56% delle ultime Europee. Comunque, se anche fosse un 60-65%, e sono generoso, non cambierebbe nulla.
In linea di massima, anche in questo caso, e senza ombra di dubbio, il primo partito sarebbe quello dei “non votanti”.

C’è qualcuno che tiene conto di questo tipo di espressione della volontà elettorale? E della sua valenza politica?
No, nessuno. “Gli assenti hanno sempre torto”: è un ritornello che ripetete da sempre, voi, Signori dei Partiti.
Ma, ne siete proprio sicuri?
Siete sicuri che l’anomalia è il 40% che non vi vuole, che non vota nessuno di voi o, invece, non siete voi, Partiti Italiani, la vera anomalia? Tutti insieme, nessuno escluso?
Tanto per dire, con riferimento al sondaggio di cui sopra, se faccio la sommatoria delle percentuali di tutti i partiti dello schieramento politico Italiano al 14 Maggio 2020 (tutti lo possono verificare), viene fuori questo dato:
Schieramento di Governo (cosiddetto delle 4 sinistre) : 43%.
Schieramento di Centro-Destra : 48,7%.
Siete sicuri che l’anomalia non siete voi?
Quello che governa l’Italia, in questo momento politico, sociale ed economico così delicato e difficile, è un Governo di minoranza, con il benestare delle opposizioni e dei Signori della Comunità Europea. Governo guidato, per di più, da un Premier nominato, cooptato ma non eletto. Zero voti.
E rappresenterebbe l’attuale volontà della maggioranza democratica Italiana?
Alla faccia della Democrazia!

Dove sta l’anomalia?
L’anomalia è che il “Partito” nel quale si riconoscono, o potrebbero riconoscersi, circa il 40% degli Italiani, non esiste!
E, vivaddio, dovrebbe esistere. Perché questo pastrocchio, che è l’attuale mondo della politica Italiana, ci sta portando alla rovina.
Come me, c’è un 40% di Italiani che non approva e non vota nessun partito fra quelli esistenti, oggi, nell’arco costituzionale. Siamo una “Maggioranza Silenziosa” di scontenti, che potrebbero e dovrebbero farsi sentire.
Ma questo non è un proclama: è una denuncia e un “grido di dolore”, quasi risorgimentale.
Purtroppo, lascerà il tempo che trova.

 

Ma, solo per assurdo, se questo “Partito Fantasma” del 40% potesse esistere, come dovrebbe essere, quali programmi, valori e principi fondanti dovrebbe rappresentare, quali caratteri potrebbero qualificarlo come nuovo e diverso dai partiti già esistenti? E, soprattutto, ci può mai essere qualcosa che abbia un carisma di novità, un connotato fortemente distintivo, un profilo coinvolgente e credibile, nel novero dei partiti politici Italiani?
Non basta, certo, essere e dichiararsi insoddisfatti di quello che hanno fatto e stanno facendo i gestori attuali della politica Italiana, per dare a milioni di persone la garanzia di essere interpreti qualificati di una diversa stagione, di una primavera dopo un buio inverno. Disegnare, a bei colori armoniosi e gradevoli, uno spettro così variegato, come quello del ventaglio di problemi civili, sociali, culturali, economici ecc. di una nazione non è facile, né si può improvvisare.
A ciò si aggiunga il momento drammatico che sta vivendo l’Italia e il futuro a tinte fosche che si sta prospettando davanti a noi. Lo dico pensando, in particolare, ai nostri figli: quale orribile eredità stiamo propinando loro, di sacrifici e rinunce! La vergogna ricada su di noi, complici, tutti, di un misfatto storico senza precedenti e senza attenuanti, da additare all’anatema e al ludibrio delle generazioni future!

Lo ripeto ancora, per puro, assurdo esercizio accademico, cosa dovrebbe incarnare e incardinare questo, non “partito”, ma “Parto di Fantasia” del 40%?
Cercherò di snocciolare ed articolare un algoritmo teorico/applicativo, il più possibile semplice ed essenziale, seguendo le 5 famose “W” della lingua Inglese:
WHY = Perché,
WHO = Chi
WHERE = Dove,
WHEN = Quando
WHAT = Cosa.

 

WHY = Perché.

Lo ripeto, questo “Oggetto Misterioso”dovrebbe esistere perché non c’è e, purtroppo, non c’è mai stato.
Ma che cosa? Un “Partito”? Non mi piace, già, la parola stessa. “Partito” richiama e rappresenta una parte. Di che?   Del popolo più litigioso al mondo, degli Italiani.
Siamo veramente il popolo più litigioso al mondo. Per chi non lo sapesse, dico per certo che, a tutt’oggi, giacciono inevase, circa sei milioni e mezzo di denunce per liti condominiali, nei Tribunali Italiani. Senza contare le altre. Abbiamo un numero di avvocati e di legali rappresentanti, che si occupano dei nostri contenziosi, che non ha uguali al mondo.
Siamo tutti di parte, partigiani o di noi stessi (siamo individualisti fino al midollo) o di piccoli, o meno piccoli, gruppi di interesse, economico, ideologico, religioso, politico e, chi più ne ha, più ne metta.
Nel corso della nostra storia, già e ancora, nelle città medioevali esistevano le consorterie, le confraternite, le corporazioni. Il tessuto connettivo cittadino era lacerato da rivalità di borgata , di arti e mestieri, di appartenenze e sudditanze ad altri gruppi, a scalare o a salire, nella lotta per un proprio spazio vitale di interessi. Il rituale folkloristico e truculento del Palio di Siena è, a ben comprendere, una perpetuazione della contesa contradaiola, una celebrazione delle conflittualità di borgata, che perdura a tutt’oggi.
La faziosità era considerato un connotato positivo. Pensate che padre Dante, nel V° canto dell’Inferno, colloca “gli ignavi”, dei quali dice che si tratta di “coloro, che visser sanza infamia e sanza lodo”.
Da qui si può capire come la “non appartenenza”, il non schierarsi (ad esempio coi Guelfi per il Papa, o coi Ghibellini per l’Imperatore) era considerato di per sé, una colpa e, perciò, un peccato.
Come non mi piace la parola peccato, così non mi “garba”, direbbero i Toscani, la parola “partito”.
Ma, non si può partire (è un involontario gioco di parole), vivaddio, da qualcosa di più alto, di più trascendente delle piccinerie di parte, dei meschini conflitti d’interesse, delle spicciole beghe di cortile?
Qual è il concetto più elevato, la categoria più imprescindibile, a cui lo spirito umano dovrebbe ispirarsi ed aspirare?
Non so voi, ma io, consapevolmente o inconsapevolmente, ho sempre “intuito” trattarsi della “Libertà”.

Questa categoria mentale, la “Libertà”, è onnicomprensiva, pregnante, coinvolgente: in qualche modo, assoluta.
Potrebbe essere alla base, oltre che del mio pensiero, anche della comunione d’intenti di tanti uomini veri e consapevoli, ma, soprattutto, autori del proprio destino.
Della parola “Libertà” esiste un TAG in questo BLOG: vi invito a cercare quello che grandi menti hanno scritto in merito: è veramente interessante.
Raccomando, in particolare i seguenti numeri:

Numero1975   a firma di Piero Calamandrei
Numero1974                   Massimo Recalcati
Numero1640                   George Bernard Shaw
Numero1511                   Platone
Numero1227                   Ludwig Boerne
Numero1226                   Tucidide
Numero757                     Georg Wilhelm Friedrick Hegel
Numero573                     Cicerone
Numero436                     Anonimo
Numero211                     Definizione di Liberismo
Numero183                     Lenin (Vladimir Ilic Ulianov)
Numero182                     Albert Camus
Numero130                     Simone Weil
Numero105                     Fernando Antonio Nigueira  Pessoa
Numero7                         Aung San Su Kyi.

Se volete leggere una mia personalissima esternazione, che, però, non è in chiave politica, leggete il Numero285.

Dopo aver scorso queste straordinarie enunciazioni sulla “Libertà”, potrebbe rimanere ben poco di sensato da aggiungere. Io provo, senza squilli di trombe e rulli di tamburi, a suggerire il mio pensiero.

Partirei dall’aforisma di Lenin che, per me, è di un sincretismo strabiliante, oltre che un geniale ossimoro storico e ideologico, ancor più perché espresso da un tale personaggio della storia.

 

La libertà è un bene così prezioso,

così prezioso, che bisogna razionarlo.

Lenin

 

Dice Lenin che, in chiave di comune sentire, la “Libertà” potrebbe essere giusta quando è “condizionata”. Non è una formula  giudiziaria ma, in chiave politica e sociale, potrebbe rappresentare, invece, le fondamenta di un sentire universale che altri, in maniera più spicciola, hanno così definito: “La mia libertà comincia dove finisce la tua. E la tua libertà comincia dove finisce la mia”.
Sulla “Libertà” e sul diritto ad essa, ci sono pochi dubbi. Sul modo di razionarla, affinché se ne possa distribuire a tutti una quantità e una qualità sufficiente e ragionevole, qui nasce il “busillis”.
Perché, a fronte di un diritto, imprescindibile ed inalienabile, la “Libertà” appunto, si devono enunciare i doveri e gli impegni per mantenerla, conservarla e, se possibile, migliorarla.
E qui, mi viene spontanea una ironica parodia delle parole di un personaggio della storia Italiana, del quale non avrei mai pensato di occuparmi, se non come irriverente “storpiatore”: “La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti: Responsabilità.”
Della “Libertà”, l’altra faccia della stessa moneta è la “Responsabilità”.
Su questa parola e sui suoi contenuti, ideali e concreti, io rivolgerei il “focus” del programma di fattibilità.
Anzi, dirò di più: darei questo nome, “Responsabilità”, alla creatura politica (ipotetica) che potrebbe identificare l’oggetto delle mie elucubrazioni. Nominando questa parola, si potrebbe sottintendere, automaticamente, il concetto correlato e conseguente, della “Libertà”. Con questa differenza: dicendo “Libertà” si pensa sempre e solo ai diritti, mentre, dicendo “Responsabilità”, si deve pensare, soprattutto, ai doveri. E non al sesso degli angeli.
Eh, già! Lo so bene che dal punto di vista propagandistico, sarebbe di non facile attechimento: uno studio pubblicitario lo sconsiglierebbe.
Se tu parli di “Libertà”, ti riempi la bocca di quanto vi è di più appetibile nell’immaginario collettivo ed individuale delle persone, ma se parli di “Responsabilità”, fai venire in mente impegni, sacrifici, rinunce, alienazione di spazio civile, sociale, economico, e via dicendo, che possono spaventare l’uditorio.
Signori, miei, cominciamo a ribaltare, già da qui, le solite ovvietà, le discrezionalità e i distinguo, accettando consapevolmente questo fardello. Perché la situazione Italiana sta per diventare insostenibile, ingestibile, irrimediabile, se non ci carichiamo sulle spalle il peso, schiacciante, dei problemi accumulati, fino ad oggi, dai nostri sprovveduti conduttori politici, tutti compresi.
Per godere ancora di un barlume di “Libertà”, noi qui, in Italia, adesso, dobbiamo, al più presto, assumere una gravosissima, inevitabile “Responsabilità”, proprio perché la bilancia è sbilanciata. Gravemente sbilanciata.

 

Muovendo da qui, parlerei, ora, del

WHO = Chi

 

Ebbene sì, lo dico subito, a scanso di equivoci: io sto pensando a voi, donne e uomini Italiani, che potreste costituire le fila di questa formazione di “Responsabili”.
Non è questo, più, il momento di alzare le spalle, di voltarsi dall’altra parte, di dire “Me ne frego!” ( a proposito di parodie, e non di apologie). La barca sta per affondare. Tocca a voi uscire allo scoperto, se volete salvare capra e cavoli, senza abbandonare la nave, sempre per continuare con le metafore.
“Se sei un uomo di “Libertà”, perché non ti ci metti pure tu? Non è il tuo un Armiamoci e partite?” mi direte.
Se fossi più giovane lo farei, ma la mia stagione è passata. Non faccio come un certo personaggio politico, che ha interpretato, cucendoselo addosso, il ruolo di condottiero della Liberal Democrazia in Italia, ma ha finito per autosqualificarsi, con un comportamento personale censurabile e sgradevole.
Ecco, è questo un caso in cui alla “Libertà” non ha corrisposto un adeguato e corrispondente tasso di “Responsabilità”. Ora, costui, bolso narciso della politica, sta ancora recitando un ruolo di comprimario, nonostante e per colpa dell’età.
Non vuole mettersi da parte, ma fa un danno all’Italia, senza che lui se ne renda conto, perché occupa un posto dove i consensi di molti Italiani avrebbero potuto collocarsi. Non lo votano più, proprio in quanto spoetizzati, schifati e delusi dai suoi personalismi autocelebrativi. E quello spazio resta vuoto.
Ecco, per cominciare a dire “chi”, sono partito da un “chi non”.
Chi volesse arruolarsi in questa “nave dei sogni”, potrebbe avere in questo personaggio un esempio in negativo.
Infatti la corrispondenza fra le due facce della moneta è spietata e stringente: chi sbandiera “Libertà” deve dimostrare, a tutti i costi, “Responsabilità”. Sempre e comunque.
Mettendo così le condizioni di arruolamento ed appartenenza, forse in tanti potrebbero barcollare nell’incertezza.
L’atavica propensione alla ricerca dei vantaggi personali, del conflitto d’interessi, del tornaconto derivante dall’impunità, confligge, in modo stridente, con i ruoli di pubblica “Responsabilità”. Chi progetta tali esecrabili comportamenti si tenga lontano da questa affiliazione: non ha titolo per essere un uomo “libero”.
Tutti gli altri uomini, di buona volontà, sono i benvenuti a bordo.

