F R A G I L I T A’
Quando mostri le tue fragilità,
c’è chi se ne approfitta
e chi se ne prende cura.
È così che conosci
il valore delle persone.
@lafarfalladellapoesia
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
F R A G I L I T A’
Quando mostri le tue fragilità,
c’è chi se ne approfitta
e chi se ne prende cura.
È così che conosci
il valore delle persone.
@lafarfalladellapoesia
L’ E D I T T O D I C O S T A N T I N O
“La donazione di Costantino”, documento falso, che attribuiva alla Chiesa il potere temporale, è mai stato riconosciuto falso dalla Chiesa Cattolica?
Il documento, recante la data del 30 marzo 315, afferma di riprodurre un editto emesso dall’imperatore romano Costantino I. Con esso l’imperatore avrebbe attribuito al papa Silvestro I e ai suoi successori le seguenti concessioni:
Il primato (principatum) del vescovo di Roma sulle chiese patriarcali orientali: Costantinopoli, Alessandria d’Egitto, Antiochia e Gerusalemme;
la sovranità del pontefice su tutti i sacerdoti del mondo;
la sovranità della Basilica del Laterano, in quanto “caput et vertex”, su tutte le chiese;
la superiorità del potere papale su quello imperiale.
Inoltre la Chiesa di Roma ottenne secondo il documento gli onori, le insegne e il diadema imperiale ai pontefici, ma soprattutto la giurisdizione civile sulla città di Roma, sull’Italia e sull’Impero romano d’Occidente.
L’editto confermerebbe inoltre la donazione alla Chiesa di Roma di proprietà immobiliari estese fino in Oriente. Ci sarebbe stata anche una donazione a papa Silvestro in persona del Palazzo del Laterano. l
La parte del documento su cui si basarono le rivendicazioni papali recita:
P R O V E R B I O A R A B O
Il custode
è il ladro.
da QUORA
Caratteristiche del passivo-aggressivo (sottospecie di narcisista)
Una persona passivo-aggressiva è in grado di rendere le persone intorno a sé totalmente nevrotiche, ma allo stesso tempo il suo stile di abuso è talmente subdolo che non si capisce come faccia e quasi non se ne accorge lui stesso (o lei).
Una persona passivo-aggressiva ha moltissimo in comune con un narcisista, anzi il tipico narcisista “nascosto” (COVERT: non evidente) coincide con la descrizione del passivo-aggressivo.
Cosa fa esattamente una persona passivo-aggressiva? Quali sono i suoi comportamenti tipici? Ecco un utile elenco.
–Dimenticanza
Il passivo aggressivo evita responsabilità “dimenticandosi”.
Non c’è modo più semplice per punire qualcuno che il dimenticare quella data, il pranzo o il tuo compleanno o, meglio ancora, un anniversario.
–Dare la colpa:
Non sono mai responsabili delle loro azioni.
Dev’essere sempre colpa di qualcosa che è accaduto sul posto di lavoro, del traffico sulla strada di casa o del commesso troppo lento al negozio.
L’aggressivo passivo non commette errori, sono piuttosto tutti quelli intorno a lui / lei che hanno difetti e devono essere puniti per le loro colpe. Infatti l’aggressivo passivo è sempre molto critico e proietta un’immagine di perfezione personale.
-Mancanza di rabbia:
Lui / lei non esprime MAI la rabbia.
Sembrano quasi contenti e sereni riguardo a quello che accade intorno a loro.
Sono educati e cortesi. Solo all’esterno, comunque!
La persona passivo-aggressiva potrebbe essere stato istruito, da bambino, sul fatto che la rabbia è socialmente inaccettabile.
Di conseguenza, essi passano la vita a reprimere la loro rabbia, a essere accomodanti all’esterno… per poi attaccarti in un modo subdolo e difficilmente accusabile.
In compenso il loro partner è spesso esasperato e ha scoppi di rabbia che non riconosce come “propri”, facendo la figura dello psicopatico.
–Ambiguità:
“Le azioni parlano più forte delle parole”.
Raramente i passivo-aggressivi intendono quello che dicono, o dicono cosa davvero pensano.
Per capire esattamente come un passivo-aggressivo si sente riguardo a un problema, bisogna prestare attenzione a come si comporta, mai a quello che dice.
Normalmente non compiono azioni finché non hanno causato qualche tipo di stress ai loro “cari” con il loro modo ambiguo di comunicare.
