P I A C E R E E D E V O L U Z I O N E Le endorfine, motore della civiltà e del progresso.
C’è poco da meravigliarsi e, ancor meno, da fare. È sempre più evidente, alla luce dei recenti studi e delle conoscenze acquisite, che l’animale uomo ha un codice genetico prescritto, nel senso che è scritto prima: fin dalla nascita di un individuo umano, saremmo in grado di conoscere praticamente tutto il suo percorso esistenziale, le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, addirittura la data della sua morte.
Siamo davanti ad un determinismo quasi tragicomico, che ci potrebbe indurre nella banale e, al tempo stesso, ridicola considerazione: ma che diavolo siamo venuti a fare in questo mondo?
Se tutto è già stabilito, se nulla ci è dato da sviluppare, da modificare, da migliorare rispetto a quanto previsto dall’algoritmo della vita, pur personalizzata e specificata, che siamo destinati ad attraversare, qual è il nostro compito di viventi mortali?
Non mi pare una domanda stupida.
Ebbene, nel pormi tale quesito, adesso che della mia vita sono verso la fine, mi si è aperto davanti uno scenario di meditazione e di riflessione che mi ha incuriosito e solleticato. E che vado a sviscerare, con tutte le cautele del caso, data l’importanza cruciale del tema.
L’analisi sommaria della storia umana ci dice, tuttavia, che, nello scorrere di decine di millenni, passi avanti se ne sono fatti, dalle condizioni primordiali di uomini delle caverne agli agi e disagi di oggi. Sì, anche disagi, e molti. C’è chi pensa che l’evoluzione dell’umanità verso condizioni di civiltà, di sicurezza, di maggior benessere sia addirittura su una china rapidamente decrescente, a causa degli usi ed abusi che l’uomo sta facendo del patrimonio naturale che aveva come dotazione di partenza.
Ma, tutto considerato, il miglioramento verso condizioni di vita molto più accettabili e godibili è un dato di fatto.
La domanda che mi pongo è questa: cosa ha spinto l’uomo a cercare, trovare e consolidare un livello di esistenza, nel vivere civile, individuale e sociale, sempre più elevato, evoluto, proteso verso la soddisfazione dei propri bisogni materiali e sogni spirituali e mentali? Insomma, qual è la molla che ha spinto l’uomo verso il progresso personale e collettivo, nel corso dei millenni, a dispetto del fatto che tutto sarebbe bloccato, già stabilito, predestinato, a partire dalla fase finale del suo percorso, cioè la morte?
La risposta, secondo la mia opinione, sta nella ostinata, pervicace, quasi maniacale ricerca del piacere.
Nel quotidiano esercizio biologico, l’essere umano ha sviluppato, all’interno dei suoi meandri cerebrali, il modo di secernere stimolanti ormonali, di implementare neurorecettori, neurotrasmettitori, impulsi elettrici pulsionali per concepire e realizzare le condizioni per vivere più felicemente.
Consapevole della limitatezza temporale della propria esistenza, ha istintivamente, ma naturalmente, concepito e coltivato il sogno e il bisogno di vivere meglio. E questo è avvenuto, e sta ancora in larga parte avvenendo, in maniera endogena, ovvero attingendo a supporti da lui stesso prodotti, dentro il corpo in dotazione.
La produzione di dopamina, di serotonina, di noradrenalina e di altre endorfine, è la chiave del progresso umano e della sua evoluzione. Sono tutte sostanze che l’uomo secerne dalle proprie ghiandole e da altri sistemi e organi predisposti e che fluiscono, attraverso il sistema sanguigno, fino a raggiungere ogni punto, pur periferico, del corpo: portano un aumento delle sensazioni di piacere e di benessere, oppure un’attenuazione delle sensazioni di dolore e di stress.
Il meccanismo di questa funzione è descritto nelle informazioni tecnico scientifiche che seguono e che invito il lettore a non trascurare, per la miglior comprensione di quanto vado esponendo.
A me rimane ancora di fare qualche altra considerazione sull’argomento. Non sempre l’uomo ha avuto il tempo e il modo di cercare la propria felicità fisica e psicologica attraverso le capacità endogene di secernere endorfine: spesso, anzi, è ricorso a delle scorciatoie molto pericolose, la cui frequentazione ed adozione comportano sempre un corrispettivo, in termini di salute complessiva, oltremodo devastante: le droghe.
Per sopperire alla propria inettitudine o malessere o disadattamento, magari solo per curiosità o per sfida o per vizio, per procurarsi i brividi di sensazioni esaltanti di benessere di poche ore o di pochi minuti, un uomo ricorre a questo surrogato di felicità perché non è in grado di organizzare autonomamente il ricorso alle sue droghe naturali che non danno mai assuefazione ma che danno sempre soddisfazione, quelle che produce in proprio: le endorfine, il “fai da te” del benessere.