 

Ancora più brevemente, dirò qualcosa su

 

WHEN  e  WHERE = Quando  e  Dove.

 

Per dire di “Quando”, tutti lo capiscono che la risposta è: subito.
Non c’è altro tempo da perdere, se n’è perso anche troppo. La situazione dell’Italia è drammatica. La barca va raddrizzata e il timone impugnato saldamente, perché il mare è molto grosso.

Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello.

Dante Alighieri     canto VI del Purgatorio.

Dove donna sta per “domina”, cioè signora, padrona. Così recitava Padre Dante nell’anno 1300. Vi pare che sia cambiato qualcosa? A me sì, ma in peggio.

Per parlare del “Dove”, devo ammettere che la risposta potrebbe essere scontata: in tutta Italia, senza distinzioni.
Ma ritengo doveroso anticipare la mia convinzione che la dislocazione geografica potrebbe essere discriminante, quanto a provvedimenti attuativi. L’Italia non è tutta uguale in ogni suo territorio. I rimedi generalizzati, per un egualitarismo di scuola e di presunta convenienza politica, possono avere effetti collaterali inaspettati e controproducenti.
Sarebbe auspicabile un atteggiamento, che già si potrebbe definire “liberale”, di flessibilità e buon senso, tenendo conto delle particolarità regionali, o di macroaree, senza invocare le sclerotiche rigidità del centralismo burocratico.
Il godimento dei diritti deve essere rapportato all’osservanza dei doveri: questa, secondo me, dovrebbe essere la “barra a dritta” della rotta. Ognuno capisca quello che vuol capire, ma la “Libertà” non può essere assoluta e la “Responsabilità” relativa.

 

Tocca, infine, affrontare il tema del

WHAT = Cosa.

Cosa deve essere questa “Cosa”? Quali i suoi principi ispiratori, quali i suoi contenuti, quali i programmi di cui aspira ad essere portabandiera?
Riparto dalla “Libertà”, per dire che chi si professa propugnatore di questo archetipo mentale, si è sempre considerato con le mani legate. Infatti, non appena uno si azzardi a prendere provvedimenti contro gli abusi, le trasgressioni, i reati contro la “Libertà”, viene immediatamente additato perché, lui a sua volta, sarebbe un prevaricatore della “Libertà” altrui. La “Libertà”, signori, non è anarchia, non è mancanza di norme, assenza di regole, lassismo e superficiale buonismo.
Dice Cicerone (Numero573.): Legum servi sumus, ut liberi esse possumus, che vuol dire “Siamo schiavi delle leggi, per poter essere liberi”. Una contraddizione in termini? Macché, è il paradigma del pensiero qui espresso.
La “Libertà” che intendo io deve mantenere una gelosa custodia della assoluta e serena coesistenza di tutti, applicando una strettissima vigilanza contro qualunque attentato a tale vitale condizione.
Ma i metodi che si possono e si devono adottare per la difesa della “Libertà” collettiva, questa volta e, sia chiaro, una volta per tutte, devono essere improntati alla massima intransigenza possibile, al più inequivocabile rigore, al controllo più stringente, addirittura, se necessario, ad una feroce severità. Sì, tutti gli attentatori, a vario titolo, di questo bene così prezioso, devono essere perseguiti senza remissione, devono essere bloccati, resi inoffensivi e sanzionati con metodi, che altri possono considerare di polizia o di militarizzazione e lo diranno starnazzando come le oche del Campidoglio. Lo stato di diritto, libero e felice, è un bene collettivo che va difeso a tutti i costi e con qualunque mezzo. A costo, anche, di essere illiberali. La “libertà” che difende se stessa non mai è illiberale.
Niente ricorso a sistemi dittatoriali, ma l’impegno di questa “Responsabilità” deve essere questo: forte, anzi, fortissimo con i prepotenti e indulgente, generoso e umanitario con i deboli, i bisognosi, gli emarginati. Togliere a quelli, per dare a quest’ultimi, come Robin Hood.
Chi sarebbero, allora, i prepotenti, i nemici da combattere, da tenere lontani, impedendo loro di nuocere?
Innanzitutto le Mafie, di tutte le specie, di tutte le organizzazioni e non solo. Anche la mentalità mafiosa, fatta di corruzione, di connivenze, di collusioni, di omertà, di sudditanza complice. È questo un cancro che si sta allargando con una metastasi sociale senza confini, erodendo spazio di libertà, di sicurezza, di serena convivenza. Il malaffare sta diventando il più proficuo e pericoloso investimento economico in Italia. Bisogna saperlo affrontare con la massima determinazione. E, a mali estremi, estremi rimedi, bisogna poter ricorre a misure e metodi eccezionali, senza remore, esitazioni, incertezze.
Le regioni che, atavicamente ed anche a tutt’oggi, sono state e sono pervase da questo “sistema” sociale malavitoso, con ogni singolo cittadino onesto, capace, volenteroso devono partecipare a questo riscatto e alla riconversione alla legalità delle loro terre. Lo stato, con i suoi responsabili Dirigenti, deve far sentire il fiato sul collo ai malviventi, deve far percepire la sua presenza e il suo sostegno alla popolazione, e la propria determinata presenza deve essere incessante, puntuale, efficace nel perseguire rigorosamente ogni manifestazione malavitosa.
E, come segnale e monito esemplare e risarcitorio, i mafiosi condannati e imprigionati, a spese della collettività, vengano messi al lavoro per costruire altre carceri che ospiteranno loro e i loro simili, con un regime carcerario di eccezionale severità, senza sconti, senza abbuoni di pena, senza remissione. Perché doppio è il danno procurato ai cittadini onesti che pagano le tasse: prima con le azioni mafiose, che hanno sottratto, a loro, pace e denaro, poi con il mantenimento in carcere, dove c’è un ulteriore esborso di denaro pubblico. I regimi attuali di carcerazione sono uno spreco di denaro che una nazione come l’Italia, nelle condizioni in cui si trova, non può permettersi.
È necessario instaurare la logica della prevenzione, anziché organizzare sempre costosi rimedi e riparazioni sanzionatorie.

La coda del ragionamento precedente si aggancia, inevitabilmente, alle altre forme di spreco che l’Italia, come paese civile, non può permettersi. Intendo riferirmi a tutte le forme di parassitismo.
Tanto per cominciare con un argomento forte, dico che nei connotati della “Responsabilità” ci deve essere la sua “laicità”.
L’Italia deve diventare, finalmente, uno stato laico a tutti gli effetti. Deve essere denunciato quel papocchio che va sotto il nome di Concordato. Anche a costo di modificare la Costituzione. Devono essere cancellate tutte le forme di privilegi che, fino ad oggi, hanno favorito il Clero, i Vescovi, lo Stato Vaticano. Le Istituzione Ecclesiastiche siano tenute a pagare le tasse come tutti gli altri cittadini e la loro esistenza e sopravvivenza sia a carico delle donazioni, a titolo personale e volontario, dei fedeli che vogliono mantenerle. Trovino loro le formule più convincenti per raccogliere fondi. Ora come ora, tutti i cittadini Italiani, credenti o no, osservanti o meno, devono pagare le tasse per mantenere la Casta religiosa. È questo un altro lusso che gli Italiani non possono più permettersi: sono forme di parassitismo di Casta di un altro secolo.

Altra abitudine consolidata in Italia è l ‘erogazione di vitalizi, pensioni, reversibilità di Ex Deputati, Ex Senatori, Ex Dirigenti Statali, Grand commis, Generali, Ammiragli eccetera, che se ne vanno in pensione con emolumenti spropositati. Compreso quel sottobosco di amministratori periferici di tutte le regioni. Tutti i cosiddetti “servitori dello Stato” che vanno in pensione non devono superare una ragionevole cifra, che permetta loro, di campare dignitosamente, ma che, attualmente invece, rappresenta una inspiegabile ed inaccettabile elargizione di denaro pubblico, a nessun titolo.

Ho qualcosa da dire anche sulle Forze Armate. A me pare che siano diventate, anch’esse, un pozzo senza fondo di sprechi. Rendiamoci conto che la difesa dei confini nazionali è un compito fasullo: non ce n’è bisogno.
E, prima che questa ovvietà emergesse agli occhi di tutti, i Governi e gli organi dirigenti delle Forze Armate si sono inventati un altro compito e impegno di spesa, che francamente, non è per nulla necessario, ma è, invece, estremamente oneroso. Tanto per mantenere in piedi il carrozzone del Grande Circo dello Spreco. Parlo delle missioni all’estero, di istruzione, di “Peace keeping”( mantenimento della pace), e quant’altro, che noi, nelle nostre condizioni di indebitamento, non possiamo più supportare e sopportare finanziariamente. Ci vuole un drastico ridimensionamento dell’organico dell’Esercito Italiano: deve essere ridotto al minimo indispensabile e i pensionamenti degli alti graduati devono rispettare le nuove regole e i nuovi livelli che questo povero paese deve adottare. Perché siamo pieni di debiti: non possiamo continuare a sprecare per mantenere un prestigio fantomatico. Inoltre ritengo doveroso che le Forze Armate, anziché sprecare denaro pubblico all’estero, vengano impiegate molto più spesso in interventi di esigenze civili, paesaggistiche, di manutenzione del suolo pubblico e via dicendo.
Gli esuberi, che dall’Esercito verranno eliminati, potranno essere riconvertiti in Forze dell’ordine, e fra le più qualificate. Sono ben addestrati nell’uso delle armi, sono tenuti in forma da addestramenti specifici. Potranno costituire un sistema di contrasto alle forme di criminalità più pericolose per la popolazione, specialmente per la delinquenza comune più violenta e odiosa, che tiene in apprensione le gente persino nelle proprie case.
Non ha senso esercitarsi nell’uso di armi che non serviranno mai. Tanto le guerre, oggi si fanno con ben altre armi: quelle economiche, quelle finanziarie, quelle commerciali, con gli incendi, con l’inquinamento delle acque e dell’aria, con i virus…..
I nemici sono i terroristi, gli anarchici, i fondamentalisti religiosi o ideologici. Si faccia la guerra a questi, ma la si faccia sul serio. Aggiorniamo l’Esercito alle moderne forme di guerra e guerriglia che provocano danni spaventosi alla comunità, formando degli specialisti e non teniamo in piedi un militarismo novecentesco di facciata e da….parata. Costoso e inutile.

Tocca parlare, adesso dell’immigrazione.
Con una apposita legge dello Stato, da approvare di anno in anno, venga stabilito dal Governo un numero preciso di persone straniere che possano venire e rimanere nel nostro paese per lavorare. Questo numero sarà segnalato da una Commissione che valuterà tutti i parametri compatibili con le nostre esigenze d’impiego lavorativo, e non altro, per non suscitare polemiche e rimostranze. Verrà stabilito un elenco delle professionalità di cui il nostro paese ha bisogno (forse molte, magari nessuna) e saranno accolti, nel nostro paese, solo coloro che vanno ad esaurire questa lista. Non uno di più. Alle navi che salvano i migranti in mare e agli stessi migranti, diciamo che è giusto salvare le vite in pericolo, ma questa non è una ragione sufficiente per garantire una ospitalità che un paese povero come il nostro non può permettersi. Il nostro paese sarà pure un porto sicuro, ma sapete che c’è di nuovo? C’è che è diventato un paese povero. Pertanto, dopo avere accolto un emigrante che stava per annegare, gli faremo sapere di trovarsi un’altra destinazione fuori dai confini Italiani. Anche a coloro che sono profughi di guerre nei loro paesi, perché una legge dello Stato li considera clandestini comunque. Anche noi siamo in guerra. Con i debiti, con il malgoverno, con la burocrazia, con la miseria dilagante, con le Mafie, con la mancanza di lavoro. La nostra umanità si ferma all’accoglienza in stato di necessità, non è disponibile a presenze non necessarie, perciò indesiderate. Non possiamo accogliere persone indigenti da ospitare e, contemporaneamente, lasciare emigrare giovani laureati o diplomati volenterosi, solo perché da noi non trovano lavoro. Ma secondo quale logica?
È un altro dei lussi che non ci possiamo più permettere.

