Numero1938.

 

CURIOSITA  STORICHE

Cos’erano le CARAMPANE?

Mi pare intrigante ed istruttivo riportare una verità storica non molto conosciuta, se non per vago “sentito dire”, che riguarda abitudini di vita reale di non tanti secoli fa e non molto distanti da qui. A Venezia.

Trascrivo le notizie, raccogliendo e vagliando dal WEB (Wikipedia e altro).

Dalla ricerca sugli “usi e costumi” eterosessuali, si sconfina, inevitabilmente, nel campo omosessuale, per completare il quadro.

 

Venezia nel XIV secolo era all’apice della propria fortuna commerciale e delle arti che vi si svolgevano in un coacervo di navi in arrivo in porto, di merci di tutti i tipi scaricate sulle banchine, di marinai e commercianti di tutte le nazionalità che si muovevano alla ricerca di nuove e vecchie sensazioni.

Nella città giungevano ogni giorno nuovi abitanti attirati dalla facilità di guadagno, ma soprattutto perché vivere nella capitale diventava una concreta possibilità di sopravvivenza, in relazione alla scarsa disponibilità di viveri delle regioni confinanti.

In questa città sempre più caotica dove si concentravano commercianti di varie e lontane regioni per portare le mercanzie delle proprie terre, dove i marinai di tutte le navi si trovavano a terra chi perché appena sbarcato, chi per imbarcarsi per un nuovo viaggio, era naturale che si concentrasse pure un numero notevole di cortigiane che si concedevano a pagamento.

Il Senato della Repubblica di Venezia ha sempre cercato di arginare il diffondersi delle case da meretricio, imponendo, fin dal 1360, che le prostitute si ubicassero nelle vicinanze del grande mercato di Rialto, nel posto definito delle “Carampane”.

Non troppo lontano da Sant’Aponal c’è tutta una zona detta de le Carampane, corruzione (o fusione o crasi) di Ca’ (casa) Rampani, dal nome di una famiglia nobile che aveva lì la casa patrizia. Poco lontano da qui, nel 1360, fu istituito il Castelletto, un gruppo di case dove la Serenissima impose alle prostitute di radunarsi e di esercitare il mestiere. Il Castelletto era chiamato così perché custodito da sei guardiani, e governato con ordini adatti a una fortezza.

A quell’epoca, le meretrici veneziane non godevano di molte libertà, tanto sociali quanto religiose. Non potevano portare gioielli, dovevano vestire in maniera da poter essere riconosciute per strada, non potevano uscire la notte, avevano anche seri vincoli rispetto all’esercizio della loro “professione”. A dispetto delle disposizioni, comunque, molte prostitute si stabilirono in diverse zone della città, ma specialmente alle Carampane. Una specie di “quartiere a luci rosse”, nel tempo, visto che la Dominante – allo scopo di distogliere gli uomini dal “vizio” della sodomia – prescrisse che le meretrici potessero stare davanti alle porte o alle finestre, scoperte in maniera lasciva e illuminate, di sera, da delle lucerne. In pratica, l’antesignano degli odierni peep-show (esibizione erotica visibile attraverso uno spioncino, o, anche, il locale dove questo avviene). 

Non a caso, in questa zona del Sestiere, esistono anche ponte e fondamenta de le Tette, che prendono il nome dall’interessante consuetudine. A tale proposito più tardi, il 27 marzo 1511, le meretrici presentarono una istanza nientemeno che al Patriarca Antonio Contarini, affinché venisse in loro aiuto non potendo esse più vivere: “niun va li lhoro”. Nessuno va con loro, a causa dei cosiddetti peccati “contro natura”. Qualche anno prima, alcune avevano provato ad invogliare i clienti con una acconciatura particolare, detta “al fungo” (consistente nel raccogliere i capelli sulla fronte in modo da formare un ciuffo), che le faceva sembrare più simili a ragazzi. Una novità che non piacque al Consiglio dei Dieci, che la proibì con una legge il 14 marzo 1470.

Carampane ieri e oggi

Tra le curiosità, fino a pochissimi anni fa a Venezia con carampane si intendevano donne di malcostume, o – sempre spregiativamente – vecchie cui si volesse dare delle ruffiane. Ancora oggi con tale termine si fa riferimento – più genericamente – a donne che, ben oltre la mezza età, si danno arie da ragazze, nel trucco, nell’abbigliamento o negli atteggiamenti.

 

Questo delle “Carampane” era proprio una specie di quartiere a luci rosse, dal quale le prostitute non sarebbero potute uscire per non diffondere, con il loro fare lascivo, un cattivo esempio per le cittadine per bene. Nella zona della Carampane c’è il famoso Ponte delle Tette e l’adiacente fondamenta omonima dove appunto le donne potevano mostrare la propria mercanzia anche sedute sul davanzale delle finestre decisamente poco vestite.