Ma, tornando all’argomento di partenza, vorrei anche fare una considerazione di carattere generale sull’uomo, sulla sua storia, sul suo rapporto con il piacere e il benessere, e sui condizionamenti sociali che nei millenni sono stati messi in atto per limitare, scoraggiare, tarpare la propensione dell’uomo verso la felicità.
Il concetto formatore ed informatore delle religioni, sto pensando alle tre grandi religioni monoteiste, nei secoli passati ed anche oggi, non è mai stato a favore della felicità dell’uomo, così come la intendo e descrivo qui sopra.
L’uomo è mortale, l’uomo è peccatore, anzi,” il peccato originale” è quello di essere nato: è una tara che si porta appresso tutta la vita. Questa vita deve spenderla per espiare tale condizione, ricorrendo a rinunce, osservando rituali, obbedendo a frustrazioni innaturali che gli impediscono di perseguire la propria ricerca del benessere.
Tale stato di costrizione e di castrazione è salvaguardato da un complesso di norme etiche concepite da uomini per gli uomini, nel nome di un Dio. E ogni religione ci mette il suo.
È la natura che spinge l’uomo verso il benessere, cercando e realizzando il piacere: le religioni lo condannano.
In termini di evoluzione, mi sento di indicare un esempio storico che attiene alle espressioni figurative artistiche nell’arco dei secoli. Prendete, ad esempio, l’arte figurativa della Grecia antica, dai bronzi di Riace alle statue marmoree della bellezza classica, che ci sono rimaste, nei musei di tutto il mondo occidentale. Dal punto di vista figurativo, cioè intendendo solo la riproduzione della realtà, che era tanto più apprezzata quanto più somigliante al vero, erano artisticamente inarrivabili. Tant’è che il Rinascimento, nostro ed europeo, con uno scatto e riscatto, con una svolta epocale, aveva fatto riferimento a questi canoni di perfezione stilistica per dare al mondo le opere d’arte che conosciamo. Come pure gli affreschi pompeiani che possiamo ammirare ancora oggi sulle pareti delle ville meglio conservate della città vesuviana: erano riproduzioni di personaggi della mitologia o della vita reale o del mondo naturale con caratteri figurativi esteticamente molto belli e raffinati. E il mondo greco e romano aveva un concetto della vita privata molto liberale, per non dire libertino: la ricerca del piacere era una cosa naturale e questo traspariva anche nelle raffigurazioni senza tabù e senza censure di cui si circondavano.
Prendete, invece, le statue e i dipinti di più di mille anni dopo, le produzioni artistiche, che io chiamerei piuttosto artigianali, del Medioevo, periodo nel quale la cappa di piombo della religione Cristiana, in Europa, aveva soffocato e represso ogni slancio artistico verso il bello, fosse anche di soggetto religioso. Confrontate le rappresentazioni, che sono della stessa natura figurativa, cioè tentativi di riprodurre il reale, e vi accorgerete, a ragion veduta, che le figure della classicità greco-romana sono infinitamente più belle, dal solo punto di vista figurativo, di quella medioevali. Questo per dire che, storicamente, si era verificato un regresso delle sensibilità e delle capacità artistiche di rappresentazione indotto dall’oscurantismo delle autorità religiose Cristiane, che avevano in odio il sillogismo greco “kalòs kai agathòs” (il bello è buono), che aveva etichettato i pensieri e le opere del mondo classico aperto, anzi spalancato, a quelle che si chiamavano le “arti liberali”.
Le espiazioni, le penitenze, i castighi e le pene per i peccati commessi, non avevano bisogno di essere rappresentati in maniera elegante e ben eseguita: bastava la stucchevole approssimazione e la banalità becera dell’artigiano poco erudito, invece che la raffinatezza dell’artista acculturato e sensibile. Non avevano miglior sorte Santi, Martiri, Madonne e Cristi in croce raffigurati da artigiani senza cultura e buon gusto estetico, sotto i dettami delle commesse clericali. Per quanto riguarda le rappresentazioni “artistiche”, comprese quelle religiose, uno scadimento generale dal punto di vista qualitativo è la costante identificativa del Medioevo Cristiano in Europa.
La ricerca del piacere , nel Medioevo, era un peccato da consumare ipocritamente di nascosto.
Mentre invece, lenire il dolore e dare sollievo alla sofferenza erano una pratica che cadeva sotto la vigile gestione del clero, secondo una filosofia che non ho mai capito né condiviso, perché innaturale e disumana. Il fatto che, secondo la religione Cristiana, Gesù si era sacrificato per noi sulla croce, fra atroci sofferenze, sembra abbia conferito agli addetti ai lavori (rappresentanti religiosi a tutti i livelli, compresi quelli di bassa manovalanza) il compito e il diritto di ridistribuire le Cristiane sofferenze corporali ai fedeli, con un accanimento antiterapeutico incredibile e una libidine sadica inaudita.
