L’amore muore quando
non ci si lascia trasportare.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
L’amore muore quando
non ci si lascia trasportare.
Quando il sentimento
vince sull’orgoglio,
allora è vero amore.
Comunque vada,
si viaggia insieme.
Insieme siamo saliti
sul treno della vita
e il destino ci ha prenotato
lo stesso posto,
fianco a fianco.
L’ amore, quello vero,
resta comunque,
nonostante tutto,
ti rimane accanto.
Perché il suo tempo
è per sempre.
Non mi vergogno a dire che un tempo, nei FAVOLOSI ANNI ’60, le canzonette si scrivevano così. Erano di una ingenuità banale, ma piacevano per questo.
Noi eravamo banalmente ingenui, allora. Adesso, invece, siamo logori e incarogniti. Ci rimane la triste saggezza della vecchiaia e….qualche ricordo.
M A R I L I S A
Un’estate così non verrà mai più,
con te è finita la mia gioventù,
oh Marilisa, Marilisa torna ancor,
su questa spiaggia dove si è bruciato
tutto il nostro amor.
Il silenzio del mar parla ancor di te
di quando eri qui accanto a me,
oh Marilisa, Marilisa torna ancor,
perfino il sole sembra freddo e grigio
senza il tuo calor.
Ora sento che mai non potrò dimenticar
i giorni che ho vissuto in riva al mar,
oh Marilisa, Marilisa dove sei.
vorrei che il vento ti potesse dire
tutti i sogni miei.
Le parole d’amor che dicevi a me,
il vento le ha portate via con sé,
oh Marilisa, Marilisa dove sei,
non ho la forza per poterti dire
quanto ti vorrei.
Tricesimo Anno 1964.
R I C O R D O D I G I O V E N T U’
Testo di una canzone di più di 50 anni fa.
N O I S I A M O I S E L V A G G I
Se c’è qualcuno, amici miei,
che non sa chi siamo noi,
se c’è qualcuno tra di voi
che non c’ha sentiti mai,
a lui vogliam dire la verità
che fa inorridire la società!
…Uh! Noi siamo i Selvaggi!
Se c’incontrate per la strada
salutiamo prima noi,
siamo civili ed educati
quando siamo in mezzo a voi.
Ma, se sentiamo il ritmo di una canzone,
dimentichiamo quasi l’educazione!
…Uh! Noi siamo i Selvaggi!
Dimenticate per un poco
l’etichetta e i vostri guai,
provate un po’ a comportarvi
da selvaggi come noi.
Se questa confusione non vi va giù,
allora non vi piace la gioventù!
…Uh! Noi siamo i Selvaggi!
Tricesimo, anno 1964.
Q U A N D O S A R O’ C A P A C E D’ A M A R E
Giorgio Gaber testo di Alessandro Luporini.
Quando sarò capace d’amare
probabilmente non avrò bisogno
di assassinare in segreto mio padre,
né di far l’amore con mia madre in sogno.
Quando sarò capace d’amare,
con la mia donna non avrò nemmeno
la prepotenza e la fragilità
di un uomo bambino.
Quando sarò capace d’amare,
vorrò un donna che ci sia davvero,
che non affolli la mia esistenza,
ma non mi stia lontana neanche col pensiero.
Vorrò una donna che, se io accarezzo
una poltrona, un libro o una rosa,
lei avrebbe voglia di essere solo
quella cosa.
Quando sarò capace d’amare,
vorrò una donna che non cambi mai,
ma, dalle grandi alle piccole cose,
tutto avrà un senso perché esiste lei.
Potrò guardare dentro al suo cuore
e avvicinarmi al suo mistero,
non come quando io ragiono,
ma come quando respiro.
Quando sarò capace d’amare
farò l’amore come mi viene,
senza la smania di dimostrare,
senza chiedere mai se siamo stati bene.
E nel silenzio delle notti,
con gli occhi stanchi e l’animo gioioso,
percepire che anche il sonno è vita
e non riposo.
Quando sarò capace d’amare,
mi piacerebbe un amore
che non avesse alcun appuntamento
col dovere,
un amore senza sensi di colpa,
senza alcun rimorso,
egoista e naturale come un fiume
che fa il suo corso.
