Numero1934.

 

Dal MESSAGGERO  VENETO     del 27 Marzo2020

La peste da Costantinopoli al Friuli
cronache di un flagello manzoniano

 

La peste del 1630, conosciuta come “peste manzoniana” dopo che il grande scrittore la narrò nei “Promessi sposi”, uccise oltre un milione di persone nell’Italia settentrionale su una popolazione di 4 milioni. Ma Udine si salvò da quel flagello. Qui ci furono poche vittime e tra loro il medico Pompeo Caimo, nato in città nel 1568, famosissimo all’epoca tanto che a lui, autore del manuale “Modi di curare la febbre maligna”, il Comune si era rivolto per avere consigli e aiuto.

Visto il pericolo avanzante, Caimo era tornato in Friuli da Padova, dove insegnava all’università medicina teorica e anatomia, trasferendosi nella sua villa di Tissano, ma questo non gli salvò la vita. Vi morì il 30 novembre 1631 a causa proprio di febbre maligna, però senza tracce di peste.

Come fece Udine a mettersi al riparo da una delle epidemie più micidiali? È una storia interessante anche al giorno d’oggi mentre viviamo nella morsa di una paura antica. Per capire cosa accadde si deve rileggere una relazione tenuta nel 1890 dall’avvocato Antonio Measso davanti all’Accademia di scienze lettere e arti. Come tutte le città, Udine era provata allora da continui attacchi di peste e a ogni avvisaglia intesseva avvertimenti e notizie con le varie province e con Venezia, che comandava su questi territori. Appena sorgeva il problema, venivano nominati subito i Provveditori con poteri assoluti, anche di pena di morte contro inadempienti e diffusori dell’epidemia. L’allarme scattò nel 1628 quando un nuovo sprazzo di contagio partì da Costantinopoli estendendosi in Germania e Francia. E poi era cominciata la guerra per la contesa di Mantova e appena gli eserciti entravano in azione la peste si diffondeva in un baleno. Di fronte a tali presagi, Udine si attrezzò come poteva. «Temeva la peste – disse Measso –, si aspettava la guerra in casa, ma arrivò prima la carestia…». Altro flagello immenso questo, causato dalla scarsità del raccolto nel 1627 e 1628. La gente della campagna, affamata, cominciò a riversarsi in città dov’erano state organizzate scorte e dove vigeva un controllo ferreo sugli ingressi grazie alla cinta muraria e alle porte che rendevano obbligatori i varchi. Il Comune decise pure di riaprire il lazzaretto allestito a San Gottardo dal 1505. E una mattina tutti i poveri, esattamente 2.344, dopo un rito in duomo, sfilarono in processione verso il lazzaretto, dove a ognuno vennero dati una medaglietta di ammissione e un vestito. Nel frattempo si raddoppiò il servizio medico e si chiese aiuto a Pompeo Caimo che, dopo essersi laureato a Padova e una bellissima carriera, essendo stato medico personale di tre Papi, di Andrea Doria, di re e granduchi in giro per l’Europa, decise di accettare la proposta, anche perché la marea nera della peste stava invadendo Veneto e Lombardia.

Nonostante ogni intervento, il costo della carestia fu elevatissimo a Udine, dove morirono in 1.500 su 12 mila abitanti, ma la città riuscì almeno a difendersi dal successivo attacco della peste, altrimenti sarebbe stata la sua fine. Venezia si fece invece trovare impreparata davanti al contagio, causato da un ambasciatore giunto da Mantova. Un summit di 36 medici rassicurò il Doge e subito si scatenò l’inferno. La peste fu dichiarata vinta (dopo 44 mila morti in città) il 21 novembre 1631 e, come voto, si costruì la basilica di Santa Maria della Salute.

Quella fu l’ultima volta in cui Udine dovette cautelarsi da un attacco tanto implacabile. Se ne registrarono in seguito altri, ma le difese sanitarie ressero. Una testimonianza di quei giorni è il monumento funebre a Pompeo Caimo, alle Grazie. Il dottore lasciò i suoi 2200 libri alla Serenissima e, come annotò don Marchetti raccontandone la storia, sarebbero piaciuti anche a don Ferrante, lo stravagante erudito narrato da Manzoni, tutto preso da magie, astrologia e scienze occulte, che però non lo salvarono dalla peste. —

Numero1932.

 

CRONACHE  DEL  CORONAVIRUS

Dal TG1, Telegiornale della Sera del 29 Marzo 2020 :

viene presentato un servizio da Napoli per documentare la diffusione delle situazioni di indigenza, specialmente di tipo alimentare: gente povera in coda per avere un po’ di cibo nei centri del volontariato, provvedimenti di assistenza ai bisognosi ecc.
Ma viene mostrata anche la scena seguente: un cesto di vimini calato con una corda, fino al livello di strada, da gente con la mascherina, chiusa in casa, da un terrazzo del secondo o terzo piano. Sul cesto, un cartello con la scritta:
CHI HA METTA, CHI NON HA PRENDA.
La voce del commento al servizio lo ha definito il PANARO SOLIDALE.
Aggiungo io: Creatività partenopea, dopo il “caffè sospeso”, hanno inventato Il “panaro sospeso”.

