Numero1406.

Ho sentito il prurito di disquisire,sul piano etimologico, antropologico e filosofico, sulla parola: “persona”.
Il concetto di “persona” è principalmente filosofico ed esprime la singolarità di un individuo della specie umana. E’ l’individuo umano in quanto oggetto di considerazione o di determinazione nell’ambito delle funzioni e dei rapporti della vita sociale.
La sua etimologia ha due tracce, che, in qualche modo, si intersecano e coincidono: la prima fa risalire il termine all’ etrusco “phersu” (maschera dell’attore, personaggio), che trova il suo corrispondente nel greco “pròsopon”, dove il prefisso “pro” dice chiaramente che si tratta di qualcosa che si mette davanti (alla faccia). Dal greco al latino: da una radice “pars” (parte), che ha sempre a che fare con il teatro, si passa alla “persona”, che ha un prefisso “per” che indica un attraversamento per diffusione (nell’aria) del suono, e un suffisso dalla radice “sonare”, che vuol dire, appunto, diffondere il suono.. Era, infatti, la “maschera” e questa aveva una  duplice funzione: quella di identificare il personaggio, con le sue fattezze, quasi sempre caricaturali, e quella di fungere da amplificatore o da microfono. Nelle cavee teatrali di un tempo il problema dell’acustica era molto importante. Gli attori aumentavano il volume della voce, con il rimbombo entro la maschera o “persona” che era più grande del volto. A me piace pensare che una persona sia una maschera. Con il mio solito disincanto. ritengo che tutti, chi più, chi meno, chi peggio, chi meglio, stiamo recitando una parte nella vita, che può essere commedia, tragedia o, talvolta tragicommedia. Siamo “personaggi” del grande dramma dell’esistenza e ognuno recita la sua parte, a seconda delle sue capacità di attore. Nella presente fase della nostra civiltà, trovo che la persona sta assumendo sempre più le sembianze e il ruolo del suo significato etimologico: “maschera”. Dietro ad essa, ci nascondiamo adoperando il mondo virtuale e i “social” per “spersonalizzarci” e recitare non la parte di ciò che siamo, ma la parte di ciò che vorremmo essere. E non saremo mai.

Numero1402.

Che cos’è la filosofia?

E’ la messa in questione del senso comune. E’ vedere se le cose che si dicono, se le opinioni diffuse, se la mentalità media sono giustificate nelle loro affermazioni, oppure no. Socrate si definisce il “dotto ignorante” e, alla domanda: “Qual è il tuo compito, se non sai niente, se non sei sapiente?”, risponde: “I sacerdoti e i sapienti dispongono della verità, non i filosofi. Tenetela presente questa differenza: il sacerdote può insegnarvi una verità, la sua, il sapiente può insegnarvi un’altra verità, già confezionata. Il filosofo, no. Il mio compito è come quello dei vasai che, con la nocca del dito, provano se il vaso è di vero bronzo, oppure di altro materiale scadente. Vale a dire: io verifico se le vostre opinioni stanno in piedi da sole, per le loro argomentazioni, se sono prive di contraddizioni o se, invece, sono un “sentito dire”, oppure sono una adesione ad una fede, oppure l’adesione ad una autorità”.  Tutto ciò non interessa  alla filosofia. La filosofia nasce quando voi sapete argomentare quello che dite, a prescindere dalla fede, a prescindere dall’autorità,a prescindere dall’opinione diffusa, a prescindere dalla seduzione degli affetti. La filosofia significa pensare con la propria testa e argomentare le vostre cose e, nei confronti del senso comune, che non è il “buonsenso”, assumere un atteggiamento critico. Critico vuol dire: quel che si dice ha un fondamento, oppure vale solo perché lo dicono tutti? E questo è particolarmente significativo in un’età, come la nostra, dove le opinioni si formano attraverso la televisione, attraverso” internet” e i “social” e si assumono semplicemente perché sono diffuse e non perché sono argomentate. Siccome nell’adolescenza incomincia questo atteggiamento critico, è in questa età che si pone la domanda filosofica. Poi, magari, la si abbandona, si rientra nel gregge. Ma nell’adolescenza non siete ancora pecore, siete soggetti pensanti perché inquieti, perché turbati, perché non ci state più nella visione precedente del mondo e non avete ancora costruito quella nuova. E’ l’età dell’incertezza: è la più feconda. Gli insegnanti dovrebbero aver cura di questa incertezza e di questa fecondità.

Umberto Galimberti.