Non parlo, certamente, della Santa Inquisizione che ha inflitto pene e torture efferate a ipotetici indiavolati od eretici, ma parlo di una consuetudine inveterata e in vigore fino ad una cinquantina di anni fa, che io ho visto e aborrito: la funzione infermieristica e assistenziale, in nome della carità Cristiana, negli ospedali, nei luoghi di cura, negli ospizi era affidata a solerti suorine che, oltre a dare effettivamente aiuto nella gestione degli infermi, quando uno di questi si trovava in condizioni di insopportabile sofferenza ed era in preda a dolori lancinanti, persino in punto di morte, anziché dargli sollievo per mezzo di analgesici e quant’altro, che pure esistevano, si limitava a ficcargli un fazzoletto in bocca e a mettergli un rosario nelle mani. In nome dell’espiazione dei peccati che aveva commesso e a similitudine dei patimenti dell’icona Cristiana di Gesù crocifisso. Adesso le cose sono cambiate, ma si tratta dello stesso taglio mentale di coloro che, a tutt’oggi, si oppongono all’eutanasia. Un buon Cristiano deve soffrire fino alla morte.
La religione Cristiana, molto più di tutte le altre, non è favorevole al piacere, perché ha fatto della sofferenza un paradigma comportamentale di redenzione e di sublimazione. Il Cristianesimo è la religione del dolore.
Alcune religioni, come l’Induismo (che conta quasi un miliardo di fedeli), sono invece cassa di risonanza per il godimento dei piaceri fisici (vedi il Kamasutra) e non considerano peccaminoso niente che riguardi, ad esempio, la sfera sessuale.
In generale, tuttavia, le religioni monoteiste (Cristianesimo, Islam, Ebraismo) non sono amiche del piacere.
Ma, il piacere l’uomo lo concepisce e lo produce in proprio: per godere di uno stato di benessere non serve ostentarlo o dimostrarlo agli altri, magari arrecando disturbo, basta provarlo dentro di sé, perché dentro di sé, autonomamente, sono prodotte le sostanze neurochimiche che possono provocarlo.
Perché le religioni devono controllare la mia intimità, la mia privacy, la mia sfera privata?
È forse questo ragionamento un atto di superbia di chi non si vuole chinare alle autorità di controllo della persona e della personalità?
Qualcuno la chiami superbia, o insubordinazione, io la chiamo libertà.
N.d.R. Quello che sotto riporto è un articolo de IL FATTO QUOTIDIANO in data 29 Settembre 2020, pubblicato 3 giorni dopo la mia stesura del Numero2067.
L’articolista è Marco Marzano, Professore Ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo.
Fine vita, nel duro documento vaticano noto due cose. La prima: nessuna conoscenza della realtà
Nei giorni del caso Becciu che tanto appassiona i vaticanisti di ogni parrocchia è passata quasi sotto silenzio la pubblicazione, da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, di un lungo documento sull’eutanasia e il fine vita. Il testo è importante e solenne e fa ancora una volta chiarezza sull’impianto culturale e politico che contraddistingue gli interventi ufficiali delle autorità cattoliche.
Due elementi mi hanno colpito più degli altri nella durissima requisitoria antieutanasica redatta dall’organismo guidato dal potente cardinal Luis Francisco Ladaria, uomo di fiducia di Francesco che lo ha nominato prefetto della congregazione in sostituzione del tedesco Muller.
Il primo elemento è metodologico e consiste nella totale assenza di una seria analisi empirica. Gli estensori del documento affrontano temi enormi come le cure palliative, l’accanimento terapeutico, il suicidio assistito senza mostrare nessuna traccia di conoscenza della realtà, senza nessuna reale competenza. E’ infatti altamente improbabile che qualcuno tra le migliaia di operatori sanitari che ogni giorno affrontano la fine della vita altrui sia mai stato interpellato per redigere il documento.
Se questo fosse avvenuto, non solo sarebbero confluiti nel testo la complessità, le ambiguità, i paradossi, le mille sfumature che caratterizzano la drammatica realtà della fine della vita nel nostro tempo, ma sarebbero state evitate affermazioni puramente impressionistiche e di senso comune, del tutto prive di un solido fondamento, come quella secondo la quale solo la fede religiosa nell’esistenza dell’aldilà riduce la paura della morte. E se invece fosse vero il contrario? Se il timore dell’imminente giudizio di Dio aumentasse in modo formidabile l’angoscia di chi muore? In assenza di affidabili dati empirici è impossibile stabilire quale sia la verità e quindi se muoiano più serenamente i credenti o i non credenti. E questo è solo un esempio tra i tanti.