–Paura della dipendenza:
incerto della sua autonomia e pieno di paura della solitudine, il passivo-aggressivo combatte i propri bisogni di dipendenza, di solito cercando di controllarti.
Lui vuole che tu pensi che lui non dipende in alcun modo da te, ma si lega molto di più di quanto voglia ammettere.
Le relazioni possono diventare campi di battaglia, in cui il passivo-aggressivo ha bisogno di sentirsi vittorioso su di te, e può farlo soltanto se lui nega il suo bisogno del tuo sostegno.
In poche parole, fingerà sempre perennemente di non avere bisogno del partner, anche trattandolo con sdegno o sarcasmo.
-Paura dell’intimità:
Il passivo aggressivo spesso non riesce a fidarsi.
A causa di questo, si protegge dal diventare intimamente collegato a qualcuno. Un aggressivo passivo farà sesso se gli conviene, ma raramente farà l’amore con te.
Se si sente troppo dipendente dal partner, decide di punirlo negandogli il sesso.
-Ostruzionismo:
Volete qualcosa dal vostro coniuge aggressivo-passivo? Se è così, preparatevi ad aspettare per sempre.
E’ importante per lui / lei che non otteniate ciò che desiderate, anche se vi dirà esattamente il contrario.
Può essere una grande fonte di confusione quando un partner ti assicura costantemente che farà qualcosa e che ci tiene a farti felice, e poi non fa mai quello che aveva promesso.
Incominci a sentirti come se stessi chiedendo troppo e fossi tu quello sbagliato, che è esattamente quello che lui / lei vuole farti sentire. In questo modo in futuro chiederai sempre meno e lui/lei si sentirà meno sotto pressione.
–Vittimizzazione:
i passivo-aggressivi si sentono spesso trattati ingiustamente.
Se ti arrabbi perché lui o lei è costantemente in ritardo, il passivo-aggressivo si offende a morte; nella sua mente, è stata colpa di qualcun altro se era in ritardo e te lo ripeterà fino allo sfinimento.
Lui / lei è sempre la vittima innocente delle tue aspettative irragionevoli, di un capo invadente o di qualche idiota che non l’ha servito in modo efficiente.
Il mondo ce l’ha con lui/lei e tu sei cattivo perché te la prendi con lui a tua volta invece di offrire amore e comprensione, sei proprio un partner inetto e anaffettivo.
–Procrastinare:
la persona passivo-aggressiva crede che le scadenze si applichino a tutti, ma non a lui/lei.
Fanno le cose quando ne hanno voglia e se ne hanno voglia, e al diavolo chi si aspetta qualcosa di diverso da loro. Vale anche per scadenze ufficiali.
–Non-chiarezza:
il passivo-aggressivo non dirà mai chiaramente al partner cosa desidera e cosa si aspetta.
Si aspetta che gli altri gli leggano nel pensiero e sono prontissimi ad attaccare in caso in cui questo non succeda (cioè sempre).
Pensano che se il partner li amasse davvero, saprebbe anticipare i loro bisogni, senza che loro debbano mai esprimerli.
Perché il passivo-aggressivo non esprime mai i suoi bisogni?
Perché in realtà ha un ego fragilissimo e ha il terrore di essere criticato, quindi preferisce ribaltare la situazione e diventare la persona che critica, che si offende e che respinge l’affetto altrui, piuttosto che rischiare di essere quello che viene rifiutato.
Anna Maria Sepe da psicoadvisor
DEMOCRAZIA, PARTITOCRAZIA, IPOCRISIA.
In questo periodo in cui siamo soliti fare le Dichiarazioni dei Redditi, mi è saltato in mente il ghiribizzo di affrontare un argomento che, anch’io, finora, ho trascurato, e che mi ha dato il destro per considerare un parallelismo, a dir poco, sorprendente con la nostra situazione politica istituzionale, che dovrebbe rispondere ai canoni della DEMOCRAZIA rappresentativa. Sì, un parallelismo che mi ha indignato, come uomo e come cittadino.
Per mettere a fuoco il ragionamento che intendo sviluppare, devo fare ricorso ad una informativa che riguarda lo Stato, la Chiesa ed i cittadini, in merito ad una istituzione (2, 5, 8 per1000), che poi è legge dello Stato Italiano, ed un comportamento, che è diventato cronico e biasimevole, ma che continua a rimanere dissimulato, nascosto, sorvolato.