Senza cattive o buone azioni,
senza altre strane deviazioni,
che, se anche il fiume le potesse avere,
andrebbe sempre al mare…..
così vorrei amare.
I S O L I Giorgio Gaber (testo e musica).
I soli sono individui strani,
con il gusto di sentirsi soli, fuori dagli schemi,
non si sa bene cosa sono
forse ribelli, forse disertori,
nella follia di oggi i soli sono i nuovi pionieri.
I soli e le sole non hanno ideologie,
a parte una strana avversione per il numero due,
senza nessuna appartenenza,
senza pretesti o velleità sociali,
senza nessuno a casa a frizionarli con unguenti coniugali.
Ai soli non s’ addice l’intimità della famiglia,
magari solo un po’ d’amore, quando ne hanno voglia,
un attimo di smarrimento, un improvviso senso d’allegria,
allenarsi a sorridere per nascondere la fatica
soli, vivere da soli,
soli, uomini e donne soli.
I soli si annusano tra loro,
son così bravi a crearsi intorno un senso di mistero,
sono gli Humphrey Bogart dell’amore,
sono gli ambulanti, son gli dei del caso,
i soli sono gli eroi del nuovo mondo coraggioso.
I soli e le sole ormai sono tanti,
con quell’aria un po’ da saggi, un po’ d’adolescenti,
a volte pieni d’energia,
a volte tristi, fragili e depressi,
i soli c’han l’orgoglio di bastare a se stessi.
Ai soli non s’addice il quieto vivere sereno,
qualche volta è una scelta, qualche volta un po’ meno,
aver bisogno di qualcuno,
cercare un po’ di compagnia
e poi vivere in due e scoprire che siamo tutti
soli, vivere da soli,
soli, uomini e donne soli.
La solitudine non è malinconia,
un uomo solo è sempre in buona compagnia.
N O N I N S E G N A T E A I B A M B I N I
Giorgio Gaber testo Alessandro Luporini
Non insegnate ai bambini
non insegnate la vostra morale,
è così vecchia e malata
potrebbe far male.
Forse una grave imprudenza
è lasciarli in balia
di una falsa coscienza.
Non elogiate il pensiero
che è sempre più raro,
non indicate per loro
una via conosciuta,
ma, se proprio volete,
insegnate soltanto
la magia della vita.
Giro giro tondo, cambia il mondo.
Non insegnate ai bambini,
non divulgate illusioni sociali,
non gli riempite il futuro
di vecchi ideali.
L’unica cosa sicura
è tenerli lontano
dalla nostra cultura.
Non esaltate il talento
che è sempre più spento,
non li avviate al bel canto,
al teatro, alla danza,
ma, se proprio volete,
raccontategli il sogno
di un’antica speranza.
Non insegnate ai bambini,
ma coltivate voi stessi
il cuore e la mente.
Stategli sempre vicini,
date fiducia all’amore,
il resto è niente.
Giro giro tondo, cambia il mondo.
L A P A R O L A I O Giorgio Gaber testo Alessandro Luporini
La parola io
è un’idea che si fa strada a poco a poco,
nel bambino suona dolce come un’eco,
è una spinta per tentare i primi passi
verso l’intima certezza di se stessi.
La parola io
con il tempo assume un tono più preciso,
qualche volta rischia d’esser fastidioso,
ma è anche il segno di una logica infantile,
è un peccato ricorrente ma veniale.
Io, io, io,
ancora io.
Ma il vizio dell’adolescente
non si cancella con l’età
e negli adulti, stranamente,
diventa più allarmante e cresce.
La parola io
è uno strano grido che nasconde invano
la paura di non essere nessuno,
è un bisogno esagerato e un po’ morboso,
è l’immagine struggente del Narciso.
Io, io, io
e ancora io.
Io che non sono nato
per restare per sempre confuso nell’anonimato,
io mi faccio avanti,
non sopporto l’idea di sentirmi un numero fra tanti,
ogni giorno mi espando,
io posso essere il centro del mondo.
Io sono sempre presente
son disposto a qualsiasi bassezza per sentirmi importante,
devo fare presto,
esaltato da questa mania di affermarmi ad ogni costo,
mi inflaziono, mi svendo,
io voglio essere il centro del mondo.
