Numero3600.

 

A P P U N T I    D A     U N A    C O N F E R E N Z A

D I    I G O R    S I B A L D I

 

Il modo più semplice, più autentico, più potente che noi abbiamo per essere veramente noi stessi è il “mi piace”.

Il “devo” può non essere nostro; il “posso”, che può essere anche il “permesso”, nemmeno questo può essere nostro; il “mi conviene”, o il “bisogna che” non sono nostri: sono del gruppo a cui apparteniamo.

Il “mi piace” è solo mio.

Ma nell’occidente esiste, da sempre, culturalmente, il “tabù del piacere”.

L’occidente è la civiltà del “noi”, del collettivismo: qui sono nati tutti gli “ismi” della storia.

Il nemico del “noi” è l’ “io”.

Con riferimento alla sfera sessuale, il fallo eretto è un simbolo di vitalità, di euforia, di eccitazione, di entusiasmo, di affermazione di sé, e non è fingibile.

Se c’è un’erezione vuol dire che c’è qualcuno o qualcosa che ti piace.

E, se c’è qualcosa che ti piace, tu sei tu.

Ma di questo fenomeno, in occidente, c’è un “tabù”: ci sono in giro, nella storia delle iconografie occidentali, molti peni, spesso striminziti, ma pochi falli eretti.

Cioé, l’occidente mette il “mi piace” proprio in fondo alla cantina.

Si dice, allora: cosa ti “deve” piacere, cosa ti “può” piacere, cosa ti “conviene” che ti piaccia, ma il “mi piace” è censurabile e non sempre gradito, come fosse una depravazione.

Perché il “mi piace” comporta di essere all’altezza della persona o della cosa, di una donna o di un dipinto: è molto più impegnativo.

 

Numero3308.

 

P S I C H E    U M A N A

 

IMPULSI (Istinti) = sono naturali.

EMOZIONI = sono per metà naturali e per metà culturali.

SENTIMENTI = sono culturali, si imparano.

 

I miti di tutte le civiltà sono nati per orientare la psiche umana al sentimento e per interiorizzarlo.

È così che si capisce cos’è il bene e cos’è il male.

Numero3141.

 

da  URBANMAGAZINE

 

5 abitudini quotidiane delle persone con un Quoziente Intellettivo basso

Il Quoziente Intellettivo (QI) è spesso usato come misura dell’intelligenza generale. Sebbene molti fattori influenzino l’intelligenza, ci sono comportamenti che sembrano più comuni nelle persone con un QI relativamente basso. È importante precisare che le abitudini descritte qui non sono indicatori esclusivi di bassa intelligenza, ma possono rivelare una certa superficialità nel pensiero o mancanza di curiosità intellettuale.

1. Assenza di Abitudini di Lettura

Le persone con un QI basso tendono a evitare la lettura regolare. La lettura, specialmente di materiale informativo o narrativo complesso, stimola il cervello, migliorando la comprensione e la capacità di analisi. Coloro che non dedicano tempo a leggere limitano le opportunità di espandere la propria conoscenza, rendendo difficile acquisire nuove competenze e approfondire la comprensione del mondo.

2. Preferenza per Discussioni Superficiali

Le conversazioni profonde e intellettualmente stimolanti richiedono una certa capacità di analisi e apertura mentale. Le persone con un basso QI spesso preferiscono discorsi su argomenti semplici e familiari, come pettegolezzi o chiacchiere banali. Questo perché affrontare argomenti più complessi richiede uno sforzo cognitivo e una capacità di comprensione che potrebbe non essere alla loro portata.

3. Dipendenza dai Social Media per l’Informazione

Informarsi esclusivamente attraverso i social media è un’abitudine comune, ma le persone con un QI basso tendono a farlo senza spirito critico. Questo comportamento porta a un’accettazione passiva di informazioni potenzialmente distorte o non verificate. Al contrario, individui con un QI più alto verificano le fonti e approfondiscono le notizie per formarsi un’opinione più precisa e basata su dati reali.

4. Assenza di Pianificazione e Progettualità

La capacità di pianificare e di porsi obiettivi a lungo termine è un segno di intelligenza pratica e maturità. Le persone con un basso QI tendono a vivere alla giornata, senza una chiara idea di dove vogliono arrivare o come raggiungere i propri obiettivi. Questa mancanza di progettualità può portare a decisioni impulsive e alla difficoltà di prevedere le conseguenze delle proprie azioni.