Quello che, qui di seguito, trovate riportato, è reperibile da chiunque abbia la volontà di chiarirsi le idee, attingendo alle fonti di pubblicazioni facilmente accessibili. Ma, si tratta di notizie molto poco diffuse, per quanto di pubblico dominio. A questo stato di cose mi riferisco quando scrivo, nel titolo, la parola IPOCRISIA. Ma, cominciamo.
Ogni anno i contribuenti italiani possono scegliere di destinare una parte del proprio gettito fiscale Irpef a determinati soggetti; nello specifico, possono scegliere se destinare:
Ognuna di queste scelte è autonoma, e l’indicazione della destinazione non comporta una maggiorazione delle imposte dovute.
Con la scelta della destinazione dell’otto per mille il contribuente decide se destinare una parte delle imposte versate allo Stato oppure a un ente religioso a sua scelta.
Con la scelta della destinazione del cinque per mille il contribuente decide se destinare una parte delle imposte versate a un ente non-profit o a particolari finalità quali la ricerca scientifica o universitaria o sanitaria.
Con la scelta della destinazione del due per mille il contribuente decide se destinare una parte delle imposte versate a un partito politico e una associazione culturale.
I contribuenti che predispongono la dichiarazione effettuano la scelta contestualmente alla predisposizione del modello Redditi PF o del modello 730.
Da coloro che, invece, sono esonerati dalla predisposizione della dichiarazione, la scelta potrà essere effettuata:
Il contribuente può liberamente scegliere a chi destinare queste piccole porzioni della propria imposta, ma nei limiti degli elenchi predisposti dall’Agenzia delle Entrate; infatti, gli enti che vogliono usufruire di questo beneficio hanno l’obbligo di accreditarsi presso l’amministrazione finanziaria delle Stato, utilizzando l’apposito software messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate.
È risaputo che circa la metà dei contribuenti italiani non effettua una scelta in merito alla destinazione di queste imposte; quello che però non è altrettanto risaputo è che non esprimere una scelta non vuol dire non destinare a nessuno le proprie imposte; infatti queste verranno ripartite agli interessati in proporzione alle scelte effettuate da coloro che hanno deciso a chi destinare le loro imposte.
È grazie a questo meccanismo che istituzioni religiose come la Chiesa Cattolica riescono ad ottenere la maggioranza dei fondi a disposizione, essendo la più scelta da coloro che hanno effettuato la scelta.
I contribuenti che vogliono che queste risorse restino in capo alla fiscalità generale, invece che non scegliere, dovrebbero scegliere espressamente lo Stato come beneficiario.
Questo modo di procedere è
L’8×1000 è bocciato anche dalla Corte dei Conti, la quale dice, nel silenzio più assordante:
“ognuno è coinvolto, indipendentemente dalla propria volontà, nel finanziamento delle confessioni”,
“lo Stato mostra disinteresse per la quota di propria competenza”,
“non ci sono verifiche sull’utilizzo dei fondi erogati alle confessioni”,
“emergono rilevanti anomalie sul comportamento di alcuni intermediari”.
L’otto per mille è il meccanismo adottato dallo Stato italiano per il finanziamento delle confessioni religiose. Lo Stato ogni anno raccoglie l’IRPEF e ne mette l’8‰ in un calderone. Anche la parte di coloro che non hanno fatto alcuna scelta. Sembra una quota piccola, ma in realtà sono molti soldi: circa un miliardo di euro. Questi soldi vengono poi ripartiti a seconda delle scelte che sono state espresse.
N.d.R. : Ho fatto alcune ricerche, ma non sono venuto a capo di nulla. Coloro che non sono tenuti alla Dichiarazione dei Redditi sembra che possano, anche loro, esprimere una scelta per la destinazione . Ma di quanto non si sa. So soltanto che nel 2021, in Italia, c’erano 7.734.000 incapienti, il cui reddito è inferiore a 7.500 Euro l’anno, che certamente non fanno alcuna scelta per destinazione, anche se i soldi non li sborsano loro direttamente.
Mi viene da pensare che il corrispettivo venga erogato dall’Agenzia per le Entrate, mettendo tutto nello stesso calderone.
