Numero2211.

 

T E S T A M E N T O   S P I R I T U A L E

 

Come seguito del Numero2202., che invito a leggere come premessa necessaria, qui tento di approfondire le mie idee sulla MORTE E L’ALDILÀ. Anche stavolta, come ho fatto al Numero citato, sono ricorso alla formula della rima e della metrica: ho cambiato, però, la disposizione dei quattro versi della strofa . I primi due versi sono liberi, i secondi due sono rimati con finale fisso ( desinenza in ale) per 36 strofe, come nel Numero2202.. Tutti i versi sono, questa volta, non senari ma settenari, cioè composti di 7 sillabe, rispettando le elisioni vocaliche di fine e inizio delle parole. Il contenuto dell’argomento è un riassunto per sommi capi, senza pretese, senza uno schema, magari saltando di palo in frasca, delle mie personalissime convinzioni in merito a temi così importanti e dibattuti.

Non stupitevi se non condivido le affermazioni, oggetto di fede cattolica, su Inferno, Paradiso e sul collocamento delle anime eternamente destinate ad espiare peccati o a godere di celestiali armonie. Tutto quanto mi è stato insegnato fin da piccolo, e anche trattato con maestria da Padre Dante, l’ho sottoposto, dentro di me, a revisioni e recensioni critiche nell’arco di decenni, arrivando, per gradi, ad un mio personale panorama, misto di intuizione e di razionalità, di aspettativa e di speranza, che mi ha portato ad adagiarmi su una specie di autoconvincimento, che qui espongo, su questo argomento sconosciuto perché inconoscibile.

Confesso, con assoluta trasparenza, che quello che penso e dico non è assolutamente provato: non è possibile provarlo compiutamente, a ragion veduta.
Ci sono molti indizi. Ad esempio il ritorno dello spirito, trapassato nell’aldilà, in altro corpo è oggetto di indagine di molte correnti di pensiero e dottrina di fede di diverse religioni sulla terra, ma non è mai stato suffragato da prove inconfutabili. Mi interessa poco. Così come non m’interessano argomenti come il libero arbitrio, la possibilità di scelta o la capacità di decisione che è fatta di volontà e di libertà. Mi interessa la morte come passaggio ad una dimensione che sarà nota solo dopo averla raggiunta e che, come leggerete, io stesso sono curioso di raggiungere.

Chi ha detto che solo questa vita corporea è l’unica situazione di essere e benessere dell’anima? Restare avvinghiati ostinatamente ad un corpo consunto può darsi che non sia la soluzione migliore ad un certo momento dell’esistenza fisica. Può darsi che sia l’anima stessa che si vuole liberare del suo involucro deteriorato e aspiri ad un “grado di libertà” più alto e più appagante. Per me, guardare tutto nell’ottica della fede inculcata, ma mai provata, mi sta stretto. Vorrei saperne di più. Ma l’unico modo per farlo è….morire.

 

 

 

 

Q U A N D O   V I E N E   L A    M O R T E

 

 

Quando viene la morte,

che n’è dello spirito?

La sua forza vitale,

che è esistenziale,

 

emigra in altro sito,

liberata dal corpo,

che l’ha resa reale

e diventa immortale.

 

È altra dimensione

dove ogni suo valore

non resta più uguale,

dove il bene ed il male

 

non saranno gli stessi

che valevano prima:

il criterio morale

diventerà banale

 

perché là l’energia

non ha più fisicità

e quello che qui vale,

nel nostro tribunale,

 

di là non conta niente,

non è come si crede:

tutto sarà veniale

il bene come il male.

 

È un’ipotesi mia,

non lo so, ma ci credo:

è una fede mentale,

un parto intellettuale.

 

Pur se piange qualcuno

che non puoi consolare,

lì, al tuo capezzale,

quando tu starai male,

 

che ti frega del mondo

che stai per lasciare

se sei in ospedale

o al tuo funerale?

 

Pensa all’anima tua

che rinasce più pura,

che s’eleva e che sale

nell’eterea spirale.

 

E, se sei stato buono,

tu sarai più leggero,

a percorrere il viale

del tramonto finale.

 

Però non ti crucciare,

se male avrai vissuto.

Peccato originale

o  pena capitale,

 

tutto è cancellato

da un salvifico reset:

la fedina penale

ritornerà normale.

 

Io non temo la morte,

anzi, sono curioso:

è uno slancio sensuale

a una vita virtuale.

 

La vita che hai fatto

ti condanna o ti premia:

rivivrai tale e quale

il bilancio morale.

 

Un handicap ti spetta:

tu riparti più indietro,

se hai fatto del male;

se no, rimani tale.

 

La coscienza ti aiuta

per trovare la pace

nel momento fatale

di morte naturale.

 

Questo è ciò che ho capito

vivendo la mia vita:

non è un carnevale

o una lotta bestiale.

 

È un percorso creativo

e di rinnovamento:

riscatto spirituale

dallo stato animale.

 

Quando tu rinascerai

alla nuova esistenza,

la dote cerebrale

sarà “condizionale”

 

per riorganizzare

il piano della vita,

per questo sei speciale,

nessuno ti è uguale.