5. Evitare Situazioni Che Richiedono Ragionamento Complesso

Chi ha un QI basso potrebbe evitare attività che stimolano il ragionamento critico, come giochi di strategia, puzzle complessi o discussioni che implicano l’uso della logica. Preferiscono attività che richiedono un coinvolgimento mentale minimo, come guardare programmi televisivi semplici o partecipare a giochi senza grandi sfide intellettive. Questo perpetua un circolo vizioso, in cui la mente non viene sufficientemente allenata a pensare in modo analitico.

Le persone dal Quoziente Intellettivo basso spesso condividono alcune abitudini.

Conclusione

Le abitudini quotidiane possono riflettere la nostra mentalità e il nostro approccio alla vita. Sebbene il QI sia solo una parte dell’intelligenza complessiva di una persona, queste abitudini possono indicare aree su cui lavorare per migliorare le proprie capacità cognitive e la qualità della propria vita. Essere consapevoli di queste tendenze e fare uno sforzo per contrastarle può aiutare a sviluppare abitudini più salutari e stimolanti per il cervello.

Numero3086.

 

da  QUORA

 

Scrive Vincenzo Politi, corrispondente di QUORA

 

Quali cose il mondo invidia all’Italia?

 

  1. Cose molto superficiali, come il cibo, il bel tempo e la moda. Questo può essere un limite per gli italiani stessi. Immagina un professionista italiano che va all’estero e che NON lavora nel campo della cucina o della moda. Non dico che incontrerà ostilità ma, inconsciamente, verrà preso poco sul serio. Un po’ come un giapponese che va a lavorare in Europa o in America: se si occupa di tecnologia e intelligenza artificiale, allora va bene, perché “i giapponesi sono bravi in quelle cose”, ma se vuole fare lo stilista, allora incontrerà delle resistenze. Stessa cosa per gli italiani che vogliono lavorare in campi che non rientrano in quelli in cui, per stereotipi, “gli italiani sono bravi”.
  2. Cose che gli italiani stessi non apprezzano affatto: l’arte, le città, la storia della musica classica (Verdi, Bellini, Rossini, Donizetti, eccetera), la storia del cinema (neo-realismo, Fellini, Visconti, Antonioni, eccetera). All’estero siamo conosciuti per questo, in Italia non sappiamo manco chi sia Bernini. Molti apprezzano anche alcuni scrittori italiani: Pavese, Calvino, Eco ed altri sono conosciuti in tutto il mondo. In Italia, leggiamo Moccia e Fabio Volo, al massimo la biografia di Corona. La lingua italiana, pur essendo praticamente inutile, visto che è parlata solo in Italia e in qualche cantone Svizzero, è una delle più studiate al mondo – dicono addirittura che sia più studiata del francese! Questo perché, all’estero, la lingua italiana è considerata chic, una lingua di nicchia, una lingua culturale. Chi studia canto lirico deve sapere soprattutto l’italiano, visto che i libretti delle più grandi opere sono scritte nella nostra lingua; a seguire, vengono francese e tedesco. Chi studia storia dell’arte, anche all’estero, prima o poi con la lingua italiana dovrà farci i conti. Tutti amano anche l’estrema eleganza e la naturale musicalità dell’italiano. Questo, all’estero. E nelle strade italiane? Altro che estrema eleganza e musicalità dell’italiano! Congiuntivi sbagliati, parole pronunciate male, una totale mancanza di rispetto per le regole grammaticali di base. Un’ignoranza diffusa che va dal cosiddetto popolo fino alle classi politiche attuali. E, per giunta, tutti che si vantano della loro totale e imbarazzante ignoranza. Pare che saper coniugare i verbi, di questi tempi, sia troppo ‘radical chic’. Poi, cosa voglia dire, ‘radical chic’, nessuno te lo sa dire. Per non parlare di quelli che si credono ‘international’ e creano mostruosità aberranti tipo ‘apericena’, o parole in inglese, o in una specie di inglese, pronunciate malissimo e ‘italianizzate’ alla bell’e meglio. Una coltellata ai timpani sarebbe meno dolorosa.

In conclusione, all’estero ci invidiano le cose belle ma che, alla fine, non sono poi così fondamentali (si può vivere pure senza la pizza e il mandolino), oppure cose che appartengono al patrimonio storico e culturale dell’Italia e che, paradossalmente, gli italiani stessi stanno sistematicamente distruggendo. Un po’ come l’opera di “distruzione culturale” compiuta dagli sciacalli dell’ISIS, che per difendere il Medio Oriente lo stanno letteralmente demolendo, più di quanto avrebbe potuto fare il tanto temuto Occidente infedele e peccatore!