Possono accedere all’otto per mille solo le confessioni che hanno stipulato un’intesa con lo Stato e che abbiano avanzato apposita richiesta, approvata dal Parlamento. Al 2014 i destinatari sono: Chiesa cattolica, Chiesa valdese, Unione delle Chiese metodiste e valdesi, Unione delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, Assemblee di Dio in Italia (Pentecostali), Unione delle comunità ebraiche italiane, Chiesa evangelica luterana in Italia, Unione cristiana evangelica battista d’Italia, Sacra arcidiocesi ortodossa d’Italia ed esarcato per l’Europa meridionale, Chiesa apostolica in Italia (pentecostali), Unione buddhista italiana, Unione induista italiana.
Dai Patti lateranensi fino al 1984 la Chiesa Cattolica riceveva dallo Stato la cosiddetta “congrua”, a risarcimento dei beni confiscati alla Chiesa e per il mantenimento dei preti. Nel 1984, con la revisione del Concordato firmata da Craxi, è stata eliminata la congrua ed introdotto l’otto per mille, che è poi stato concesso anche ad altre confessioni religiose. Da allora l’aumento delle tasse e del reddito degli italiani ha fatto salire vertiginosamente le cifre in gioco, passando dai 398 milioni di euro del 1990 ai 1.067 del 2010 (per la sola Chiesa Cattolica).
In teoria ogni tre anni una commissione potrebbe modificare la percentuale (da otto per mille a sei per mille, ad esempio), ma in realtà questo non è mai stato fatto. La Corte dei Conti nel 2014, nel 2015, nel 2016 e nel 2018 ha prodotto relazioni critiche (vedi sopra) nei confronti del meccanismo dell’8×1000, evidenziando “la problematica delle scelte non espresse e la scarsa pubblicizzazione del meccanismo di attribuzione delle quote; l’entità dei fondi a disposizione delle confessioni religiose; la poca pubblicizzazione delle risorse erogate alle stesse; la rilevante decurtazione della quota statale”.
Queste sono state le scelte nella dichiarazione dei redditi del 2015 (dati definitivi pubblicati dal Ministero). Che fine fanno i soldi di chi non firma per nessuno?
Anche quelli finiscono nel calderone e vengono ripartiti a seconda dei voti di chi ha espresso la scelta. Nel 2019 il gettito è stato ripartito così:
In realtà nessuno destina il proprio gettito: il meccanismo assomiglia di più ad un gigantesco sondaggio d’opinione, al termine del quale si “contano” le scelte, si calcolano le percentuali ottenute da ogni soggetto e, in base a queste percentuali, vengono poi ripartiti i fondi.
Come se non bastasse, la mancata formulazione di un’opzione non viene presa in considerazione: l’intero gettito viene ripartito in base alle sole scelte espresse.
Due sole confessioni, le Assemblee di Dio e la Chiesa Apostolica, lasciano allo Stato le quote non attribuite, limitandosi a prelevare solo i fondi relativi a opzioni esplicite a loro favore. Una scelta più onesta e coerente, prevista dalla legge 222/1985, che NON è esercitata dalla Chiesa cattolica e dalle rimanenti dieci confessioni, che ottengono un finanziamento quasi triplo rispetto ai consensi espliciti a loro favore.
Ecco perché è importante compilare questa sezione della dichiarazione dei redditi.
Il MEF (Ministero dell’Economia e delle Finanze) – Dipartimento delle finanze mette a disposizione statistiche e serie storiche sull’Otto per mille.
Ogni anno, prima della pubblicazione sul sito del MEF, i dati della ripartizione più recente vengono comunicati alla CEI, che in questo modo gestisce in anteprima la comunicazione alla stampa. Si veda ad esempio come la CEI «rende noto» l’ammontare del gettito a suo favore già a maggio 2018.
