Se vuoi imparare a volare
bisogna che prima
cominci a precipitare.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
Se vuoi imparare a volare
bisogna che prima
cominci a precipitare.
T U T T O C I O’ C H E N O N S E I
Ti senti stanca, ma non del corpo. Senti una stanchezza dell’anima che nessun riposo riesce a guarire.
Ti sforzi di sembrare forte, ma dentro sei esausta. Hai dato troppo a tutti, per troppo tempo.
Sorridi anche quando non ne hai voglia, perché non vuoi deludere nessuno, ma intanto ti perdi.
Hai dimenticato cosa ti fa stare bene davvero. Ti sei abituata a sopravvivere, non a vivere.
Senti che non puoi più ignorarti. Il tuo corpo e la tua anima ti stanno chiedendo di fermarti.
Non è debolezza. È il tuo risveglio. La fine della finzione è l’inizio della verità.
Questa stanchezza non va curata con il sonno, va curata con la sincerità verso te stessa.
Quando smetti di fingere, ritorni viva. E la forza arriva da sola.
Il corpo si alleggerisce quando smetti di portare pesi che non sono tuoi.
E finalmente capisci: non sei stanca, sei piena di tutto ciò che non sei.
@AnimaOltreilimiti80
SOMATIZZAZIONE : IL CORPO REGISTRA IL TROPPO STRESS.
Mal di testa frequenti senza un motivo chiaro.
Dolori costanti al collo e alle spalle.
Tachicardia o battito accelerato.
Stanchezza cronica nonostante il riposo.
Disturbi digestivi ricorrenti.
Gli ultimi 5 sono seri campanelli d’allarme.
Bruxismo o denti serrati durante il sonno.
Caduta di capelli improvvisa.
Pelle spenta, sfoghi o irritazioni .
Insonnia o risvegli continui.
@AnimaOltreilimiti80.
da QUORA
Scrive Lola, corrispondente di QUORA.
I L P E R C H E’ D E I F A L L I M E N T I
I L P A R E N T E T E D E S C O
Quali sono i primi sintomi dell’ALZHEIMER?
I sintomi iniziali dell’Alzheimer possono manifestarsi in modi sottili ma significativi. Riconoscere questi segni precoci è fondamentale per una diagnosi tempestiva e per ricevere un supporto adeguato. Ecco i principali sintomi iniziali dell’Alzheimer:
Riconoscere questi sintomi iniziali è fondamentale, poiché un intervento tempestivo può aiutare a gestire meglio la malattia, migliorando la qualità della vita sia per chi ne soffre che per i suoi cari.
da QUORA
Scrive Fabrizio Mardegan psicologo, corrispondente di QUORA
G A S L I G H T I N G ( INFLUENZA ANGOSCIANTE )
Il gaslighting è una forma di manipolazione psicologica in cui una persona cerca di far dubitare l’altra della propria percezione della realtà, della memoria o della sanità mentale.
Il termine “gaslighting” deriva dal film del 1944 chiamato “Angoscia” (Gaslight in inglese), in cui il protagonista cerca di far impazzire sua moglie facendole credere di essere pazza.
Il gaslighting coinvolge una serie di comportamenti intenzionali che minano la fiducia e la sicurezza dell’altra persona. Di seguito sono riportati alcuni esempi di tattiche di gaslighting:
L’obiettivo del gaslighting è quello di ottenere il controllo e il potere sull’altra persona, minando la sua fiducia in se stessa e nella propria percezione della realtà.
Le vittime di gaslighting possono iniziare a dubitare di se stesse, a sentirsi insicure e a cercare la conferma e l’approvazione del manipolatore.
Ciò può avere un impatto significativo sulla salute mentale e sul benessere dell’individuo coinvolto.
Riconoscere il gaslighting è il primo passo per proteggersi da questa forma di manipolazione.
Se ti ritrovi in una relazione in cui sospetti di essere vittima di gaslighting, può essere utile cercare supporto da amici, familiari o professionisti della salute mentale per ottenere un’ulteriore prospettiva e supporto.
da QUORA
Perché oggi sempre più fedeli cristiani si allontanano dalla Chiesa?
Risponde Stefano Valenti, corrispondente di QUORA
Mi vengono in mente almeno tre motivi.
Primo: minor pressione sociale.
Secondo: lo sviluppo delle conoscenze scientifiche fa sì che un minor numero di persone creda nel soprannaturale (anche se questo non le rende necessariamente né meno ignoranti, né più razionali).
Terzo: le nostre società sono più individualiste e si tollera meno l’idea di dover obbedire a regole dettate da altri.
La fede religiosa può spingere alla superstizione, al fanatismo e alla prevaricazione; ma questo vale anche per la fede politica, per il pregiudizio, per l’avidità, per la sete di potere e per altri strumenti di controllo e di sfruttamento delle masse.
Le fedi religiose non sono tutte uguali. Alcune enfatizzano il rispetto per gli altri, la responsabilità nei confronti di sé stessi e degli altri, l’integrità personale, l’onestà, la fedeltà. Questi elementi sono, in generale, presenti nel cristianesimo (in alcune versioni più che in altre) e anche in altre fedi religiose (non in tutte). Da questo punto di vista, se non credere significa buttare a mare anche questi valori etici, che però si possono possedere anche senza professare una fede religiosa, la perdita della fede non è un fenomeno positivo.
Se, invece, professare una fede religiosa significa alimentare il fanatismo e l’intolleranza, allora meglio non professarne alcuna.
In definitiva, comunque, si deve professare una fede religiosa perché ci si crede, non perché è “utile”.
Risponde Michele Cini, corrispondente di QUORA
Hanno fatto il possibile, l’inverosimile e l’impossibile per cacciare i fedeli dalle loro chiese. Sessuofobia ossessiva con divieto di tutto, anche dei pensieri, con esaltazione assurda della castità come virtu’, con preti solo maschi e solo celibi, e divieto anche nel matrimonio dell’amore fine a se stesso; divieto di controllo delle nascite, madonne di gesso che piangono sangue maschile, apparizioni quotidiane e altre truffe per fare soldi, insistenza sulle favole bibliche (anche a me hanno insegnato che Darwin era cattivo ), svalutazione del sapere, della scienza e di tutto ciò che di piacevole offre la vita, accordi col duce ma negazione del liberalismo e del socialismo, scandali frequenti. Un tempo la gente subiva tutto ciò per ignoranza, ma ora i tempi sono cambiati.
Risponde Giancarlo Aureli, corrispondente di QUORA
Le motivazioni sono molteplici: il rapporto tra religione e morale rientra tra queste.
Tra le più rilevanti, la forte crescita della popolazione che oggi si dichiara favorevole all’eutanasia, intesa in senso generale come alla possibilità di porre fine alla vita di un malato incurabile: il 63%.
L’accettazione, da parte della maggioranza degli italiani, della condizione omosessuale e di alcuni suoi diritti: era condannata dal 62% della popolazione di venticinque anni fa, mentre oggi viene ritenuta ammissibile dalla maggioranza delle perone (56%).
Ciò significa che, in un Paese in cui il legame cattolico è ancora diffuso, cresce la distanza dalla morale proposta dal magistero ecclesiale, come già avvenuto sulle questioni del divorzio, dell’aborto, delle convivenze fuori dal matrimonio.
Già le indagini del recente passato avevano segnalato le difficoltà degli italiani non soltanto a seguire, ma persino a comprendere le indicazioni della gerarchia in questo campo, ritenute troppo restrittive e anacronistiche, ad esempio sui temi della contraccezione e della procreazione.
L’indebolimento dei legami con la Chiesa cattolica emerge anche dalle modalità con le quali la Chiesa agisce nella nostra società. Sul versante sociale le denunce sono quelle note: riguardano un’organizzazione religiosa accusata di troppo potere, di indebita influenza in campo politico, di incoerenza tra il dire e il fare, in pratica di rappresentare una realtà che “predica bene ma razzola male”, come evidente anche nella questione della pedofilia clericale, ma non solo.
Questi giudizi negativi vengono oggi condivisi da oltre i due terzi della popolazione, circa un 10-15% in più di quanto succedeva venti-venticinque anni or sono.
Anche in altri Paesi cattolici, come la Polonia, la situazione è la medesima: tra i problemi più gravi della Chiesa sono considerati: la pedofilia del clero (60%) e il coinvolgimento in politica (37%).
Quasi la metà della popolazione dei credenti nutre l’idea che “non c’è bisogno dei preti e della Chiesa, ognuno può intendersela da solo con Dio”. Cresce dunque l’idea che sia plausibile avere una “fede senza Chiesa”, agendo in proprio sulle questioni di fede.
Il disaccordo con la Chiesa si manifesta anche a proposito di alcune normative interne al campo religioso, in particolare quelle relative alla vita sacerdotale, che prevedono ancor oggi sia il divieto alle donne di esercitare questo ministero, sia l’obbligo del celibato per il clero maschile.
Secondo Andrea Riccardi (La Chiesa brucia, Laterza, 2021) la crisi è talmente grave che alcuni analisti e sociologi hanno parlato di “fase terminale” della Chiesa cattolica.
Jérôme Fourquet scrive severamente sul cattolicesimo in Francia: «C’è una scristianizzazione crescente, che sta conducendo alla “fase terminale” della religione cattolica». E continua: «se questo trend sarà confermato, si stima (chiaramente come linea tendenziale) che nel 2048 possa esserci l’ultimo battesimo, mentre nel 2031 l’ultimo matrimonio cattolico. Addirittura potrebbe esserci anche la totale scomparsa di sacerdoti francesi nel 2044» (J. Fourquet, L’archipel français. Naissance d’une nation multiple et divisée, Seuil, Paris 2019).
