Numero1020.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,

questa morte che ci accompagna

dal mattino alla sera, insonne,

sorda, come un vecchio rimorso

o un vizio assurdo. I tuoi occhi

 

saranno una vana parola,

un grido taciuto, un silenzio.

Così li vedi ogni mattina

quando su te sola ti pieghi

nello specchio. O cara speranza,

 

quel giorno sapremo anche noi

che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.

Sarà come smettere un vizio,

 

come vedere nello specchio

riemergere un viso morto,

come ascoltare un labbro chiuso.

Scenderemo nel gorgo, muti.

 

Cesare Pavese.

Numero1019.

 

L A   F E D E

 

Quella Vecchietta ceca, che incontrai

la notte che ma persi in mezzo ar bosco,

me disse: – Se la strada nun la sai,

ti ci accompagno io, ché la conosco.

 

Se c’ hai la forza de venimme appresso,

de tanto in tanto te darò ‘na voce,

fino là in fonno, dove c’è un cipresso,

fino là in cima, dove c’è la Croce… –

 

Io risposi: – Sarà. . . ma trovo strano

che me possa guidà chi nun ce vede  . . . –

La Ceca, allora, me pijò la mano

e sospirò: – Cammina! – Era la Fede.

 

Trilussa.

Numero1018.

 

 

E – M A I L

 

 

Sono, ormai, sulla strada del ritorno,

ma volevo, almeno un poco, prolungare

la scadenza sul permesso di soggiorno

e, non sapendo bene come fare,

 

ho mandato una e-mail al Padreterno

chiedendogli di fornirmi indicazioni

sulle sue leggi e norme di governo

per il disbrigo delle umane situazioni.

 

Fino ad oggi, tuttavia, non ha risposto

ed io comincio a sentirmi un po’ tapino.

Ma rimango, come sempre, al mio posto

e continuo a vivere come un clandestino.

 

So che la legge non ammette l’ignoranza,

ma la burocrazia divina è troppo lenta!

Quanto sta a rispondere ad una istanza?

Quest’attesa, sì, un poco mi spaventa.

 

Ma, se dovesse capitarmi un accidente

improvviso, che mi trovi impreparato,

almeno ho l’alibi che non sapevo niente

e che son morto per la colpa d’esser nato.

 

15 Gennaio 2019.

Numero1016.

Verrà un giorno, che l’uomo si sveglierà

dall’oblio e finalmente comprenderà

chi è veramente e a chi ha ceduto

le redini della sua esistenza:

a una mente fallace, menzognera,

che lo rende e lo tiene schiavo. . . . .

L’uomo non ha limiti

e quando, un giorno, se ne renderà conto,

sarà libero anche qui,

in questo mondo.

Giordano Bruno   (1548 – 1600).

Numero1015.

Steven Weinberg, ateo, eretico, vincitore, nel 1979, del Premio Nobel per la Fisica, ha detto:

La RELIGIONE è un insulto alla dignità umana.

Senza di essa, ci sarebbe gente buona che fa del bene e gente cattiva che fa del male.

Però, perché la gente buona faccia del male, …….c’è bisogno della RELIGIONE.

Numero1014.

 

P A S Q U I N A T A    S U     R O M A    C A P I T A L E

 

Sì, vabbé, è vero, voi c’avete avuto

er grande Trilussa e Gioacchino Belli,

che, circa un secolo fa, hanno saputo

comporre sonetti e cantarve li stornelli

 

e pur anche, quarche tempo prima,

molte satire frustanti v’erano state,

erano scritte cor pepe e con la rima:

se chiamaveno proprio “Pasquinate”,

 

contro le tasse ed il malgoverno,

erano un anonimo sfogo popolare,

manifesto d’ironia e de scherno

di chi voleva, almeno, protestare.

 

Ma anche noi Italiani, se ce mettiamo,

semo capaci, e pure in romanesco,

de dirvi quattro cose che pensiamo,

con un tono, magari, un po’ burlesco.

 

Perché a prendere pel culo proprio voi,

che ve dite maestri de satira e ironia,

se permettete, semo bravi pure noi,

senza tanta spocchia e senza ipocrisia.

 

Roma è la città più bella al mondo,

magari sì, con voi sono d’accordo,

però, a ben guardà, nun ve nascondo

che forse lo è stata, ma è un ricordo.