Il fatto è che nella Samaritanus Bonus le citazioni sono solo quelle dei pontefici e dei documenti vaticani e che il testo consiste esclusivamente di prescrizioni, obblighi e ricette tutti ricavati da un impianto dottrinale astratto e povero, immutato nel tempo e applicato meccanicamente ad una specifica realtà sociale. Per questa ragione, per il suo carattere integralmente dogmatico e ideologico, esso convince solo chi è già convinto, risultando del tutto inutile per chi deve confrontarsi con la realtà del morire, per il personale sanitario, per le famiglie dei morenti, per gli psicologi e persino per gli stessi sacerdoti impegnati nell’attività pastorale negli ospedali e negli hospices.
Il secondo elemento che mi ha colpito è la negazione alla radice di qualsiasi forma di riconoscimento dell’autonomia e della libertà dei soggetti. Si legge nel documento che “sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà”. In altre parole, secondo gli autori del documento, quando chiede di porre termine alla sua vita, un individuo pretende di esercitare un diritto che non possiede. E’ un motivo analogo a quello che porta a negare la legittimità di richiedere un aborto o di usare degli anticoncezionali, di divorziare o di congiungersi a una persona dello stesso sesso. La voce di chi pretende di negare la legge di Dio, secondo la gerarchia cattolica, non solo non va ascoltata perché nasce da un’errata e distorta interpretazione della propria libertà, ma va messa fuori legge, va considerata empia e criminale. Ed empie e criminali devono essere giudicate quelle legislazioni che la consentono. In questo modo di procedere non rileva il fatto che, nelle nostre società, esistano tanti individui che all’esistenza di Dio non credono o che ritengono che quella annunciata dalla Chiesa Cattolica non sia la sua legge autentica.
Quello sullo sfondo del documento, e quello dell’intera dottrina morale cattolica, si conferma, in barba a tutte le promesse di rinnovamento, un orizzonte squisitamente teocratico, nel quale la legge divina deve travasarsi sic et simpliciter nella legislazione dello stato, informandola di sé e impedendo ogni pluralismo di valori, sbarrando la porta ad ogni dialogo con chi la pensa in modo diverso.
Viene da chiedersi cosa rimanga della tanto sbandierata “rivoluzione della misericordia” annunciata dai supporters di Francesco come segno distintivo e qualificante del pontificato argentino. A me sembra, al contrario, che anche qui, come su altri terreni (il celibato ecclesiastico, la presenza femminile, il ruolo della curia, eccetera) i duecento anni di ritardo della Chiesa rispetto al mondo moderno lamentati a suo tempo dal cardinal Martini si notino tutti, non uno di meno.
N.d.R. Aggiorno l’argomento pubblicando un articolo del giornalista Carlo Troilo , in data 3 Ottobre 2020, su IL FATTO QUOTIDIANO.
Fine vita, il Vaticano potrebbe ostacolare ancora la discussione in Parlamento: l’ennesima intromissione
Nel cuore dell’estate – il 14 luglio – Papa Bergoglio ha approvato una “lettera” della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla eutanasia, dal titolo Samaritanus Bonus: un documento molto ampio, in cui l’eutanasia è condannata senza eccezioni né attenuanti come un atto di crudeltà, con toni che definirei brutali.
Proprio perché nella “lettera” non vi è nulla che non sia stato detto e ripetuto infinite volte dal Papa e dalle alte gerarchie ecclesiastiche, colpisce questa uscita a freddo. E legittima il sospetto che il Vaticano si prepari ad ostacolare ancora una volta l’avvio della discussione in Parlamento della legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione della eutanasia, presentata dalla Associazione Luca Coscioni il 13 settembre del 2017 (dunque, da più di tre anni) con 76mila firme di cittadini/elettori, che nel frattempo sono diventate 136mila.
Probabilmente, preoccupa il Vaticano anche il fatto che per iniziativa della Associazione si è costituito un “Intergruppo Eutanasia”, cui si sono già iscritti 72 parlamentari, fra deputati e senatori. Per non dire del continuo aumento degli italiani favorevoli alla eutanasia e/o al suicidio assistito: il dato più recente è quello fornito da uno studio dell’Eurispes sui temi etici, da cui risulta che gli italiani favorevoli alla eutanasia sono il 75,2% (erano il 55,2% nel 2015). Ed è importante notare che questo orientamento degli italiani è comune anche alle regioni più caratterizzate da un orientamento politico di destra e da una forte tradizione cattolica: ne è prova l’indagine annuale dell’Osservatorio del Nord Ovest pubblicata dal Gazzettino.
Fortunatamente, l’ascendente della Chiesa sugli italiani è sempre meno rilevante. Franco Garelli, che insieme ad altri sociologi ha curato una voluminosa indagine per la conferenza episcopale, prova a delimitare l’area di quanti possano dirsi veramente cattolici nell’Italia di oggi. “I credenti militanti – spiega – coloro che fanno parte di gruppi, associazioni, movimenti e danno grande rilevanza all’esperienza comunitaria della fede sono circa un 10 per cento. I praticanti assidui, che però non avvertono l’esigenza di una vita religiosa collettiva e di una visibilità, sono un altro 15-20 per cento. Sommando entrambi i gruppi si arriva ad un 30 per cento di credenti regolari”.