Gli edifici loro adibiti diventarono insufficienti per il numero cospicuo delle donne che vi abitavano, quindi si diffusero in città in diversi luoghi, alle Carampane, a San Salvador, e specialmente a San Samuele.

Erano però molto numerosi in città, proprio per la presenza di molti uomini non accompagnati dalle famiglie, gli stupri o addirittura i rapimenti di ragazze, come viene ricordato dalla famosa festa veneziana che attualmente viene rivissuta in prossimità del Carnevale di Venezia, la Festa delle Marie. I Magistrati veneziani erano abbastanza accondiscendenti con le puttane di mestiere e solo in caso di particolari atti gravi, intervenivano contro le signore di strada, spesso solo con sanzioni pecuniarie o corporali. Lo erano molto meno con gli stupratori tanto che “se alcun desverzenerà per forza alcuna zovene, over haverà violentemente da far con Donna maritata, o con femmina corrotta…., tutti doi li occhi perda”.

Venivano pure puniti gli sfruttatori del meretricio, tanto che i papponi subivano sanzioni corporali, ammende e pure la reclusione. Non venivano assolutamente tollerati gli omosessuali e coloro che si prestavano ad atti di sodomia; la punizione, per coloro che fossero risultati colpevoli dei reati loro ascritti, era la decapitazione in Piazza San Marco tra le colonne del Marco e del Todaro ed il loro corpo veniva successivamente bruciato.

Nel ‘500 Venezia manteneva una floridezza che le altre città del mondo non potevano permettersi. Il numero degli abitanti prima della peste del 1575 superava le 175 mila unità, che diventano cospicue se confrontate alle 55 mila di Roma del 1526.

 

OMOSESSUALITA’  A  VENEZIA.

 

La parola omosessualità e stata creata fondendo il termine greco omoios, che vuol dire “simile”, e il termine latino sexus, che vuol dire “sesso”, e si riferisce ad “una disposizione all’esperienza sessuale, affettiva o di romantica attrazione verso le persone dello stesso sesso”.

 

Per l’uomo la penetrazione rettale è il modo più efficace per stimolare la radice del suo membro e la prostata, zona altamente erogena. Qualcuno raggiunge l’orgasmo solo così, mentre altri lo raggiungono affiancando contemporaneamente la masturbazione. L’omosessualità si riscontra in molte specie animali. La diffusione dell’omosessualità nella specie umana è difficile da determinare accuratamente, benché in molte antiche culture le relazioni omosessuali fossero altamente diffuse.

La storia dell’omosessualità

è anche una storia degli atteggiamenti sociali possibili verso un comportamento percepito come “deviante”. L’atteggiamento sociale verso i comportamenti omosessuali ha conosciuto momenti di relativa tolleranza, durante i quali la società ammetteva un certo grado di discussione ed esibizione pubblica del tema, anche attraverso l’arte e le produzioni culturali (come è avvenuto per esempio nell’Atene classica, nella Toscana del Rinascimento, o a Berlino e a Parigi nell’anteguerra), alternandoli però a momenti di repressione durissima.
Con la nascita del movimento gay, si può finalmente guardare a questo mondo come a una “comunità’” strutturata secondo valori e rituali propri.

Ma come era vista in passato la omosessualità ?

In antichità , il maschio era educato per essere padrone e dominatore nel rapporto erotico e di coppia, e tale esigeva di essere anche nel rapporto omosessuale.  Nella Roma antica, sodomizzare uno schiavo era legale, ed era il segno di potenza del  padrone.

Quando si parla di omosessualità in quest’epoca si parla infatti, quasi  automaticamente, di un rapporto fra un adulto e un ragazzo d’eta’ compresa tra i quattordici e diciott’anni (si ricordi che la pubertà, all’epoca, arrivava più tardi).
Uno dei motivi, che era accettato tacitamente anche da parte dei genitori , era ” di essere iniziato alla sessualità, seppure in un modo sentito come “surrogato” e non certo soddisfacente”. Il secondo motivo , anche questo abbastanza importante, era il denaro (determinante in una società povera come quella ). I soldi che un ragazzo poteva aggiungere al bilancio familiare prostituendosi non erano malvisti da tutte le famiglie e non tutti i genitori avevano voglia di chiedersi da dove venissero. Infine, il terzo motivo era quello di attirare l’attenzione di un adulto (altro aspetto importante quando la condizione di giovane non era invidiata e “centrale” come nella cultura attuale).
Era buon uso che un nobile accettasse di prendere in casa un “figlio” per garzone.  in cambio avrebbe potuto portarselo a letto senza problemi. Nascono, cosi, i cosiddetti “boccia da cullo”.