| Beneficiario | % contribuenti | % gettito | Importo | Prende anche scelte inespresse |
|---|---|---|---|---|
| Chiesa Cattolica | 32,81 | 78,50 | 1.136.166.333 | SÌ |
| Stato | 6,54 | 15,65 | 215.839.692 | SÌ |
| Chiesa Evangelica Valdese | 1,31 | 3,13 | 42.694.723 | SÌ |
| Unione Buddista Italiana | 0,40 | 0,96 | 13.094.867 | SÌ |
| Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG) | 0,16 | 0,37 | 5.046.980 | SÌ |
| Unione Comunità Ebraiche Italiane | 0,14 | 0,34 | 4.637.765 | SÌ |
| Assemblee di Dio in Italia | 0,10 | 0,24 | 1.380.854 | No, rinuncia e lascia allo Stato |
| Arcidiocesi Ortodossa | 0,09 | 0,22 | 3.000.907 | SÌ |
| Chiesa Evangelica Luterana in Italia | 0,07 | 0,17 | 2.318.883 | SÌ |
| Unione Induista Italiana | 0,06 | 0,13 | 1.773.263 | SÌ |
| Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno | 0,05 | 0,13 | 1.773.263 | SÌ |
| Unione Cristiana Evangelica Battista | 0,04 | 0,10 | 1.364.049 | SÌ |
| Chiesa Apostolica | 0,02 | 0,05 | 345.213 | No, rinuncia e lascia allo Stato |
Fonte: Dipartimento delle Finanze (vedere anche relazione uffici studi di Camera e Senato)
Si noti che, in tale occasione, su oltre quaranta milioni di contribuenti solamente il 43% ha espresso un’opzione e solo il 33% ha espresso una scelta a favore della Chiesa cattolica, alla quale però è stato consentito di mettere le mani su quasi l’80% dei fondi.
NEGLI ALTRI PAESI NON FUNZIONA COSÌ.
In Svizzera ed in Germania, ad esempio, il cittadino viene tassato (direttamente) solo se si dichiara membro registrato di una istituzione religiosa riconosciuta. Altrimenti i soldi restano a lui.
Da noi si è trovato questo escamotage per trasferire denaro dallo Stato alla Chiesa, in maniera subdola e surrettizia, coperta con una legislazione e con decreti attuativi di purissimo stile levantino. Il camuffamento consiste nella attribuzione ai cittadini delle scelte sulle ripartizioni.. Ma, come abbiamo visto e dimostrato, non è affatto così.
Si sbaglia di grosso colui che, non scegliendo il destinatario del proprio 8 per 1000, pensa che i soldi restino allo Stato Italiano (Agenzia delle Entrate). Al contrario tutto viene ripartito e ridistribuito secondo le indicazioni di una minoranza (40 – 42%) che deicide per se e anche per gli altri. Questa non è la Democrazia, applicata alla Finanza e all’Economia, che il cittadino dovrebbe aspettarsi.
Questo andazzo di cose è ricavato di sana pianta, ecco il parallelismo, dal Sistema Elettorale Italiano, come vedremo qui di seguito.
Da quest’ultima considerazione parto per affondare i remi nel mare magnum della politica Italiana in generale ed, in particolare, nel concetto e nella forma di DEMOCRAZIA che, in Italia, si è instaurata e si è strutturata secondo criteri che hanno ben poco a che fare con la DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA in senso stretto e perfetto. Infatti, in Italia, anche la rappresentatività parlamentare procede parallelamente, ed ha ispirato metodologicamente, i criteri distributivi e ripartitivi che abbiamo riscontrato sopra. Stessa presa per il culo.
Ho già ampiamente affrontato questi temi nei seguenti Numeri:
Numero2076. : Autorità
Numero2023. : Scontento popolare ed Astensionismo
Numero2001. : Stavolta parlo di Politica
Numero1999. Il valore del dissenso. La rilevanza delle schede bianche nel computo elettorale.
In questi Numeri, trovate un’ampia disanima, corredata da dati, statistiche, percentuali ed algoritmi in atto per distorcere, a bella posta, l’espressione genuina della volontà popolare in Italia.
Riporto, qui di seguito, i passaggi più salienti dei concetti e dei dati di fatto là enunciati e denunciati, per il confronto con le procedure, tutte legalizzate, che si applicano per il 2, 5, 8 per mille.
Come tutti sanno, da diversi anni, cresce sempre più la percentuale di coloro che, ad ogni tornata elettorale, in diverse forme, non esprimono il proprio voto. Il 40 -45% degli Italiani non vota. Ma succede che, ed a nessuno conviene dirlo, le decisioni, in sede Parlamentare, vengono prese, anche per loro, dagli altri votanti, secondo la distribuzione percentuale dei voti ai Partiti.
Questa grossa minoranza rappresenta il più numeroso Partito (PARTITO DEL NON VOTO) che c’è in Italia e la sua voce non ha modo di esprimersi e contare nell’esercizio della Politica e della Amministrazione dello Stato.