L’ho appena nominata e mi tocca di parlarne, purtroppo, diffusamente. La burocrazia.
Lo avrete ormai capito, il filo conduttore di questo ipotetico “Programma” di “Responsabilità”, è la lotta agli sprechi e la serietà rigorosa. Questi sprechi, nella Pubblica Amministrazione (P.A.) Italiana di oggi, sono, da tempo, una prassi deprecabile e insostenibile.
Si sono detti e fatti molti tentativi, si sono scritti volumi e stilati programmi di riforma della P.A. ad ogni piè sospinto, ad ogni insediamento di Governo. Non c’è nulla da fare. Il cancro dell’inefficienza ha pervaso, con la sua metastasi, tutto il tessuto connettivo delle ramificazioni amministrative, raggiungendo anche isole felici di gente seria, ben motivata, capace ed efficiente.
Attraverso la ragnatela vessatoria, attraverso la pece vischiosa, attraverso i muri di gomma, attraverso i cavilli, i lacci e lacciuoli, attraverso la scarsissima applicazione, attraverso un attaccamento pervicace alla prestazione sotto il minimo livello tollerabile, attraverso le assenze dal posto di lavoro nello stesso giorno, e attraverso un assenteismo di comodo altissimo nell’arco di un anno, sta in piedi, dal dopoguerra fino ad oggi, un elefantiaco carrozzone, un mostro di incapacità a risolvere i problemi degli Italiani che lavorano e vivono da cittadini.
I tempi di lavoro e il “problem solving” (capacità di risolvere i problemi) degli Italiani, imprenditori, professionisti, lavoratori in proprio, e anche dei singoli cittadini alle prese con le normali attività quotidiane, sono molto più pressanti, urgenti e stressanti di quelli di questa categoria che, senza ombra di dubbio, si può considerare la più parassitaria di tutte. Lavora, quasi esclusivamente, per mantenere se stessa. È autoreferenziale.
Non valgono le innovazioni tecnologiche, l’eliminazione della circolazione dei documenti cartacei e delle archiviazioni in faldoni fatiscenti. Produrre un documento, in un ufficio pubblico, oggi potrebbe richiedere due o tre click ed una stampata. Invece, in proporzione a quando si lavorava a mano, i tempi sono addirittura aumentati. Le code in attesa si sono allungate, tutto è farraginoso, lumacoso, indisponente. L’insoddisfazione degli utenti è palese, indispettita, isterica. Non se ne può più.

Eh, bravo, sfondo porte aperte; faccio anch’io come i Ministri, che si limitano ad elencare le cose che non vanno, dimenticandosi che loro sono lì, appositamente, per evitare che ciò accada.
Sì, signori Ministri, il vostro compito non è snocciolare le statistiche di ciò che è accaduto fino ad oggi, dovete darvi da fare affinché gli errori non si facciano più.
Voi non dovete limitarvi ad elencare i problemi, voi dovete risolverli.

La P.A. non può cambiare mai, se non si dà una scossa violenta all’interno, ad abitudini inveterate, a comportamenti dilatori, a mentalità del tipo “fin che la pende, la rende”, anziché del tipo “fare presto e bene”.
Bisogna introdurre i tempi e i metodi delle aziende produttive, commerciali e dei servizi che sono sul mercato, stimolate, pressate continuamente dalla concorrenza, consapevoli che se la loro efficienza non è sempre al top, il loro destino sul mercato, anche del lavoro, ha ben poco futuro. E il licenziamento non è un optional, è sicuro.
Perché, nella P.A. non si sono mai applicate le regole della prestazione lavorativa privata? Perché le ore lavorative non sono 8, come tutti gli altri, bensì 6? Perché, nonostante il rendimento produttivo bassissimo, il trattamento economico è addirittura superiore? Perché, infine, nella P.A., i giorni di ferie sono 36 in un anno, mentre, ad esempio, nel turismo e nei pubblici esercizi, le ferie sono 26 giorni all’anno; nel settore commercio, sono 176 ore  (176 : 8 = 22 giorni) e, nel settore produttivo, sono 4 settimane + 2 giorni?
E, soprattutto, perché nella P.A. non si licenzia? Mai, o quasi mai?
Questo è un lusso, uno spreco mastodontico che non si può più sostenere. Qui stiamo veramente spendendo troppo per avere troppo poco. Pensate davvero che possiamo andare avanti così, perché così si è sempre fatto?
Il nostro paese si è impoverito a vista d’occhio, si è indebitato in maniera irrecuperabile, vogliamo, lo stesso, tenere in vita una macchina mangiasoldi ed inefficiente come l’attuale P.A.?
Se qualcuno vuole rodersi il fegato per la rabbia, consulti il Numero2006, dove riporto i trattamenti economici dei dipendenti di Camera e Senato. E nessuno dice e fa niente. Si difendono dicendo che sono diritti acquisiti.
Senza guardare in faccia nessuno, tutte queste regole, ancestrali e consolidate, vanno cambiate. A costo dell’impopolarità, degli scioperi, delle imprecazioni. Il licenziamento per i nullafacenti, per i furbetti del cartellino, per gli stakanovisti dell’ostruzionismo e così via, va introdotto e soprattutto applicato, per giustizia sociale e per parità costituzionale; le equiparazioni di stipendio e di orario devono essere operativi per decreto, altrimenti fra poco, le piazze saranno piene di tanti, troppi dimostranti che protesteranno contro questi privilegi di casta. A protestare saranno quei lavoratori che sono stati licenziati, perché le loro fabbriche, le loro attività sono fallite, anche per l’inefficienza della P.A.
Nella P.A. i prossimi assunti, se ce ne saranno, dovranno essere di provata capacità e buona volontà, non cooptati con raccomandazioni o con concorsi e valutazioni, che dovrebbero essere apparentemente obiettive, mentre sono manipolate per sotto o con punteggi fasulli e lauree comprate, oppure valutate scandalosamente ai fini concorsuali. Basta con le pratiche che portano personaggi impreparati, incapaci, senza voglia di lavorare, a fornire un servizio scadente, lento, ostruttivo, a decine di milioni di cittadini volenterosi di sgobbare per farsi un futuro.  Non si scherza con i programmi di vita e i sogni della gente.
La P.A. è, e deve essere, al servizio dei cittadini. E non ci devono essere cittadini in coda ad aspettare le comodità degli addetti ai lavori. Basta con questa vergogna! E mi scuso solamente con quei bravi dipendenti statali, e ce ne sono, che hanno sempre fatto al meglio il loro lavoro. Mi scuso, mi complimento con loro, ma non li ringrazio.
Perché hanno fatto il loro dovere.
Devo, però, spendere una parola riguardo all’attuale situazione politico-sociale, adoperando i termini che si riferiscono all’esistente, anche se mi ripugna farlo.
Tutte le teorie politiche e sociali sono belle e buone a dirsi e molto meno a farsi. La loro applicazione ha a che fare con gli uomini e questi non sono tutti uguali, anche se la teoria o l’ideologia lo vorrebbe. Ora, tutte le stagioni di governo di questo paese, di destra o di sinistra, per adoperare definizioni che io aborro, non sono mai riuscite a far funzionare la macchina della amministrazione statale. I Governi di sinistra, per eccessiva condiscendenza, per prostituzione elettoralistica, o per generale lassismo; i Governi di destra perché hanno suscitato le reazioni conservative, l’ostruzionismo, addirittura, il voluto peggioramento delle prestazioni, a causa di un controllo più stringente.
Non mi interessa, se rischio di sollevare, contestazioni e polemiche, ma voglio dirlo fuori dai denti, per onestà intellettuale e civile, come evidenza obiettivamente riscontrabile. Il centralismo, lo statalismo, tanto caro alle teorie di sinistra, messo in opera, con le prestazioni delle categorie di persone addette ai lavori, che ci troviamo in organico, e che vengono avvicendate da altre della stessa provenienza e specie, costituiscono una camicia di forza asfissiante per l’intero paese. Tutta l’energia imprenditoriale, la buona volontà, la fantasia di un popolo che vuole fare e darsi da fare viene frenata, ostacolata, vilipesa da questa palude stagnante, da questo vischio levantino di una casta, il cui operato non è assolutamente in linea con il desiderio, anzi, il bisogno di intraprendere del resto dell’Italia. Loro vanno a 10 km all’ora, il resto dell’Italia che lavora va a 70 Km all’ora, ma potrebbe e dovrebbe andare a 100 km all’ora, per stare al passo dell’efficienza, dei costi, della rapidità  produttiva, espansiva nei mercati, di tanti altri paesi concorrenti. L’Italia è come una Ferrari: esteticamente bella, dicono tutti che è il più bel paese al mondo, dotata di un motore potente, brillante, scattante, ma con il freno a mano tirato. Questo freno a mano è la burocrazia statale centralistica, inefficiente, per nulla produttiva, autoreferenziale e molto costosa.
Il centralismo sinistrorso, applicato e messo in pratica con l’inefficienza e lo scarsissimo rendimento di addetti ai lavori di ben nota provenienza, costituisce una miscela esplosiva distruttiva, i cui effetti si perpetuano da più di settant’anni.
Questo andazzo di cose deve finire, e al più presto.

Ma di quanti altri problemi, ancora, potrei parlare? Di cose che non vanno, in questo martoriato paese?
Voglio dire qualcosa su un argomento che mi sta molto a cuore e, proprio per questo, mi fa particolarmente male.
La scuola e la cultura, in Italia, stanno arrivando alla catastrofe.
Gli studenti Italiani, se non sono ultimi, poco ci manca nella classifica Europea della preparazione scolastica: nella comprensione di un testo è un disastro; nelle conoscenze tecnico scientifiche ancora peggio, nelle scienze matematiche è una Caporetto. Ma dove è finito il genio Italiano? I Fermi, i Marconi, i Majorana, i Segre, i Dulbecco, i Natta, i Rubbia, le Levi Montalcini; e i grandi poeti e scrittori del ‘900:  Pirandello, Montale, Quasimodo, e loro epigoni?
Ma dove sono finiti quei milioni d’Italiani che sapevano parlare, scrivere ed esprimersi correttamente? Erano la norma.
Raccontano dei dirigenti del personale di grosse aziende Italiane, che si presentano da loro, nei colloqui di assunzione, dei laureati che non sanno né leggere né scrivere, non sanno le lingue. Insomma sono sprovveduti di tutto quel bagaglio di comune cultura scolastica che, una volta, era normale per capirsi, per comunicare. Si capiva che il tuo interlocutore ti capiva. Adesso? Boh! Mi sembra che quando dici una parola strana, ti guardano con atteggiamento interrogativo, quasi inquisitorio: “Ma cosa sta dicendo?”, vorrebbero dirti. Non ci capiamo più.
Mi chiedo se è colpa nostra o loro.
Qui c’è molto da fare, ma deve passare una generazione di stenti. Devono capire i nostri giovani, che noi, ai nostri tempi, invece di andare alla “movida”, studiavamo come matti per conquistare un posto al sole. Questo, loro, non lo stanno facendo. Si accorgeranno, ben presto, che avranno perso il treno. E che non c’è nessuna laurea in “Happy Hour” e in “Aperitivo”.
Deve passare il messaggio che, chi non è preparato, chi non sa, chi non ha cultura non andrà da nessuna parte.
Oggi, chi si applica, sgomita, passa le nottate a studiare, chi vuole informarsi per formarsi, è guardato male, non è oggetto, come un tempo, di invidia, di ammirazione. Al contrario, raccoglie sberleffi e compatimento.
Ma non ci saranno aiuti per gli incapaci, per gli svogliati, per gli scansafatiche. Se un giovane non ha l’orgoglio di aspirare e accedere ad un posto di lavoro che gli permetta di vivere decorosamente, non potrà sperare nell’assistenzialismo.  E tu, Stato, come un buon padre di famiglia, non regalare a tuo figlio il pesce, regalagli la canna da pesca. Un paese povero non può darglielo. Ma dobbiamo farlo capire noi, padri e nonni. È questo il buonsenso.
E devono farlo capire anche gli insegnanti che, ahimè, sono essi stessi, impreparati e carenti di quel carisma didattico che può far innamorare un giovane della cultura. Ci sono alcuni insegnanti, ma molto pochi, che la cultura l’hanno nel sangue ed hanno anche amore per la loro missione, ma la grande maggioranza ha una preparazione largamente sotto la media: sono impreparati, inadeguati e i risultati si vedono. Sono quelli che ho esposto qui sopra.
Quindi, il target di questo comparto della sfera sociale Italiana è: riappropriarsi della cultura, complessivamente, e in particolare, di quella tecnico scientifica. Abbiamo buone eccezioni, le abbiamo sempre avute, ma non devono rimanere tali. Abbiamo bisogno di cultura diffusa anche per la sensibilità e la creatività artistica che mai ci è mancata. Un popolo colto vive meglio, ciascuno per sé e anche per gli altri. Rendiamoci la vita migliore, ma con il nostro impegno personale.