 

Parliamo un po’ de Roma la “capoccia”,

del “caput mundi”, de Roma capitale,

dove li abitanti allegri fan bisboccia,

mentre la città finisce proprio male,

 

Roma, piena de graffiti e de monnezza,

de traffico, corruzzione e malavita:

dov’è mai la tua “Grande Bellezza”?

Dov’è finita la tua “Dorce Vita”?

 

Un tempo, Respighi aveva musicato

de Roma papale li pini e  le fontane

però, caso strano, aveva scordato

le millanta buche delle strade romane.

 

Perché nun dite a Venditti che ve faccia

una sua moderna composita cantata

per illustrare a tutti questa figuraccia

e che “Le buche de Roma” sia chiamata?

 

“Grazie Roma” non va più de moda

e la salute de l’ammortizzatori

ve costringe a restare tutti in coda,

facendo urlare clacson e motori.

 

Ma er peggio siete voi, cari Romani,

che, a differenza de tutta l’artra gente,

ve piace poco de sporcà le mani

perché preferite “er dorce far niente”.

 

Lo sport che ve sfagiola è l’usura:

fate lavorà per voi il vil denaro,

e poi ve fate rispettà con la paura

der prestito ch’ è sempre troppo caro.

 

Che ve ne frega de farve ‘na carriera,

de spolpà la carne fino all’osso?

Ve ripetete, da mane sino a sera:

“voja de lavorà, sarteme addosso”!

 

Tanto trovate sempre un protettore,

un politico o l’amico dell’amico,

un ministeriale oppure un monsignore,

per praticare un vizio molto antico,

 

quello, s’intende, della raccomandazzione,

che ve rende comodo e facile l’impegno,

senza mai tenere in considerazzione

bravura, merito e, men che mai, l’ingegno.

 

La storia, da molto tempo, v’ha chiamato

dai due gemelli, “figli della lupa”,

ma l’etimologgia qui ha sbajato

perché l’origgine risulta ben più cupa.

 

Nun era mica un animale, un felino

a far da madre ai pupi, ad allattare,

perché “lupa” è ‘na puttana, in latino,

che frequentava, anvedi, er lupanare.

 

E’ così che la vendetta della storia

ha rivelato l’eseggesi arcana:

v’ha battezzato, a futura memoria,

non de ‘na lupa, ma fiji de puttana.

 

E poi, per la troiana provenienza

dell’avo Enea, ancora minor gioia

ricaverete dalla discendenza,

ché siete pure nipoti de Troia.

 

Ve pare d’esse come Alberto Sordi,

quando dice, suscitando gran sollazzo,

nel “Marchese del Grillo”, t’arricordi?

“Io so’ io, e voi nun siete un cazzo!”

 

C’avete er Colosseo e pure er Vaticano,

c’avete er Pincio con er ponentino,

ma quando proclamate “‘O famo strano”,

scusate, ma a me pare un po’ burino.

 

C’avete l’abbacchio e l’amatriciana,

le puntarelle e li carciofi “a la giudìa”,

però, io me ritrovo bona e sana

pure la robba che mangio a casa mia.

 

Eppure, Romani, se appena ce pensate,

c’avete proprio tutte le raggioni,

per cui, con orgoglio, ve chiamate

la bella “Società dei magnaccioni”.

 

Magnà e beve e vivere alla grande

ve pare er solo scopo de la vita

e, mentre tutti l’artri so’ in mutande,

voi, per diggerì, v’annate a la partita.

 

Siete pieni de affitti aggevolati,

de conventi e de ospizi esentasse,

ma, anche se sembrate fortunati,

nun siete proprio li primi de la classe.

 

Voi siete dell’Italia i parassiti!

Per voi, tutti noi connazzionali

veniamo tartassati ed avviliti,

perché nun semo proprio tutti uguali.

 

Roma, tutta l’Italia se vergogna

d’avecce te come propria Capitale

e de cambià reggistro qui bisogna,

se no, le cose vanno proprio male.

 

E voi, Romani, che ve ne fregate

assai , di tutte ‘ste maledizzioni,

beh, bisogna pure che sappiate

che c’avete proprio rotto li cojoni!

 

18 Febbraio 2016

Numero1013.

