Numero2077.

 

E U T A N A S I A

 

Comincio dal GIURAMENTO DI IPPOCRATE (Testo moderno):

Giuramento moderno

Il giuramento, nella forma qui sotto riportata, è stato deliberato dal comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri il 13 giugno 2014. La versione precedente risaliva al 2006.

«Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

  • di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione;
  • di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale;
  • di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute;
  • di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte;
  • di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato;
  • di perseguire con la persona assistita una relazione di cura fondata sulla fiducia e sul rispetto dei valori e dei diritti di ciascuno e su un’informazione, preliminare al consenso, comprensibile e completa;
  • di attenermi ai principi morali di umanità e solidarietà nonché a quelli civili di rispetto dell’autonomia della persona;
  • di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina, fondato sul rigore etico e scientifico della ricerca, i cui fini sono la tutela della salute e della vita;
  • di affidare la mia reputazione professionale alle mie competenze e al rispetto delle regole deontologiche e di evitare, anche al di fuori dell’esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;
  • di ispirare la soluzione di ogni divergenza di opinioni al reciproco rispetto;
  • di prestare soccorso nei casi d’urgenza e di mettermi a disposizione dell’Autorità competente, in caso di pubblica calamità;
  • di rispettare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che osservo o che ho osservato, inteso o intuito nella mia professione o in ragione del mio stato o ufficio;
  • di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l’esercizio della professione.»

 

Il termine eutanasia, che letteralmente vuol dire “buona morte” (dal greco eu, “bene”, e thànatos, “morte”), indica i trattamenti volti a procurare la morte di un individuo le cui condizioni di vita, in conseguenza di una patologia inguaribile, sono ritenute insopportabili, degradanti o lesive della sua dignità.

La vita può essere considerata un bene “disponibile” oppure “indisponibile” per l’uomo?

Qual è il confine fra cura ed “accanimento terapeutico”?

Il medico ha il dovere morale di curare sempre e comunque una persona libera e dotata di autodeterminazione?

 

Se è vero che il medico ha il dovere morale di curare un paziente,  quest’ultimo, in base alla legge vigente in Italia, può decidere di accettare o meno un trattamento sanitario.

Il medico, in questo caso, ha solamente l’obbligo di informare il paziente in merito alle modalità di esecuzione delle terapie, ai benefici, agli effetti collaterali, oltre alla eventuale esistenza di valide alternative.

Occorre trovare un equilibrio che rispetti, da una parte, l’autonomia decisionale dell’individuo, che è espressione di libertà, dall’altra la facoltà di “imporre” le cure appropriate, laddove la ricerca medica lo consenta.

Se la bioetica cattolica afferma il principio della sacralità della vita, quella laica difende il principio della “qualità della vita”: essa ritiene, cioè, che l’uomo sia artefice della propria esistenza e che, quindi, competa a lui stabilire i criteri a cui ispirarsi per tutelarla dal punto di vista qualitativo.

Per la bioetica cattolica, la vita è un valore assoluto da difendere a prescindere dalle singole biografie.
Per la bioetica laica, la vita, di cui bisogna preservare la qualità, è quella individuale.
La bioetica cattolica rifiuta, in linea di principio, ogni intervento medico e tecnico che modifichi lo sviluppo naturale voluto da Dio.
La bioetica laica, invece, considerando la vita come un bene “disponibile” per l’uomo, ritiene che tali interventi siano leciti nel momento in cui venga meno un soddisfacente livello della qualità della vita. Secondo tale principio, il criterio fondamentale non è più l’obbedienza ad un dovere assoluto, ma è la considerazione del benessere degli individui coinvolti e/o del rispetto delle scelte individuali.
Infatti, siamo assolutamente certi che la vita sia sempre preferibile alla morte? Il dolore e la sofferenza che una persona sperimenta durante una malattia possono risultare incomprensibili a chi non li vive in prima persona..
Per la bioetica laica, quando un malato terminale è costretto, contro la propria volontà, a sopportare queste difficoltà, non è più possibile parlare di cura, ma esclusivamente di accanimento terapeutico.

 

Per un più ampio approfondimento di questo tema, invito il lettore a dedicare un po’ di tempo al Numero2067.

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