Numero1931.

 

Ricevo da mio nipote Alan quanto segue.  Merita la pubblicazione immediata, perché è una “visione” di straordinaria lucidità, da parte di una mente preparata ed autorevole.

 

Posto la traduzione dell’articolo di Mario Draghi al  FINANCIAL TIMES, pubblicato poco fa.
Direi che è sceso in campo un gigante fra i pigmei.

-28 Marzo 2020.-

La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura della propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere supportati.
Ma queste azioni comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano una perdita di vite umane, molti altri affrontano una perdita di sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Le aziende affrontano una perdita di reddito nell’intera economia. Molti stanno già ridimensionando e licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile.

La sfida che affrontiamo è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una pletora di valori predefiniti che lasciano danni irreversibili. È già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico.
La perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare il divario – deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

È il ruolo corretto dello stato distribuire il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati l’hanno sempre fatto di fronte alle emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più rilevante – sono state finanziate da aumenti del debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in Italia e Germania tra il 6 e il 15% delle spese di guerra in termini reali fu finanziato dalle tasse. In Austria-Ungheria, Russia e Francia, nessuno dei costi continui della guerra furono pagati con le tasse. Ovunque, la base imponibile è stata erosa dai danni di guerra e dalla coscrizione. Oggi è a causa dell’angoscia umana della pandemia e della chiusura.

La domanda chiave non è se, ma come lo Stato dovrebbe mettere a frutto il proprio bilancio. La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita del lavoro. In caso contrario, emergeremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità permanentemente inferiori, poiché le famiglie e le aziende lottano per riparare i propri bilanci e ricostruire le attività nette.

I sussidi per l’occupazione e la disoccupazione e il rinvio delle tasse sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità. Ciò è essenziale per tutte le imprese per coprire le proprie spese operative durante la crisi, siano esse grandi aziende o ancora di più piccole e medie imprese e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto misure di benvenuto per incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà. Ma è necessario un approccio più completo.

Mentre diversi paesi europei hanno diverse strutture finanziarie e industriali, l’unico modo efficace per entrare immediatamente in ogni falla dell’economia è di mobilitare completamente i loro interi sistemi finanziari: mercati obbligazionari, principalmente per grandi società, sistemi bancari e in alcuni paesi anche le poste per tutti gli altri. E deve essere fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici. Le banche in particolare si estendono in tutta l’economia e possono creare denaro istantaneamente consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito.
Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo modo stanno diventando un veicolo per le politiche pubbliche, il capitale necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie statali su tutti gli ulteriori scoperti o prestiti. Né la regolamentazione né le regole di garanzia dovrebbero ostacolare la creazione di tutto lo spazio necessario nei bilanci bancari a tale scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito della società che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente dal costo del finanziamento del governo che le emette.

Le aziende, tuttavia, non attingeranno al supporto di liquidità semplicemente perché il credito è economico. In alcuni casi, ad esempio le aziende con un portafoglio ordini, le loro perdite possono essere recuperabili e quindi ripagheranno il debito. In altri settori, probabilmente non sarà così.
Tali società potrebbero essere ancora in grado di assorbire questa crisi per un breve periodo di tempo e aumentare il debito per mantenere il proprio personale al lavoro. Ma le loro perdite accumulate rischiano di compromettere la loro capacità di investire in seguito. E, se l’epidemia di virus e i blocchi associati dovessero durare, potrebbero realisticamente rimanere in attività solo se il debito raccolto per mantenere le persone impiegate in quel periodo fosse infine cancellato.

O i governi compensano i mutuatari per le loro spese, o quei mutuatari falliranno e la garanzia sarà resa valida dal governo.
Se il rischio morale può essere contenuto, il primo è migliore per l’economia.
Il secondo percorso sarà probabilmente meno costoso per il budget. Entrambi i casi porteranno i governi ad assorbire una grande parte della perdita di reddito causata dalla chiusura, se si vogliono proteggere posti di lavoro e capacità.

I livelli del debito pubblico saranno aumentati.
Ma l’alternativa – una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e infine per il credito pubblico.
Dobbiamo anche ricordare che, visti i livelli attuali e probabili futuri dei tassi di interesse, un tale aumento del debito pubblico non aumenterà i suoi costi di servizio.

Per alcuni aspetti, l’Europa è ben equipaggiata per affrontare questo straordinario shock. Ha una struttura finanziaria granulare in grado di incanalare i fondi verso ogni parte dell’economia che ne ha bisogno. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta politica rapida. La velocità è assolutamente essenziale per l’efficacia.

Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono. Il costo dell’esitazione può essere irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni ’20 è abbastanza una storia di ammonimento.

La velocità del deterioramento dei bilanci privati ​​- causata da una chiusura economica che è sia inevitabile che desiderabile – deve essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici, mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nel perseguimento di ciò che è evidentemente una causa comune.

#draghi #covid19 #crisi #reazioni #bce

Numero1905.

 

Coronavirus: c’è chi aveva previsto tutto.

 

Venerdì 18 ottobre 2019, tra le 8,45 e 12,30, ebbe luogo nell’hotel Pierre di New York una intrigante sceneggiata: la simulazione di una pandemia da coronavirus. Erano circa due mesi prima dello scoppio dell’epidemia a Wuhan in Cina.
Il Johns Hopkins Center for Health Security, il World Economic Forum e la Bill & Melinda Gates Foundation organizzarono un dibattito tra 15 opinion leader mondiali per discutere della risposta politica da dare a una ipotetica epidemia mondiale da coronavirus, denominata Evento 201.
Solo 130 invitati avevano potuto partecipare al dibattito in diretta ma un live streaming è stato reso disponibile a tutti (qui).
Lo scopo dell’evento era di aiutare i responsabili politici mondiali a comprendere meglio gli effetti di un evento sanitario epidemico a livello mondiale che non solo causerà grandi malattie e perdite di vite umane, ma innescherà anche importanti conseguenze economiche e sociali a cascata.
Qual era lo scenario di riferimento della Johns Hopkins e Bill Gates?
Usando le loro parole ufficiali:
‘L’evento 201 simula lo scoppio di un nuovo coronavirus zoonotico trasmesso da pipistrelli e maiali a persone che alla fine diventa efficacemente trasmissibile da persona a persona, portando a una grave pandemia. L’agente patogeno e la malattia che causa sono in gran parte modellati sulla SARS, ma è più infettivo soprattutto perché trasmissibile tramite persone con sintomi lievi’.

La capacità previsiva lascia senza fiato: quando si ebbero le prime notizie del dramma cinese (il 31 dicembre 2019, più di due mesi dopo) l’organizzazione mondiale della sanità usò praticamente le stesse parole per descrivere il nuovo virus.
La genesi della malattia era stata però prevista in modo leggermente diverso, forse per non allarmare il governo cinese prima del tempo:
‘La malattia inizia negli allevamenti di suini in Brasile, inizialmente in silenzio e lentamente, ma poi inizia a diffondersi più rapidamente negli ambienti sanitari. Quando inizia a diffondersi efficacemente da persona a persona nei quartieri a basso reddito e densamente affollati di alcune delle megalopoli del Sud America, l’epidemia esplode. Viene prima esportato per via aerea in Portogallo, negli Stati Uniti e in Cina e poi in molti altri paesi’.
Sulla capacità di diffusione sull’esito dei controlli non sappiamo ancora se gli ‘esperti’ abbiano o no avuto ragione:
‘Sebbene all’inizio alcuni paesi siano in grado di controllarlo, continua a diffondersi e a essere reintrodotto, e alla fine nessun paese può mantenere il controllo’.
Non è possibile che un vaccino sia reso disponibile nel primo anno. Potrebbero esistere farmaci antivirali in grado di aiutare i singoli malati ma non in grado di limitare in modo significativo la diffusione della malattia.
Poiché l’intera popolazione umana è sensibile, durante i primi mesi della pandemia, il numero cumulativo di casi aumenta esponenzialmente, raddoppiando ogni settimana. E man mano che i casi e le morti si accumulano, le conseguenze economiche e sociali diventano sempre più gravi’.

Certo anche qui si resta senza fiato per la chiaroveggenza degli esperti: i contagi raddoppiano ogni settimana! È descritto esattamente quello che sta accadendo in questi giorni, a circa due mesi dall’esplosione della malattia.

Ma ecco le previsioni su come andrà a finire:
‘Lo scenario termina dopo 18 mesi, con 65 milioni di morti. La pandemia inizia a rallentare a causa della diminuzione del numero di persone sensibili ma continuerà, in una certa misura, fino a quando non vi sarà un vaccino efficace o fino a quando l’80-90% della popolazione mondiale non sarà stata immunizzato. Da quel momento in poi, è probabile che si trasformi in una malattia endemica dell’infanzia’.