Numero2904.

da  QUORA

 

L’Italia è culturalmente arretrata?

 

Scrive Fabio Colasanti, corrispondente di QUORA

 

Gran parte dell’ultimo libro di Piero Angela (Dieci cose che ho imparato, Mondadori, 2022) è dedicata a rispondere, più o meno, a questa domanda.

La posizione di Piero Angela è ben riassunta in queste righe che vengono dalla pagina 13 del suo libro.

“Personalmente credo che vi sia soprattutto un gravissimo ritardo culturale a entrare nella modernità; cioè un deficit nella capacità di comprendere (e di investire in) quelli che sono oggi i veri acceleratori dello sviluppo: educazione, conoscenza, competenza, flessibilità, innovazione, capacità progettuale, etc. Tutte cose importanti anche in passato, naturalmente, ma che oggi sono deflagrate attraverso il moltiplicarsi delle scoperte scientifiche e delle invenzioni tecnologiche”.

Il punto di Piero Angela è che per il grosso degli italiani “Cultura” è solo cultura classica. Il grosso degli italiani non apprezza gli sviluppi scientifici e tecnologici, ne ha addirittura paura. Le nostre imprese non riescono a trovare abbastanza laureati in materie STEM (Science, Technology, Engineering and Math). E abbiamo tanti laureati in materie letterarie, scienza delle comunicazioni, scienze politiche e giurisprudenza che non trovano lavoro.

Nei vari capitoli del libro, Piero Angela fa un lunghissimo elenco di tutte le statistiche che mostrano il ritardo dell’Italia rispetto agli altri paesi industrializzati in tutti i campi che sono oggi cruciali per lo sviluppo.

Comincia con la qualità dell’istruzione. I nostri studenti di 15 anni escono molto male dalle inchieste PISA fatte dall’OCSE su di un larghissimo campione e come numero di laureati nella popolazione stiamo tra la Colombia e l’Arabia Saudita nelle statistiche OCSE (e siamo gli ultimi nell’UE).

Siamo poi tra gli ultimi paesi in Europa nell’uso dell’internet e delle altre tecnologie digitali. Non stiamo bene in termini di brevetti. La nostra spesa per la ricerca scientifica è tra le più basse in Europa.

Nel nostro paese c’è poca concorrenza e poco riconoscimento del merito.

E, comunque, c’è il fatto incontrovertibile che siamo il paese UE con la crescita media più bassa tra il 1991 ed oggi. Perfino la Grecia, con otto anni di recessione, è cresciuta un niente più di noi.


Aggiungo alcuni dati per aiutare chi sembra andare avanti solo sulla base di impressioni personali.

Numero2749.

 

da  QUORA

 

L E G G E R E

 

1 – Il cervello dei lettori è diverso – Il cervello delle persone che sanno leggere rispetto a quello degli analfabeti è molto diverso. Le differenze sono: come i cervelli elaborano i segnali visivi, come comprendono il linguaggio, come formano i ricordi, come ragionano. Secondo Feggy Ostrosky-Solis, uno psicologo messicano, “l’apprendimento della lettura plasma potentemente i sistemi neuropsicologici degli adulti”. Per Maryanne Wolf, i sistemi di pianificazione, di analisi del suono e di significato sono utilizzati durante la lettura. L’attività in queste aree triplica quando stiamo leggendo. Più una persona legge, più la lettura diventa automatica, liberando spazio cognitivo per un’analisi intellettuale più profonda. Questo significa che la nostra mente decodifica lettere e parole più facilmente e rapidamente quanto più pratica abbiamo. La lettura diventa più facile con il passare del tempo!

2 – La mente che non legge è non focalizzata per natura – la nostra mente non è fatta per rimanere focalizzata e in profonda concentrazione. Tuttavia, questa capacità è allenata durante la lettura. La nostra mente, per questioni evolutive, è stata progettata per prestare attenzione a qualsiasi stimolo esterno in ogni momento. Questo ci ha permesso di non morire per gli attacchi dei predatori. Di conseguenza, abbiamo questa tendenza mentale a continuare a passare la nostra attenzione tra le migliaia di stimoli che percepiamo. Leggere allena la nostra mente a concentrarsi, a controllare cognitivamente e deliberatamente gli impulsi e le sensazioni. Il non lettore è disattento per natura, perché è così che il nostro cervello viene dalla fabbrica. Secondo Vauhan Bell, uno psicologo ricercatore, questa capacità di focalizzare l’attenzione è qualcosa che non è affatto normale nella storia dello sviluppo psicologico umano.