In un articolato e duro commento alla Samaritanus bonus, il dottor Mario Riccio – il medico che aiutò a morire Piergiorgio Welby, dirigente della Associazione Coscioni – rileva che il documento vaticano arriva due settimane dopo l’annuncio del deputato del M5S Giorgio Trizzino, medico palliativista, che ha confermato la calendarizzazione del ddl entro ottobre, dopo due anni di audizioni. E Riccio esprime con forza la sua indignazione per il fatto che il Vaticano – come ai tempi dei primi aborti – torni a trattare i medici favorevoli alla eutanasia come “sicari”, ignorando una serie di fenomeni che si possono così sintetizzare:
1. Le leggi che in molti paesi del mondo – comprese due importanti comunità autonomiche della cattolicissima Spagna – hanno legalizzato l’eutanasia;
2. Lo sdegno della maggioranza degli italiani per la durezza della Chiesa in vicende (Welby, Englaro, Dj Fabo), che hanno profondamente commosso l’opinione pubblica del nostro paese;
3. Le assoluzioni di Marco Cappato nel caso del Dj Fabo e di Cappato e Welby nel caso Trentini;
4. La sentenza della Corte Costituzionale legata alla vicenda di Fabiano Antoniani, fortemente innovativa in materia di eutanasia.
Dunque, siamo di fronte ad un ennesimo episodio di intromissione della Chiesa nelle vicende politiche italiane, che purtroppo trova una sponda nell’elevato numero di parlamentari “teodem”, o comunque attenti a non contrastare apertamente queste intrusioni per il timore di perdere simpatie (e voti) fra l’elettorato cattolico.
Forse è il caso di ricordare che la Chiesa – che quando si parla di eutanasia invoca la sacralità della vita – fu l’ultimo degli Stati italiani, prima dell’Unità, ad avere nel proprio ordinamento la pena di morte. L’ultimo giustiziato fu Agabito Bellomo, un brigante condannato per omicidio e ghigliottinato a Palestrina il 9 luglio 1870, due mesi prima della conquista di Roma da parte delle truppe sabaude. E solo nel 2001 la pena capitale è stata formalmente abolita per iniziativa di Papa Giovanni XXIII (in Italia era stata abolita nel 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione). Per non parlare della Inquisizione e delle sue torture.
N.d.R. Quello che segue è un “copia e incolla” di informative che si trovano sul WEB, da me selezionate.
Non meravigliatevi di qualche ripetizione.
Segnalo, inoltre, agli interessati che molte notizie utili si possono trovare sotto il TAG “Cervello”.
Le endorfine sono un gruppo di sostanze chimiche prodotte dal cervello, nel lobo anteriore dell’ipofisi, classificabili come neurotrasmettitori. Dotate di una struttura peptidica e di proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio, presentano tuttavia una portata ben più ampia rispetto a queste ultime.
Caratteristiche
Quando un impulso nervoso raggiunge la colonna vertebrale, le endorfine vengono rilasciate in modo da prevenire un ulteriore rilascio di questi segnali. Sono presenti nei tessuti degli animali superiori e vengono rilasciate in particolari condizioni e in occasione di particolari attività fisiche estenuanti: atleti di livello avanzato, ad esempio, diventano “dipendenti” dall’allenamento intenso proprio perché causa un grande rilascio di endorfine. Anche una forte emozione rilascia endorfine, così come l’ingestione di certi cibi, ad esempio la cioccolata e in generale alimenti dolci o comunque ricchi di carboidrati ma anche lo strofinamento prolungato sulla pelle, come avviene durante il massaggio, permette una grande produzione di endorfine.
Numerose ricerche si stanno ancora effettuando in proposito, ma è opinione comune che le endorfine svolgano un’azione di coordinazione e controllo delle attività nervose superiori, tanto da poter essere eventualmente correlate con l’instaurarsi di espressioni patologiche del comportamento nel caso in cui il loro rilascio divenisse incontrollato.
Come anche numerosi alcaloidi di derivazione morfinica, le endorfine sono in grado di procurare uno stato di euforia (specie se unite all’adrenalina, che è un ormone secreto dalle ghiandole surrenali della categoria delle catecolammine) o di sonnolenza più o meno intenso a seconda della quantità rilasciata; questi stessi effetti si possono riscontrare anche durante l’orgasmo, da cui deriva la tipica condizione fisica correlata. Le endorfine diminuiscono anche la fatica e il dolore cronico e non troppo acuto.
L’espressione Endorphin rush (letteralmente “scarica di endorfina”) si usa per indicare una sensazione di stanchezza dovuta al dolore, specie acuto, o un’altra forma di stress. Studi collegano forme di autolesionismo e di masochismo fisico (algolagnia) al piacere derivato dal rilascio di endorfine.