«Per centinaia di anni è la religione cattolica che ha strutturato profondamente l’inconscio collettivo della società francese. Oggi questa società è l’ombra di quello che era. È in corso un grande cambiamento di civiltà».
L’aggettivo “terminale”, molto duro, è usato anche da due studiosi di vaglio: Emmanuel Todd (che in passato ha preconizzato la fine del sistema sovietico e poi la crisi dell’egemonia americana) e il demografo Hervé Le Bras. Quest’ultimo è figlio di Gabriel Le Bras, uno dei padri della sociologia religiosa francese, cui tanto si deve per una lettura del fenomeno della “scristianizzazione” della società, compiuta attraverso i flussi della pratica religiosa. Ebbene nel 2013, in Le mystère français, entrambi gli autori, Todd e Hervé Le Bras, parlano di «crisi terminale» della Chiesa, anche qui avendo presente la Francia.
La gravità della crisi della Chiesa europea non si può considerare neppure lontanamente attenuata o mitigata da eventuali incrementi delle chiese decentrate, in quanto si tratta della “testa”, del cardine, del fondamento dell’intera Chiesa. Se viene meno il “capo” viene meno l’intero corpo. Le Chiese extraeuropee sono inoltre spesso minoritarie nei propri paesi. Ad esempio in Cina i cattolici rappresentano circa lo 0,7% della popolazione, pur contando circa dieci milioni di fedeli. Una minoranza irrilevante e insignificante.
Eppure molti componenti del gregge cattolico continuano ad immaginare un futuro roseo, autoconvincendosi di essere in ascesa anziché in discesa, un po’ come coloro che continuavano a ballare e cantare mentre il Titanic affondava. Tra non molto, per poter ammirare da vicino un esemplare di pecorone cattolico sarà necessario recarsi nel museo delle cere di Madame Tussauds a Londra.
N.d.R. : Io non frequento le chiese. Ci entro, assai di rado, solo per partecipare ad eventi rituali come battesimi, comunioni, funerali che riguardano parenti o persone care. Registro i cambiamenti in atto che si stanno verificando ultimamente, rispetto a quando, ragazzino e chierichetto, appartenevo anch’io agli addetti ai lavori. Soprattutto, l’atmosfera che si respira durante una celebrazione o cerimonia non ha molto più a che fare con il clima ecumenico e partecipativo di diversi decenni fa. E l’aria di crisi è rappresentata in prima persona proprio dal prete celebrante. Gli addetti ai sacri uffici che io ho visto sull’altare o al fonte battesimale o al cimitero, nelle ultime tre, quattro volte che ero presente, erano preti molto vecchi, quasi prostrati e stanchi, con ambulazione precaria e difficoltà espressive e di verbalizzazione. Non avevano più nulla di carismatico che potesse, in qualche modo, interpretare la sacralità della funzione che stavano rappresentando. Erano l’immagine della Chiesa cadente.
Ana Maria Sepe Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi.
Quante volte ci siamo sentiti offesi, tristi, arrabbiati dal comportamento altrui? Questo tipo di reazioni sono normali e fanno parte integrante dell’essere umano, il problema si pone quando i sentimenti negativi iniziano a prendere il sopravvento e finiscono per logorarci. In effetti, siamo così abituati a reagire d’impulso quando qualcuno ci fa un torto che finiamo per avvelenarci la giornata o a volte la vita.
In particolare è stato dimostrato che una situazione di rabbia costante porta a contratture muscolari, problemi digestivi, insonnia, emicrania ma anche ulcera o calcoli e problemi agli occhi, ad esempio congiuntiviti e fotofobia. A livello psicologico le conseguenze più gravi si hanno sul piano sociale e relazionale, dato che la rabbia è stigmatizzata dalla società come uno dei comportamenti meno accettabili e chi la prova rischia, pertanto, isolamento e depressione.
Ebbene, la rabbia è un’emozione di base e può essere molto importante e di aiuto in molteplici circostanze. Mentre in altre, questo sentimento può risultare dannoso, portando ad avere reazioni eccessive o facendo perdere il controllo dei propri comportamenti. Nelle forme più forti può trasformarsi in odio o in risentimento e può diventare anche iper-presente nella vita di una persona generando una certa tendenza e propensione a reagire in modo esagerato o eccessivo.
Se ci pensiamo bene, a farci arrabbiare non è mai l’evento in sé, ma l’interpretazione che diamo dell’evento. Chi non riesce a controllare la rabbia tende a leggere il comportamento delle persone in modo negativo e a volte esagerato, giungendo a delle conclusioni infondate che confermano i suoi peggiori timori.
Se pensiamo alla rabbia, possiamo pensare a una maschera, un oggetto che non permette di vedere cosa si nasconde dietro. Questo è quello che accade quando proviamo rabbia e non capiamo quale sia il motivo, oppure non troviamo strategie per gestirla.
Ci troviamo imbrigliati nei soliti meccanismi di pensiero e comportamento, senza riuscire a capirne il motivo, ci trasformiamo in “martiri” arrivando a credere che tutto il mondo ci odi, che la vita sia ingiusta e che nessuno là fuori riconosca il nostro valore. Per questo motivo, dietro la rabbia potrebbero nascondersi:
E’ difficile da ammettere ma è quasi sempre così: chi ti fa arrabbiare esercita un controllo delle tue emozioni. La rabbia se da un lato è una delle emozioni più diffuse, dall’altra è uno dei campanelli d’allarme che ti dovrebbe far capire che ti stanno dominando. Rifletti: chi ti fa arrabbiare è colui o colei che in qualche modo, contro la tua volontà, genera emozioni tossiche, negative.
Spesso ci arrabbiamo poiché concediamo all’altra persone di farlo, di dominarci. Trattenere la rabbia è uno dei gesti meno salutari per il corpo e la psiche, tuttavia è importante riuscire a distinguere le proprie emozioni, riuscire a comprendere da dove provengono in modo da riconoscerle e capire il proprio vero “io”. Si spendono tante energie per comprendere gli altri ma capire se stessi è la vera sfida.
Quando ci arrabbiamo tendiamo ad associare tutta quella rabbia semplicemente alla persona che ha in qualche modo “acceso la miccia”. Le emozioni sono soggette ad una sorta di “effetto domino”, se siamo nervosi, ansiosi, colmi di negatività, molto probabilmente saremo più soggetti ad exploit di rabbia. Tutto dunque dipende da noi, dalla nostra capacità di affrontare la vita con serenità.
Il problema della rabbia, soprattutto quella legata a questioni emotive, di sentimenti, è che tendiamo a percepire la nostra personalità, identificandola con la considerazione che gli altri hanno di noi (ego). In pratica ci facciamo condizionare dalle parole degli altri! Inconsciamente è come se, nel momento in cui riceviamo un’offesa, questa metta in discussione tutto ciò che siamo e dunque ci arrabbiamo. Eppure, le ferite emotive provocate dai momenti di rabbia le stiamo innescando noi in realtà. L’opinione degli altri è solo un’opinione, non rispecchia ciò che siamo.
Rabbia vs controllo. Uno dei problemi della rabbia è l’eccessivo livello di aspettative. Nel momento in cui la realtà si discosta da ciò che avevamo previsto si genera un senso di frustrazione. La mancanza di corrispondenza tra quanto previsto e ciò che è accaduto, può generare un profondo senso di rabbia. Se ad offenderci è uno sconosciuto sicuramente tale offesa non avrà lo stesso peso se fatta da una persona con la quale abbiamo una relazione affettiva. Questo succede perché non abbiamo alcuna aspettativa dall’estraneo, mentre se viene messa in discussione la nostra persona da qualcuno al quale vogliamo bene, il discorso cambia, ci sentiremo feriti.
Siamo noi che cediamo a insulti o provocazioni. È una nostra decisione. Certo è anche vero che spesso la strada che porta ad arrabbiarsi è in qualche modo spianata dall’atteggiamento provocatorio di qualcun altro ma arrendersi a questi comportamenti indisponenti non è la soluzione. Bisogna essere pienamente consapevoli, responsabili del proprio atteggiamento, del proprio modo di comportarsi.
È importante quindi prendere le distanze dal proprio ego e iniziare ad assumersi le responsabilità del proprio essere, delle proprie emozioni. In questo modo riusciremo a non restare emotivamente feriti quando ci arrabbiamo. Sappi che tu sei molto di più rispetto a ciò che pensano gli altri. È facile collegare il proprio “Io” con ciò che è percepito dall’esterno ma non è così. Ciò che appare all’esterno infatti non sempre coincide con quanto sei in realtà.
Ogni volta che lasci che una persona scateni la tua rabbia è come se stessi dicendo che “quello che questa persona pensa di me è più importante di ciò che penso io”. Ricordalo sempre…ogni volta che lasci che qualcuno ti faccia arrabbiare, stai cedendo il controllo, gli stai dando un’importanza che probabilmente non ha e, soprattutto, gli permetti di strapparti un bene prezioso: la tua stabilità emotiva.
