C O M M I A T O
Quello che segue, che adesso vi leggerò, l’ho letto, a conclusione della serata, ad un gruppo di amici, riunito per una cena seguita da una schitarrata e cantata senza pretese, in tono dimesso, solo per pochi intimi, riesumando le bellissime canzoni dei vecchi tempi.
In questo componimento la rima compare, ma a casaccio, senza uno schema fisso, perciò non lo definirei una poesia vera e propria, bensì una prosa poetica o una poesia prosaica. Come vi pare.
Quello che conta è che la recitazione sia fluida e scorrevole e, soprattutto, che il contenuto sia, all’ascolto, stimolante e condivisibile, intrigante e coinvolgente, pur se colorato dalla nostalgia.
Sembra che lo sia stato, in tale occasione, per chi lo ha ascoltato.
E che lo sia, tuttora e senza un tempo definito, a voi il giudizio e l’eventuale gradimento.
C O M M I A T O
Così, pian piano, è quasi finita
questa nostra simpatica serata
che, insieme, abbiamo passata
suonando e ascoltando canzoni:
la colonna sonora della vita,
le speranze, i sogni, le emozioni
di allora, dei nostri anni più belli:
le parole, i refrain, i ritornelli
han portato alla mente i ricordi
delle nostre lontane stagioni.
Una chitarra e quattro accordi
e la voce che vola su in alto
e il cuore che ha un soprassalto
per risentirci giovani e felici,
lontani da eccessi e bagordi,
ma soltanto da buoni amici.
Che bei tempi, lasciatemi dire,
quando tutto sembrava possibile
e il futuro appariva credibile
e potevi sognarlo davvero
e speravi, comunque, nel meglio
e il lavoro era proprio vero,
come l’amore quand’è sincero.
Siamo stati proprio fortunati.
Avevamo poco e ci sembrava tanto,
ci mancavano, forse, soltanto
le illusioni dei superpoteri,
le chimere dei mondi incantati,
e tutte quelle fantascemenze
da cui oggi siamo bersagliati,
che ottundono infantili coscienze.
Sì, pochi diritti e tanti doveri:
tale era la nostra condizione,
ma bastava una semplice canzone
ed ecco tutto diventava più bello:
non il bello di oggi, ma quello di ieri
il bello di classe, il bello elegante,
il buon gusto dei valori veri,
non la moda becera e ignorante
che, per rendere diverso tutto,
abdica al proprio equilibrio
e trasforma ogni cosa in brutto.
Non apparteniamo più e ormai
alle cose di questo tempo.
Non so voi, ma io sono stanco
di disapprovare e contestare
questo mondo che lascio dietro a me:
adesso, ragazzi miei , tocca a voi,
vivete pure come diavolo vi pare,
perché, tanto, le capirete poi
le cose che non dovreste fare.
Io tolgo il disturbo, scusate l’intrusione,
quando sarà ora, me ne voglio andare,
in punta di piedi, con educazione.
Ma se, qui, stasera siete stati bene
e vi è piaciuta la nostra compagnia
e se, fra poco, ve ne andrete via
portandovi dentro qualche cosa
che vi ha arricchiti e resi migliori,
ripetiamo ancora questi incontri,
rimettiamo insieme i nostri cuori
un po’ drogati dalla nostalgia
e ricordiamoci che la poesia
non è soltanto di chi la scrive,
ma anche di chi la sente sua,
di chi l’ascolta dentro e la vive,
come retaggio davvero universale,
nel proprio immaginario personale,
che diventa, per magia, collettivo,
per unirci in un grande abbraccio,
per snidare quel poco di eterno
che c’è dentro di noi ancora vivo
e che ci rende buoni, umani,
liberi e aperti alle cose belle
che abbiamo sempre in comune,
oltre le nostre caduche particelle.
Grazie a tutti per essere stati qui,
per aver partecipato e ascoltato,
per avere sentito e, magari, sognato.
Sempre più spesso, ma senza ipocrisia,
ci capita di pronunciare parole come:
“Ormai,…purtroppo,…che peccato!”
perché ci accorgiamo, con malinconia,
che tanto delle nostre vite è passato
e che il resto se ne sta volando via.
È stato bello, comunque, stare insieme,
perché abbiamo davvero qualcosa
che, ancora, ci accomuna tutti, così:
la musica, la poesia, i buoni sentimenti
che stasera ci hanno lasciati contenti
di aver vissuto, qui insieme, queste ore.
Grazie a tutti e … di tutto cuore.
Alberto Visintino 2018