Numero1732.

L’Italia ha un grande elemento di esportazione,

che è il suo marchio, il suo stile di vita, il suo gusto.

Luca Cordero di Montezemolo.

( N.d.R. : il marchio si può esportare; il gusto, nei manufatti e nelle idee, anche, ma lo stile di vita, quello che gli altri chiamano Italian Way of Life, e anche “Il Dolce Far Niente”, detto in parole Italiane, non possiamo esportarlo, lo possiamo godere solo qui da noi. Non si sa ancora per quanto tempo. Ho paura per poco.)

Numero1729.

La marea umana, che si sposta dal Sud e dall’Est del mondo, non può essere, materialmente, fermata; ci cambierà i connotati, come già adesso, ci permette di sostenere le nostre economie traballanti, risollevare i nostri indici di natalità e di riempire le scuole. l’Italia è, geograficamente, un luogo di passaggio e di attraversamento; siamo così da sempre e continueremo ad esserlo, a dispetto di qualunque arcigno e distratto governante.

Erri De Luca.

Numero1727.

L’Italia è un paese pronto a piegarsi ai peggiori governi. È un paese dove tutto funziona male, come si sa. È un paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E, tuttavia, per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come vivido sangue. È un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia, scalda il cuore e lo consola, seppure si tratta di un ingannevole, e forse insensato, conforto.

Natalia Ginzburg.

Numero1725.

In Italia, la linea più breve

tra due punti è l’arabesco.

Viviamo in una rete di arabeschi.

Ennio Flaiano.

(N.d.R. : per arabesco, si intende un segno decorativo curvilineo e arzigogolato, mediorientale o barocco, che complica, con gusto ridondante e ampolloso, uno spazio, un concetto, un’idea, un’azione).

Numero1723.

In Italia, in media ogni due o tre giorni,un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex. Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro. E noi, che siamo ingenue, spesso scambiamo tutto per amore. Ma l’amore, con la violenza e le botte, non centra un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni, centra come la libertà con la prigione.
Un uomo che ci mena, non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene! Allora ci ama male! Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito, al primo schiaffo. Perché, tanto, ci arriverà anche il secondo e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe le costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.

Luciana Littizzetto.

Numero1722.

L’Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino  all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto, in Italia, non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’Italiano, in generale, ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta.
Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma, in cuor suo, si ripromette di imparare la lezione per un’altra occasione. 
La diffidenza degli umili, che si riscontra in quasi tutta l’Italia, è appunto l’effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo dalle sempre nuove scaltrezze di quelli.
Giuseppe Prezzolini.

Numero1714.

SDRINDULE

Siamo a Camporosso. Di notte.
Fritz, ubriaco fradicio in macchina, viene fermato dai Carabinieri.
Il Maresciallo : “Ma quanto ha bevuto lei?”
“…….2 bottiglioni, 6 birre, 3 grappini, 4 cognacchini….”
“Venga, venga che facciamo il controllo”.
“….Perché?…. non mi credi?….”.
“Non faccia il furbo, che dobbiamo controllare l’alcool”.
“….Già che ci sei, controlla anche acqua e olio….”.
“Non faccia lo spiritoso con me, eh! mi dia la patente!”.
“…. Ve l’ho data un mese fa, l’avete già persa?….”
“Non prenda in giro un pubblico ufficiale, lei, nome e cognome.!”
“Non posso dirvelo! ….Sono un alcolista anonimo….”.

Numero1712.

Negli ultimi 10 anni, girando per le scuole primarie Italiane, ho potuto constatare che, ormai, in ogni classe, sono presenti uno o più bambini “certificati”.
Certificati per cosa? Per una carenza di apprendimento.
Discalculia, dislessia, disortografia, disprassia, disgrafia.
(Aggiungo io : disastro! N.d.R.).
Oltre che sorprendermi, la cosa mi ha fatto riflettere. Possibile che ci sia un così alto numero di alunni disturbati? Ci sono bambini che, già all’asilo, arrivano con il loro bel certificato in mano; a volte, sono le stesse mamme a richiederlo, mi ha confessato un giorno una maestra, perché sanno che, in tal modo, il figlio avrà un percorso facilitato.
Così, uno scolaro, che ha difficoltà a scrivere a mano, magari perché ha premuto solo tasti, verrà esonerato , per sempre, dall’imparare a tracciare riccioli, occhielli e aste, senza che nessuno possa dirgli che le uniche vie per imparare passano per l’esercizio, la pazienza, la costanza.
Questo non si chiama educare, ma costringere alla povertà, mettere un inutile stigma sulle spalle di bambini che, nella maggior parte dei casi, non ne avrebbero alcun bisogno.
Però, così, alla fine dell’anno, i conti tornano. Tutti promossi! La scuola-azienda può  dormire sonni tranquilli, ha offerto, come sempre, il massimo dell’efficienza. Senza contare il fatto che questa supposta diversità si trasforma facilmente in una comoda pantofola.
Sono dislessico! Sono disprassico!
L’ha detto il dottore, non posso correre, camminare, mi accontento di ciabattare……

