Dal FATTO QUOTIDIANO del 1 Giugno 2022.
di Ferdinando Boero, zoologo all’Università Federico II.
I ragazzi non capiscono? È utile che sia così. La scuola senza pratica è destinata a fallire
Una collega, madre di uno scolaro, mi manda la foto del Manuale per le prove Invalsi della scuola primaria. Ci sono anche io, citato in un capitoletto sulle meduse… Finire su un testo per le elementari mi riempie dei orgoglio. Ma per poco: le prove Invalsi sono andate male. Percentuali significative di studenti non sono in grado di comprendere un testo e di fare calcoli. Gli anziani, categoria alla quale appartengo, si strappano le vesti: il sistema educativo è troppo permissivo, ah… ai miei tempi! I maestri ci rifilavano ceffoni, se sgarravamo. E a casa sarebbe arrivato il resto, se mai la notizia fosse trapelata. Se non si studiava la pena era certa e implacabile, oggi invece non si boccia più, è diseducativo!
Non è che non studiassi, allora. Leggevo, e imparavo senza sforzo, libri che trattavano di argomenti differenti da quelli proposti dai docenti. Risultato: sempre rimandato a partire dalla prima media, bocciato due volte al liceo. Giusto: rifiutavo le regole e ne pagavo le conseguenze. All’università ho scoperto che studiare è bellissimo e, da allora, non ho più smesso.
Ho tenuto corsi universitari per decenni. Alcuni entusiasmanti (biologia marina) altri che potrebbero essere pesanti mattoni (zoologia). Imparare a memoria i nomi di animali, assieme alle litanie che descrivono le loro caratteristiche, può risultare indigeribile a individui poco inclini a studiare a memoria qualunque assurdità, sapendola ripetere a comando. Quell’esame può essere un ostacolo quasi insuperabile, oppure quello di cui gli studenti si ricordano per sempre.
Per comprendere il livello di competenza dei miei studenti, all’inizio di un corso del primo anno, stimolato da una pubblicità, domandai: bevete un litro d’acqua e poi fate la plin plin. Che strada fa l’acqua? Per rispondere si devono conoscere gli apparati digerente, circolatorio e respiratorio, il metabolismo cellulare, l’apparato escretore e un po’ di sistema nervoso e endocrino. Ma non basta: bisogna metterli assieme, collegandone le funzioni. Le informazioni sui singoli apparati non sono conoscenza. Per la prima volta, si accorsero della loro fantozziana ignoranza. Era così anche “ai miei tempi”: informazioni che non diventavano conoscenza.
Non sapere come funziona il proprio corpo è sintomo di grave carenza culturale, forse più dell’ignoranza di un teorema, o dell’origine della metafora nel primo verso del Purgatorio.
Noi siamo animali che imparano, e comunichiamo verbalmente. Come impariamo a parlare? Studiamo la grammatica e la sintassi, e poi parliamo, oppure prima parliamo e poi studiamo le regole? Quando, qualche eone fa, studiai lingue straniere (dal latino al francese all’inglese) il sistema di apprendimento era proprio quello: declinazioni, liste di parole da imparare, regole. Di parlare non se ne parlava. Se ci insegnassero così la nostra lingua madre, saremmo degli infelici.
Prima viene la pratica e poi la teoria: approccio induttivo. L’approccio deduttivo, fondamentale in moltissime scienze, prevede che si elabori prima la teoria, e poi si passi alla pratica: per perseguirlo, però, si parte da percorsi induttivi, esperienziali.
Questo sistema educativo, e ora faccio il complottista, sembra fatto apposta per chi vuole che i cittadini adulti abbiano i livelli di comprensione di scolari svogliati che siedono nell’ultimo banco. È utile che non capiscano… Talmente utile che siamo chiamati a votare un referendum che vuole abolire il divieto per i condannati di sedere in parlamento, chiedendo misure restrittive per i magistrati. Una bella prova Invalsi che misura l’intelligenza dell’italiano medio, o il tasso di delinquenzialità degli elettori.