Runner’s high
Con l’espressione Runner’s high (letteralmente “sballo del corridore”) si intende la sensazione di euforia, simile a quella derivante dall’assunzione di certe sostanze stupefacenti, riscontrata da molti atleti durante la pratica sportiva prolungata.
Prima che fossero compiute ricerche mirate al riguardo, questa condizione era per lo più attribuita a cause psicologiche invece che a una causa neurochimica: infatti alcune ricerche risalenti al 2008 hanno provato la dipendenza di questa sensazione euforica dal rilascio di endorfine da parte dell’ipofisi durante l’esercizio fisico di una certa durata, che varia da soggetto a soggetto ma in genere non è mai inferiore ai trenta minuti consecutivi.
Essendo necessario uno sforzo prolungato, il runner’s high è molto più frequente in atleti specializzati nelle attività aerobiche come la maratona, da cui il nome, o il ciclismo.
La produzione di endorfine nel nostro organismo può dar luogo ad una piacevole sensazione di benessere. Le endorfine inoltre aiutano ad alleviare il dolore. Queste sostanze fanno parte di antichi meccanismi di sopravvivenza, che ci hanno permesso di continuare a lottare anche quando siamo sotto stress.
Cosa sono le endorfine? Le endorfine sono delle sostanze prodotte dal cervello nel lobo anteriore dell’ipofisi. Vengono classificate come neurotrasmettitori. Hanno proprietà analgesiche che le rendono più potenti persino della morfina. Del resto il termine endorfine significa “morfine endogene”, cioè morfine prodotte dal nostro organismo. Una forte emozione o un allenamento intenso possono provocare il rilascio di endorfine.
Le endorfine ci aiutano anche a recuperare dopo un infortunio. La produzione può essere influenzata da diversi fattori, ad esempio da odori e profumi piacevoli. Sono davvero molti i modi per stimolare la produzione di endorfine nel nostro organismo in modo naturale. Ve ne suggeriamo dieci.
Indice
Allenarsi e praticare sport
L’attività fisica aiuta l’organismo a rilasciare endorfine. La sensazione di benessere provata dagli sportivi durante gli allenamenti per qualche tempo era stata correlata a motivazioni psicologiche, ma in seguito la scienza si è resa conto che il rilascio di endorfine associato ad un allenamento (di almeno trenta minuti) ha cause neurochimiche. Il fenomeno del “runner’s high”, una vera e propria euforia da sport e da corsa, è più frequente nei ciclisti e nei maratoneti perché la loro attività fisica è molto prolungata. Ma chiunque abbia mai praticato uno sport conosce bene le sensazioni di benessere che ne possono derivare.
Gustare il proprio cibo preferito
Mangiare il proprio cibo preferito aiuta l’organismo ad avvertire una vera e propria sensazione di benessere e a stimolare la produzione di endorfine. Uno degli esempi più classici da questo punto di vista è il cioccolato, ma secondo le ricerche questo fenomeno si può estendere a tutti i cibi gustosi che amiamo particolarmente. Ecco perché dopo aver mangiato qualcosa che ci piace ci sentiamo felici e appagati.
Ascoltare musica
La scienza è sempre più interessata agli effetti positivi della musica nella vita quotidiana. Spesso una semplice canzone di sottofondo ci aiuta a sentirci meglio soprattutto quando siamo tristi. È merito della produzione di endorfine, che viene stimolata dall’ascolto. Secondo uno studio scientifico dedicato a questo argomento, ascoltare musica innalza la soglia del dolore e ha degli effetti positivi sul nostro stato di benessere.
Scambiarsi baci e abbracci
Baci, abbracci, carezze e coccole ci aiutano a sentirci meglio anche perché portano il nostro corpo a rilasciare endorfine. I benefici del contatto fisico con le persone a cui vogliamo bene sono davvero numerosi. Ad esempio, un semplice abbraccio può aiutare a ridurre lo stress, a fare la pace, a rafforzare il rapporto tra mamma e figlio e persino a vincere l’ansia e a migliorare la memoria.
Accarezzare un animale domestico
Accarezzare un animale domestico è davvero benefico in ogni momento della giornata. È anche per questo motivo che alcuni ospedali in Italia e nel mondo accettano che i nostri amici a quattro zampe facciano visita a chi si trova in ospedale. Ad esempio, quando un gatto si avvicina e vi sfiorate la fronte a vicenda, ecco che vengono rilasciate endorfine sia in voi che nel vostro amico peloso. Un gesto dolcissimo che vi farà sentire subito meglio.
Sorridere
Sorridere è un toccasana per la salute e per l’umore. Aiuta il nostro corpo a rilasciare endorfine, non costa nulla e ci fa sentire subito meglio. I benefici di un sorriso sono davvero numerosi. Sorridere riduce lo stress e il rischio di ictus, aumenta la fiducia in se stessi e negli altri e ci permette di fare una pausa per poi ripartire ancora più concentrati con le nostre attività quotidiane.