3. Leggere è conoscenza di sé – Avete mai notato che quando parliamo con qualcuno conosciamo sempre un po’ di più di noi stessi? Se il tuo amico ama le moto, potresti scoprire che lui o lei non ama molto le moto. La stessa cosa succede con la lettura. Quando veniamo catturati (il nome scientifico per questo stato negli studi è Experience Taking) da un personaggio con cui ci identifichiamo, impariamo molto su noi stessi. Sia le cose in comune che quelle che non faremmo mai appaiono in una lettura quando facciamo attenzione ai dettagli, alle motivazioni, alle emozioni e alle personalità dei personaggi. Usiamo tutto questo come base per riaffermare il nostro senso di identità e persino per ricostruirlo in base al personaggio.

Numero2651.

 

G L I   I T A L I  A N I   E   L’ I N G L E S E

 

Da Quora

 

Perché tanti italiani non conoscono l’inglese anche se lo hanno studiato a scuola?

Il motivo principale è scomodo da dire, ma è la verità: la maggior parte degli insegnanti italiani non sono in grado di insegnare l’inglese vivo, semplicemente perché non hanno dovuto studiarlo per laurearsi. Nella maggior parte dei casi, hanno frequentato Lingue e Letterature Straniere, dove gli esami sono in italiano e ci si specializza nello studio della letteratura, non della LINGUA. Le programmazioni delle scuole superiori, quindi, sono improntate sulla (non) preparazione di questi esperti di storia delle letteratura. Di conseguenza, per un preciso calcolo e manifesta incapacità, la scuola italiana non fornisce ciò che serve ai ragazzi, ma ciò che fa comodo ai docenti. I quali, per convenienza, naturalmente ingigantiscono l’importanza della letteratura. Per forza, sono in grado di insegnare solo quella e in quella si rifugiano.

Nella scuola italiana si insegna pertanto la base nozionistica: liste di vocaboli alle elementari (animali, colori e oggetti per 5 anni) e grammatica a ripetizione alle medie (facile, basta dire la regola ai ragazzi e assegnare esercizi all’infinito). Nessuno insegna a parlare fluentemente o a leggere un giornale.

Arrivati al liceo, la mazzata finale: i ragazzi italiani vengono letteralmente imbottiti di letteratura inglese, la cui utilità – rispetto agli obiettivi – è zero. Non si capisce perché un sedicenne italiano debba essere un esperto dei simbolismi di James Joyce e Virginia Woolf, ma non sia in grado di fare una semplice conversazione, mandare un’email, sostenere un colloquio di lavoro, comprendere un film in lingua originale.

Motivo? La maggior parte degli insegnanti italiani non hanno le competenze linguistiche per insegnare la lingua viva – comunicazione, scrittura, interazione reale e al passo con i tempi. Perché, per poterlo fare, è necessario avere un livello di inglese almeno B2-C1.

Per insegnare letteratura, invece, l’inglese non è necessario saperlo. Si tratta perlopiù di nozioni da memorizzare. Le lezioni si possono tenere in italiano (nessuno lo vieta), si studia la traduzione dei brani di letteratura e la biografia di scrittori e poeti a memoria. I liceali italiani, pertanto, sanno che THOU era antico per YOU (informazione fondamentale), scrivono dotte dissertazioni sullo stream of consciousness (corrente di consapevolezza) (che manco a Oxford), ma non sono in grado di scrivere un commento su Instagram, di interagire con un coetaneo in inglese, di sostenere una banale conversazione sull’attualità, di fare una telefonata per prenotare un volo.

Approfondire la letteratura compete all’università e deve essere una scelta volontaria, perché di nicchia. Negli anni formativi va insegnata la LINGUA VIVA a 360 gradi, non il passato letterario. Così si azzoppa la conoscenza dell’inglese proprio negli anni in cui ci sarebbe il tempo e l’energia per impararlo. Da insegnante, infatti, vedo quanto drammatico è doversi mettere a studiare l’inglese a 40 anni, quando diventa una vera impresa, per ovvi motivi di tempo – e di cervello. Perché se è vero che “una lingua la impari quando vuoi”, è purtroppo altrettanto vero che la plasticità del cervello giovane fa un’enorme differenza. Direi abissale.