 

Qualcosa vorrei dire anche a proposito di giustizia.
Anche questo è un tasto dolente, anzi lacerante, del Servizio Pubblico Italiano. Tutti sappiamo cosa vuol dire varcare la soglia di un Tribunale, magari qualcuno non l’ha mai fatto e non ne ha idea, ma i tempi biblici dei processi sono noti a tutti e non è una situazione allegra. Anzi, vivere con il patema d’animo di un processo da subire, da celebrare, di una sentenza da emettere, con quel che avviene prima e dopo, ebbene ti segna la vita.
Ma, voglio essere chiaro su un punto: il buonismo, il perdonismo, gli sconti di pena, gli aggiustamenti, le abbreviazioni di comodo, le riduzioni di pena, i mercanteggiamenti, le prescrizioni, sono palliativi e annacquamenti di basso livello in un paese civile. Sono procedure da legulei, da azzeccagarbugli che io non condivido. Il mio non è giustizialismo, perché preferisco la giustizia e che la legge sia uguale per tutti e ben applicata. In particolare per una categoria di reati che attiene alle corruzioni, alle concussioni, ai peculati, agli abusi di potere, alle malversazioni e altre malefatte di questo tipo, perpetrate nell’esercizio della funzione pubblica, approfittando di coperture, reticenze, omertà della casta giudiziaria. Guai a loro. Mi batterei per raddoppiare le pene previste per questo genere di reati, che sono tra i più odiosi. E inasprirei, senza nessun ripensamento ed esitazione, tutte le pene previste per i reati di Mafia.
Per quanto riguardo la velocità dei processi e i tempi di applicazione della pena. una cosa mi sta, soprattutto, a cuore, oltre al tema della separazione delle carriere. Il tempo della stesura delle motivazioni, dopo la sentenza definitiva di un processo. Bisogna drasticamente contingentarli, abbreviarli sensibilmente nell’arco temporale e nel numero di pagine da scrivere. Questo è un rituale, un corollario, pur doveroso, che non deve essere lasciato alla discrezionalità di un giudice che, magari si vuole mettere in luce, cercando di “fare letteratura”, o “fare giurisprudenza” su un “caso di scuola”. Via i personalismi. Non è il caso giudiziario che deve servire a te, giudice, ma sei tu, giudice, che devi servire al caso e a quanti stanno aspettando giustizia. È di un paio di giorni fa la notizia che una decina di condannati per malavita organizzata sono stati liberati perché il giudice non aveva ancora scritto le motivazioni della sentenza, ma dopo due anni dalla chiusura del processo. E non è la prima volta. Sono sicuro che riceverei un applauso se dicessi che manderei in galera il giudice al posto dei condannati. Queste abnormità sono da eliminare al più presto.

 

Last, but not least. Ultima, ma non meno importante: la Sanità Pubblica.
Siamo ancora scioccati dagli oltre due mesi di quarantena in casa e abbiamo seguito le vicende del decorso inatteso e impressionante del Contagio da Coronavirus. Chi ci ha fatto una gran bella figura sono stati i medici e gli infermieri in particolare quelli degli ospedali del Nord. Spirito di sacrificio ed abnegazione, attaccamento al dovere e serietà professionale hanno diffuso un segnale confortante nella popolazione, che li ha chiamati “eroi”. Bene, questo sì è andato bene. Quello che non va bene è quello che resta, da adesso in poi, cioè che, come prima, per una visita ambulatoriale in ambito ospedaliero, con prenotazione obbligatoria, c’è un’eternità da aspettare. A tale andazzo di cose serve un rimedio, anche qui drastico e repentino, che ribalti il tavolo. I medici devono scegliere il proprio campo di esercizio della professione. O in ospedale o fuori, in proprio,. Non ci sono possibili compromessi o alternative. O conflitto d’interessi. Decine di milioni di cittadini vengono prima degli interessi professionali dei medici.
Inoltre vorrei puntare l’attenzione sul significato dei termini “Sanità” e “Salute”, che, spesso, vengono usati riferendosi allo stesso concetto,  si interscambiano confondendosi l’uno con l’altro. Io intendo per “Sanità” il complesso di Istituzioni che lavorano per garantire il recupero della “Salute” di un cittadino. Ma chi si occupa della salute di un cittadino?
In Italia, da sempre, siamo abituati a subire i problemi per, poi, porvi rimedio: un cittadino che si ammala deve essere curato. Per questo ci sono i medici e il grande carrozzone degli ospedali e di tutti i satelliti che vi girano intorno. Ma chi si occupa della salute dei cittadini? Non certo i medici curanti: loro curano e basta. E allora?
Ecco la mia proposta: Istituire una speciale branchia della scienza medica che si occupi seriamente di dare istruzioni formative su come gestire al meglio la propria salute. A cominciare dall’ alimentazione, per finire all’infortunistica sul lavoro e ai comportamenti di ogni giorno per quanto riguarda la prevenzione, parola pochissimo usata, dei guai della salute. Si ha un bel dire che prevenire è meglio che curare. ma nessuno lo fa. I medici se ne astengono, accuratamente. Se i cittadini si ammalano di meno, hanno pochi infortuni, conducono una vita sana e controllata, per i medici c’è molto meno lavoro, e molti meno affari ci saranno per le industrie farmaceutiche. La loro funzione, che viene considerata indispensabile, potrebbe essere messa in discussione. “A patient cured is a customer lost” dicono gli Inglesi: “Un paziente curato è un cliente perso”. Già si stanno studiando e applicando dei sistemi automatizzati di controllo, attraverso “devices” (strumenti) digitalizzati, per seguire accuratamente l’andamento della salute di ciascun individuo. E sarebbe lui a diventare il medico di se stesso. Spendiamo di più per istruire i cittadini a stare bene, piuttosto che curarli quando stanno male. Insomma, più “Salute” e meno “Sanità”. Sarebbe un risparmio enorme, oltre che una migliore qualità della vita.

 

È arrivato il momento di concludere questo “libricino dei sogni”.
Cammin facendo, sgranando il rosario delle criticità Italiane che sono un’enormità, e riconoscendo, anche, che molte altre le ho tralasciate, mi rendo conto, e credo anche voi, che la situazione del nostro paese è estremamente seria.
Quello che potrebbe apparire un sogno, una “task force” d’intervento, rischia di diventare un incubo. La gravità delle attuali condizioni dell’Italia è talmente elevata che qualunque provvedimento si possa predisporre e mettere in atto, potrebbe, addirittura, peggiorare tali condizioni, anziché giovare, come rimedio. Non userò anch’io una frase, usata e abusata, nel politichese attuale, per dire che “serve discontinuità”. Dirò ben di peggio: serve un ribaltone.
I Signori dei Partiti, ed anche l’uomo della strada, il cittadino qualunque, potrebbero intervenire disquisendo:
“Ma questo soggetto politico, che dovrebbe irrompere sullo scenario (sempre ipoteticamente) della politica Italiana, dove si collocherebbe? A destra, a sinistra, al centro?”.
Risposta: da nessuna parte. Queste categorie di dislocazione, queste targhette o etichette che avete la foia di appiccicare sempre e comunque, per catalogare, aprioristicamente, i contenuti ideologici, le simpatie e le fobie di schieramento, per identificare e prendere le misure di un gruppo politico, Signori dei Partiti, sono scadute. Non valgono più. Sono retaggio di un altro secolo, che, se non ve ne siete accorti, è passato da vent’anni.
Destra, sinistra, centro, conservazione, riformismo, laico, confessionale, resistenza, antifascismo, fascismo, giorni della memoria e del ricordo: “delete”, cancella. Tutto viene resettato, per ricominciare con altri impegni e sistemi operativi, ritagliati sullo stringente stato di necessità del momento e del futuro. La politica, da adesso in poi, non ha più un fondamento, né ideale, né ideologico, né di appartenenza; non è più rappresentanza di interessi di questa o quella parte, ma deve diventare pura e semplice “operatività” al servizio della nazione e dei cittadini. Con un programma.
Per questo, anche il profilo dei candidati alla rappresentanza degli Italiani, non deve essere più quello di esponente del territorio, delle corporazioni del mondo del lavoro, delle classi sociali, così come si intendeva una volta. Adesso le qualità di un candidato saranno vagliate secondo la capacità di operare, in settori specifici o in raggruppamenti di competenze. Non si possono certo eliminare i partiti tradizionali, ma i Signori di questi partiti comincino a riconsiderarli dalle fondamenta, secondo criteri e principi del tutto innovativi. La vecchia politica ha fatto il suo tempo. Deve lasciare il posto a menti capaci, veloci, volenterose, oneste, “Responsabili”, ansiose di raddrizzare questa barca che sta per affondare.
Sul pennone di questa barca, cominciamo ad issare una bandiera con la scritta “Responsabilità”.
Qualcuno dirà che i toni che echeggiano nelle righe di questo “manifesto”, sono eccessivamente catastrofistici, che vi aleggiano sentori di giustizialismo forcaiolo e manettaro, che sono troppo perentori, tampinanti, ossessivi. Dirà anche che promettono lacrime e sangue.
Pensatelo e ditelo pure, Signori dei Partiti, ma bisogna che qualcuno alzi la voce, anche per screditare e squalificare proprio voi, che ci avete portati sull’orlo del vortice che potrebbe inghiottirci tutti.
Chi vuole remare in direzione opposta, si arruoli in questo ideale “equipaggio”, per evitare di sprofondare nel mare in tempesta e per orientare le vele verso una nuova terra di speranza.

 

26  Maggio  2020

 

Ricordando Roberto Gervaso

 

L’Italia sta in piedi

perché non sa

da che parte cadere.

 

La politica è l’arte

di maneggiare il letame

senza sporcarsi le mani.

Numero2000.

 

 

S O N O   A R R I V A T O   A L   N U M E R O   2 0 0 0

 

 

Con questo “Numero 2000”, ho doppiato e raddoppiato, in un colpo solo, il  traguardo che mi ero prefissato, quando, un anno e mezzo fa, avevo cominciato a scrivere, in questo BLOG, i primi semplici e brevi aforismi. Pensavo, allora, che raggiungere il Numero 1000, sarebbe stato un risultato prestigioso, di cui andare fiero.
Prova ne sia che l’indirizzo del BLOG era millemotti.mooo.com e tale è rimasto.
Da poco è diventato millemotti.alby.info.
Il neologismo “millemotti”, oltre che a parodiare la raccolta di novelle orientali “Mille e una notte”, voleva significare che mille parole o frasi o detti o aforismi o citazioni, avrebbero potuto bastare per illustrare ed esprimere quello che, nel sottotitolo, è così enunciato: “Cosa ci insegna la vita….testamento spirituale di un libero pensatore”.
Ma così non è stato. Arrivato al fatidico Numero1000, mi sono chiesto: “Mille, non più mille”? Mi sono guardato dentro e….non ho esitato neppure un attimo a decidere di andare oltre, di proseguire nella ricerca e nella stesura di altre cose da scrivere. L’impresa, per quanto ardua, mi ha preso la mano e, per mano, mi ha condotto fino qui, senza fatica e senza pentimento. Anzi, con entusiasmo.
Ed è così, che il titolo del BLOG è diventato “Mille e più motti”.