 

L’anima non muore mai,

neanche dopo la morte:

è forza celestiale,

entità universale.

 

Per veder se sei morto

e lasci questo mondo,

se un dubbio ti assale,

non leggere il giornale.

 

Così, viva la vita,

a causa della morte.

Vi sembrerà banale,

ma questo è radicale.

 

Che ci sia altra vita

dopo quella vissuta

non mi pare anormale,

niente d’ eccezionale.

 

Credo che lo spirito

sia eternamente vivo,

trionfo immateriale

sulla scorza animale.

 

La morte è un parcheggio

dove si paga un ticket,

è la tassa tombale

per un’anima astrale.

 

Per ognuno è diversa,

non è noto l’importo,

né l’esborso venale

esiguo o colossale.

 

Chi ci sia alla cassa

non è dato sapere:

la sentenza arbitrale

è comunque imparziale.

 

Questo mio pensiero

non vuole fare scuola,

niente di dottrinale

né d’anticlericale,

 

sono elucubrazioni

senza secondi fini,

esercizio verbale

di taglio razionale.

 

È solo una speranza,

forse una fantasia,

un trucco concettuale,

retaggio ancestrale

 

di ore che ho passato

sui miei sudati libri:

l’ignoranza abissale

è stata il mio messale.

 

Chissà, forse ho pensato

molto più che vissuto,

essere un asociale

mi è parso abituale,

 

ma ho trovato conforto,

coi miei limiti umani,

nel mondo culturale,

nella sfera ideale.

 

Per la tua riflessione,

dedico questi versi,

lascito spirituale,

a te, figlio mio, Ale.

 

 

 

N.d.R. : Se siete arrivati fino in fondo e non vi siete annoiati, vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione che mi regalate leggendo le mie “panzane”. Questo, che avete appena letto, con le sue rime sempliciotte e uno stile fra il serioso e il faceto, si potrebbe definire un piccolo trattato di filosofia teoretica spicciola ad uso personale che, con la pubblicazione, si rimette al giudizio critico dei pochi lettori che hanno la bontà di seguirmi. Se, anche stavolta, riuscirò a suscitare qualche reazione, di qualsivoglia natura, in merito alle mie “elucubrazioni”, ne sarò onorato e  sarò oltremodo felice di pubblicare i commenti al riguardo. Se non ve la sentite di intraprendere un’impresa così impegnativa, grazie anche solo per avermi letto. Almeno, mi sarò fatto conoscere meglio da chi poco mi ha frequentato e superficialmente con me ha condiviso tempo e idee.

Forse coglierete in questa mia insistenza  ad affrontare temi così spinosi e complessi, un “cupio dissolvi”, che in latino significa “desiderio di scomparire”: non è così. E, magari, una certa volontà di strafare, esagerare, una sottolineatura fuori luogo e non necessaria. Accetto l’osservazione, ma vado oltre. Anche stavolta, più che mai, ribadisco il concetto informatore di questo BLOG: qui, io penso quello che dico e dico quello che penso. Altrimenti non mi sarei cimentato in quest’impresa. Questo è uno spazio di libertà, mio e di tutti, e nei riguardi di qualunque argomento.

Come trovate al Numero2209, recentemente pubblicato, Voltaire dice: “Giudica un uomo dalle sue domande, piuttosto che dalle sue risposte”. Qui, io mi sono interrogato ed ho risposto a modo mio. Non intendo insegnare niente a nessuno, perché sarebbe follia pretendere di insegnare ciò che non si sa. Non ho mai trovato l’argomento “morte” fra le materie della didattica umana. Ma, vivaddio, parlarne si può a livello di scambio d’idee e qui vi ho esposto le mie.
Buona vita a tutti.

 

N.d.R. : Ricordo e ripeto, perché mi sembra molto attinente al contesto, il seguente (che poi è precedente)

Numero2113.

 

Come si fa a vivere

in compagnia di un’assenza?

Dopo aver imparato a vivere,

imparerò a morire.

 

 

 

 

5 thoughts on “Numero2211.