Non doveva essere facile per i sodomiti vivere sereni e senza sensi di colpa. In un mondo dominato dalla Chiesa il peccato era punito non solo da Dio, ma anche dagli uomini.
La Serenissima Repubblica emette leggi, che puniscono aspramente i comportamenti “contro la natura”umana cioè la omosessualità. Gli omosessuali venivano impiccati nelle due colonne della piazzetta di S. Marco e poi bruciati fin che fossero ridotti in cenere. Un colpo davvero grosso misero in scena nel 1407 i magistrati della Repubblica di Venezia: trentacinque sodomiti (non si sa, per la mancanza di documenti, se ad uno ad uno o tutti assieme) furono scoperti e processati. L’avvenimento, al di là delle gravi complicazioni politiche che causo’ (quattordici imputati erano nobili) diventa per noi di grande interesse, perché costituisce una delle prime tracce di una rete di frequentazioni fra sodomiti nelle città italiane del medio evo.

 Gli arresti in massa continuano a costellare per secoli le carte processuali veneziane. Ne troviamo, ad esempio, un altro già nel 1422: diciannove le persone coinvolte, fra cui tre barbieri e parecchi minorenni;  poi nel 1464 vengono incriminate quattordici persone (fra cui cinque nobili), molte delle quali pero fuggono prima della cattura. Nel 1474 abbiamo ancora sei sodomiti (due dei quali nobili) coimputati. La vicenda assume le tinte di un thriller quando l’accusatore viene misteriosamente assassinato. Ma di questa presenza strutturata ci parlano anche le leggi stesse di Venezia . Una di esse, nel 1450, menziona i portici vicini a Rialto e quello della chiesa di S. Martino come luoghi d’incontro di sodomiti. Inoltre i supervisori dell’Arsenale (presso cui si trova la chiesa di S. Martino, ) decidono che “a spese del nostro Tesoro, sia fatto chiudere con grosse assi il predetto portico di san Martino, facendo fare quattro porte ai quattro lati delle colonne, che stiano aperte e chiuse secondo gli orari delle porte della chiesa” . Cinque anni dopo questo decreto, nel 1455, viene deciso di pattugliare certe zone di Venezia, per impedire ai sodomiti di usarle come luoghi di incontro.

Nel 1488 un editto impone di chiudere con assi di legno anche il portico della chiesa di Santa Maria Mater Domini, per i motivi per cui si era già chiuso quello di S. Martino”. Un’ulteriore lista di luoghi da sorvegliare viene stilata in un decreto del 1496, che elenca “magazzini, bastie, scuole, tutti i portici, le case degli scaleteri, taverne, postriboli, case delle prostitute; coloro che (le pattuglie) avranno trovato nei luoghi sospetti,  li dovranno arrestare”.
Alcuni decreti del Consiglio dei X, promulgati nel medesimo secolo, annunciano che, per estirpare «abhominabile vitium sodomiae» (l’abominevole vizio della sodomia), si erano eletti due nobili per contrada. Ogni venerdì si doveva raccogliere il collegio dei deputati ad inquisire sopra i sodomiti. I medici e i barbieri, chiamati a curare qualche uomo o anche qualche femmina, avevano tre giorni per denunciare all’amministrazione le loro”confidenze amorose”. “Gli membri delle pattuglie saranno tenuti a interrogare e investigare se qualcuno gestisca luoghi pubblici o case che vengono chiamate “bastie” (taverne), nelle quali solitamente vengono commessi molti atti illeciti e disonesti, oppure se esistano frequentazioni di eta’ non conveniente, vale a dire adulti che conversano insieme a ragazzi”.
Un nuovo decreto, questa volta per sottoporre a sorveglianza anche gli scaleteri (pasticceri), “poiché siamo stati avvertiti del fatto che nella casa di molti scaleteri di questa nostra città molti giovani, ed altri di diverse età e condizioni, si ritrovano di giorno e di notte, e qui giocano e tengono taverna, e commettono molti atti disonesti. Ci sono stati famosi processi contro omosessuali o per violenza “contro natura”, come quelli contro un tale Francesco Cercato, che fu impiccato per sodomia tra le colonne della Piazzetta San Marco nel 1480, e tale Francesco Fabrizio, prete e poeta, che fu decapitato e bruciato nel 1545 per il “vizio inenarrabile”. La controriforma, cioè la risposta alla riforma di Martin Lutero (stabilita dal concilio di Trento 1570) aveva come scopo quello di “improntare una morale più severa e di spirito cristiano”. Il problema principale di Venezia , un paese di crocevia di gente che andava e veniva per tutto il Mediterraneo, la sodomia (la pratica più diffusa in Venezia) fu condannata nel concilio di Trento. In seguito a questa riforma il Senato deliberò che, in certi posti della città, fosse concesso alle Meretrici di mettere in mostra le proprie virtù per “attirare un pubblico di uomini sempre più numeroso e mantenere così ben saldi gli usi di una cultura eterosessuale”. La zona delle “Carampane”, vicino a Rialto, era una delle aree di Venezia nella quale le prostitute di Venezia erano obbligate a concentrarsi fin dal XV secolo per disposizione delle leggi sull’ordine pubblico.