Accettare che le emozioni sono tue e che puoi scegliere come reagire, può farti paura, perché significa prenderti una responsabilità enorme, ma, allo stesso tempo, apre un mondo di nuove possibilità perché ti invita a conoscerti meglio, a immergerti dentro di te per capire perché reagisci in un certo modo. È ovvio che assumersi tutto il peso che comporta l’essere arrabbiati è complicato, ancora di più se siamo abituati a dare importanza ai pareri esterni. È sempre più facile incolpare qualcun altro della nostra rabbia che noi stessi, ma così non arriveremo mai a connetterci con il nostro io interiore.
Se ci pensi, reagire con rabbia a qualcuno è come mettere la tua stabilità emotiva nelle sue mani. Ma affideresti il tuo equilibrio psicologico a uno sconosciuto che, tra l’altro, è scortese e antipatico? Da un punto di vista razionale la risposta è un “no” deciso. Tuttavia, dal punto di vista emotivo, è quello che fai ogni volta ti arrabbi.
Devi avere ben chiaro un concetto, ovvero che le cose non ti colpiscono a meno che non sei tu a concedere ad esse questo potere. Vale a dire, né le persone, né i fatti hanno la capacità di farti del male, perché non esiste una relazione diretta tra i fatti esterni e le tue emozioni. Se stai bene o male dal punto di vista emotivo (sereno o arrabbiato), dipende sempre da cosa e da come ti stai percependo in quel momento.
Allo stesso modo, quando qualcuno ti offende, ti giudica o pensa qualcosa di negativo su di te, semplicemente sta esercitando il suo diritto al pensiero, al giudizio, ma questo non significa che le sue parole o i suoi pensieri ti definiscano. I pensieri degli altri sono degli altri e solo se ci credi, se li acquisisci, permetterai che ti facciano del male. Di conseguenza, sei tu, attraverso il dialogo con te stesso, a provocarti sofferenza. In pratica ti offendi da solo e scegli di farlo con quello che gli altri immaginano di te.
Come non accetteremmo mai che qualcuno scelga al posto nostro gli abiti da indossare tutti i giorni, non dobbiamo permettere che qualcuno riempia il nostro armadio mentale con i suoi stereotipi, opinioni e giudizi. Spesso non ci chiediamo quale sia l’origine delle nostre paure, rabbia e nevrosi quotidiane. Se tu potessi vedere le cose con lo sguardo di un te stesso più saggio forse daresti meno peso alle cose che ti offendono. Ricorda sempre…la rabbia è la risposta di chi ha paura, non di chi vuole migliorare la situazione. Quindi, ogni volta che qualcuno cerca di sminuirti, offenderti o giudicarti impara a chiederti: che cos’è meglio per me?
Questa celebre frase è la citazione di apertura del mio primo libro e anche l’aforisma di chiusura del mio secondo manuale di psicologia. Allora, inizia ogni giorno con un sentito e profondo «mi voglio bene». Non devi pronunciarlo, ma devi sentirlo, puoi imparare a sentire l’amore che nutri per te stesso perché egli è già lì, da qualche parte.
Come avrai capito, quando riuscirai a far entrare le scienze psicologiche nella tua vita, tutto assumerà un significato diverso, riuscirai a sperimentare modalità di esistere del tutto inedite e ti sorprenderà scoprire quanti meravigliosi doni può tenderti il tuo “groviglio”.
I C O N O C L A S T I A Distruzione di immagini o idoli
(Movimento religioso sorto nella Chiesa Bizantina nei secoli VIII e IX , contrario ad ogni forma di culto per le immagini sacre e propugnatore della loro distruzione. In senso figurato: spregiudicata ed irriverente denigrazione di principi e credenze ed anche di personaggi idolatrati).
Io ho conosciuto Madre Teresa di Calcutta.
Come racconto nella mia autobiografia in versi (Una Commedia umana….in parole povere), circa 35 anni fa ebbi modo di incontrare questa suorina tanto famosa. Era per me, allora, un periodo di forte instabilità e disagio morale per l’allontanamento di mio figlio da me ad opera della madre. Mi trovavo, una mattina, all’Aeroporto di Ronchi dei Legionari nella sala d’aspetto in attesa di imbarcarmi per Roma, dove avrei dovuto passare una settimana di visite ai clienti. Ero seduto su una sedia di un filare sui due lati, quando vidi entrare una frotta di gente. C’erano giornalisti, teleoperatori che riprendevano, personaggi della politica, preti, frati, alti prelati, suore vestite di bianco e strisce azzurre e, nascosta in mezzo a loro, quasi invisibile perché molto piccola, una vecchia suorina ingobbita, dalla faccia rugosa e vestita di bianco e celeste pure lei. La riconobbi subito per Madre Teresa di Calcutta. Sapevo che nei giorni precedenti, c’era stato a Trieste un Convegno sulla Pace nel mondo o qualcosa di simile e che vi era intervenuta anche Madre Teresa. Il gruppo di persone si avvicinò diretta alle mie spalle per prendere posto proprio dietro di me. In particolare, Madre Teresa si sedette sulla sedia direttamente retrostante alla mia, tant’è che girandomi potevo vedere la sua testa e le sue spalle. Mentre stava lì, la suorina venne intervistata in Inglese da un giornalista della redazione di un giornale locale, che le chiedeva di esprimere la sua opinione sulla povertà nel mondo. Lei rispondeva pacatamente in un Inglese chiaro e scandito e io riuscivo a sentire e capire quello che diceva. Ad un tratto, non so cosa mi è pigliato, ho sentito come una molla scattarmi dentro, come se avessi ricevuto una spinta ad alzarmi per andare da lei. Quasi di corsa, tant’è che quelli che stavano intorno si erano preoccupati e cercavano di trattenermi, ho fatto il giro della fila di sedie e sono andato ad inginocchiarmi davanti a lei. I presenti tentavano di mandarmi via ma lei li ha tranquillizzati ed io sono riuscito a dire in Inglese: “Mother, I’m Alberto, can you bless me?” (Madre, sono Alberto, potete benedirmi?).
Lei mi ha messo una mano sulla testa e mi ha detto: “Alberto, my dear, yes, God bless you.” (Alberto, mio caro, sì, Dio ti benedica), e mi ha fatto il segno della croce davanti al viso. Mi sono allontanato ringraziando seguito dagli sguardi attoniti degli astanti. Ma la cosa non era finita lì. Dopo l’imbarco, abbiamo preso posto sull’aereo e, guarda caso, Madre Teresa aveva il posto a sedere assegnato nella fila proprio davanti alla mia, su un seggiolino appena sfalsato di un posto rispetto al mio. Infatti riuscivo a vederla e, dopo il decollo, ho notato che stava scrivendo con una stilografica una lettera su un foglio bianco. Mi è venuta l’idea di chiederle un ricordo della sua benedizione. Ho cercato nel borsello qualcosa su cui scrivere ma non ho trovato altro che un biglietto da visita della mia Azienda con il mio nome: la parte posteriore era libera e vuota, senza scritture.. Allora ho preso il coraggio a due mani, l’ho chiamata, mi sono fatto riconoscere e le ho chiesto di lasciarmi un ricordo scritto di quanto avvenuto. Lei si è girata, mi ha sorriso e sul biglietto da visita ha scritto: “God bless you – M. Teresa m.e.” (Dio ti benedica – M. Teresa mater ecclesiae = madre della Chiesa). Qui sotto, trovate la prima lettera scritta e firmata da Madre Teresa con le stesse parole e la stessa grafia, proprio come ho qui esposto: sembra la fotocopia della sua scrittura. Il biglietto da visita con la sua benedizione lo tengo, da allora, nel portafoglio.
Per quel che ne sapevo allora e fino a qualche ora fa, Madre Teresa era per me l’unico essere vivente degno di ammirazione e venerazione sulla faccia della terra: era universalmente conosciuta come una benefattrice dell’umanità, votata alla nobile causa di alleviare le sofferenze dei poveri. E tale è rimasta nel mio immaginario personale per tutti questi anni. È stato , devo dirlo, un conforto , una consolazione e una speranza: almeno c’è qualcuno che ha fatto del bene ed io l’ho conosciuta e ho avuto fiducia nella sua opera di sollievo della sofferenza. Ho conservato la sua benedizione come una reliquia che, posso ben dire, mi ha aiutato a vivere e sperare in un mondo migliore.
Adesso, per caso, mi sono imbattuto in questa recensione, che potete leggere qui di seguito, che mi ha ribaltato tutto il mondo di principi morali di cui mi sono dotato: è stato uno “tsunami” devastante per me che, pur votato all’agnosticismo, e lontano ormai dalla credulità comune, avevo tuttavia trovato un appiglio di valori che potessero indurre la speranza di un bene da vivere sulla terra o, quantomeno, di un sollievo al male che è sempre più diffuso. Questo appiglio era Madre Teresa. Ora, dopo la lettura attenta e approfondita di questo trattato, non so più cosa pensare. Mi è venuto meno l’ultimo gancio in mezzo al cielo che mi teneva sospeso prima di cadere nella disperazione. Hanno abbattuto in me, dissacratore di idoli, l’unico simbolo e paradigma di bene che io conoscevo. Adesso posso dire che qui, sulla terra, è tutto uno schifo.
Chissà se esisterà mai un posto dove tutto va come dovrebbe andare.
da QUORA
Quale persona, famosa nella storia, idolatrata, era in realtà una persona orribile?
Risponde Claudio Lanzetta, corrispondente di QUORA
Sicuramente questo piccolo goblin odioso: (goblin = sorta di folletto cattivo e riprovevole).
