Numero1711.

….le autorità superiori hanno detto: basta con queste maestre capaci di spiegare solo cose elementari – le somme delle ciliegie, le divisioni di una torta, i sette Re di Roma. Il fatto che gli Italiani abbiano lasciato l’analfabetismo alle spalle proprio grazie alle maestre forgiate da quella scuola, non ha sfiorato nessuna delle razionalissime menti sessantottarde. Così ora ci troviamo ad avere ragazzi che arrivano all’Università, per esempio, senza conoscere e saper usare le basi della propria madrelingua.
E questa non è l’eccezione, ma la regola.
Diventano medici, avvocati, archeologi, insegnanti senza essere in grado di scrivere in un Italiano corretto e facendo degli errori che, un tempo, chi avesse frequentato anche solo la quinta elementare non si sarebbe mai sognato di fare.
È colpa loro o colpa di chi, più in alto, ha stabilito i programmi e la didattica? Di chi li ha offerti come capi sacrificali sull’altare della Dea Ignoranza?
Per l’aritmetica e la matematica le cose non vanno meglio. Nei test di matematica delle classifiche Europee siamo agli ultimi posti. Come potrebbe essere diversamente, dato che si comincia a confondere le idee fin dall’inizio?
Nella scuola elementare si è, ormai, abbandonato l’insegnamento degli “elementi” e questo abbandono non è, certo, colpa degli insegnanti, che sono, per lo più, molto appassionati del loro lavoro, ma delle idee che stanno a monte. Idee che hanno tutte, alla base, il concetto di “destrutturazione del reale”.
La chiave di lettura che viene offerta è quella della “complessità”.
Non si fanno più pensierini, ma si studia l’analisi del testo letterario; niente affluenti del Po di destra e di sinistra, ma riflessioni approfondite sul cambiamento climatico; niente addizioni di ciliegie, spartizioni di torte, ma “entità equipotenti”.
In una simile visione, non è contemplata l’idea che esista una base comune a tutti i saperi, e che questa base sia necessaria per poter costruire poi qualcosa che duri nel tempo. Tutto è – e deve essere – fluttuante, tutto è – e deve essere – relativo, perché nessuno di noi può avere la certezza, né tanto meno l’arroganza, di credere che esista un’unica versione del reale.
Rendere perversamente e inutilmente complicato ciò che è semplice, è figlio di questa visione ideologica.
La nostra scuola, invece, crea una grande confusione di concetti che cerca poi di risolvere grazie all’abbondanza di crocette – o la va, o la spacca – e con la compilazione di fotocopie, i cui puntini sospesi indicano la direzione da intraprendere.
Usare la mano per tracciare una crocetta o completare i puntini delle parole mancanti è molto diverso che usarla per scrivere un pensiero uscito dalla propria testa. Così come non è la stessa cosa leggere un’ informazione sul tablet e sullo smartphone, oppure sottolinearla sul libro, magari scrivendoci qualche nota accanto.
Non è questione di rimpiangere il bel tempo andato, ma di conoscere i più avanzati studi neurologici. Il rapporto occhio – mano – cervello è  estremamente complesso. Semplificarlo – o, peggio ancora, annullarlo – vuol dire lasciare in sonno migliaia e migliaia di connessioni neuronali.
E dal sonno delle connessioni al sonno della ragione, il passo è piuttosto breve.
È questo il fine della scuola?

Susanna Tamaro        Alzare lo sguardo         (compendio N.d.R.)

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