Dal Numero1999. :
L’astensionismo, infatti, è stato lungamente ricondotto ad un problema di scarsa cultura
civica e di marginalità socio-politica di alcune ristrette (N.d.R. oggi tutt’altro che ristrette)
fasce della popolazione. Il risultato di un’alienazione che, quale che fosse il suo modo di
esprimersi – non arrivando ad avere alcuna incidenza sul numero degli eletti – non intaccava
né le sfere di potere, né i rapporti di forza tra i partiti. Senz’altro una sacca critica della
democrazia, dunque, ma tutto sommato innocua e per certi versi comoda: non meritevole,
quindi, di vera attenzione.
Non si è potuto però nascondere che, nel tempo, il fenomeno, nel suo incrementarsi, abbia
assunto connotazioni vieppiù politiche: al non voto di chi è incapace di scegliere, si è
aggiunto – e massicciamente – il non voto di chi si rifiuta di scegliere.
La ricerca sociologica più accorta ha potuto, allora, distinguere dall’ astensionismo da
apatia che attribuisce la decisione di non votare a una forma di estraneità e distacco, un
astensionismo di protesta che assume il significato di un atto intenzionale, compiuto da
cittadini consapevoli che, in questo modo, esprimono la loro opinione.
Se è, quindi, certamente non corretto dare una lettura univoca del “partito del non voto”,
occorre, tuttavia, individuare al suo interno ragioni precise, che si concretano in
atteggiamenti diversificati, suscettibili, come tali, di valutazioni differenti. Ed infatti,
tralasciando qui di soffermarsi sulle motivazioni di coloro che non si recano alle urne, di cui
sarebbe azzardato interpretare gli umori, ma che senz’altro delegano ad altri la loro scelta
e, sgombrato il campo dagli errori tecnici che caratterizzano le schede nulle, ben diversa
appare la condotta di chi, di fronte alle proposte dei partiti, non si sente di esprimere la sua
preferenza nei confronti di nessun candidato e, quindi, depone nell’urna una scheda
bianca. E’ difficile qui immaginare che il cittadino “non sappia” decidersi, una volta giunto
al seggio elettorale. Dati, infatti, i costi in termini di tempo (raggiungimento del seggio, a
volte lunghe file) che l’operazione richiede e l’informazione martellante della campagna
elettorale che lo ha accompagnato fino a quel momento, quando l’elettore va a votare,
presumibilmente, è ben convinto di ciò che farà.
Nel lasciare volontariamente in bianco la scheda, esprime quasi sempre la negazione del
proprio consenso, un giudizio consapevole ed intenzionale di rifiuto, una bocciatura in
risposta all’offerta dei partiti ed alle loro strategie.
Come tale, la scheda bianca è un comportamento di voto in senso pieno.
Il senso del voto
Con la partecipazione elettorale, il popolo è esso stesso parte di un
processo di competizione tra attori politici, in cui interviene, dando luogo ad una conta
dalla quale dipende l’esclusione o l’inclusione dei candidati nell’organismo
rappresentativo. Nel momento in cui delega la propria sovranità, in cui sceglie i propri
rappresentanti, il cittadino è realmente sovrano e ciò che conferisce responsabilità e
quindi senso democratico alla dinamica rappresentativa è proprio la prospettiva
competitiva.
In quest’ottica, può avere senso il voto bianco? In effetti, il cittadino che vota in questo
modo non compie un gesto eversivo e fuori dal sistema, al contrario lo ossequia: si reca
alle urne e vota. Ora, questo gesto non ha alcun significato, ma se è, come appare,
una bocciatura, l’altra possibile faccia di una scelta, gioverebbe alla competizione e quindi
alla democrazia se esso avesse un’efficacia sui risultati elettorali.
Se le proposte dei partiti, infatti, non consentono di esprimere una preferenza convinta,
perché deve “chiamarsi fuori” l’elettore e non il candidato?
Ci si accorge che il voto bianco, che pure è un’opinione espressa, un parere dato,
non ha nessuna corrispondenza nei risultati elettorali. Se, infatti, la partecipazione al voto
deve dar luogo ad una rappresentanza, allo stato delle cose, l’intero corpo elettorale
è effettivamente rappresentato dagli eletti?
Dove sta il Dettato Costituzionale che “La sovranità appartiene al Popolo?”
Ed è democratico un Parlamento che non tiene conto dell’opinione di una buona
percentuale di elettori?