Madre Teresa di Calcutta.
Un po’ di anni fa l’inglese Channel 4 produsse un documentario: “Hell’s Angel” (L’Angelo dell’Inferno), che trovi su Youtube:
Il proprietario del faccione che vedi è tale Christopher Hitchens (RIP) (Rest in peace = Riposi in pace).

Lui diffuse l’opera e l’anno seguente ne tirò fuori un libro: “La posizione della missionaria. Teoria e pratica di Madre Teresa” (The Missionary Position – goodreads) (Goodreads = buone letture: è la più grande comunità di lettori sul pianeta composta da 40 milioni di utenti).
N.d.R.: “Missionary Position” si traduce letteralmente con “La posizione del missionario”. Si intende, credo volutamente, fare il verso alla locuzione con cui si descrive l’atto sessuale, con l’uomo sopra e di fronte alla donna.
dove sbugiarda e smaschera il summenzionato goblin.
Traduzione: “Ho intrapreso il progetto di giudicare la reputazione di Madre Teresa dalle sue azioni e parole, piuttosto che le sue azioni e parole dalla sua reputazione”.
Il tema centrale del libro è che Madre Teresa era amica della povertà, e non dei poveri. Il fatto di essere poveri e sofferenti avvicinava i poveri e sofferenti a Dio. Ne consegue che NON PUOI e NON DEVI alleviare questa povertà o sofferenza, o i suddetti poveri e sofferenti si allontaneranno da Dio.
Un esempio perfetto è questo aneddoto descritto da Hitchens:
Traduzione: “Delle regolamentazioni governative stabilivano che un ascensore fosse installato ad uso dei disabili. Madre Teresa non avrebbe permesso d’installarne uno. La città si offrì di pagare il tutto. L’offerta venne rifiutata. Dopo tutte le negoziazioni e piani, il progetto per i poveri venne abbandonato perché un ascensore per gli handicappati era inaccettabile”.
Dunque, dei fiumi di denaro che le sono stati consacrati (a lei come alle “Missionarie della Carità”, la congregazione fondata da Madre Teresa stessa) neanche un centesimo è mai arrivato agli ospedali della congregazione, oltre 500 in oltre 100 paesi.
Ospedali che vengono descritti come “case per i morenti” da medici internazionali che sono andati a visitarli. I due terzi delle persone che finiscono in queste missioni speravano di trovare un medico che potesse curarli, mentre l’ultimo terzo giaceva in attesa di morire senza ricevere cure appropriate. I medici osservarono una significativa mancanza d’igiene, perfino condizioni evidentemente non conformi, oltre che l’assoluta mancanza di cure reali, cibo non adeguato, e niente antidolorifici. Il problema non era la mancanza di denaro, visto che la Fondazione aveva raccolto centinaia di milioni di dollari, quanto piuttosto una particolare idea di sofferenza e morte che Madre Teresa aveva:
Traduzione: “C’è qualcosa di bellissimo nel vedere i poveri accettare la loro condizione, nel sopportarla come fece Cristo con la sua passione. Credo che il mondo tragga molti benefici dalla sofferenza della povera gente”.
Ora, e questa è solo una mia opinione, c’è qualcosa di morboso e profondamente deviato nel sentire qualcuno osannare la sofferenza di qualcun altro quando questo povero cristo, ed intendo in maniera quasi letterale, stava in croce e questa sofferenza, questo patimento, poteva tranquillamente evitare, con tutti i soldi raccolti esattamente per questo scopo dall’organizzazione di Madre Teresa.
Ed Hitchens rincara:
Traduzione: “Tenete presente che i proventi globali di Madre Teresa erano più che sufficienti per mettere in piedi molte cliniche di prima classe nel Bengala. La decisione di non farlo, ed invece di sostenere una improvvisata e stravagante istituzione che sarebbe stata immediatamente oggetto di denunce e proteste se fosse stata diretta da qualsiasi branca della professione medica, è deliberata. Il punto non era dare onesta assistenza alla sofferenza, ma il promulgare un culto basato sulla morte, la sofferenza e la sottomissione”.
Traduzione: “Madre Teresa (la stessa che, voglio far notare, è stata curata in alcune delle migliori e più costose cliniche ed ospedali nel mondo occidentale durante la sua battaglia con problemi cardiaci ed età avanzata)”…
Traduzione: “ad un certo punto scoprì le sue carte durante un’intervista filmata. Ella descrisse una persona agonizzante allo stadio finale di un cancro e che soffriva dolori insopportabili. Con un sorriso, ripeté alla telecamera ciò che disse a questo paziente terminale: “Stai soffrendo come Cristo sulla croce. Gesù ti sta baciando”. Ignara dell’ironia che potrà poi esserle attribuita, raccontò della risposta del sofferente: “E allora per favore digli di smetterla di baciarmi”. Esistono molte persone in estremo bisogno e atroci sofferenze che hanno avuto modo di desiderare, nel momento del bisogno estremo, che Madre Teresa fosse meno liberale con le sue carezze metafisiche ed un po’ più solidale alla vera sofferenza”.
Vogliamo parlare delle relazioni “discusse” che intratteneva? Ad esempio di un tale Robert Maxwell, editore inglese e grande donatore alla causa di Madre Teresa, si scoprì poi che aveva intascato oltre 450 milioni di sterline dal fondo pensione dei suoi impiegati. Ma del resto cosa poteva saperne Madre Teresa?
Allora parliamo di questo Charles Keating, che ha architettato una delle più grosse truffe nella storia degli Stati Uniti d’America. Donò a Madre Teresa circa 1’250’000 dollari – e parliamo dell’inizio degli anni ’80, erano bei soldi all’epoca – e le permise di usare il proprio jet privato. Una volta indagato e condannato per bancarotta fraudolenta ed una serie di altri crimini, Madre Teresa scrisse ad un giudice della corte suprema per intercedere per conto di Keating. Qui sotto la lettera completa che non tradurrò, se non per la citazione iniziale, Matteo 25:40 “Qualunque cosa abbiate fatto ad uno di questi miei fratelli minori, l’avete fatto a me”. Una citazione più adatta ad un padrino di cosa nostra che ad una santa, mi pare.
Ora, voglio farti fare una risata: trovi qui sotto la risposta (in tre pagine) del procuratore distrettuale di Los Angeles che incriminò ed ottenne la condanna per Keating.
Riassumendo brevemente, Turley spiega a Madre Teresa che Keating ha frodato migliaia di persone dei loro risparmi, facendogli credere di investire in fondi a basso rischio, mentre in realtà questi soldi andavano a finanziare il suo stravagante stile di vita. Ironicamente, una delle vittime era un povero carpentiere che non parlava una sola parola d’inglese, e che s’era visto rubare i risparmi di una vita intera di duro lavoro. Allora, visto che il vostro motto è “quel che fate al più piccolo dei miei fratelli lo fate a me”, tieni conto che questi “più piccoli fratelli” sono proprio le persone derubate. E quindi, cosa farebbe Gesù se gli venissero consegnati dei soldi rubati? Li terrebbe, per qualsivoglia motivo, anche per farne carità, o li restituirebbe? Ed ecco l’esortazione a Madre Teresa a seguire l’esempio di Gesù e rendere quei soldi.
“Non tenetevi i soldi. Restituiteli alle persone che hanno lavorato e se li sono guadagnati. Se mi contatterete vi metterò in contatto diretto coi legittimi proprietari delle somme ora in vostro possesso.
Sinceramente,
Paul W. Turley”
Beh, Paul W. Turley sta ancora aspettando una risposta da Madre Teresa. Risposta che temo non arriverà mai, ora che la vecchia è schiattata ormai da un po’.
Andiamo avanti. Parliamo dell’atteggiamento di Madre Teresa verso pratiche come l’aborto, gli anticoncezionali e malattie come l’AIDS. Ma dobbiamo, veramente? Non hai ancora capito dove andremo a finire? Ok…
Madre Teresa vinse il premio Nobel per la pace nel 1979 (insieme ad altri). Pronunciò un discorso d’accettazione, come si usa, sull’argomento dell’invasione dei serbi in Bosnia, a seguito della quale decine di migliaia di ragazze stuprate rimasero incinte: queste poi volevano -naturalmente, aggiungerei- abortire.
Ecco cosa dice Madre Teresa al riguardo: “I feel the greatest destroyer of peace today is abortion, because it is a direct war, a direct killing—direct murder by the mother herself” – “Mi sento di dire che il più grande distruttore della pace oggigiorno sia l’aborto, perché è una guerra diretta, un uccidere diretto – omicidio diretto dalla madre stessa”.
Nel 1993 Madre Teresa visitò Dublino. Giusto l’anno prima era scoppiato il (famoso?) Caso X – una ragazza stuprata e rimasta incinta aveva sviluppato tendenze suicide. Questo, secondo la corte suprema, permetteva l’aborto per salvare la vita della ragazza. In Irlanda, paese fortemente cristiano (per lo più cattolico), il dibattito intorno alla questione del diritto all’aborto è sempre stato molto acceso.
Beh, in quell’anno Madre Teresa parlò al pubblico e disse un paio di cose per me già sufficienti a condannarla:
“Let us promise Our Lady that we will never allow in this country a single abortion.” —- “Promettiamo alla Madonna che non permetteremo mai in questo paese un solo aborto.”
***Applauso***
Per poi continuare “And no contraceptives.” —- “E niente contraccettivi.”