 

P O V E R A    I T A L I A        (Tormentone RAP)

 

Ahi, Italia, di tanti

furbetti e furfanti,

di maghi e cartomanti,

di peccatori e di santi,

di poeti e naviganti,

di suonatori e cantanti,

di topolini ed elefanti,

di mariti e di amanti,

di monache e baccanti,

di dietro e davanti,

di vetrini e diamanti,

di onesti e lestofanti,

di poverissimi abitanti,

e moltissimi emigranti,

e studenti ignoranti

trattati con i guanti

da beceri insegnanti,

di corrotti governanti

e di troppi pensionanti,

di vecchi e di badanti,

delle cure dimagranti,

delle creme abbronzanti,

di polveri inquinanti,

di rifiuti ingombranti,

di leggine aberranti,

di magistrati pedanti,

di prigioni straboccanti,

di cadaveri ambulanti,

di atei e benpensanti,

di soldati e comandanti,

di cavalieri e di fanti,

di clienti e commercianti,

di impiegati e braccianti,

professionisti e dilettanti,

difensori ed attaccanti,

sottomessi ed arroganti,

crumiri e scioperanti,

di cafoni ed eleganti,

di mafiosi e di briganti,

di ricconi e mendicanti,

poveracci e benestanti,

e ancora di grilli parlanti,

e pure, di fate ignoranti,

e di muse inquietanti…..

Delusioni sconfortanti!

Speranze agonizzanti!

Come siamo affranti!

Italia, se non la pianti,

così non vai avanti!

 

12 Febbraio 2016.

 

 

Numero1012.

 

S E N Z A   T I T O L O      ( lo troverai all’ultimo verso)              Tormentone satirico.

 

Ma perché un uomo, sin da quando è nato,

deve trovarsi addosso, come appiccicato,

un marchio di vergogna, di cui è accusato,

che, ahinoi, “originale” viene chiamato?

Nessun altro essere vivente del creato

di una tale ignominia viene tacciato

da madre natura o, men che mai, dal fato.

E’ come un frutto che nasce già bacato

da un codice etico-genetico modificato

e, nella corsa della vita, parte handicappato.

Neanche se fosse autore di un torbido reato

o commettesse un delitto turpe ed efferato,

non sarebbe così prontamente incriminato.

Povero uomo, imputato, criticato, denigrato,

perseguitato, deplorato, martoriato, dileggiato,

processato senza assistenza di un avvocato,

senza il beneficio di appello condannato,

diffamato, isolato, disperato, umiliato,

con sottili livore e ipocrisia massacrato.

Ma cosa mai l’uomo avrebbe inventato

contro se stesso, come può essersi dannato?

Perché così ferocemente si è evirato?

Certi uomini, falsi e perversi, hanno pensato

che, così com’era, era fin troppo fortunato:

doveva essere opportunamente bastonato.

Allora, una sorta di sudditanza hanno creato

perché essere inferiore fosse considerato,

tutt’altro che angelico, bensì indiavolato

e da una “autorità divina” fosse castigato,

affinché, proprio a se stessi, fosse delegato

il potere fasullo di passarlo in giudicato.

Ed è così che l’uomo è stato etichettato

con la vergogna della colpa di esser nato.

Di quale colpa, chiederete, vi ho parlato?

Lo sapete tutti, non è altro che IL PECCATO!

 

18 Febbraio 2016

 

Numero1008.

I tappeti esprimono

emozioni autentiche.

Il tappeto è figlio del filo

che guida ed avvolge

l’esistenza dell’uomo.

Dal filo del pensiero,

al filo della vita,

al filo della materia:

la lana, la seta, il cotone

coi quali si lega, si annoda,

si intreccia, si tesse.

Semplicità e grazia:

in ciò consiste il pregio

dell’arte popolare,

la cui ricchezza è spirituale.

Un’arte che appare fantastica,

ma non è mai astratta:

si fonda sul reale.

Un’arte spontanea, anonima,

sgorgata dallo spirito

della collettività.

Nel 18° Secolo un mistico

asserì che il colore

è lo sforzo della materia

per diventare luce,

che fu la prima creazione divina.

L’accostamento dei colori,

l’armonia degli accordi e contrappunti

delle diverse gradazioni, tonalità

e scale compongono

una grande sinfonia visiva.

I tappeti esprimono

emozioni autentiche.