Le schede bianche dovrebbero concorrere alla formazione di una propria cifra elettorale,
assimilabile alle altre cifre nazionali di lista, da dividere per il quoziente elettorale
nazionale.
Naturalmente, si obietterà che esigenze di governabilità suggeriscono di non tenere conto
di proposte, come questa, “corrosive” delle compagini governative.
Bisogna però chiedersi quanto queste siano legittimate ad esercitare il loro potere,
quando risultino espressione di percentuali fortemente minoritarie di cittadini.
Ove si consideri, poi, che i seggi vengono assegnati sulla base della popolazione residente,
in certe zone in cui l’astensionismo è ormai una componente costante e consistente
del comportamento di voto, i seggi finiscono per “contare”, in termini di voti validi,
assai meno di quanto non accade in quelle con forte partecipazione.
E questo è un paradosso pericoloso per la democrazia.
Sarebbe invece opportuno dare voce al dissenso e recuperare in questo modo
il più ampio numero di cittadini alla partecipazione attiva, quanto mai necessaria in un
mondo che dovrebbe aspirare all’inclusione di ciascuno nel gioco democratico.
Inoltre, sarebbe un monito forte ed efficace ad una politica dei migliori, senza dimenticare
il non trascurabile vantaggio per le pubbliche casse, prodotto, automaticamente e
democraticamente, da un minor numero di eletti.
Quindi io, cittadino qualunque, che non sono d’accordo sui valori ideali e sui programmi
di nessuno dei partiti in lizza, nel ventaglio parlamentare, non ho modo di esprimere
il mio dissenso: se non vado a votare, nel computo redistributivo è come se ci fossi stato;
o se vado a votare e voto scheda bianca, il mio voto va, comunque, a legittimare ancora
di più la rappresentatività dei partiti e degli uomini che non hanno il mio gradimento
e la mia fiducia. Questa non è Democrazia: è, invece, Partitocrazia truffaldina.
Si tenga conto che, finalmente, il Parlamento ha legiferato in merito al numero dei suoi componenti:
“Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari” è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 261 del 21 ottobre 2020. La legge costituzionale prevede la riduzione del numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori elettivi.
Bene, benissimo, era ora. Ma, se basta nel numero, non basta nel merito.
Infatti, se i partiti eletti, per semplificare, hanno raccolto il 60% dei voti, dovrebbero occupare il 60% dei seggi.
Il restante 40%, cioè la parte che corrisponde alla frazione del corpo elettorale che non ha espresso alcun voto, né scelto nessuno, dovrebbe occupare il corrispondente settore del semicerchio: ne consegue che questo 40% degli scranni parlamentari dovrebbe restare vuoto. E dovrebbe – è mia ferma convinzione – essere riempito da altri che non siano quelli già eletti nel 60%.
Ma, come tutti sanno, per oltre 70 anni di cosiddetta DEMOCRAZIA, questo posto è stato occupato e riempito (oserei quasi dire: confiscato) dagli eletti dal 60% dei votanti, che fino ad oggi hanno esercitato il potere legislativo, in nome e per conto anche degli altri 40%.
Chi ha dato a questi, il mandato, il compito, la delega, la rappresentanza – chiamatela come vi pare – per farlo?
Se lo sono arrogati da soli. Perché? Sembra in nome di una presunta agevolazione della governabilità. Non mi convince per niente: nel nome di una praticità strumentale, io non sono disposto a derogare sui principi di questa DEMOCRAZIA decurtata, sottratta, derubata. Questa è una PARTITOCRAZIA.
Il parallelismo fra la redistribuzione delle indicazioni di scelta del 2, 5, 8 per mille e l’accaparramento partitico delle indicazioni di voto nelle Elezioni Parlamentari mi sembra evidentissimo. Roba da azzeccagarbugli.
Questo andazzo di cose si potrebbe modificare?
È un libro dei sogni che mi piacerebbe scrivere. Ho alcune idee in proposito, ma sono quelle di un pazzo visionario: Don Chisciotte contro i mulini a vento. A me Don Chisciotte è sempre piaciuto: nella letteratura mondiale, è il primo “eroe” moderno (non un supereroe) che, però, quando rinsavisce, muore.
La prima volta
che tu mi inganni
la colpa è tua,
ma la seconda volta,
la colpa è mia.
Proverbio Arabo.