***Altro applauso***
E cosa credi pensasse del divorzio? Ma queste son cose che difficilmente creano un mostro.
Un altro aneddoto che Hitchens amava raccontare era che lui era stato invitato dal Vaticano, in merito alla procedura di beatificazione di Madre Teresa, a parlarle contro – a fare “l’Advocatus diaboli” (l’Avvocato del diavolo), ufficio realmente esistente, ma abolito nel 1983 da Giovanni Paolo II. Per questo motivo Hitchens si vantava d’aver fatto l’avvocato del diavolo pro-bono (a fin di bene).
Beh, voglio farla breve ché sto scrivendo già da un po’ ormai: Il miracolo principale per cui Madre Teresa è stata poi beatificata, la guarigione miracolosa di Monica Besra, una giovane donna indiana, semplicemente toccando una medaglietta con l’immagine di Madre Teresa, è stata confutata e denunciata PRIMA che iniziasse la procedura di beatificazione.
Una versione del racconto puoi leggerla qui su The Telegraph: Medicine cured ‘miracle’ woman – not Mother Teresa, say doctors (“La medicina ha curato la donna miracolata – non Madre Teresa” dicono i dottori).
Traduzione: “Suo marito inizialmente condivideva questo scetticismo. “Questo miracolo è una truffa,” disse ad un giornalista l’anno scorso. “Molto rumore per nulla. Mia moglie è stata curata dai medici.” Da allora, però, è prodigo di lodi per Madre Teresa ed il suo ordine”.
“È stato il suo miracolo a curare mia moglie,” dice Selku Murmu, la cui famiglia si è convertita al cristianesimo dopo la guarigione di sua moglie. “La nostra situazione era terribile e non sapevamo cosa fare. Ora i miei bambini vengono educati con l’aiuto delle suore ed io sono stato in grado di comprare un piccolo pezzo di terra. Tutto è cambiato per il meglio”.
Traduzione: “La beatificazione di Madre Teresa è stata criticata anche per la speditezza. Dopo che una commissione del Vaticano riconobbe la guarigione di Monica Besra come un miracolo, il papa intervenne personalmente per velocizzare la beatificazione della suora, facendone la più veloce nella storia della Chiesa”.
Infine, la crisi di fede. È normale per chiunque perdere la fede, di tanto in tanto; credo, almeno, non avendone mai avuta neanche una briciola personalmente. Madre Teresa, però, era una donna eccezionale. La sua crisi di fede è durata per gli ultimi 40 anni della sua vita. Quaranta anni in cui predicava in pubblico, ma nella privatezza del suo cuore era completamente sterile.
Sempre dal Telegraph: Mother Teresa’s ’40-year faith crisis’ (La crisi di fede durata 40 anni di Madre Teresa)
Traduzione: “Scrisse al Reverendo Michael Van Der Peet, un confidente spirituale, nel settembre 1979, che “Gesù ha un amore molto speciale per voi. Per quanto mi riguarda, il silenzio ed il senso di vuoto sono talmente grandi che guardo e non vedo, ascolto ma non sento. La lingua si muove [in preghiera] ma non parla”.
Traduzione: “Signore mio Dio, mi hai gettata via come non voluta, non amata” scrisse in una missiva. “Chiamo, mi aggrappo, voglio, ma non c’è nessuno che risponda, no, nessuno. Sola. Dov’è la mia fede? Anche in profondità non trovo nulla. Non ho fede. Non oso pronunciare le parole e pensieri che affollano il mio cuore”.
“E continua: “Mi viene detto che Dio mi ama, eppure la realtà dell’oscurità e freddezza e solitudine sono talmente grandi che niente arriva a toccare il mio cuore. Ho commesso un errore nell’arrendermi ciecamente alla Chiamata del Sacro Cuore?”
Il resto lascio che te lo legga personalmente. Altre lettere vengono citate, e tutte sono state pubblicate nella raccolta “Sii la mia luce“.
Insomma, il punto dove voglio arrivare è che era un essere abietto.
Ho letto le altre risposte, e gente come Einstein e Churchill non venivano propriamente “osannati”. In particolare, di Churchill si sapeva benissimo che era uno stronzo, ma se ne ammirava il genio politico. Altra gente, come Gandhi, veniva osannata sì, sebbene probabilmente non quanto Madre Teresa.
Nessuno di questi né degli altri menzionati comunque ha arrecato tanto danno a tanta gente. Probabilmente neanche personaggi come Hitler, Stalin, Pol Pot, Ceaușescu e vari altri dittatori in giro per il mondo. Per quanto di male questi loschi figuri possano aver fatto a decine di milioni di persone, lei ne ha fatto a centinaia di milioni, e probabilmente in misura anche maggiore.
Indi per cui, la mia opinione è che Madre Teresa vince questa abietta competizione con enorme distacco.
Edit 1: Mi si chiede nei commenti che fine hanno fatto tutti i soldi raccolti.
Non si sa. Del resto le organizzazioni di beneficenza non sono tenute a tenere libri contabili, né ad offrire alcun tipo di trasparenza o rendicontazione.
Ti riporto questo articolo del Guardian: Search for sins of saint of the gutters (Ricerca dei peccati del santo delle grondaie), che cito:
Susan Shields vive ancora a New York. In un articolo riguardante le “Missionarie di Carità” (di cui è stata suora per nove anni) dice: “Tanti hanno generosamente supportato il suo (di Madre Teresa) lavoro perché non realizzavano come le sue premesse contorte soffocavano qualsiasi sforzo di alleviare la miseria. Ignari del fatto che molte delle donazioni giacevano inutilizzate nei suoi conti in banca, questi venivano ingannati nel pensare che stessero aiutando i poveri”.
Durante i nove anni passati nelle “Missionarie di Carità”, la Shields aveva il compito di scrivere lettere di ringraziamento per le donazioni. “I soldi arrivavano ad un ritmo frenetico. Il postino doveva spesso consegnare le lettere a sacchi. Scrivevamo regolarmente ricevute per 50000$ o più. A volte un donatore chiamava per chiedere se avessimo ricevuto la sua donazione, e si aspettava che ce ne ricordassimo immediatamente perché l’importo era tanto alto. Come potevamo dire che non ce ne ricordavamo perché ne avevamo ricevute tante altre molto più grandi?”
da QUORA
TU E IL TUO CERVELLO
C’è un motivo se non riesci a portare a termine la tua dieta.
C’è un motivo se non riesci a capire la matematica.
C’è un motivo se non riesci a smettere di procrastinare.
C’è un motivo se non riesci a smettere di fumare o bere.
C’è un motivo se non riesci a fare ciò che credi debba essere fatto.
C’è un motivo se la persona che sei oggi e la persona che vorresti essere sono distanti anni luce.
Non è per mancanza di forza di volontà (anche se all’inizio potrebbe esserlo).
E non è neanche perché sei pigro o inadeguato.
Vuoi sapere il vero motivo?
È perché non hai il giusto circuito cerebrale, letteralmente.
Il tuo cervello è il più avanzato supercomputer sul pianeta e l’universo conosciuto.
Infatti è stato preso come modello per il primo prototipo di computer.
Il tuo cervello è composto da 100 miliardi di neuroni tutti interconnessi in una rete, con l’abilità di mandare un segnale dal primo all’ultimo anello della catena in meno di un secondo.
Il tuo cervello è inoltre connesso al tuo sistema nervoso, che è lungo 144 mila chilometri, tutto arrotolato in una piccola scatola, che sei tu.
Il tuo cervello è molto adattabile al cambiamento, è una cosa chiamata Plasticità cerebrale.
È quella che ti fa riprendere da incidenti traumatici, che ti fa memorizzare informazioni nuove, sviluppare metodi e modi alternativi per fare le cose.
La Plasticità cerebrale si verifica ogni volta che entri in contatto con qualcosa di nuovo. Il tuo cervello reagisce allo stimolo e si riconfigura per adattarsi. La maggior parte delle volte ciò succede dietro le quinte, senza nemmeno che tu te ne accorga.
Un esempio in cui potrai sicuramente immedesimarti: appena presa la patente guidare era una cosa nuova per te, ma adesso? é diventata una cosa automatica come se ci fosse un autopilota. Perché? Perchè il tuo cervello si è adattato. Prima guidare era complesso, adesso è incredibilmente facile. Infatti è più probabile che tu faccia un incidente 20 anni dopo aver preso la patente che il primo giorno in cui hai guidato, perché adesso guidi in modo automatico e di conseguenza sei meno concentrato.
Ecco un altro esempio, ho un amico che è dislessico. Naturalmente è diventato riluttante a tutto ciò che riguardava le parole, quindi si è immerso nel mondo dei numeri. Molti anni dopo è stato ammesso al MIT grazie alle sue abilità matematiche. Perché? Perché ha riprogrammato il suo cervello a funzionare così. Ed è ancora scarso per quando riguarda le parole e le frasi.
Perché ho raccontato questo aneddoto?
Solo per farti capire come puoi modellarti in ciò che vuoi essere, perché il tuo cervello è designato per imparare e crescere.
Sembra tutto fantastico, ma allora dov’è la fregatura?
Conservazione di energia. Il tuo cervello è il più grande consumatore di energia e calorie del tuo corpo, le usa per mantenersi e riciclare i neuroni.
Creare un nuovo “Sentiero cerebrale” è molto difficile e dispendioso: il tuo cervello cercherà quindi di saldarsi ai vecchi sentieri per essere più efficiente, ecco perché nascono le abitudini.