Io non rispetto nessuno,
se mi serve, posso anche far finta di essere buono,
devo dominare,
sono un essere senza ideali assetato di potere,
sono io che comando,
io devo essere il centro del mondo.
Io vanitoso, presuntuoso,
esibizionista, borioso, tronfio,
io superbo, megalomane, sbruffone,
avido e invadente,
disgustoso, arrogante, prepotente
io, soltanto io,
ovunque io.
La parola io,
questo dolce monosillabo innocente
è fatale che diventi dilagante,
nella logica del mondo occidentale
forse è l’ultimo peccato originale.
Io.
TESTO di una canzone da musicare:
C O M E C Y R A N O
Io no ho paura
di te.
Fai la faccia scura
con me.
E’ la tua natura,
perciò,
tu sei molto dura,
ma so
che quest’avventura
per me,
dentro quattro mura
con te,
non sarà sicura,
oh no:
è una tortura
che avrò.
Adesso basta!
E’ ora di finirla!
Mi sono rotto
di sentirmi un pirla.
Per celebrare
“la fin della tenzone”,
mi sono scritto
perfino ‘sta canzone.
Lo confesso:
ho perso la pazienza
e, come Cyrano,
“giusto al fin della licenza,
io tocco!” (ripetibile)
E scappo via da te!
E’ meglio la rottura
che vuoi,
che una fregatura
per noi.
Gennaio 2018.
Da una filastrocca di Gianni Rodari, liberamente ridotta, riveduta e corretta.
Un signore di Scandicci
buttava le castagne
e mangiava i ricci,
quel signore di Scandicci.
Un suo amico di Lastra a Signa
buttava via i pinoli
e mangiava la pigna,
quel suo amico di Lastra a Signa.
Tanta gente non lo sa,
non ci pensa e non si cruccia.
La vita la butta via
e mangia soltanto la buccia!
Suo cugino di Laterina
buttava il cioccolato
e mangiava la cartina,
quel suo cugino di Laterina.
Un parente di Figline
buttava via le rose
e odorava le spine,
quel parente di Figline.
Tanta gente non lo sa,
non ci pensa e non si cruccia.
La vita la butta via
e mangia soltanto la buccia!
Un suo zio di Firenze
buttava in mare i pesci
e mangiava le lenze,
quel suo zio di Firenze.
Un compare di Barberino
mangiava il bicchiere
e buttava il vino,
quel compare di Barberino.
Tanta gente non lo sa,
non ci pensa e non si cruccia.
La vita la butta via
e mangia soltanto la buccia!
La vita la butta via
e mangia soltanto la buccia!
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo, muti.
Cesare Pavese.
L A F E D E
Quella Vecchietta ceca, che incontrai
la notte che ma persi in mezzo ar bosco,
me disse: – Se la strada nun la sai,
ti ci accompagno io, ché la conosco.
Se c’ hai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò ‘na voce,
fino là in fonno, dove c’è un cipresso,
fino là in cima, dove c’è la Croce… –
Io risposi: – Sarà. . . ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede . . . –
La Ceca, allora, me pijò la mano
e sospirò: – Cammina! – Era la Fede.
Trilussa.
E – M A I L
Sono, ormai, sulla strada del ritorno,
ma volevo, almeno un poco, prolungare
la scadenza sul permesso di soggiorno
e, non sapendo bene come fare,
ho mandato una e-mail al Padreterno
chiedendogli di fornirmi indicazioni
sulle sue leggi e norme di governo
per il disbrigo delle umane situazioni.
Fino ad oggi, tuttavia, non ha risposto
ed io comincio a sentirmi un po’ tapino.
Ma rimango, come sempre, al mio posto
e continuo a vivere come un clandestino.
So che la legge non ammette l’ignoranza,
ma la burocrazia divina è troppo lenta!
Quanto sta a rispondere ad una istanza?
Quest’attesa, sì, un poco mi spaventa.
Ma, se dovesse capitarmi un accidente
improvviso, che mi trovi impreparato,
almeno ho l’alibi che non sapevo niente
e che son morto per la colpa d’esser nato.
15 Gennaio 2019.