Il risultato di questa scelta di comodo – per gli insegnanti – è che, a fronte di almeno un decennio di inglese (!), i ragazzi italiani usciti dal liceo non sanno nemmeno ordinare una birra al pub. Non capiscono, non parlano. L’inglese per loro è una lingua morta.

Per fare un parallelo: che ne direste se, a scuola guida, invece di insegnarvi a GUIDARE un’automobile e a decifrare i cartelli stradali, vi facessero lezioni interminabili sulla vita di Enzo Ferrari o sulla storia della Mercedes-Benz? Ecco, questo fa la scuola italiana ai propri ragazzi. Li intontisce a forza di contenuti teorici e non dà loro gli strumenti pratici per utilizzare la lingua che, piaccia o no, fa funzionare il mondo intero.

L’inglese vivo è la patente per il mondo. E chi non ce l’ha rimane a piedi.

 

Eleonora  Andretta

 

E che ne è della pronuncia dell’Inglese?

 

Per imparare la pronuncia inglese devi avere degli insegnanti di madrelingua, non insegnanti italiane che spesso soffrono di un forte accento dialettale meridionale e che in Inghilterra avranno speso al massimo qualche settimana in famiglia o in vacanza.

Il problema più diffuso tra gli studenti è quello di non riuscire a comprendere l’inglese parlato. Sanno benissimo la grammatica, meglio degli stessi inglesi, sanno a volte tradurre un testo scritto, ma non capiscono un accidente quando interloquiscono con un inglese madrelingua.

Questo perché si insegna la pronuncia nelle scuole italiane da persone spesso poco preparate le quali insistono sulla pronuncia di una singola parola, come se gli inglesi parlassero facendo una pausa ad ogni parola. Gli inglesi parlano come noi, come noi usano un vocabolario abbastanza ristretto, utilizzano-come noi- molti modi di dire e parlano senza molte interruzioni. La pronuncia di una parola va vista nel contesto della frase e può variare moltissimo a seconda che ci cada sopra o no l’accento ritmico. La maggior parte delle vocali è semimuta , diventa una scevà o schwa , foneticamente descritta come una “e” rovesciata “ə”, quando non ci cade sopra l’accento. Bisogna apprendere le frasi intere e non le singole parole. Ecco perché 99 su 100 non comprendono cosa dice l’interlocutore, la radio o il testo di una canzone.

 

Un insegnante d’Inglese.

 

Numero2646.

 

da  QUORA

 

S T U D I A R E

 

«Ricordo ancora la domanda che fece il professore di filosofia il primo giorno di liceo: ‘A che serve studiare? Chi sa rispondere?”.

Qualcuno osò rispostine educate: “a crescer bene”, “a diventare brave persone”. Niente, scuoteva la testa. Finché disse: “Ad evadere dal carcere”.

Ci guardammo stupiti. “L’ignoranza è un carcere. Perché là dentro non capisci e non sai che fare.

In questi cinque anni dobbiamo organizzare la più grande evasione del secolo. Non sarà facile, vi vogliono stupidi, ma se scavalcate il muro dell’ignoranza poi capirete senza dover chiedere aiuto. E sarà difficile ingannarvi. Chi ci sta?”.

Mi è tornato in mente quell’episodio indelebile leggendo che solo un ragazzo su venti capisce un testo. E penso agli altri diciannove, che faticano ad evadere e rischiano l’ergastolo dell’ignoranza.

Uno Stato democratico deve salvarli perché è giusto. E perché il rischio poi è immenso: le menti deboli chiedono l’uomo forte».

Numero2626.

 

da QUORA

 

COSA  NON  C’È  DI  BUONO  NELL’ESSERE  INTELLIGENTI

 

Le persone intelligenti si sottovalutano,

le persone ignoranti pensano di essere in gamba.

Questo è un pregiudizio cognitivo

chiamato “Effetto DUNNUING – KRUGER”

secondo cui le persone altamente abili

presumono che le cose che trovano facili

siano facili anche per gli altri,

e le persone non qualificate sono

così incompetenti che non possono

riconoscere la propria stupidità.