Susanna Tamaro     Alzare lo sguardo

Numero1711.

….le autorità superiori hanno detto: basta con queste maestre capaci di spiegare solo cose elementari – le somme delle ciliegie, le divisioni di una torta, i sette Re di Roma. Il fatto che gli Italiani abbiano lasciato l’analfabetismo alle spalle proprio grazie alle maestre forgiate da quella scuola, non ha sfiorato nessuna delle razionalissime menti sessantottarde. Così ora ci troviamo ad avere ragazzi che arrivano all’Università, per esempio, senza conoscere e saper usare le basi della propria madrelingua.
E questa non è l’eccezione, ma la regola.
Diventano medici, avvocati, archeologi, insegnanti senza essere in grado di scrivere in un Italiano corretto e facendo degli errori che, un tempo, chi avesse frequentato anche solo la quinta elementare non si sarebbe mai sognato di fare.
È colpa loro o colpa di chi, più in alto, ha stabilito i programmi e la didattica? Di chi li ha offerti come capi sacrificali sull’altare della Dea Ignoranza?
Per l’aritmetica e la matematica le cose non vanno meglio. Nei test di matematica delle classifiche Europee siamo agli ultimi posti. Come potrebbe essere diversamente, dato che si comincia a confondere le idee fin dall’inizio?
Nella scuola elementare si è, ormai, abbandonato l’insegnamento degli “elementi” e questo abbandono non è, certo, colpa degli insegnanti, che sono, per lo più, molto appassionati del loro lavoro, ma delle idee che stanno a monte. Idee che hanno tutte, alla base, il concetto di “destrutturazione del reale”.
La chiave di lettura che viene offerta è quella della “complessità”.
Non si fanno più pensierini, ma si studia l’analisi del testo letterario; niente affluenti del Po di destra e di sinistra, ma riflessioni approfondite sul cambiamento climatico; niente addizioni di ciliegie, spartizioni di torte, ma “entità equipotenti”.
In una simile visione, non è contemplata l’idea che esista una base comune a tutti i saperi, e che questa base sia necessaria per poter costruire poi qualcosa che duri nel tempo. Tutto è – e deve essere – fluttuante, tutto è – e deve essere – relativo, perché nessuno di noi può avere la certezza, né tanto meno l’arroganza, di credere che esista un’unica versione del reale.
Rendere perversamente e inutilmente complicato ciò che è semplice, è figlio di questa visione ideologica.
La nostra scuola, invece, crea una grande confusione di concetti che cerca poi di risolvere grazie all’abbondanza di crocette – o la va, o la spacca – e con la compilazione di fotocopie, i cui puntini sospesi indicano la direzione da intraprendere.
Usare la mano per tracciare una crocetta o completare i puntini delle parole mancanti è molto diverso che usarla per scrivere un pensiero uscito dalla propria testa. Così come non è la stessa cosa leggere un’ informazione sul tablet e sullo smartphone, oppure sottolinearla sul libro, magari scrivendoci qualche nota accanto.
Non è questione di rimpiangere il bel tempo andato, ma di conoscere i più avanzati studi neurologici. Il rapporto occhio – mano – cervello è  estremamente complesso. Semplificarlo – o, peggio ancora, annullarlo – vuol dire lasciare in sonno migliaia e migliaia di connessioni neuronali.
E dal sonno delle connessioni al sonno della ragione, il passo è piuttosto breve.
È questo il fine della scuola?

Susanna Tamaro        Alzare lo sguardo         (compendio N.d.R.)