Però, giunto a questo punto, vi chiederete cosa mi ha spinto a intraprendere questo viaggio, così eclettico, caleidoscopico e multidisciplinare, dentro “il cammin di nostra vita”, andando a ripescare, a rinverdire, a riscoprire, ad attualizzare quelli che sono stati e sono gli interessi della mia esistenza di essere umano “curioso”.
Qua e là, fra i Numeri, vi potreste accorgere che diversi degli argomenti, dei consigli, degli ammonimenti, che vi sono contenuti, sono rivolti a mio figlio.
Dirò qui, e solo ora, con un certo pudore e patema d’animo, che mio figlio ed io abbiamo avuto un percorso di vita in comune travagliato, ostacolato e saltuario, nei primi suoi anni da bambino e, poi, da fanciullo. Non per nostra volontà, tutto sommato, ma così è stato. Fino ai primi suoi anni delle elementari, non ci siamo visti: ci siamo mancati. Non so quanto io a lui, ma lui a me tanto. Ho perso il periodo più bello del nostro rapporto, quando avrei potuto dargli, con l’esempio e la parola e con il quotidiano esercizio sentimentale, quel bagaglio paterno di “algoritmi” di vita, di affetto, di sensibilità, di amore per la cultura che accompagnano, poi, il percorso del resto della vita.

Per fortuna, negli anni che seguirono, abbiamo recuperato, e alla grande, quello che ci era mancato e, sempre più, il nostro rapporto si è consolidato in una normalità, non sembri un paradosso o un ossimoro, eccezionale.
Ma, ho spesso avuto la sensazione di dovergli qualcosa di me, che non avevo avuto la possibilità e l’occasione di dargli, negli anni di mancata frequentazione e vicinanza.. Adesso, lui nel fiore della vita, a 35 anni, e io nella fase calante della mia parabola, ho pensato di dedicargli e di lasciargli questo BLOG, dove troverà, quando avrà voglia di cercarlo, suo padre: i suoi pensieri, il suo modo di ragionare, il suo progetto per la vita, i suoi interessi intellettuali, culturali, i suoi valori affettivi, psicologici, umani.
Di cose materiali, non ho molto da lasciagli. Per la sua vita, saprà lui come fare.
Ma ci tenevo proprio tanto a lasciargli di me, e dell’unica mia ricchezza, questo “testamento spirituale”, come risarcimento di quegli anni, all’inizio della sua giovane vita, quando non ho potuto essere, per lui, il suo papà.

Adesso, che viviamo ognuno la propria vita e siamo lontani, abbiamo un rapporto che ci fa sentire vicini, più che mai. E così saremo, finché…..
Ma, dopo aver detto di quale sia stata la molla che mi ha spinto alla stesura di questo BLOG, devo affrontare, adesso, il tema di un eventuale progetto futuro.  Mi sono, infatti, seriamente interrogato se avrei avuto la volontà e la forza di pormi un altro traguardo e fino a dove.
Dunque, dopo questo Numero 2000, tre sono le opzioni che mi si prospettavano:

1 – Commiato e conclusione.

2 – Aggiornamento e revisione.

3 – Ripartenza e prosecuzione.

Al punto 1: dovrei chiudere qui la pubblicazione e “accontentarmi” dell’esistente, che, però, non è poco. Potrebbe essere sufficiente.

Al punto 2: potrei dedicarmi a perfezionare, rivedendolo, ampliandolo e correggendolo, tutto il contenuto. Sarebbe un bel lavoro, anche impegnativo.

Al punto 3: sceglierei di proseguire, a partire da questo Numero 2000,  senza prefissarmi il traguardo, troppo ambizioso, di raggiungere il Numero 3000.

Indovinate quale è stata, dopo un lungo esame di coscienza, la mia scelta?

Ma, sì, vado avanti! Prendo l’opzione del punto 3. Dove arrivo, arrivo. Tanto, ormai, il più è fatto e, magari, mi resta di cercare ed affrontare, con spirito rinnovato e, forse, diverso nuovi rigurgiti, inediti stimoli, effetti collaterali inaspettati. Ultimamente, poi, mi avvalgo anche della collaborazione delle persone a me più vicine e care, che mi suggeriscono cose che loro sanno interessanti per me. Io le passo al vaglio ed eventualmente le pubblico.
Potrebbe essere ancor più “divertente”, parlare , a ruota libera come sempre, anche di ciò che ci riserva il futuro. Di questo nulla sappiamo, ma potremo, insieme, farcene un’idea: almeno tenterò di farlo io e la condividerò con voi.

Alexis, figlio mio unico e caro, scusami se mi rivolgo direttamente e pubblicamente a te, in prima persona. Ma è solo per rendermi più agevole la stesura del discorso che sto per rivolgerti. Voglio parlarti, adesso e prima che sia troppo tardi, ancora una volta, della vita. Non della mia, dalla quale traggo l’esperienza che mi fa parlare, ma della tua, quella che ti aspetta.
Dopo aver disseminato, in questo Blog, numerosi Numeri che trattano questo argomento, magari in forma  sintetica e spicciola, ora sento il bisogno di andare più in profondità su questo tema, anche allargando lo scenario.

Ho immaginato e cercato di trovare un taglio e un approccio meno didascalici e un po’ più discorsivi, per evitare di essere un barboso o magniloquente dispensatore di sermoni, ed essere più leggero e delicato possibile nella comunicazione.
Tu sai che la forma migliore che si può dare ad un messaggio, per trasmettere un qualsiasi contenuto, è il simbolismo, o la metafora, o l’allegoria, o la similitudine, o la parafrasi, o il paradigma, o il paragone, o la parabola, o il parallelismo, o l’affabulazione (racconto di favole). Queste sono le formule che hanno avuto, sempre e dovunque, il massimo successo. Perché?
Perché, semplicemente, ricorrono all’astrazione, all’idealizzazione, alla metafisica, alla sublimazione, insomma, al mito: si spogliano del “qui e ora” e valgono per sempre e dovunque, acquisendo il carisma della smaterializzazione, della atemporaneità, della trascendenza, diventando perenni e, quasi, immortali.
Le idee, i concetti, i principi morali, religiosi, politici, filosofici, estetici o, anche, le mode, persino le più deteriori, volano per il mondo e nella storia sulle ali delle immagini, delle icone, delle pareidolie. Talvolta sono “fake” (false) o “kitch” (di cattivo gusto), e così riescono a trovare, comunque e purtroppo, ricezione: basta uno “slogan” azzeccato per istituzionalizzare il cosiddetto “Immaginario collettivo”.
Ebbene, ho trovato una buona metafora per parlarti della vita, almeno credo.
E, provo ad esportela, così come l’ho immaginata.

Hai presente le regate in barca a vela, tipo l'”America’s Cup”?
Non so quanto ti siano familiari, quei tipi di gare, e quanto tu ne sappia di marineria. Neanch’io ne sono un esperto, semplicemente le conosco. Proverò a spiegartele, con quel poco che ne so, cammin facendo.
Innanzi tutto, intendo riferirmi alle competizioni “di flotta”, dove, cioè, gareggiano molte imbarcazioni, tutte assieme contemporaneamente, ciascuna contro tutte le altre, e non ai, cosiddetti, “match race”, dove si sfidano solo due barche, una contro l’altra.
Il percorso, sul campo di gara, è a forma triangolare; si parte da una linea di partenza virtuale, compresa fra due barche ferme, e il primo lato del triangolo viene percorso sino a raggiungere la prima boa. Le barche girano attorno a questa boa per, poi, fare rotta verso un altro traguardo intermedio, una seconda boa.  Doppiata anche questa boa, secondo vertice del triangolo, si torna alla linea di partenza, terzo vertice del triangolo, che è anche il traguardo finale. Gli organizzatori della gara scelgono il braccio di mare, in cui  si svolge la competizione, in un sito dove la direzione del vento non è mai costante: tira, sì, prevalentemente verso una certa direzione, ma le correnti d’aria cambiano continuamente, anche in conseguenza di variazioni climatiche, di pressione, di temperatura, del moto ondoso, della copertura nuvolosa, eccetera.
Lo Skipper, il conduttore o timoniere, che si avvale della consulenza costante di un “tattico di gara”, cioè di colui che studia continuamente il vento e le sue variazioni, ha a che fare, per tutta la gara con molte, imprevedibili e casuali variabili, una indipendente dall’altra, che rendono la guida della barca un rebus continuo. L’abilità dello Skipper è quella di adottare, con prontezza, pazienza, sagacia e grande intuizione, tutti gli accorgimenti per essere sempre nelle migliori condizioni di vento possibili e compatibili con la situazione. Solo così si vince la gara, o si ottiene un buon piazzamento.

Man mano che ti descrivo lo svolgimento di questa gara, sicuramente hai cominciato ad intuire il parallelismo con l’andamento della nostra vita.

Prima della partenza, tutte le imbarcazioni si trovano in un “recinto” dove si preparano allo “start” che viene dato  con un colpo, sparato da un cannoncino, allo scadere di un tempo prefissato (mi pare 10 minuti). Durante questa fase preparatoria, tutti i concorrenti cercano di trovare la posizione migliore di partenza, restando sempre in movimento, cioè “nel vento”, anche ostacolando o infastidendo i rivali concorrenti, un po’ come avviene fra i canapi del “Palio di Siena”, prima del “via” del mossiere.
Al colpo del cannoncino tutti partono: chi esce a destra, chi esce a sinistra, chi al centro, a seconda della sensibilità e della strategia programmata di ogni team, tenendo conto anche delle caratteristiche, tutte diverse, di ciascuna imbarcazione. C’è una barca che è pesante, poderosa, che porta una velatura imponente, più adatta, per dire, ad un vento forte; e c’è un’altra che, invece è molto agile e manovrabile, con un volume velico più ridotto, che può sfruttare meglio le brezze leggere. Ogni barca si avvia, dirigendosi verso quella parte del campo di gara, dove ritiene di poter trovare le condizioni di vento migliori per le proprie caratteristiche. Il primo lato del triangolo o, meglio, la linea virtuale o ideale da seguire per raggiungere la prima boa, non è quasi mai quella a favore di vento, che invece, spira obliquamente rispetto a questa linea. C’è, allora una ricerca continua, di approssimare, compensando, la linea da seguire con la migliore spinta possibile del vento a disposizione: bisogna sfruttare il vento, aggiustando e modificando continuamente la velatura, per mezzo dei verricelli azionati dall’equipaggio. (Consulta il Numero669).

Ecco, Alexis, tu, coi tuoi 35 anni fra poco, stai per raggiungere la tua prima boa.
Alla luce di questa metafora velica, puoi dire di doppiarla in discreta, se non buona posizione, nel novero dei concorrenti. Sei dotato di una buona barca, hai acquisito esperienza e sicurezza, col tuo bagaglio di conoscenze tecniche e professionali, hai buona tenacia e buon carattere. Lavorare non ti spaventa.
Anche se, finora, e come tanti della tua età, non hai ancora raggiunto traguardi soddisfacenti, tuttavia puoi credere in te stesso, per quello che hai impostato e preparato per un ottimo secondo lato del triangolo. Hai fatto dei tentativi, alcuni abortiti, altri più felici e formativi, ma in ogni incarico ti sei speso al meglio dando a te stesso e agli altri una buona immagine di te.
Adesso viene il bello e, speriamo, il meglio.
Ma, attenzione, il secondo lato del triangolo è quello più impegnativo.
La direzione è cambiata, così come il vento: adesso, il vento è contrario.
Ma lo è per tutti. E allora come si fa? Bisogna procedere “di bolina”, vale a dire che, per andare avanti, bisogna “risalire il vento”, mantenendo, rispetto alla direzione dello stesso, un angolo compreso fra i 60 e i 37 gradi, a seconda del tipo di barca. Si deve creare una risultante vettoriale, limitata ma reale, che permette alla barca di avanzare ugualmente anche andando contro vento. Detto in soldoni.
E c’è parecchio lavoro da fare, specialmente per l’equipaggio: per tutte le miglia della linea ideale di navigazione, bisogna continuamente modificare l’assetto delle vele, spostandole da un bordo all’altro (“strambare”, in gergo marinaresco) , agendo in perfetta sincronia con l’azione del timoniere.  Per gli spettatori è straordinario assistere a tutte queste spasmodiche operazioni: per gli uomini in manovra ai “winches” (verricelli), è una faticaccia . Ci vuole un gran lavoro di squadra, affiatamento, coordinamento e….sudore.
Nel tuo secondo lato della vita, quello di ” bolina” (bowlines = cavi di prua), sarai, tutto in uno, “tattico” e “Skipper”. Forse potrai delegare solo le mansioni di fatica, ma non ti dovranno mancare energia nervosa, lucidità mentale e grande intuizione. Qui si vince la gara: qui si fa la differenza.
Non ti spaventare, ma preparati.
Attenzione a non sbagliare i tempi: una manovra scoordinata potrebbe compromettere la gara. Guardati intorno assiduamente e attentamente, e cerca di prevedere e prevenire le conseguenze di colpi di vento anomali: sono sempre in agguato. Lascia perdere l’azzardo o la ricerca dell’occasione fortunata, non ti inventare nulla che sia al di fuori del tuo controllo. Fai con quello che hai: sarà ben fatto. E, nella difficoltà, imponiti sempre di rimediare, di recuperare; non svenderti, non abdicare, non rinunciare, non mollare. Mai!

