G L I I T A L I A N I E L’ I N G L E S E
Da Quora
Perché tanti italiani non conoscono l’inglese anche se lo hanno studiato a scuola?
Il motivo principale è scomodo da dire, ma è la verità: la maggior parte degli insegnanti italiani non sono in grado di insegnare l’inglese vivo, semplicemente perché non hanno dovuto studiarlo per laurearsi. Nella maggior parte dei casi, hanno frequentato Lingue e Letterature Straniere, dove gli esami sono in italiano e ci si specializza nello studio della letteratura, non della LINGUA. Le programmazioni delle scuole superiori, quindi, sono improntate sulla (non) preparazione di questi esperti di storia delle letteratura. Di conseguenza, per un preciso calcolo e manifesta incapacità, la scuola italiana non fornisce ciò che serve ai ragazzi, ma ciò che fa comodo ai docenti. I quali, per convenienza, naturalmente ingigantiscono l’importanza della letteratura. Per forza, sono in grado di insegnare solo quella e in quella si rifugiano.
Nella scuola italiana si insegna pertanto la base nozionistica: liste di vocaboli alle elementari (animali, colori e oggetti per 5 anni) e grammatica a ripetizione alle medie (facile, basta dire la regola ai ragazzi e assegnare esercizi all’infinito). Nessuno insegna a parlare fluentemente o a leggere un giornale.
Arrivati al liceo, la mazzata finale: i ragazzi italiani vengono letteralmente imbottiti di letteratura inglese, la cui utilità – rispetto agli obiettivi – è zero. Non si capisce perché un sedicenne italiano debba essere un esperto dei simbolismi di James Joyce e Virginia Woolf, ma non sia in grado di fare una semplice conversazione, mandare un’email, sostenere un colloquio di lavoro, comprendere un film in lingua originale.
Motivo? La maggior parte degli insegnanti italiani non hanno le competenze linguistiche per insegnare la lingua viva – comunicazione, scrittura, interazione reale e al passo con i tempi. Perché, per poterlo fare, è necessario avere un livello di inglese almeno B2-C1.
Per insegnare letteratura, invece, l’inglese non è necessario saperlo. Si tratta perlopiù di nozioni da memorizzare. Le lezioni si possono tenere in italiano (nessuno lo vieta), si studia la traduzione dei brani di letteratura e la biografia di scrittori e poeti a memoria. I liceali italiani, pertanto, sanno che THOU era antico per YOU (informazione fondamentale), scrivono dotte dissertazioni sullo stream of consciousness (corrente di consapevolezza) (che manco a Oxford), ma non sono in grado di scrivere un commento su Instagram, di interagire con un coetaneo in inglese, di sostenere una banale conversazione sull’attualità, di fare una telefonata per prenotare un volo.
Approfondire la letteratura compete all’università e deve essere una scelta volontaria, perché di nicchia. Negli anni formativi va insegnata la LINGUA VIVA a 360 gradi, non il passato letterario. Così si azzoppa la conoscenza dell’inglese proprio negli anni in cui ci sarebbe il tempo e l’energia per impararlo. Da insegnante, infatti, vedo quanto drammatico è doversi mettere a studiare l’inglese a 40 anni, quando diventa una vera impresa, per ovvi motivi di tempo – e di cervello. Perché se è vero che “una lingua la impari quando vuoi”, è purtroppo altrettanto vero che la plasticità del cervello giovane fa un’enorme differenza. Direi abissale.
Il risultato di questa scelta di comodo – per gli insegnanti – è che, a fronte di almeno un decennio di inglese (!), i ragazzi italiani usciti dal liceo non sanno nemmeno ordinare una birra al pub. Non capiscono, non parlano. L’inglese per loro è una lingua morta.
Per fare un parallelo: che ne direste se, a scuola guida, invece di insegnarvi a GUIDARE un’automobile e a decifrare i cartelli stradali, vi facessero lezioni interminabili sulla vita di Enzo Ferrari o sulla storia della Mercedes-Benz? Ecco, questo fa la scuola italiana ai propri ragazzi. Li intontisce a forza di contenuti teorici e non dà loro gli strumenti pratici per utilizzare la lingua che, piaccia o no, fa funzionare il mondo intero.
L’inglese vivo è la patente per il mondo. E chi non ce l’ha rimane a piedi.
Eleonora Andretta
E che ne è della pronuncia dell’Inglese?
Per imparare la pronuncia inglese devi avere degli insegnanti di madrelingua, non insegnanti italiane che spesso soffrono di un forte accento dialettale meridionale e che in Inghilterra avranno speso al massimo qualche settimana in famiglia o in vacanza.
Il problema più diffuso tra gli studenti è quello di non riuscire a comprendere l’inglese parlato. Sanno benissimo la grammatica, meglio degli stessi inglesi, sanno a volte tradurre un testo scritto, ma non capiscono un accidente quando interloquiscono con un inglese madrelingua.
Questo perché si insegna la pronuncia nelle scuole italiane da persone spesso poco preparate le quali insistono sulla pronuncia di una singola parola, come se gli inglesi parlassero facendo una pausa ad ogni parola. Gli inglesi parlano come noi, come noi usano un vocabolario abbastanza ristretto, utilizzano-come noi- molti modi di dire e parlano senza molte interruzioni. La pronuncia di una parola va vista nel contesto della frase e può variare moltissimo a seconda che ci cada sopra o no l’accento ritmico. La maggior parte delle vocali è semimuta , diventa una scevà o schwa , foneticamente descritta come una “e” rovesciata “ə”, quando non ci cade sopra l’accento. Bisogna apprendere le frasi intere e non le singole parole. Ecco perché 99 su 100 non comprendono cosa dice l’interlocutore, la radio o il testo di una canzone.
Un insegnante d’Inglese.