 

  1. Se sei veramente intelligente (molto intelligente/intellettuale o più), il 49,5% delle persone ti scambia per stupido o pazzo e il 49,5% cerca di farti del male per pura gelosia, rivalità e insicurezza. Per incontrare l’ 1% che ti capisce davvero e ti apprezza per quello che sei potrebbe volerci molto tempo.
  2. Devi costantemente comportarti come un ignorante per apparire normale di fronte a quel 99%. Underplaying / nascondersi diventa il tuo scudo di protezione.
  3. Se fai qualcosa di buono loro (i tuoi colleghi) ottengono il merito; se fanno qualcosa di male ti prendi la colpa.
  4. Le persone fanno qualcosa di microscopicamente buono e tu lo apprezzi generosamente mentre tu fai qualcosa di enormemente buono e loro non lo vedono nemmeno. Alzare le spalle e dimenticare diventa la tua abitudine.
  5. Gli amici sono difficili da trovare. Sei troppo strano per le persone; e loro sono troppo strane per te.
  6. Tendi a sentirti solo in mezzo alla folla. La gente pensa che tu sia senza amici e ti compatisce per la tua presunta solitudine. Quando sei insieme ad “amici” ti senti solo e soffocato.
  7. In compagnia, o devi tenere la bocca chiusa o semplicemente parlare del tempo. La tua fame intellettuale è difficile da saziare.
  8. Sei più stressato dalla stupidità e dall’ignoranza delle persone intorno a te che dai problemi e dalle difficoltà. Esprimere la propria opinione è quasi sempre visto come ribellione, irritazione, indisciplina o mancanza di rispetto.
  9. La gente presume che tu sia stupido a pensare di essere intelligente quando non hai mai pensato di essere intelligente. Poi ci sono cose piccolissime in cui non sei bravo e ti inondano di sarcasmo: ‘Oh, non puoi nemmeno fare questo!’ Chi diavolo dovrebbe spiegare loro che le persone intelligenti non sono necessariamente intelligenti in tutto, specialmente in quelle piccole?
  10. È probabile che tu non possa utilizzare tutte le tue scintillanti cellule grigie in una brillante carriera superficiale che secondo la tua percezione più acuta potrebbe essere solo una sporca corsa di topi.

N.d.R.: L’espressione/premessa che, prima di una domanda, molto spesso, si sente rivolgere una persona intelligente/acculturata, è questa:
“Tu che sai tutto”.

Lungi dall’essere un complimento o un riconoscimento, è, di solito, una sarcastica manifestazione di invidia o, quasi, di disprezzo.

 

ancora da QUORA

Qualcos’altro da aggiungere sulle persone intelligenti

 

  • Rimanere alzati fino a tardi è un segno di elevata intelligenza, in quanto si registra una maggiore attività cerebrale durante la notte (ma questo non fa bene alla salute).
  • Essere divertenti e avere un elevato senso dell’umorismo è un segno di elevata intelligenza.
  • Più della metà della popolazione mondiale ha un’intelligenza media.
  • Le persone intelligenti vogliono sempre saperne di più sul mondo.
  • Gli intellettuali vanno a letto tardi e si svegliano tardi.
  • Le persone altamente intelligenti tendono ad avere meno amici della media.
  • Parlare da soli è segno di grande intelligenza.
  • Le persone intelligenti si sottovalutano più di quelle ignoranti.
  • Le persone intelligenti hanno una mentalità più aperta.
  • È meno probabile che si attengano ai valori tradizionali.
  • I voti e l’età non determinano l’intelligenza.
  • Preoccuparsi troppo è associato a un’intelligenza elevata.
  • Le persone intelligenti sono propense a evitare i conflitti. Capiscono tutto, ma tendono a non dire nulla.
  • Di solito non mentono, ma quando lo fanno sono molto bravi a mentire.
  • Le persone molto intelligenti sono socialmente impacciate.
  • Le persone molto intelligenti sono più fedeli di altre.
  • Sono molto calme, quasi troppo, innaturalmente calme.
  • Sono moto perspicaci
  • Di solito sorridono o ridono compiaciuti di ciò di cui una persona media si innamora
  • Sembrano depressi per la maggior parte del tempo, ma solo in apparenza
  • Sono eccellenti nel sottolineare i difetti di una cosa o persona
  • Si annoiano facilmente
  • Amano leggere, Non necessariamente libri, però
  • Capiscono facilmente e velocemente
  • Hanno ottime capacità di “problem solving” (risolvere un problema)
  • Possiedono un’abilità di deduzione superiore alla media
  • Si godono la solitudine

 

N.d.R.: Sia ben chiaro che tutto quanto sopra esposto è un COPIA-INCOLLA da altre fonti indicate. “Relata réfero” (riferisco cose riportate). Qualcuno potrebbe dire che il Redattore sta tentando di accreditare un autoritratto come opera sua. Quantomeno per onestà intellettuale, non lo ammetterà mai, neanche sotto tortura.