Doppiata anche la seconda boa, non ti rimane che dirigerti verso il punto da cui sei partito: sarà il traguardo. Si sale sul podio soltanto se la condotta in tutti i tratti di percorso della regata avrà dato una sommatoria ottimale di performance.
Adesso la barca si allinea, dritto per dritto, nella direzione dell’arrivo e, stavolta e finalmente, col vento in poppa. Avrai issato lo “spinnaker”, la vela più ampia, e raccoglierai tutta la potenza del vento. Non ci saranno le frenetiche manovre della “bolina”, ma ci sarà da vigilare parecchio. Magari succederà che qualche tuo avversario,  dotato di una barca più potente della tua, ti si metta dietro ed impedisca al vento di gonfiare le tue vele, perché sarà lui a sfruttarne il soffio. Allora, dovrai zigzagare alacremente e frequentemente (“strambate” di poppa), per evitare di essere “coperto” e  riuscire a ricevere sempre abbondante aria ed energia di spinta. Come vedi, non c’è mai pace in questa regata che si chiama vita. Proprio quando speri di tornare verso casa, tranquillo in buona classifica, godendo della tua posizione di privilegio che ti sei così faticosamente conquistata, ebbene, anche allora ci sarà da lottare per difendere ciò che ti sarai meritato.

Il parallelismo, fra le fasi della vita e le fasi della regata velica, adesso, credo ti sia chiaro.
Il carosello, nel recinto, che precede la partenza è la tua infanzia: la preparazione alla vita. Scaramucce, dispetti, giochi, finte, capricci e qualche scorrettezza, tanto per vedere come va a finire, con il salvacondotto della puerilità.
Il primo lato del triangolo, verso la prima boa, è la tua giovinezza: pieno di energia, ti spendi in tentativi, anche commettendo errori e perdendo tempo.
Ma è il periodo più formativo e più fecondo, quello che ti dà la dote, di determinazione e di conoscenze, che ti permetterà , più avanti, di mettere a buon frutto il tuo impegno e i tuoi sacrifici.
Il secondo lato del triangolo, quello “di bolina” è il più importante e determinate per la tua vita. Per quanto impegnativa e stressante, è la fase della tua vita che ti vedrà protagonista, cosciente di esserlo: è la tua maturità.
Adesso ti si spalanca davanti un mondo tutto tuo, da conquistare, da perlustrare con confidenza e consapevolezza. Qui, potrai dare, anche la vita, anche ad altri da te, con tutto quello che sei e che vali, compiutamente.
E, infine, il lato “di poppa”, che chiude il perimetro triangolare della tua vita, e che ti porta al traguardo.
Vedi di arrivarci sano e salvo, pur in presenza della ingravescente decadenza del corpo e del rattrappirsi dello spirito, prova a ritornare da dove sei partito per fare, davanti al tribunale della tua coscienza, un confronto onesto e sereno fra l’inesperto che eri e il saggio che diventerai. Quello che ti auguro è di essere orgoglioso di quello che ti troverai ad essere, e che il bambino che eri sia contento dell’uomo che sarai diventato.
Vincerai la tua regata e avrai vissuto la tua vita.

Un abbraccio,

tuo padre.

 

Numero1999.

 

Riporto, qui di seguito, una interessantissima dissertazione su un tema di vitale importanza per la democrazia, come quello della rappresentanza democratica, che però, a mio avviso, non so se sia più disatteso dai partiti politici o ignorato e sconosciuto dai cittadini elettori. Giudicate voi, dopo esservi, spero, un po’ sorpresi e non annoiati.

 

L A   R I L E V A N Z A   D E L L E   S C H E D E   B I A N C H E   N E L    C O M P U T O   E L E T T O R A L E :

I L   V A L O R E   D E L   D I S S E N S O.

 

di Ester Tanasso

 

Introduzione.

Scorrendo i risultati elettorali dal 1948 al 2006, si assiste dapprima al timido apparire e poi
sempre più al consolidarsi del voto bianco in Italia. Con un lento ma convinto procedere,
infatti, le schede bianche sono passate dalle poco più di seicentomila del 1948,
espressione del 2,3% dei votanti, ai quattro milioni e mezzo circa del 2001, pari al 12,39%
dei voti scrutinati. Nel 2006, invece, in assoluta controtendenza rispetto ai risultati
sostanzialmente stabili e crescenti delle precedenti tornate elettorali, si è registrato un
crollo di tale dato di circa dieci punti percentuali, curioso al punto da richiedere l’apertura di
un’inchiesta da parte della magistratura.
Il voto bianco, dunque, appare come un fenomeno ormai connaturato alle consultazioni
elettorali che recentemente ha assunto dimensioni sempre più rilevanti: nel 1994, nel 1996
e nel 2001 circa quattro milioni di italiani si sono espressi in tal senso. Per rendere chiaro il
dato, il numero coincide con i voti ricevuti alla Camera, negli anni di riferimento, di volta in
volta da partiti come il PPI, la Lega Nord e Alleanza Nazionale.
Computata in una categoria specifica, la scheda bianca non è però equiparabile al voto
“validamente espresso” e se ne tiene conto solo ai fini statistici della partecipazione
elettorale. Come tale, viene assimilato ai voti nulli e viene letto come fosse un generico
astensionismo, non dissimile dal comportamento di “non voto” di coloro che non vanno a
votare. Di fatto, è un voto che tace.
Anche l’analisi del fenomeno astensionista ha risentito lungamente di questa
omogeneizzazione: “Si suppone che schede bianche, annullate, elettori assenti al voto
siano persone che “volontariamente” chiedono che di loro non si tenga conto”.

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Dati: Ministero dell’Interno – Archivio storico delle elezioni.
Si considerano bianche le schede che, regolarmente munite del bollo e della firma dello scrutatore, non
portano alcuna espressione di suffragio, né segni o tracce di scrittura. Di esse deve essere presa nota nel
verbale oltre che, una volta vidimate e incluse in un’apposita “Busta”, esservi allegate.
“Si parla genericamente di “astenuti” per indicare sia coloro che non si recano alle urne sia coloro che vi si
recano ma che votano scheda bianca od annullano la scheda – terminologia che però è fuorviante, poiché
solo alle schede bianche ed a quelle volontariamente rese nulle può attribuirsi il valore di una presa di
posizione politica consapevole, mentre al non votante va accreditata ordinariamente una radicale incertezza
e/o indifferenza rispetto alle vicende elettorali”: Chimenti C. (1983), Proviamo con la libertà di voto, in Queste
Istituzioni, n.2, pag.19.
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L’astensionismo, infatti, è stato lungamente ricondotto ad un problema di scarsa cultura
civica e di marginalità socio-politica di alcune ristrette fasce della popolazione. Il risultato
di un’alienazione che, quale che fosse il suo modo di esprimersi – non arrivando ad avere
alcuna incidenza sul numero degli eletti – non intaccava né le sfere di potere, né i rapporti
di forza tra i partiti. Senz’altro una sacca critica della democrazia, dunque, ma tutto
sommato innocua e per certi versi comoda: non meritevole, quindi, di vera attenzione.
Non si è potuto però nascondere che, nel tempo, il fenomeno, nel suo incrementarsi, abbia
assunto connotazioni vieppiù politiche: al non voto di chi è incapace di scegliere, si è
aggiunto – e massicciamente – il non voto di chi si rifiuta di scegliere.
La ricerca sociologica più accorta ha potuto, allora, distinguere dall’ astensionismo da
apatia che attribuisce la decisione di non votare a una forma di estraneità e distacco, un
astensionismo di protesta che assume il significato di un atto intenzionale, compiuto da
cittadini consapevoli che, in questo modo, esprimono la loro opinione.
Se non è, quindi, certamente corretto dare una lettura univoca del “partito del non voto”,
occorre, tuttavia, individuare al suo interno ragioni precise, che si concretano in
atteggiamenti diversificati, suscettibili, come tali, di valutazioni differenti. Ed infatti,
tralasciando qui di soffermarsi sulle motivazioni di coloro che non si recano alle urne, di cui
sarebbe azzardato interpretare gli umori, ma che senz’altro delegano ad altri la loro scelta
e, sgombrato il campo dagli errori tecnici che caratterizzano le schede nulle, ben diversa
appare la condotta di chi, di fronte alle proposte dei partiti, non si sente di esprimere la sua
preferenza nei confronti di nessun candidato e, quindi, depone nell’urna una scheda
bianca. E’ difficile qui immaginare che il cittadino “non sappia” decidersi, una volta giunto
al seggio elettorale. Dati, infatti, i costi in termini di tempo (raggiungimento del seggio, a
volte lunghe file) che l’operazione richiede e l’informazione martellante della campagna
elettorale che lo ha accompagnato fino a quel momento, quando l’elettore va a votare,
presumibilmente, è ben convinto di ciò che farà.
Nel lasciare volontariamente in bianco la scheda, esprime quasi sempre la negazione del
proprio consenso, un giudizio consapevole ed intenzionale di rifiuto, una bocciatura in
risposta all’offerta dei partiti ed alle loro strategie. Come tale, la scheda bianca è un
comportamento di voto in senso pieno.


 

Il senso del voto

Ma può essere considerato voto “valido” la scheda bianca? Per rispondere, bisogna
chiedersi quale sia lo scopo della partecipazione elettorale e se, al suo interno, possa
avere ragione di essere la scelta prima della preferenza, l’opinione prima del consenso.
Le elezioni, come emerge dal dato glottologico (eligere: scegliere, electio: scelta), sono
preposte ad una selezione: la nostra complessità sociale, infatti, impone che la nostra
sovranità venga delegata ad un piccolo numero di rappresentanti. L’essenziale della teoria
elezionistica è di assicurare, infatti, nell’effettività e nel tempo, l’obbligo dei governanti di
rispondere responsabilmente ai governati. Ciò non avviene però nei termini del rapporto di
mandato, posto che gli eletti non sono obbligati a conformarsi al volere degli elettori, né da
questi possono essere destituiti. Ma questo non vuol dire che non sono legati da nulla. Pur
se il deputato non è revocabile a discrezione dei suoi rappresentati e non è obbligato a
conformarsi all’incarico ricevuto, egli non è però inamovibile: la temporaneità dell’incarico,
con il periodico ricorso al corpo elettorale, costringe l’eletto ad una sottomissione indiretta
e sostanziale nei suoi confronti e lo inchioda a quella responsabilità verso l’elettorato che
definiamo “politica”.
Con la partecipazione elettorale, allora, si ha che il popolo è esso stesso parte di un
processo di competizione tra attori politici, in cui interviene, dando luogo ad una conta
dalla quale dipende l’esclusione o l’inclusione dei candidati nell’organismo
rappresentativo. Nel momento in cui delega la propria sovranità, in cui sceglie i propri
rappresentanti, il cittadino è realmente sovrano e ciò che conferisce responsabilità e
quindi senso democratico alla dinamica rappresentativa è proprio la prospettiva
competitiva.
In quest’ottica, può avere senso il voto bianco? In effetti, il cittadino che vota in questo
modo non compie un gesto eversivo e fuori dal sistema, al contrario lo ossequia: si reca
alle urne e vota. Ora, inteso come un generico non liquet (non è chiaro), questo gesto non ha alcun
significato, ma se è, come appare, una bocciatura, l’altra possibile faccia di una scelta,
gioverebbe alla competizione e quindi alla democrazia se esso avesse un’efficacia sui
risultati elettorali.
Se le proposte dei partiti, infatti, non consentono di esprimere una preferenza convinta,
perchè deve “chiamarsi fuori” l’elettore e non il candidato?