Sentire profumo di vaniglia o di lavanda
Alcuni profumi più di altri stimolano il nostro organismo a produrre endorfine. Ne sono un esempio il profumo di vaniglia e di lavanda, due aromi delicati che regalano immediatamente una sensazione di benessere, portano relax e ci ricordano la nostra infanzia. Il profumo di vaniglia riduce l’ansia mentre il profumo di lavanda ci aiuta a rilassarci e a dormire meglio, tanto che a chi soffre di insonnia viene consigliato di cospargere il cuscino con qualche goccia di olio essenziale di lavanda.
Assaggiare qualcosa di piccante
Chi ama il peperoncino e il sapore piccante forse inconsciamente ha capito che nonostante qualche piccolo fastidio nel consumare questi alimenti, il risultato è una sensazione di benessere. Ciò perché pare che il gusto piccante aiuti l’organismo a rilasciare endorfine come risposta alle leggere sensazioni di pizzicore e di bruciore che il peperoncino può provocare sulla nostra lingua e sul palato.
Ballare
Il ballo e la danza non sono semplicemente un divertimento o un’occasione per fare movimento. Vengono utilizzati anche come una forma di terapia per il benessere. Questo perché il ballo e la danza uniscono sia il movimento che l’ascolto della musica, due attività che insieme aiutano ancora di più il nostro organismo a produrre endorfine. Secondo alcuni studi, ballare potrebbe portare un maggior benessere anche rispetto alla pratica di uno sport.
Meditare
Secondo il Brainwave Research Institute, meditare stimola la produzione delle endorfine da parte del nostro organismo. La meditazione può garantire al nostro corpo e alla nostra mente una vera e propria sensazione di gioia e di benessere. Ciò perché grazie alla meditazione possiamo raggiungere quel punto in cui ha sede la nostra felicità interiore. Meditare e correre sono attività differenti, ma il miglioramento dell’umore dopo una corsa o dopo la meditazione è risultato molto simile, proprio grazie alla produzione di endorfine.
Le endorfine, note anche come “morfine endogene”, sono implicate nei meccanismi di controllo del piacere e del dolore: lo studio di queste molecole prodotte naturalmente dal cervello apre scenari stimolanti.
«Parlare di endorfine oggi è quanto mai attuale, dato che il benessere, il piacere, l’allontanamento del dolore costituiscono gli obiettivi che sempre di più sembrano condizionare la nostra qualità di vita» spiega il dottor Mauro Porta, neurologo presso l’Istituto Ortopedico Galeazzi IRCCS di Milano: «Le endorfine sono una sorta di “oppiaceo”, naturalmente prodotto, che comporta attenuazioni delle sensazioni dolore, “drive” positivo, cioè eccitamento, voglia di agire, buon umore».
Quando sono state scoperte le endorfine?
L’avventura inizia in un oscuro mattatoio sulle coste scozzesi, dove il ricercatore John Hughes, insieme al team della Unit for Research on Addictive Drugs del Marischal College dell’Università di Aberdeen, ogni giorno si procurava cervelli di maiale da analizzare.
Muove le ricerche il tentativo di individuare una sostanza simile alla morfina, alcaloide estratto dall’oppio che in medicina è sfruttato per le proprietà analgesiche. L’ipotesi era che l’azione della morfina imitasse sostanze che forse erano già presenti nell’organismo. Esisteva davvero un oppioide endogeno? Oggi sappiamo che è così.
Come funzionano le endorfine?
«Le endorfine vengono prodotte nell’ipofisi, nel surrene e a livello del sistema gastrointestinale, il nostro “secondo cervello“» chiarisce il dottor Mauro Porta «Si tratta di ormoni proteici che vengono rilasciati nel torrente sanguigno e che ritroviamo implicati nelle situazioni di benessere, di felicità, di gioia oppure in situazioni algogene (che procurano dolore) come il parto, il ciclo mestruale, gli eventi traumatici. Si ritrovano elevati livelli endorfinici anche dopo un rapporto sessuale o dopo l’attività sportiva».
«Le endorfine entrano nei meccanismi determinanti il ciclo sonno-veglia, la termoregolazione, l’appetito e comportano un aumento dei livelli ACTH, l’ormone adrenocorticotropo (Adreno Cortico Tropic Hormone – ACTH), conosciuto anche come corticotropina, è un ormone proteico prodotto dalle cellule dell’ipofisi anteriore (adenoipofisi), cortisone, prolattina, ormone della crescita e catecolamine, agendo così indirettamente su target diversi da quelli sinaptici. Molti sono i trattamenti, medici e non, che comportano liberazione di endorfine: non da ultime l’agopuntura e altre tecniche di rilassamento così come anche le esperienze sensoriali “piacevoli” come la musica o altre collegate alla vista e all’olfatto» prosegue l’esperto.