Il tuo cervello non vuole cambiare di sua spontanea volontà, ma anzi cercherà di resistere in tutti i modi.
Infatti proteggerà questi sentieri abituali con una membrana chiamata Guaina mielinica che li renderà molto più facilmente e velocemente accessibili . Immagina di prendere un Hamburger ancora avvolto nella sua carta e di metterlo nel forno a microonde. cosa succederebbe? L’involucro sciogliendosi si salderebbe al panino. Questo è esattamente quello che succede quando usi un “Sentiero cerebrale” per troppo tempo e si salda nella guaina mielinica.
Il processo di “mielinizzazione” è molto attivo nell’adolescenza perché prepara il cervello alla fase adulta, successivamente inizia ad indebolirsi lentamente.
Questo è il motivo per cui le abitudini maturate nei primi anni rimangono così saldamente ancorate, nel bene o nel male.
Questo è anche il motivo per cui imparare nuove abilità e immagazzinare nuove informazioni è così difficile e mentalmente estenuante. E ci si accorge di come è nettamente più facile apprendere in età infantile piuttosto che in quella adulta.
Questo è il motivo per cui ti sembra di non riuscire a smettere con le abitudini controproducenti.
Questo è il motivo per cui molte persone riflettono il passato nel futuro e di conseguenza vivono una vita ripetitiva e monotona.
Come costruiamo nuovi “Sentieri cerebrali”? Con la “Pratica intenzionale”.
Che è quel processo di selezione di un campo in cui vi è un potenziale miglioramento, dedicando ad esso il 100% della tua concentrazione.
La concentrazione è ciò che stimola il cervello a creare nuovi “Sentieri cerebrali” e ne velocizza l’imballaggio nella guaina mielinica.
Concentrandoti su una specifica azione e ripetendola svariate volte dici al cervello che hai bisogno che reagisca in un determinato modo ad alcune situazioni.
Il cervello quindi si adatterà a detta situazione e ne renderà via via più facile la riuscita ad ogni tentativo.
Questo è praticamente l’opposto di come la maggior parte delle persone esegue le proprie attività: distrattamente e con la testa altrove.
Se vuoi migliorare la tua concentrazione, siediti e concentrati il più a lungo possibile su un singolo oggetto o procedimento.
Se vuoi migliorare le tue capacità al pianoforte, ti concentri intenzionalmente mentre suoni, senza distrazioni.
Una volta finito di suonare scrivi i punti deboli ed i punti forti della tua performance in modo da poter apporre le modifiche necessarie la prossima volta che suoni.
Col passare del tempo i punti deboli si aggiustano e diventi sempre più bravo.
Un piccolo avvertimento però: la “Pratica intenzionale” non è facile o divertente. Se la stai facendo nel modo giusto, dovresti sentirti come se avessi un grosso masso appoggiato sulla testa.
Stai letteralmente cambiando la struttura fisica del tuo cervello, ogni volta che ti dedichi alla “Pratica intenzionale”.
Come puoi iniziare? Prendi un’attività come quella di imparare nuove abilità (programmare, suonare, socializzare) e dedicale il 100% della tua concentrazione. Ti sembrerà strano, fastidioso e persino doloroso, ma ne vale la pena.
Te ne accorgerai quando noterai differenze nella vita quotidiana, vedrai che le cose di tutti i giorni diventano man mano più facili, fino al punto in cui entrerai nella modalità “pilota automatico”; il che per alcune cose va bene, ma per altre è estremamente dannoso.
Quando avrai raggiunto un certo livello, dovrai alzare l’asticella e continuare a spingere verso il prossimo livello se vuoi continuare ad avere una performance sopra la media.
La dipendenza funziona in modo molto simile: col tempo il cervello riceve tante Incentivazioni positive e di conseguenza viene creato un Sentiero cerebrale perché la routine è stata ripetuta molte volte.
Questo è il motivo per cui i tossico dipendenti attraversano una fase di crisi d’astinenza: è l’ultimo tentativo disperato del cervello di non dover essere costretto a creare nuovi sentieri cerebrali.
Ma c’è una buona notizia, la Plasticità cerebrale è variabile, la struttura fisica e mentale del tuo cervello può cambiare se le viene fornita abbastanza spazio e pratica.
Ci vuole tempo, ci vuole tempo per il tuo cervello e fisico ad adattarsi alla tua nuova normalità.
E anche questo non è facile: se lo fosse staremmo tutti vivendo al meglio le nostre vite, ma come puoi vedere non è così.
Nessuno suona Bach al primo tentativo, nessuno smette con le droghe di cui si ha abusato per anni al primo tentativo. Ma diventa sempre più facile, a piccoli passi, durante l’arco della giornata, del mese, dell’anno e della vita intera.
Dopo 10 anni in cui ti impegni ad uno stile di vita che involve la pratica volontaria sarai del tutto sorpreso di come è diventata la tua vita.
E fidati di me: non vorrai mai più tornare alle tue vecchie abitudini.
“Sei in perenne cambiamento, sta a te decidere se farlo in positivo o in negativo.”
1980
Pressione Bassa
Giorgio Gaber – musica e interpretazione
Alessandro Luporini – testo (N.d.R. : per me, il migliore paroliere Italiano di testi per canzoni)
In una spiaggia poco serena
Camminavano un uomo e una donna
E su di loro la vasta ombra di un dilemma
L’uomo era forse più audace
Più stupido e conquistatore
La donna aveva perdonato, non senza dolore
Il dilemma era quello di sempre
Un dilemma elementare
Se aveva o non aveva senso il loro amore
In una casa a picco sul mare
Vivevano un uomo e una donna
E su di loro la vasta ombra di un dilemma
L’uomo è un animale quieto
Se vive nella sua tana
La donna non si sa se è ingannevole o divina
Il dilemma rappresenta
L’equilibrio delle forze in campo
Perché l’amore e il litigio sono le forme del nostro tempo
Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Come una cosa normale e ricorrente
Perché morire e far morire
È un’antica usanza
Che suole aver la gente
Lui parlava quasi sempre
Di speranza e di paura
Come l’essenza della sua immagine futura
E coltivava la sua smania
E cercava la verità
Lei l’ascoltava in silenzio, lei forse ce l’aveva già
Anche lui curiosamente
Come tutti era nato da un ventre
Ma purtroppo non se lo ricorda o non lo sa
In un giorno di primavera
Quando lei non lo guardava
Lui rincorse lo sguardo di una fanciulla nuova
E ancora oggi non si sa
Se era innocente come un animale
O se era come instupidito dalla vanità
Ma stranamente lei si chiese
Se non fosse un’altra volta il caso
Di amare e restar fedele al proprio sposo
Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Con le parole che ognuno sa a memoria
Sapevan piangere e soffrire
Ma senza dar la colpa
All’epoca o alla Storia
Questa voglia di non lasciarsi
È difficile da giudicare
Non si sa se è cosa vecchia o se fa piacere
Ai momenti di abbandono
Alternavano le fatiche
Con la gran tenacia che è propria delle cose antiche
E questo è il succo di questa storia
Per altro senza importanza
Che si potrebbe chiamare appunto resistenza
Forse il ricordo di quel Maggio
Gli insegnò anche nel fallire
Il senso del rigore, il culto del coraggio
E rifiutarono decisamente
La nostra idea di libertà in amore
A questa scelta non si seppero adattare
Non so se dire a questa nostra scelta
O a questa nostra nuova sorte
So soltanto che loro si diedero la morte
Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Non per una cosa astratta
Come la famiglia
Loro scelsero la morte
Per una cosa vera
Come la famiglia
Io ci vorrei vedere più chiaro
Rivisitare il loro percorso
Le coraggiose battaglie che avevano vinto e perso
Vorrei riuscire a penetrare
Nel mistero di un uomo e una donna
Nell’immenso labirinto di quel dilemma
Forse quel gesto disperato
Potrebbe anche rivelare
Come il segno di qualcosa che stiamo per capire
Il loro amore moriva
Come quello di tutti
Come una cosa normale e ricorrente
Perché morire e far morire
È un’antica usanza
Che suole aver la gente
Significato di Il Dilemma
Il Dilemma è una storia d’amore d’altri tempi, dei bei tempi andati, forse, ma c’è da sperare di no. É più facile dire cosa non sia questa meraviglia, perché è talmente tanto che sarebbe impossibile dire tutto qui e ora.
Provandoci, potremmo dire che è una delle più belle riflessioni su un amore in crisi, e sarebbe vero, ma come un riflesso, appunto, sarebbe fugace e superficiale.
Il Dilemma è figlia del suo tempo. Giorgio Gaber, questa è una mia opinione per cui potete sgridarmi, o fustigarmi, compose gran parte delle sue canzoni migliori a partire da fine ann’70 in poi, quando aveva raggiunto una maturità umana e artistica di altri livelli.
Come con Io Se Fossi Dio, i suoi brani nascono da riflessioni personali ma diventano molto più universali di quello che sembrano. Più o meno negli stessi anni della bomba contro tutto e tutti, fingendosi Dio, Gaber vede una nuova forma d’amore tra la gente comune.
E lo comunica.
Due coppie. Nella prima, è lui l’audace animale da conquista, lei invece l’ha perdonato nonostante la sofferenza; nella seconda, lui è tranquillo e dedito alla famiglia, lei è una splendida illusione vivente. Nei versi convivono le vite di entrambe le coppie, il cui fattore comune è l’enorme dilemma che incombe sulle loro vite
Ha senso o non ha senso il nostro amore?