Se “il voto è una manifestazione di volontà”, ritenere che esso esiste solo quando,
incardinandosi nella rappresentanza fisica, esprime un consenso, non è forse una
diminutio del potere democratico di giudizio degli elettori?
Va osservato infatti, che mentre Governi e Parlamenti sono esposti continuamente, nel
loro operato, a critiche e bocciature, ciò non avviene con riguardo all’attività dei partiti e
delle loro segreterie, nel momento – fondamentale, in democrazia – in cui provvedono,
come oggi accade, alla scelta delle candidature.
In assenza di elezioni primarie previste dall’ordinamento ed anzi, in presenza di liste
bloccate come quelle dell’attuale legge elettorale, manca a monte un contrappeso
democratico alle scelte dei partiti.
Tanto se si intenda la rappresentanza elettorale come somiglianza al corpus dei votanti,
quanto se la si associ al concetto di rispondenza e quindi responsabilità, beninteso
politica, verso gli elettori, ci si accorge che il voto bianco, che pure è un’opinione espressa,
un parere dato, non ha nessuna corrispondenza nei risultati elettorali. Se, infatti, la
partecipazione al voto deve dar luogo ad una rappresentanza, allo stato delle cose, l’intero
corpo elettorale è effettivamente rappresentato dagli eletti? Ed è democratico un
Parlamento che non tiene conto dell’opinione di una buona percentuale di elettori?
Vale la pena, allora, di esaminare l’art. 48 della Costituzione, laddove sancisce che il voto
è “personale ed eguale, libero e segreto”.
Naturalmente, la definizione si pone come il portato storico di una lungo percorso che ha
visto, nell’estensione universale del suffragio, il riconoscimento che ogni individuo fosse
portatore di un voto di pari valore. Tuttavia, è lecito domandarsi se la “previsione
d’uguaglianza sia richiesta non soltanto in partenza ma anche in arrivo”, se cioè i diversi
(o uguali?) comportamenti di voto debbano produrre ugualmente dei risultati.

Dare voce al dissenso.

Ravvisando nella competizione aperta il metodo della rappresentanza, ci sembra che
competizione vera esista solo ammettendo la possibilità di bocciature, che consentano di
interloquire in questo modo con l’operato dei partiti. Senza infatti disconoscerne il ruolo
storico di sintesi e di mediazione delle istanze della società civile, non sfugge come oggi
essi vengano troppo spesso percepiti come un potere avulso e “totalitarista”, quando non
semplici macchine organizzative e di propaganda.
Tirando le fila del nostro ragionamento, dunque, la proposta che ci sentiamo di avanzare
è quella di dare alle schede bianche, in sede di computo elettorale, la stessa rilevanza dei
voti di preferenza e “attribuire” loro un certo numero di seggi, lasciandoli semplicemente
vuoti, con la conseguenza di diminuire il numero degli eletti in proporzione al numero delle
schede bianche.

Proviamo a calare questa iniziativa nella pratica elettorale.
Ad esempio, nell’attuale legge elettorale per la Camera dei Deputati, la ripartizione dei
seggi è effettuata, sulla base di un voto di lista, in ragione proporzionale, con l’eventuale
attribuzione di un premio di maggioranza. Pertanto viene diviso il totale dei voti validi a
livello nazionale per il numero di seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale
nazionale. Si divide poi il risultato elettorale nazionale di ciascuna coalizione di liste o
singola lista per tale quoziente. La parte intera del quoziente così ottenuta rappresenta il
numero di seggi da assegnare a ciascuna coalizione o alla singola lista. I seggi che
rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle coalizioni di liste o
singole liste per le quali queste ultime divisioni hanno dato i maggiori resti e, in caso di
parità di resti, a quelle che hanno conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale.
Le schede bianche dovrebbero concorrere alla formazione di una propria cifra elettorale,
assimilabile alle altre cifre nazionali di lista, da dividere per il quoziente elettorale
nazionale. Ove tale quoziente fosse maggiore di zero, quello sarebbe il numero dei seggi
da lasciare vuoti. Altrimenti, guardando ai più alti resti, si procederebbe all’assegnazione
dei seggi, lasciandoli vuoti, laddove essi fossero appannaggio della “lista” delle schede
bianche.
Il Senato della Repubblica è eletto invece, come si sa, su base regionale. Anche qui
l’assegnazione dei seggi tra le liste concorrenti è effettuata in ragione proporzionale, con
l’eventuale attribuzione del premio di coalizione regionale. L’ufficio elettorale regionale
procede allora ad una prima attribuzione provvisoria dei seggi alle liste e coalizioni di liste,
in base alla cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna di esse. A tal fine divide il totale
delle cifre elettorali circoscrizionali di tutte le liste per il numero dei seggi da attribuire nella
regione, ottenendo così il quoziente elettorale circoscrizionale, senza tener conto
dell’eventuale parte frazionaria di tale quoziente.

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Si potrebbe prevedere l’espressione positiva del dissenso inserendo sulle schede un riquadro che
contenga formule quali “scheda bianca” o “rifiuto” marcabili con un chiaro segno.

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Divide poi la cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna coalizione di liste o singola lista per il quoziente elettorale
circoscrizionale. La parte intera del quoziente così ottenuto rappresenta il numero dei
seggi da assegnare a ciascuna coalizione di liste o alla singola lista. I seggi che
rimangono ancora da attribuire sono rispettivamente assegnati alle coalizioni di liste o
singole liste che hanno ottenuto i maggiori resti e, in caso di parità, a quelle che abbiano
conseguito la maggiore cifra elettorale circoscrizionale.
Anche al Senato si dovrebbe seguire lo stesso meccanismo di calcolo: le schede bianche
dovrebbero formare una cifra elettorale concorrente da dividere poi per il quoziente
elettorale circoscrizionale. Se il risultato fosse un numero intero o, in caso di seggi
inassegnati, il più alto resto, si otterrebbe l’effetto di diminuire il numero dei Senatori nelle
regioni ove fosse maggiore il voto di protesta.
E’ interessante a questo punto notare cosa avverrebbe in altro tipo di sistema elettorale,
come quello del maggioritario con doppio turno introdotto per l’elezione diretta dei sindaci.
Esso si applica nei comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti e secondo la
regola della maggioranza semplice o assoluta è dichiarato vincitore chi riceve al primo
turno il 50%+1 delle preferenze espresse. Nel caso di due soli candidati vince chi dei due
ottiene più voti. Se i candidati sono più di due, le eventuali situazioni di stallo in cui
nessuno riceve i voti richiesti vengono risolte col secondo turno di votazione, al quale sono
ammessi solo i due candidati che hanno ottenuto più voti al primo turno.
Cosa accadrebbe in questo caso se le schede bianche avessero valore?
Come si sa, oltre al referendum, è questo l’unico caso in cui l’astensionismo ha incidenza
sulla consultazione elettorale. Nelle elezioni comunali, infatti, laddove vi sia stata un’unica
candidatura a sindaco ed i votanti non raggiungano la soglia del 50% degli aventi diritto al
voto, l’ente viene commissariato ed indette nuove consultazioni. Ciò induce talvolta il
candidato unico a porre in essere una seconda candidatura tecnica, proprio per
scongiurare il rischio di nullità delle elezioni.

Nel referendum abrogativo di leggi ordinarie statali, l’art.75 c.4 della Costituzione impone che i votanti
siano pari ad almeno il 50% più uno degli aventi diritto.

Paradossalmente, invece, in presenza di due candidati, con le relative liste di consiglieri,
anche se un solo elettore si recasse alle urne, avremmo un sindaco e un consiglio
comunale validamente eletti. Cosa certo non molto rassicurante per la democrazia.
Immaginiamo invece che i cittadini possano efficacemente votare scheda bianca in
presenza di due candidati non graditi. Certamente anche in questo caso al secondo turno
accederebbero i due candidati più votati, anche se le schede bianche risultassero
maggioritarie. Tuttavia, con riferimento all’elezione dei consiglieri, non si vede perché la
cifra elettorale delle schede bianche non debba concorrere con quelle delle altre liste. La
cifra elettorale di ciascuna lista o gruppo di liste collegate, infatti, viene divisa per 1,2,3,4,
sino a concorrenza del numero dei consiglieri da eleggere. Si scelgono quindi, fra i
quozienti così ottenuti, i più alti, in numero eguale a quello dei consiglieri da eleggere,
disponendoli in una graduatoria decrescente. Posto che ciascuna lista avrà tanti
rappresentanti quanti sono i quozienti ad essa appartenenti compresi nella graduatoria, la
cifra elettorale delle schede bianche diminuirà in misura corrispondente al proprio
quoziente il numero dei consiglieri eletti.

Conclusioni.

Naturalmente, si obietterà che esigenze di governabilità suggeriscono di non tenere conto
di proposte, come questa, “corrosive” delle compagini governative. Bisogna però chiedersi
quanto queste siano legittimate ad esercitare il loro potere, quando risultino espressione di
percentuali fortemente minoritarie di cittadini. Ove si consideri, poi, che i seggi vengono
assegnati sulla base della popolazione residente, in certe zone in cui l’astensionismo è
ormai una componente costante e consistente del comportamento di voto, i seggi
finiscono per “costare”, in termini di voti validi, assai meno di quanto non accade in quelle
con forte partecipazione. E questo è un paradosso pericoloso per la democrazia.
Sarebbe invece opportuno, riteniamo, dare voce al dissenso e recuperare in questo modo
il più ampio numero di cittadini alla partecipazione attiva, quanto mai necessaria in un
mondo che dovrebbe aspirare all’inclusione di ciascuno nel gioco democratico.
Inoltre, sarebbe un monito forte ed efficace ad una politica dei migliori, senza dimenticare
il non trascurabile vantaggio per le pubbliche casse, prodotto, automaticamente e
democraticamente, da un minor numero di eletti.
Ora, nella prospettazione riguardante l’elezione dei sindaci, va ricordato che l’art.37 del
d.lgs. 267/2000 stabilisce il numero dei componenti il consiglio comunale a seconda della
popolazione dei vari comuni. Accogliendo la nostra proposta, si potrebbe prevedere, con
semplice modifica legislativa, che tale numero dato venga ridotto nella misura del
quoziente ottenuto dalle schede bianche.

Più temibilmente, invece, si pone il problema della compatibilità costituzionale di questa
ipotesi con gli art. 56 e 57 della Costituzione, i quali fissano a 630 e 315 i membri di
Camera e Senato.
Va tuttavia rilevato che, già nella scorsa legislatura, le cosiddette “liste civetta” hanno
avuto l’esito di lasciare alcuni seggi inassegnati, senza che – questo almeno – facesse
gridare nessuno allo scandalo. Paradossalmente, anzi, previsioni di questo tipo,
potrebbero essere un contrappunto proprio ai meccanismi più criticati dell’attuale legge
elettorale. Laddove si rendesse necessario, si dovrebbe tentare la modifica costituzionale,
prevedendo che il numero “dei seggi” dei Deputati e Senatori elettivi sia rispettivamente di
630 e 315., contemplando la possibilità che, per volontà dell’elettorato, alcuni restino
vuoti. Ma questi sono dilemmi che volentieri lasciamo a chi, nell’auspicata costruzione
della nuova legge elettorale, si vorrà cimentare.

Numero1996.

 

L E   D O N N E   E   LA   C H I E S A

 

Il Cristianesimo, come il Giudaismo e l’Islamismo, è stato progettato per realizzare un altro punto fondamentale del Ordine del Giorno Rettiliano: la soppressione dell’energia femminile, cioè del legame intuitivo con i livelli superiori della nostra coscienza multidimensionale. Se sopprimi la tua energia femminile, la tua intuizione, spegni la tua coscienza superiore e finisci per essere dominato dalla coscienza inferiore.
Così facendo, non puoi accedere alla tua più elevata dimensione di amore, saggezza e conoscenza, e sei in balia di informazioni “manipolate” che ti bombardano occhi ed orecchie.
È questo il motivo per cui la Confraternita Babilonese ha cercato di creare un mondo in cui l’energia maschile fosse dominante, almeno a livello superficiale. L’atteggiamento che noi definiamo da “uomo macho” è quello tipico di una persona privata dell’energia femminile e, quindi, profondamente squilibrata.
Notate che, nel Credo Niceno di Costantino, non vi è alcun riferimento alle donne. Si dice che Dio si è incarnato in Gesù “per noi uomini e per la nostra salvezza”.
Il Cristianesimo fu una roccaforte maschile fin dalle sue fondamenta, creata per sopprimere  la riequilibrante  energia femminile. I padri fondatori della Chiesa, come Quinto Tertulliano, bandirono le donne dall’ufficio sacerdotale, proibendo loro persino di parlare in chiesa.
Fu solo al Concilio di Trento, nel 1545, che la Chiesa Cattolica decise ufficialmente che anche le donne avevano un’anima, e questa decisione fu presa con un margine di soli 3 voti!
I semi di questo dogma antifemminile tipico della Chiesa Cristiana si riscontrano anche in quello specchio del Cristianesimo che è lo Zoroastrismo, la setta del profeta (mitico Dio-Sole) Zoroastro.
Questa religione nacque, ancora una volta, in Persia, in una zona oggi appartenente alla Turchia, dove sorgono le montagne del Taurus e la città di San Paolo, Tarso.
(N.d.R. Si vede che, da quelle parti, era diffusa questa mentalità).
Zoroastro mostrava un violento atteggiamento misogino e affermava che “nessuna donna può entrare in Paradiso, eccetto quelle che si sottoponevano al controllo da parte dell’uomo e che consideravano Signori i loro mariti“.
Quest’intera filosofia è quasi una ripetizione letterale del Brahamanesimo, l’orrendo credo induista introdotto in India dagli Ariani molti secoli prima.
San Paolo continuò ad attuare il suo piano ostile alle donne, in conformità con i dettami Cristiani, aprendo la strada alla tremenda persecuzione delle donne che si consumò nei quasi duemila anni successivi.
Tra le perle di San Paolo si legge:

“Mogli, sottomettetevi ai vostri mariti, poiché il marito è il capo della moglie, come Cristo è capo della Chiesa. Ora, se la Chiesa si sottomette a Cristo, allo stesso modo le mogli si devono sottomettere, in ogni cosa, al marito“.
(N.d.R.   Cristo non era il capo di nessuna Chiesa. È stato proprio Paolo di Tarso a fondare la Chiesa Cristiana, ma non aveva il mitico carisma di Cristo. Inoltre trovo il parallelismo del tutto fuori luogo, capzioso e arrogante).