Numero2576.

 

Tanta istruzione.

Nessuna educazione.

 

In strùere  vs.  E dùcere:

 

Instruere è un verbo latino che ha la stessa radice di strumento, costruire: vuol dire realizzare, insegnando o imparando, una formazione con disciplina, condizionamento, costrizione.

Educere è un verbo latino che vuol dire estrarre , condurre fuori: promuove una estrapolazione di valori insiti, in sé o in altri, con fantasia, creatività ed empatia. Come faceva Socrate  con la sua MAIEUTICA. In greco antico, la Maieutica era l’arte della levatrice. La madre di Socrate era una levatrice e lui diceva che sapeva estrarre, come la levatrice fa col neonato dal ventre delle partorienti, la verità dalla mente dei propri interlocutori. Molto spesso la verità sta dentro di noi, ma non ce ne rendiamo conto. Con l’intuito dell’immaginazione o con la logica del ragionamento, noi possiamo e dobbiamo educarci o essere educati.

Il primo verbo viene coniugato per instaurare una stabilità  morale e sociale.

Il secondo afferisce piuttosto alla facoltà e alla libertà di esprimere se stessi.

Per questo, le persone istruite non sempre sono anche educate. Mentre le persone educate non sempre sono anche istruite.

Numero2568.

 

S A P E R E   A U D E  (pronuncia: sàpere àude)

 

da un articolo pubblicato sul Berlinische Monatsschrift, 1784.

 

Nel 1784 la rivista tedesca Berlinische Monatsschrift pose ai suoi lettori la domanda: «che cos’è l’illuminismo?». Tra gli intellettuali che risposero all’interrogativo vi fu il filosofo Immanuel Kant, il quale diede una definizione destinata a fare storia, incentrata sull’idea dell’«uscita dell’uomo dallo stato di minorità». Definendo che cosa si debba intendere con il termine “illuminismo”, Kant fa riferimento al rischiaramento prodotto dall’esercizio «pubblico» della ragione, vale a dire dall’utilizzo pieno e libero di questa facoltà umana nell’ambito dello studio, della ricerca e della discussione. L’invito a diventare intellettualmente «maggiorenni» e a usare le risorse della ragione risuona nell’esortazione latina citata da Kant: sapere aude, osa sapere.

L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di servirsi della propria intelligenza senza la guida di un altro. Colpevole è questa minorità, se la sua causa non dipende da un difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi di essa senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! Questo dunque è il motto dell’illuminismo. […]

È dunque difficile per il singolo uomo tirarsi fuori dalla minorità, che per lui è diventata come una seconda natura. È giunto perfino ad amarla, e di fatto è realmente incapace di servirsi della propria intelligenza, non essendogli mai stato consentito di metterla alla prova. Precetti e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale, o piuttosto di un abuso, delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una permanente minorità. Se pure qualcuno riuscisse a liberarsi, non farebbe che un salto malsicuro anche sopra il fossato più stretto, non essendo allenato a camminare in libertà. Quindi solo pochi sono riusciti, lavorando sul proprio spirito a districarsi dalla minorità camminando, al contempo, con passo sicuro. […]

Se dunque ora si domanda: «viviamo noi attualmente in un’età rischiarata?» Allora la risposta è: «no, bensì in un’età di rischiaramento». Che gli uomini presi assieme siano, per come stanno le cose, già in grado, o che possano anche solo essere posti in grado di valersi con sicurezza e bene della propria intelligenza in cose di religione, senza l’altrui guida, è una condizione da cui siamo ancora molto lontani. Ma che ad essi, adesso, sia comunque aperto il campo per lavorare ed emanciparsi verso tale stato, e che gli ostacoli alla diffusione del generale rischiaramento o all’uscita dalla minorità a loro stessi imputabile diminuiscano gradualmente, di ciò noi abbiamo invece segni evidenti.

 

N.d.R.: SAPERE AUDE è una frase rintracciabile nelle EPISTOLE di Orazio (Quinto Orazio Flacco poeta latino)