E, dato che si trattava di un forum politico, il meeting si conclude con ‘raccomandazioni’ su come le autorità devono gestire l’epidemia, che peraltro non sono particolarmente originali.
Per minimizzare i danni è necessaria una ‘collaborazione senza precedenti tra i governi, le organizzazioni internazionali e il settore privato’. Il che significa che i governi debbono pagare e investire ma lasciare il comando ai privati. È quindi auspicabile una gestione mondiale del problema, in mani private, che provvederà a destinare le risorse verso la produzione dei vaccini e la loro equa distribuzione.
Paesi, organizzazioni internazionali e società di trasporto globali dovrebbero collaborare per evitare la chiusura delle frontiere durante gravi pandemie. I viaggi e il commercio sono essenziali per l’economia globale, nonché per le economie nazionali e persino locali, e dovrebbero essere mantenuti anche di fronte a una pandemia.
Una grave pandemia interferirebbe notevolmente con la salute della forza lavoro, le operazioni commerciali e la circolazione di beni e servizi. Un focolaio di livello catastrofico può anche avere effetti profondi e duraturi su interi settori, economia e società in cui opera. Mentre i governi e le autorità sanitarie pubbliche fungono da prima linea di difesa contro i focolai in rapida evoluzione, i loro sforzi sono cronicamente sottofinanziati e mancano di sostegno duraturo. I leader aziendali globali dovrebbero svolgere un ruolo molto più dinamico in quanto sostenitori che partecipano a una maggiore preparazione alla pandemia.
Molti settori della società potrebbero aver bisogno di un sostegno finanziario durante o dopo una grave pandemia, tra cui istituti sanitari, imprese essenziali e governi nazionali.
I governi e il settore privato dovrebbero assegnare una priorità maggiore allo sviluppo di metodi per combattere la mis- e disinformazione prima della prossima risposta alla pandemia. I governi dovranno collaborare con le società tradizionali e dei social media per ricercare e sviluppare agili approcci per contrastare la disinformazione. Da parte loro, le aziende dei media dovrebbero impegnarsi a garantire che i messaggi autorevoli siano prioritari e che i falsi messaggi vengano eliminati anche attraverso l’uso della tecnologia.

Certo stupisce che gli ‘esperti’ mondiali, dopo aver così accuratamente previsto la pandemia da coronavirus, non risultino altrettanto convincenti nelle ‘raccomandazioni’ che si limitano alla stanca riproposizione di vecchie ricette: assalto alle casse degli stati, soldi verso i vaccini, anche se non esistono, promozione di un governo mondiale in mani private e ripristino della censura, per evitare che il pubblico sia informato di quello che accade realmente.
Davvero poco originale.

Sorgono quindi spontanee alcune considerazioni.

Come facevano gli ‘esperti’ a sapere che una pandemia da coronavirus si sarebbe sviluppata da lì a poco?
Forse erano stati informati che erano pronte le scorte di laboratorio per poter liberare il virus? O forse avevamo direttamente collaborato alla sua creazione?
Altrettanto incognito è come facessero a conoscere così bene le caratteristiche del nuovo virus, che produce meno morti della SARS ma che è più infettivo. Chi mai glielo poteva avere detto?
E come facevamo a sapere che il virus proveniva dai pipistrelli? Non rileva che l’epidemia sia supposta nascere in Brasile per poi diffondersi in Cina. In Brasile non mangiano pipistrelli ma in Cina sì.

Se Johns e Bill conoscevano tutto ciò forse bisogna dare loro credito anche su come la pandemia si evolverà in futuro.
I 65 milioni di morti in 18 mesi sono una possibilità reale?

Certo è che, se le loro raccomandazioni saranno seguite alla lettera, se si lasceranno aperte le frontiere, i viaggi e i commerci, se si investiranno le risorse in vaccini che non esistono, i 65 milioni di morti sembrano più che realistici. In pratica gli ‘esperti’ propongono che l’epidemia faccia il suo corso per minimizzare i danni all’economia.

Però finora le cose non sono andate secondo le loro raccomandazioni. La Cina ha chiuso le frontiere, anche quelle interne (e anche l’Italia, in sfregio ai diktat dei globalisti).
Il danno economico è stato e sarà in futuro enorme ma ciò riuscirà a fermare la pandemia?

Se la Cina ci riuscisse in questo modo, cioè facendo l’esatto contrario di quanto consigliato da esperti così bene informati, la dovremmo proprio ringraziare.

Ma dovremmo anche approfondire accuratamente il perché tali ‘esperti’ sapessero, con più due mesi di anticipo, così tante cose.

 

 

Numero1903.

LA  CRISI

(N.d.R. : L’etimologia di crisi deriva senza dubbio dal verbo greco krino = separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa in quanto vuole significare un peggioramento di una situazione. Se invece riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo coglierne anche una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo).

 

La crisi è la più grande benedizione

per le persone e le nazioni,

perché la crisi porta progressi.

 

La creatività nasce dall’angoscia,

come il giorno nasce

dalla notte oscura.

 

È nella crisi che sorgono

l’inventiva, le scoperte,

e le grandi strategie.

 

Chi supera la crisi,

supera se stesso,

senza essere superato.

 

Albert Einstein