E:

“Non tollero né che una moglie educhi, né che usurpi l’autorità dell’uomo, ma solo che resti in silenzio”.

Sant’ Agostino di Ippona, come la maggior parte dei personaggi della Chiesa, proveniva dall’Africa del Nord.
Da giovane nutrì insaziabili voglie sessuali, ma, all’età di 31 anni, dopo la presunta conversione al Cristianesimo, cambiò drasticamente condotta di vita e decise che il sesso era una cosa orrenda. Sapete, un po’ come fanno i fumatori quando smettono. Non permetteva a nessuna donna di entrare in casa sua se non accompagnata, e questo valeva persino per sua sorella. Ma non riuscì ad escogitare un modo alternativo di procreare, per cui fu costretto ad accettare il sesso, per evitare l’estinzione dell’umanità.
Tuttavia, insistette sul fatto che, per nessuna ragione, esso dovesse essere una fonte di piacere.
Io ci ho provato, ma non funziona.
Ma questa era l’idea della sessualità che aveva Agostino:

“I mariti amino le loro mogli, ma le amino castamente. Indugino nella carne solo nella misura in cui ciò è necessario per la procreazione dei figli. Dal momento che non è possibile generare figli in alcun altro modo, dovete abbassarvi a ciò contro la vostra volontà, poiché questo è  il castigo di Adamo”.

Queste posizioni portarono, per gradi, all’imposizione del celibato al clero da parte di Papa Gregorio VII nel 1074.
Esatto, oggi nella Chiesa Cattolica i sacerdoti sono celibi perché questo è quello che ha deciso un Papa un migliaio di anni fa, e un’infinità di bambini, violentati da uomini di Chiesa, frustrati e squilibrati, ne hanno pagato le conseguenze.
Agostino collegava il sesso al peccato originale, all’idea, cioè, che nasciamo tutti peccatori, poiché discendiamo da Adamo ed Eva. Gesù, secondo la sua teoria, fu l’unico a nascere senza peccato originale, poiché fu concepito da una vergine.

Miliardi di persone sono state controllate e manipolate in questo modo, poiché il Credo Cristiano ha insinuato la paura, il senso di colpa e la violenza nel profondo dello spirito umano.
A dire il vero, anch’io credo nel peccato originale. Alcuni dei miei “peccati” sono stati molto originali.
Se dovete proprio peccare, fatelo in modo originale, questo è ciò che vi dico.

David  Icke         Il segreto più nascosto.

 

N.d.R.    Mi piacerebbe raccogliere qualche commento da parte delle rappresentanti del gentil sesso.

Numero1995.

 

C U R I O S I    I M P E R A T I V I

 

À B           I T A L Y
A D D       Ì T A L Y
À G          I T A L Y
D Ì G        I T A L Y
È D           I T A L Y
F A C Ì L   I T A L Y
Ì M           I T A L Y
I N V        Ì T A L Y
M È R       I T A L Y
Ò S P       I T A L Y

Numero1994.

 

NON  TUTTI  LO  SANNO

 

Una delle mosse più importanti della cosiddetta Confraternita Babilonese fu la creazione, nel 1913, della “Riserva Federale”, la Federal Reserve, la “Banca Centrale” degli Stati Uniti.
Questo ente non è né “Federale”, né può definirsi una “Riserva”. Si tratta di un cartello di Banche private di proprietà delle 20 famiglie fondatrici, per lo più Europee, che oggi decide i tassi d’interesse per gli Stati Uniti e presta denaro inesistente (cifre su uno schermo) al Governo Statunitense, su cui, poi, i contribuenti devono pagare gli interessi.
Questo è ciò che chiamiamo il “disavanzo Americano”, cioè aria fresca.
Il Governo Federale degli Stati Uniti non possiede una sola azione della “Riserva Federale” e i cittadini Americani non possono acquistarle. I profitti superano i 150 miliardi di dollari all’anno e la “Riserva Federale” non ha mai pubblicato una volta, nel corso della sua storia, la revisione del suo bilancio.
Queste entrate sono assicurate perché:

1   La Confraternita controlla il Governo Statunitense (il cui secondo nome è Virginia Company) che continua a prendere “denaro” in prestito dalla “Riserva Federale”;
2   Controlla anche il Servizio Tributi Interni (IRS = Internal Revenue Service), l’organizzazione terroristica illegale e privata che riscuote le tasse;
3   Controlla i “media” per far sì che la popolazione non venga mai a sapere quanto detto ai punti 1 e 2.

La Confraternita desiderava da tempo una “Banca Centrale” privata in America per coronare il proprio controllo sull’economia. Quando il Frammassone più in vista, George Washington, divenne il primo Presidente, nominò un uomo di paglia della Confraternita di nome Alexander Hamilton come Ministro del Tesoro.
Hamilton fondò la Banca degli Stati Uniti, una Banca Centrale privata che iniziò a prestare denaro al Governo degli Stati Uniti, assicurandosene, così, fin dall’inizio , il controllo.
Se guardate cosa è successo quando la Nobiltà Nera ha introdotto la Banca d’Inghilterra, vi accorgerete che lo scenario è esattamente lo stesso.
La Banca degli Stati Uniti provocò così tanta miseria, bancarotte e ribellioni, che venne chiusa, ma fu presto rimpiazzata dalla “Riserva Federale”.

Quando la legge che istituiva la Riserva Federale stava per essere presentata al Congresso, i banchieri, che l’avevano scritta, la criticarono duramente e pubblicamente. I banchieri erano già molto impopolari e volevano dare l’impressione che la legge fosse svantaggiosa per loro, aumentando il consenso popolare in favore della sua approvazione. Questo tipo di manipolazione è ricorrente e non bisogna mai tener conto di quello che uno dice pubblicamente, ma chiedersi sempre “A chi giova questa cosa?” e “A chi giova che io creda a quello che mi viene detto?”.
La legge fu approvata proprio prima del Natale 1913, quando molti deputati erano già a casa, in vacanza con le loro famiglie. Ora i banchieri potevano controllare i tassi d’interesse e realizzare una fortuna prestando al Governo denaro inesistente e caricandolo di interessi.
Per completare il ciclo, tuttavia, dovevano assicurarsi entrate costanti che finanziassero il Governo e, nel 1913, introdussero così un’Imposta Federale sul Reddito. Per farlo, dovettero introdurre un emendamento, il 16°, alla Costituzione Americana, che richiedeva il consenso di almeno 36 Stati. Solo due Stati lo concessero, ma Filander Knox, il Segretario di Stato, annunciò semplicemente che la maggioranza richiesta era stata raggiunta e la legge venne approvata. A tutt’oggi, la riscossione forzata dell’Imposta Federale sul Reddito è illegale e, tuttavia, il Servizio Tributi Interni continua ad esigere il pagamento di questa tassa in tutti gli Stati Uniti.

Qualcuno potrebbe dire che, definirla un’operazione terroristica è esagerato, ma per terrorizzare qualcuno non c’è bisogno di usare un fucile o una bomba. Può farlo anche minacciando di privarlo dei sui mezzi di sussistenza e di espropriargli la casa per il mancato pagamento di una tassa che è illegale.
Il Servizio Tributi Interni che riscuote le tasse negli Stati Uniti è anch’esso un’azienda privata, sebbene la gente creda che faccia parte del Governo.

 

David Icke          Il segreto più nascosto.

 

A parziale integrazione di quanto sopra, riporto il Numero699:

Nel 1963, il Presidente J.F. Kennedy firmò l’atto n° 1110, con il quale toglieva alla FEDERAL RESERVE il diritto esclusivo di emettere denaro e dava al Ministero del Tesoro la facoltà di stampare moneta. Fu un colpo decisivo allo strapotere della FED, che è una Banca privata, e del Sistema Bancario.

Era il 4 Giugno 1963.

Meno di 6 mesi dopo, il Presidente Kennedy fu assassinato a Dallas.

 

 

Numero1993.

 

C U R I O S E   C O I N C I D E N Z E   S T O R I C H E.

 

Se vi interessano le corrispondenze, nell’ambito della scienza, dei nomi e dei numeri, pensate alle stupefacenti coincidenze tra l’assassinio di John Fitzerald Kennedy e quello di Abraham Lincoln.
Lincoln venne eletto al Congresso nel 1846 e Kennedy nel 1946.
Lincoln fu eletto Presidente nel 1860, Kennedy nel 1960.
L’assassino di Lincoln, John Wilkes Booth, nacque nel 1839 e Lee Harvey Oswald, il presunto assassino di Kennedy, nacque nel 1939.
Entrambi i loro successori si chiamavano Johnson. Andrew Johnson, che succedette a Lincoln, era nato nel 1808, mentre Lyndon Johnson, che succedette a Kennedy, era nato nel 1908.
La segretaria di Lincoln si chiamava Kennedy, mentre la segretaria di Kennedy si chiamava Lincoln.
Entrambi i Presidenti furono assassinati di venerdì, davanti alle loro mogli, ed entrambi furono uccisi con un colpo alla testa.

Numero1990.

Segnalata da mia sorella Alida
nel giorno della Festa della Mamma.

 

UNA  MADRE

 

“Una madre non è una vecchia felpa
da stropicciare e calpestare.
Non è il secchio dove buttare
gli avanzi del tempo.
Non è un tempo perso.
Non è la parola vana.
Non è il rimasuglio di un sorriso.
Una madre è un silenzio pronto
a raccogliere le parole nascoste.
È un fiore che vive anche senz’acqua,
ma una goccia regalata
la farà vivere in eterno.
È un pigiama pulito e profumato
che ti aspetta ai piedi del letto.
È un piatto pieno.
È una mano in tasca
piena di amore segreto.
È uno sguardo a occhi chiusi.
È un sonno sopra le lenzuola.
È l’attesa di un volo.
È una lacrima asciugata.
È il tuo cuore che resta a casa
e che in cucina attende la tua felicità.
È il pensiero che ti farà compagnia
in ogni passo della tua vita.
È con te sempre, figlio..”

 

Autore sconosciuto.

Numero1989.

 

NOMEN  EST  OMEN    (Plauto)

Il nome è un presagio (o destino).

 

 

Il Premier CONTE non riesce a far quadrare i conti degli stanziamenti anti – Coronavirus e per la Fase 2.

Il Ministro della Sanità SPERANZA ha espresso la speranza che la Fase 2 sia presto applicata ed estesa a tutte le Regioni.

Il Ministro della Giustizia BONAFEDE ha dichiarato la sua buonafede in merito alle scarcerazioni dei Mafiosi.

Il Ministro dell’Agricoltura BELLANOVA ci da la bella nuova della regolarizzazione dei lavoratori agricoli stagionali stranieri impiegati nei raccolti.

Il Ministro degli Esteri DI MAIO, nel mese di maggio, esibisce mascherine tricolori ed esulta per la liberazione di Silvia Romano.

Il Ministro della Difesa GUERINI afferma che l’Italia non scenderà in guerra nel conflitto Libico.

Il Ministro dell’Ambiente COSTA dichiara che costa troppo la gestione  e la manutenzione del territorio Italiano.

Il Ministro delle Regioni BOCCIA boccia il “Liberi tutti” di certe Regioni Italiane e ne impugna le ordinanze.

Il Ministro del Lavoro CATALFO sta erigendo un catafalco per celebrare l’ecatombe delle piccole e medie imprese Italiane.

 

Per la serie      FAI DA TE        MADE IN ITALY.