Fisiologicamente le molecole attive sui recettori peptidi oppiodi naturali sono le encefaline, le endorfine e le dinorfine. Per peptide oppioide si intende una sostanza sintetica o prodotta naturalmente dall’organismo con gli effetti dell’oppio e della morfina, suo costituente principale. Attualmente conosciamo tre tipi di recettori, tutti caratterizzati da un’azione di tipo analgesico. Il loro meccanismo di funzionamento è legato alla modificazione dell’elettrofisiologia del potassio e del calcio.
Verso una medicina endogena
Sapendo che la modalità di comunicazione fra cellule nervose avveniva tramite composti chimici, le prime indagini si erano focalizzate sui neurotrasmettitori che mostravano di attivare determinati siti cellulari di natura proteica, detti neurorecettori, fondamentali, quindi, per la modulazione e trasmissione degli impulsi nervosi.
Nel 1974 Hughes isolò dal cervello dei maiali le tracce di una sostanza con un’attività analgesica: sarà il primo passo verso la scoperta di un vero e proprio laboratorio di chimica endogena, presente nel nostro corpo e le cui implicazioni nel processo di cura sono un argomento su cui c’è ancora moltissimo da scoprire.
L’azione degli oppiacei endogeni che iniziazialmente Hughes riesce a isolare dura pochi minuti, per poi essere distrutta dagli enzimi cellulari, in accordo con la sua natura proteica. A differenza della morfina, essi non creano assuefazione poiché prodotti naturalmente dall’organismo. Attualmente le ricerche effettuate dalle industrie farmaceutiche per realizzare un farmaco utilizzando l’endorfina rimangono un’ipotesi in corso d’opera, tuttavia ciò che sappiamo è che questo gruppo di peptidi di catena corta chiamati “endorfine”, sono morfine endogene con proprietà simili alla morfina.
Esse agiscono come neurotrasmettitori a livello del sistema nervoso. Insieme all’azione analgesica rispetto al dolore, le endorfine giocano un ruolo chiave nella risposta al piacere e nel processo di rilassamento.
Dagli studi, infatti, emerge che a livello cerebrale le alterazione del sistema dopaminergico, proprio dei neuroni dopaminergici, i quali risultano associati con l’amigdala, potrebbero essere implicati con i disturbi della memoria e l’insorgenza di malattie come Parkinson e Alzheimer, tema indagato dal neurofisiologo Marcello D’Amelio insieme all’unità di ricerca dell’Università Campus Bio-Medico di Roma e della Fondazione S. Lucia.
L’importanza delle endorfine nel controllo del dolore, così come nei processi legati alla gratificazione e al piacere, può costituire un campo di indagine prezioso per la gestione dello stress.
Qual è il ruolo delle endorfine?
Come spiega il dottor Mauro Porta «le endorfine, che sono oppioidi naturali, interagiscono con una dei mediatori maggiormente coinvolti nel determinismo del buon umore: la serotonina. Si tratta di veri e propri mediatori che sono molti di più di quelli che normalmente si pensa: serotonina appunto, dopamina, noradrenalina, gaba etc. I mediatori attivano certe sinapsi (punto di contatto tra due neuroni) appartenenti a circuiti specifici, oppure a circuiti “polivalenti”, cioè che funzionano con più neuromediatori».
Insieme all’aumento della soglia di tolleranza al dolore, le endorfine mostrano di essere coinvolte nell’attività di termoregolazione dell’organismo, ritmi sonno-veglia, controllo dell’appetito, regolazione dell’umore, senso di benessere e appagamento.
Durante terapie come l’agopuntura si è potuto osservare un innalzamento della concentrazione di queste sostanze nel sangue. Sì, perché a seconda di ciò che viviamo può verificarsi un rilascio di endorfine: succede quando svolgiamo attività in grado di regalarci piacere, ecco perché appaiono fortemente connesse alla sfera sessuale e psicologica.
Quando ci sentiamo innamorati, al termine di un rapporto sessuale o mentre incontriamo una persona cara o viviamo una situazione felice il livello di endorfine è più alto. Succede anche quando facciamo attività sportiva: la sintesi di oppiodi endogeni, infatti, mostra un forte incremento durante il movimento. Grazie a questo possiamo comprendere meglio la profonda sensazione di benessere e appagamento che ogni sportivo avverte durante una performance: un’euforia che a livello fisiologico ci aiuta a sopportare meglio la fatica e dal punto di vista psicologico stimola le nostre doti in fatto di resistenza, capacità di superare gli ostacoli e, in fondo, resilienza. Una qualità naturale che fa parte di noi? Forse sì, anche a livello biochimico.
Con riferimento al fine vita , un pensiero – non mio – che mi piace molto : ” ritenere che la morte sia la fine della vita è come credere che l’orizzonte sia la fine del mare “.
All’amico Alberto un plauso e un saluto.
Efrem
Non so di chi sia il pensiero che piace ad entrambi. Lo pubblico al Numero2071. A presto.