Gaber parla dell’amore moderno, libero dalle repressioni dei “tempi antichi”, gli anni precedenti agli ’80, un decennio con una libertà individuale, politica, culturale così trasversale che anche il concetto di amore sta cambiando. Una coppia può vedere nell’infedeltà la sicurezza della propria sopravvivenza.
L’amore giovane ha “la smania di ascoltare i brividini del cuore”, come dirà lui stesso in un esibizione del 1991, una smania che divide le coppie e moltiplica gli amori.
Nella canzone una coppia si sfalda e l’altra resiste. Quest’ultima si suicida, togliendo il loro amore dal destino della morte, un gesto estremo che forse sposta l’attenzione dalla crisi di coppia a qualcosa di molto più profondo e generale. Quasi cosmico, forse.
Un elogio alla fedeltà, al coraggio di fare una scelta e resistere, difendendola nel tempo, con pazienza, adattandosi e modellando la pazienza e le forze contro vento e nelle giornate di sole, quando il cielo è a un passo o quando tutto è nero, affrontando le difficoltà per la semplice voglia di non lasciarsi.
Ma non solo tra due persone che stanno insieme, ma in tutto.
“Resistenza” come concetto generale, verso qualsiasi scelta facciamo nella nostra vita. Che sia una scelta che sia una, in un mondo che non ci lascia possibilità di scegliere o ci illude di permetterci di scegliere.
Che sia una dannata scelta.
La società crea stereotipi di persone e prototipi di relazioni, nelle coppie e in un singolo individuo. Nasce un nuovo concetto d’amore, moderno e libero dal concetto di impegno, e una persona può sentirsi obbligata a scegliere, ed essere obbligati a scegliere allora vuol dire non avere scelta.
La vita diventa un concentrato di azioni indipendenti dalla propria volontà, una nuova versione di destino o, come le parole della canzone, una “nuova sorte”, l’esatto opposto di “scelta”.
Allora la coppia ha preferito morire, e non si sa se “a questa nostra scelta” o a questa “nuova sorte”, appunto perché non c’è alcuna differenza tra le due. Una forza che regola in modo imprevedibile le vicende umane è paragonabile a un impulso che non ti lascia scelta.
C’è una crisi di mentalità. a grattare un po’ la superficie di questo delizioso brano sulla crisi di coppia. Giorgio Gaber forse sta cantando la crisi di coppia tra uomo e donna solo perché è lo strumento più efficace per comunicare una crisi con radici molto più profonde, quella tra uomo e la propria morale.
Una crisi che si può correggere assumendosi una responsabilità, impegnandosi a difenderla dalle normali interferenze esterne della vita, restando fedeli ai propri principi e coerenti con le proprie azioni.
Se necessario, difendendo i propri valori anche con gesti estremi, alla morte, proprio come hanno fatto la coppia (o le coppie?) di questa canzone.
Tutti segnali che Gaber non vede in una società italiana con una crisi morale viscerale, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80.
Quel “segno di qualcosa che stiamo per capire” forse è proprio la nostra involuzione morale. E amore e litigio, le “forme del nostro tempo”, forse non sono intese nei confronti di una persona, perché con una persona esiste anche l’indifferenza, una terza forza in campo che annulla ogni forma, semplicemente: il nulla.
Ma se guardiamo oltre alla crisi di coppia, l’amore e il litigio possono significare il valore di assumere un impegno e difendere un principio. E, al contrario, il valore di scontrarsi contro un idea sbagliata e accusare l’ingiusto.
Dovremmo amare o litigare con un’idea, queste le uniche due forze in campo e le nostre uniche scelte, e dovremmo arrivare a morire per essa o a far morire a causa di essa, un “antica usanza che suole avere la gente”.
Sempre più antica e lontana da noi.
ALTRA INTERPRETAZIONE:
Condivido in gran parte il tuo commento, ma vorrei aggiungere alla discussione un altro punto di vista, che sicuramente non ha la pretesa di essere quello giusto.
Gaber parla di una sola storia d’amore e di una sola coppia, ma, raccontando la storia attraverso vari flash-back, che inquadrano la coppia in diverse fasi della loro relazione, si potrebbe pensare che si parli di due o più coppie.
Il punto a mio parere fondamentale, è che questa storia d’amore deve essere inquadrata all’interno dell’eterno ciclo della vita, che coinvolge tutti gli esseri viventi incluso l’uomo, in cui c’è un continuo affannarsi in cerca di un miglioramento (nel testo questo ruolo viene affidato alla figura dell’Uomo), mentre la cosa davvero essenziale nel ciclo della vita è la possibilità che la vita si rigeneri, generando nuova vita (nel testo questo ruolo viene affidato alla figura della Donna).
A sua volta, il ciclo della vita deve essere inserito all’interno del grande ciclo della Storia, in cui si ha sempre l’impressione che certi valori siano superati, antiquati, senza rendersi conto che in realtà sono eterni, proprio perché sono punti fermi all’interno di questa ciclicità (nel testo questo ruolo viene affidato alla Famiglia). Questo rende il messaggio della canzone, che giustamente è da contestualizzare negli anni immediatamente successivi alla liberazione sessuale, valido sempre, anche ai nostri giorni.
Nella prima immagine si vede la coppia verso la fine della loro storia.
L’Uomo ha già compiuto il suo percorso di “affermazione personale”, che verrà descritto in seguito, ma Gaber lo definisce come uno “stupido”.
La Donna, che ha dovuto subire il tradimento del suo Uomo, dimostra la sua superiore statura attraverso il perdono. Specialmente perché il perdono non è stato indolore.
La seconda immagine è un flash-back, che ci mostra l’inizio di tutta la storia.
L’Uomo, novello sposo, è appena passato dalle braccia della madre alle braccia della sua sposa. È poco più che un cucciolo.
Mentre la Donna, che è la depositaria del ciclo della Vita, al suo confronto è molto più matura, quasi “divina”.
Proseguendo nel racconto, l’Uomo, o sarebbe quasi meglio definirlo “il maschio”, intraprende il suo percorso di affermazione personale, che è tipico anche di altre specie animali.
La Donna, o “la femmina”, semplicemente lo osserva nel suo affannarsi da una posizione di superiorità, perché lei la “verità” già la possiede. Ovvero lei sa cosa è davvero importante.
Ma l’affermazione personale e sociale del maschio, lo portano a credere di essere diventato superiore alla sua sposa, fino al punto di tradirla, come se lei fosse un qualcosa di vecchio, inutile, ormai superato.
E qui la bellissima immagine che Gaber ci regala è quella dell’uomo, nato dal ventre di donna, crede di essere diventato onnipotente, infinitamente superiore alla sua donna.
Mi verrebbe da citare il modo di dire toscano: “ecché tu voi insegnare al tu babbo a trombare?”.
Non si rende conto l’Uomo, che questa sua tracotanza lo rende in effetti ridicolo?
A questo punto il Grande Amore di questa coppia è sul punto di morire. Come succede a tutti gli altri. Banalmente.
Magari per dare origine ad un nuovo “grande amore” tra l’uomo e la “fanciulla nuova”, destinato anch’esso a sciogliersi al sole…
Invece no.
La forza della Donna, che sceglie di perdonare, segna la strada da seguire.
Una strada che non è facile come nelle Telenovelas.
Lei mostra la strada della resistenza, del rigore, del coraggio. E il suo sposo sceglie di seguire assieme a lei quella strada.
L’uomo e la donna decidono di tornare ad essere una coppia. Decidono di restare legati ai famosi vecchi valori che sembrano sorpassati e che invece sono eterni.
E qui ritorna alla mente l’immagine iniziale: la coppia si trova su di una spiaggia tormentata, non è tutto rosa e fiori, c’è un enorme dilemma che li opprime, ma la coppia sceglie di lottare, di rifiutare la banalità e la miseria della “libertà in amore”.
Il finale della storia, ovvero la scelta di darsi la morte, come segno estremo di rifiuto di una “nuova sorte” quasi obbligatoria, riporta ad illustri precedenti, quali i filosofi greci, i patrioti italiani, Jan Palach…
Ovvero non è una morte fine a se stessa, ma una morte come strumento di illuminazione, di rivelazione per gli altri.
Che chissà se capiranno davvero l’insegnamento, perché far male e farsi del male è la nostra specialità della casa…e della vita.
14 Marzo 2021.
Siamo, di nuovo, diventati ROSSI.
Ma non per la vergogna.
Quando impareremo?
Dal FATTO QUOTIDIANO 25.01.2021
Qual è la verità sul numero dei decessi nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità e tasso di letalità. Bisogna anche tenere presente che il numero di morti non è di per sé un valore molto attendibile, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità. Finora sappiamo che l’Italia ha pagato la prima ondata, ma da settembre in poi il tasso di letalità è identico a quello tedesco. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei.