  • Cari amico,
    affronti un problema spinoso, complesso, difficile, inquinato da concetti ” religiosi ” che – a mio avviso – ne rafforzano la complessità e la difficoltà , anziché diminuirla.
    Lo fai con la tua solita arguzia e intelligenza ; certamente il tema ” morte ” è un tema che è di tutti noi .
    A questo punto del cammino ci pensiamo ( credo tutti ) spesso perchè ci rendiamo conto di aver staccato il biglietto per l’ultima corsa e il traguardo si avvicina sempre più velocemente.
    Quando eravamo giovani ( mille anni fa ! ) non ci pensavamo, ma che dico : non eravamo neppure sfiorati da questo pensiero.
    Personalmente non temo quel passaggio , anzi quasi lo bramo ; temo invece , e fortemente , il ” modo ” : il dolore , la sofferenza fisica e psicologica …Tutto questo mi angoscia , avendo io già provato il dolore fisico e , in parte , quello psicologico.
    Per quanto attiene più strettamente alla morte io credo che possano esistere solo due possibilità ; tertium non datur.
    Vediamo quali.
    Avendo provato l’anestesia totale per l’operazione di bypass aortocoronarici e , al risveglio , non ricordando assolutamente nulla di quelle sette ore penso che dopo la morte o non ci sia nulla , ma proprio nulla ( né di fisico né di spirituale ) , ed allora siamo in presenza di totale assenza di coscienza che durerà per sempre , per l’eternità ; oppure c’è ” qualcosa ” , non so cosa ovviamente né riesco ad immaginarlo.
    Però quel ” qualcosa ” ( se c’è ) non può essere peggiore di quel qualcosa nel quale stiamo tutti noi vivendo : un mondo malato , intriso di violenza , cattiveria, stupidità.
    Domando a te , caro Alberto : può esistere un mondo , un qualcosa, un quid , uno stato fisico/ psichico peggiore del mondo e della civiltà che attualmente ci ospita? io credo di no.
    Quale di queste due opzioni non è dato purtroppo sapere.
    Per finire una nota scherzosa : se dopo la morte c’è qualcosa allora in quel ” mondo ” ( non so come chiamarlo altrimenti ) giocheremo sempre a tennis , i campi saranno sempre perfetti , le righe sempre pulite e non sarà necessario prenotare. Ad abundantiam i raccattapalle saranno delle splendide fanciulle.
    Abbi cura di te , caro amico
    Efrem

  • Infine , pensando alla vita , alla morte e all’aldilà mi è particolarmente cara , e di gran sollievo ,
    l’immagine : ” pensare che la morte sia la fine della vita è come credere che l’orizzonte sia la fine del mare “.
    Ed io che con la mia barca ho navigato per tutto l’Adriatico so bene che l’orizzonte NON è la fine del mare.
    Ciao Alberto.
    Efrem

    • Caro Efrem,
      non poteva mancare il tuo commento che, come al solito, si fa apprezzare per la sagacia e l’acutezza di pensiero. Sono contento di sapere che anche per te la morte e l’aldilà non sono poi così spaventosi.
      So bene che tu ci sei passato molto vicino e hai avuto un contatto, meglio uno sfioramento, con quel “mondo” di cui nulla si sa. Se nulla ricordi di preciso, beh significa che non ti sei spaventato più di tanto e al risveglio hai continuato a vivere come se niente ci fosse stato.
      Per quanto mi riguarda, ti confesso che questo mio parlare con una certa insistenza dell’argomento “morte”, lo spiego a te ma anche a me stesso, ha una giustificazione di tipo , direi quasi, scaramantico o propiziatorio: è come fare, mentalmente, un esorcismo contro qualcosa che potrebbe esserti pericoloso, esorcismo, lasciami adoperare un aggettivo forbito, apotropaico che, come sai, vuol dire “che allontana”, o che tenta di evitare, scacciare.
      Ciò che non si conosce fa paura. Allora, se c’è un modo, razionale od emozionale che sia, di aver meno timore della morte è di parlarne così, a cuor leggero, per sport, senza darle eccessiva importanza. Da qui il mio tentativo di rendere docile e facile un problema che nessuno ha mai risolto. In questo modo un po’ puerile e dilettantesco, cerco una frequentazione con “lei” per tentare di familiarizzare e rendermela un po’ più praticabile, assimilabile, accettabile. Perché io, accidenti, amo ancora la vita.
      Noi ci siamo conosciuti da poco, saranno 3 o 4 anni. È successo sui campi da tennis: ci siamo apprezzati sia come compagni che come avversari di gioco, ma soprattutto per la consonanza di comportamenti e interessi che abbiamo scoperto istintivamente amicali. Ebbene, raccolgo la tua immagine, il tuo invito a ritrovarci, nell’aldilà, sui campi da tennis, proprio come li descrivi tu, per proseguire le partite che non abbiamo potuto giocare per tanti anni delle nostre vite, per rinsaldare la nostra amicizia.
      “Ave atque vale”. Mandi.

    • “Ave atque vale”, da quel che ricordo, era una formula di commiato nelle epistole latine. Sicuramente l’ha adoperata pure Catullo, ti credo sulla parola. Io invece ho registrato in memoria questa formula come saluto finale, a piè di pagina, nelle lettere che il nostro amico Marco Tullio Cicerone spediva alla sua cerchia di amici del Giaguaro, specialmente nel periodo del suo esilio da Roma. Mi pare che sia stata usata abitualmente anche da Seneca. Al è come dì: Mandi e stami ben. La traduzione non è per te, caro amico di studi del LATINORUM, so che lo sai, ma per coloro che non hanno masticato questa lingua.
      Approfitto per dirti questo; ho dimenticato di rispondere alla tua domanda, che mi hai rivolto, se condivido con te che il distacco da questo mondo di oggi e del futuro non sarà una disgrazia, bensì, quasi, un sollievo.
      Ebbene sì. rispondo. Chi mi conosce e mi sta vicino mi ha sentito più volte dire queste parole: Sono contento di lasciare questo mondo. Io non vi appartengo più.
      Un caro saluto.

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