R E D D I T O D I C I T T A D I N Z A
Da tempo, ormai, e in questi giorni, è ancor di più oggetto di dibattito il famigerato REDDITO DI CITTADINANZA, il provvedimento legislativo, che è stato ed è il fiore all’occhiello della sinistra pentastellata. Sarebbe nato con l’intento di garantire un livello accettabile di sussistenza a categorie di persone che non trovano , o non cercano, lavoro: dunque un aiuto provvisorio e temporaneo, intanto che per essi, sarebbe stata individuata, da parte di uffici allo scopo preposti, una attività lavorativa compatibile con la loro capacità, o voglia, di lavorare.
Partiamo dal lavoro. In questo periodo post – COVID, la produzione industriale e dei servizi, in Italia, sta registrando una fioritura ed un incremento, anche in termini di PIL, che sembra poter recuperare tutte le perdite dovute ai vari LOCKDOWN coatti, ed in breve tempo.
Dunque, c’è lavoro e gli imprenditori privati si trovano in difficoltà a reperire, sul mercato del lavoro, non solo le figure qualificate, ma anche e soprattutto, quelle generiche da formare e inquadrare nei mansionari. Ci sarebbero i fruitori del REDDITO, che potrebbero rendersi disponibili, anche, ovviamente, con qualche sacrificio e disagio, per riempire i vuoti di organico di molte Aziende Italiane.
Niente da fare, non è così. Allora che senso ha questa legge dello Stato che riesce soltanto a mantenere a casa coloro che ricevono il REDDITO e non fa in modo di ingaggiarli in tutti quegli arruolamenti di risorse umane di cui ci sarebbe bisogno?
Si tratta allora, solo di un sussidio di Stato per nullafacenti?
Non ci vuole mica un genio per escogitare, capire e attuare un sistema che eroghi gli importi di questi aiuti, in genere, da un minimo di 550 Euro o poco più, ad un massimo di 850 – 950 Euro, agli imprenditori che questi percettori assumono, a tempo indeterminato.
I datori di lavoro, a loro volta, aggiungerebbero una cifra equivalente per costituire un salario complessivo di circa 1500 Euro, che sarebbe un livello normale di retribuzione.
In questo modo, si ottiene un doppio positivo risultato. Quello dell’assistito che riceve un salario, o stipendio, intero a fronte di una prestazione completa e continuativa; e quello dell’imprenditore che trova un dipendente che paga in termini, per lui, agevolati (metà importo del salario, magari con contributi onnicomprensivi) e, pertanto, è molto incentivato a reperire ed arruolare nuove forze lavorative.
Ma può la sinistra italiana arrendersi davanti ad una evidenza come questa? La risposta è quella di Cambronne: “Merde, jamais!”.
Piuttosto che concedere agli “odiati padroni” il vantaggio di una gestione favorevole delle assunzioni, preferisce elargire, a titolo gratuito, sulle spalle di tutti i contribuenti italiani, denari improduttivi a chi poi, magari, integra il gentile omaggio con una miriade di lavori in nero che nessuno controlla. Come il marito che, piuttosto che dare piacere alla moglie antipatica, si taglia il membro, per farle dispetto.
It is, often, the case that the person
who shouts “Catch the thief!” the loudest,
happens to be the thief himself.
Spesso si scopre che quello che grida,
più forte di tutti “Al ladro, al ladro!”,
è il ladro stesso.
Dimitry Orlov.
L’Italiano ha un tale culto per la furbizia, che arriva persino all’ammirazione di chi se ne serve a suo danno. Il furbo è in alto, in Italia, non soltanto per la propria furbizia, ma per la reverenza che l’Italiano, in generale, ha della furbizia stessa, alla quale principalmente fa appello per la riscossa e per la vendetta.
Nella famiglia, nella scuola, nelle carriere, l’esempio e la dottrina corrente – che non si trova nei libri – insegnano i sistemi della furbizia. La vittima si lamenta della furbizia che l’ha colpita, ma, in cuor suo, si ripromette di imparare la lezione per un’altra occasione.
La diffidenza degli umili, che si riscontra in quasi tutta l’Italia, è appunto l’effetto di un secolare dominio dei furbi, contro i quali la corbelleria dei più si è andata corazzando di una corteccia di silenzio e di ottuso sospetto, non sufficiente, però, a porli al riparo dalle sempre nuove scaltrezze di quelli.
Giuseppe Prezzolini.