Nel 1509 a Venezia vi erano 11.654 cortigiane censite (su una popolazione di 150.000 abitanti…),

Nonostante questo, l’omosessualità continuava a persistere, e soprattutto si presentava nei confronti dei giovani, potendo comportare difficoltà di socializzazione e gravi conseguenze per l’individuo, tra le quali il suicidio. Per non parlare di problematicità demografiche.

La Serenissima disapprovava l’omosessualità molto di più della prostituzione, tanto che una legge del 1482 stabiliva che chi veniva riconosciuto colpevole del peccato  di sodomia doveva essere giustiziato e poi bruciato in mezzo alle colonne della piazzetta di San Marco. Un ‘ ordinanza stabilì che le prostitute  che lavoravano nella zona di San Cassiano  (PONTE DELLE TETTE )  dovessero affacciarsi alle finestre  o stare sulle porte a seno nudo per incoraggiare i clienti e soprattutto per esortare i numerosi omosessuali del tempo all’eterosessualità. Le leggi che riguardano l’omosessualita’  erano  severissime : abominandum vitium…eradicetur de civitate ( abominevole vizio….sia sradicato dalla nostra città)  tuonavano i DIECI che obbligavano i medici a denunciare chi, maschio o femmina , si  facesse curare per essere “in parte posteriore confractum” (lacerato nella parte posteriore).

La Serenissima incoraggiava l’esibizionismo delle prostitute per combattere l’omosessualità alquanto diffusa a Venezia tra il XV e il XVI secolo, fino a diventare un problema di stato. Le influenze di sodomia conseguenti al sempre crescente arrivo di mercanti proveniente dal Medio Oriente, al vivace miscuglio di popoli e, con essi, delle rispettive abitudini culturali, provocò una sorta di campagna della Repubblica mirata alla conservazione degli usi e costumi propri di una cultura eterosessuale.
Il mestiere più antico del mondo era, quindi, non solo tollerato, ma quasi, addirittura, favorito.

N.d.R. : Ma, per doverosa e rigorosa integrazione, non posso esimermi dal ricordare che, sulle gloriose navi, mercantili e da guerra, della “Serenissima” esisteva, come mansione istituzionale, la figura del “mozzo da cul”.
Nei lunghi mesi di navigazione, come “facevano i marinai” (se lo chiedeva anche Lucio Dalla), a “soddisfare le proprie voglie” (questo, invece, se lo chiedeva Faber De Andrè)?
Riporto quanto segue:

Essere un “Recia” (orecchio)    (In altro dialetto: “ricchione”)

Ci si riferisce all’usanza di contrassegnare con un orecchino il “mozzo da culo”, giovane con tendenze omosessuali imbarcato come mozzo, al solo scopo di soddisfare le voglie dell’equipaggio…


Un qualsiasi oggetto è detto “da culo” quando…

…per la scarsa qualità, non risponde alla funzione alla quale è preposto, nello stesso modo in cui il “mozzo da culo” tutto era fuorché un vero mozzo…  Altri dicono significhi “di nessun valore”, con riferimento alle “pezze da culo” (quelle che venivano usate, prima della carta igienica).
A proposito di carta igienica, segnalo anche, per inciso, e per restare in tema marinaresco, questa altra chicca:

Essere un “Cáo da brodo”.

Essere definiti “Cao da brodo” non è proprio esaltante…
Ci si riferisce ad una corda (cáo, cioè cavo) che veniva fatta scendere dalla poppa della nave e lasciata perennemente immersa nell’acqua.  Il riferimento al brodo? … la parte sfilacciata immersa veniva utilizzata come carta igienica dall’equipaggio.

Alla luce di quanto sopra, non può destare meraviglia se la più bella gioventù maschile di Venezia, arruolata sulle Galeazze, sui Brigantini, sui Vascelli, sulle Fregate, sulle Galandrie, costretta a feroci astinenze sessuali, si dedicasse a praticare esborsi fisiologici, contro natura, con l’unico personaggio “disponibile” a bordo. Giovani che poi, ben si capisce, si assuefacevano facilmente a questo tipo di rapporti che, una volta a terra, come sulla nave, diventavano pratica abituale. I marinai erano moltissimi e il “malcostume” si diffondeva a macchia d’olio.
L’ipocrisia non comanda alla natura.

 

Lascia un commento

Lascia un commento