“Siamo il Paese al mondo con il più alto numero di morti Covid in rapporto alla popolazione”. “I dati purtroppo dicono che siamo i primi per morti”. La prima frase è di Matteo Renzi, la seconda di Matteo Salvini: martedì nell’Aula del Senato entrambi hanno citato il numero dei decessi per attaccare il governo sulla gestione della pandemia. Ma qual è la verità sul numero dei morti Covid nel nostro Paese? Per capirlo bisogna innanzitutto distinguere tra tasso di mortalità (rapporto tra decessi e abitanti) e tasso di letalità (rapporto tra decessi e malati). Bisogna anche tenere presente che il numero di morti e la mortalità non sono valori molto attendibili, mentre lo è di più l’eccesso di mortalità, ovvero la differenza tra i decessi registrati nel 2020 e la media degli anni precedenti. Quel che sappiamo finora è che l’Italia ha pagato – soprattutto in termini di morti – il fatto di essere il primo Paese occidentale colpito dalla pandemia. Ma sappiamo anche, come ha spiegato il professor Massimo Galli, che da settembre in poi il tasso di letalità italiano è identico a quello di uno degli Stati più virtuosi, la Germania. Inoltre, pure il nostro eccesso di mortalità nel 2020 (gli ultimi dati consolidati disponibili arrivano a fine ottobre) è in linea con quelli registrati da altri Paesi europei, come Spagna, Francia e Regno Unito.
Morti e mortalità: perché non sono attendibili – Un primo dato certo è che i due Matteo dicono il falso: il Regno Unito ha avuto più decessi dell’Italia in rapporto alla popolazione, così come Belgio, Slovenia e Repubblica Ceca (senza considerare San Marino, troppo piccolo). Un’altra certezza è che parlare di numero di morti assoluto o in rapporto alla popolazione (il cosiddetto tasso di mortalità), è quanto meno superficiale, se non semplicemente sbagliato. Infatti, questi numeri non tengono conto di una serie infinita di fattori. Dai più intuitivi, come l’età della popolazione e le abitudini sociali, fino ai più complessi, come il modo in cui i decessi vengono conteggiati. Alcuni esempi? Nel computo francese non entrano i decessi avvenuti in casa. In Russia a fine dicembre il conteggio è stato aggiornato in base ai criteri Oms: da 55mila morti ufficiali si è passati a 186mila. In Spagna l’istituto di statistica ha calcolato 29mila morti in più rispetto a quelli comunicati dal ministero della Sanità, che però non ha mai aggiornato i suoi dati. Inoltre, un altro difetto del tasso di mortalità è quello di non considerare quanto un Paese è stato colpito dalla pandemia, quanti contagi ha avuto.
Il tasso di letalità e la seconda ondata – Per questo il tasso di mortalità non va confuso con il tasso di letalità, ovvero il rapporto tra il numero di morti e il totale dei positivi diagnosticati. Come ha spiegato il professore Massimo Galli, il tasso di letalità è il parametro più corretto per calcolare la “capacità di cura” di un Paese. Misura infatti quanti decessi ci sono stati rispetto al numero di persone che hanno contratto il Covid. “Se prendiamo i dati nel periodo tra settembre e gennaio in Italia abbiamo il 2% circa della letalità tra i casi confermati, esattamente in linea con i dati della Germania“, ha sottolineato sempre Galli nei giorni scorsi. La spiegazione del professore è stata citata dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la sua replica a Palazzo Madama. Il tasso di letalità in Italia da inizio pandemia è del 3,5%, quello della Germania è del 2,4%. Perché allora Galli cita i dati da settembre ad oggi? Non è per far “allineare” i due valori, ma perché la fine dell’estate è il periodo in cui l’Italia e gli altri Paesi europei hanno aumentato notevolmente la loro capacità di effettuare tamponi. Di conseguenza, durante la seconda ondata il numero di positivi diagnosticati (la base su cui si calcola il tasso di letalità) è diventata più aderente al numero di contagiati reali. Durante la prima ondata, invece, in Italia molto più che in Germania si riuscivano a rintracciare solamente i casi più gravi. Questa circostanza ha “drogato” nei primi mesi il tasso di letalità del nostro Paese, rendendolo poco significativo.
Le curve a confronto e il “prezzo” della prima ondata – Resta comunque un fatto: al 21 gennaio la Germania ha superato i 50mila decessi dall’inizio della pandemia di coronavirus, la Spagna è a 54mila, la Francia a 71mila. L’Italia invece è oltre quota 84mila e in Europa solo il Regno Unito supera i 94mila. Dimenticando per un attimo tutte le premesse fatte finora e concentrandosi solo sul numero di morti – come fanno Renzi e Salvini – emerge tuttavia un altro aspetto che spiega perché guardare al valore assoluto è ancora una volta fuorviante. Il grafico sottostante (elaborato da Our World in Data) mostra visivamente come il “gap” tra l’Italia e il Paese europeo più virtuoso, la Germania, si sia quasi esclusivamente originato durante la prima ondata. A marzo, mentre gli ospedali del nostro Paese erano già stati travolti dal virus, Berlino ancora non aveva sperimentato il picco dei contagi e aveva già messo in sicurezza le sue cliniche: il fattore tempo ha giocato un ruolo determinante. L’effetto è tutto mostrato nel grafico: al primo giugno l’Italia ha 25mila morti in più della Germania. Durante l’estate le due curve proseguono quasi piatte. Poi, in autunno e in inverno, sono sostanzialmente sovrapponibili. Da inizio settembre, infatti, entrambe tornano a risalire: qui torna utile proprio il tasso di letalità spiegato dal professor Galli. Dal primo settembre al 21 gennaio l’Italia registra 48,711 morti e 2.159.007 contagi, la Germania comunica 41.569 decessi a fronte di 1.861.460 positivi: la letalità è praticamente identica, 2,256% contro 2,233%.
N.d.R. : Letto ed assimilato quanto sopra, mi manca un dato, semplice ma significativo, almeno per la mia curiosità.
Prendiamo l’anno 2019: quanti sono stati i morti complessivi in Italia, in quell’anno in cui non c’era il COVID? (in subordine si potrebbe considerare anche la media degli ultimi 5 anni).
Prendiamo l’anno 2020: quanti sono stati i morti complessivi in Italia, in quell’anno in cui il COVID c’è stato, seppure a fasi non omogenee?
Facciamo la differenza: prendendo come assunto che la popolazione Italiana non sia cambiata granché ( o, se è variata, si tenga conto di tale variazione interpolando numericamente), dovrebbe risultare, a grandi numeri, quanti sono stati i morti in più, presumibilmente ascrivibili alla pandemia. Questo per capire quanto maggior danno ha provocato il contagio in termini di decessi.
Ogni anno, negli ultimi decenni, abbiamo avuto un aumento della mortalità in generale a causa di varie piccole o grandi epidemie o influenze, che interessano l’apparato respiratorio, normalmente diffuse nei periodi invernali. Il COVID è una di queste, evidentemente di proporzioni esorbitanti, ma della stessa specie.
Sono andato a cercare sulla rete i dati dell’ISTAT.
Secondo gli Indicatori Demografici ISTAT, nel 2019 sono morte in Italia 647.000 persone, ossia l’1,07% circa della popolazione residente che al 1° gennaio 2019 si stimava essere pari a 60.391.000.
“Non è ancora finito il 2020, ma una valutazione ragionevole fa pensare che quest’anno supereremo il confine dei 700mila decessi complessivi, che è un valore preoccupante perché una cosa del genere l’ultima volta, in Italia, era successa nel 1944. Eravamo nel pieno della seconda guerra mondiale”. A illustrare i numeri dai quali si deduce anche il peso della pandemia Covid, è stato, durante la trasmissione Agorà su Rai Tre, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo. “Nel 2019 – precisa – il dato era stato di 647.000 morti”.
Dunque, ad una grossolana valutazione, risulterebbe che oltre 50.000 morti in più ci sarebbero stati proprio a causa del COVID, nello scorso anno 2020.
Mandata dal mio omonimo amico
….sui cadaveri dei leoni, festeggiano i cani,
ma i leoni rimangono leoni
e i cani rimangono cani.
Segnalata da Rita
Gira su WHATSAPP. 30 Marzo 2020.
Anche se mi sembra, un po’, una autocelebrazione consolatoria, non me la sento di tralasciarne la pubblicazione, per aderire ad un sincero incoraggiamento.
IN ITALIA… ??
??Siamo Italiani perché i camici monouso li fanno Armani e Calzedonia.
??Siamo italiani perché i respiratori li ingegnerizza la Ferrari a Maranello.
??Siamo italiani perché le mascherine le fanno Gucci e Prada.
??Siamo italiani perché il gel disinfettante lo fanno Bulgari e Ramazzotti.
??Siamo italiani perché Cracco cucina per l’ospedale di Milano.
??Siamo Italiani perché la fabbrica d’armi Beretta ingegnerizza e costruisce le valvole per le maschere modificate.
??Siamo Italiani perché l’ospedale da campo più grande d’Europa lo costruiscono gli Alpini.
??Siamo italiani perché riusciamo a ricavare respiratori dalle maschere subacquee della Decathlon.
??Siamo italiani perché all’appello per una task force di 300 medici volontari, hanno risposto in piu di 1500, e anche i medici ottantenni non si sono tirati indietro. E perché all’appello per 500 infermieri volontari, hanno risposto in 8000!
??Siamo italiani perché l’Europa l’hanno unita gli Antichi Romani, ed era solo una provincia di Roma. (N.d.R. però, conquistata con le armi e sottomessa con la forza).
??Siamo italiani. DAI ITALIA!
Avremo mille difetti e limiti,
ma che Paese meraviglioso siamo.
GRAZIE ALLE ECCELLENZE ITALIANE,
CE LA CAVIAMO TRANQUILLAMENTE DA SOLI.