«Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire
in una sola parola.
Odio quanto può succedere
tra l’inizio e la fine di una frase»
Leonard Cohen
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
«Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire
in una sola parola.
Odio quanto può succedere
tra l’inizio e la fine di una frase»
Leonard Cohen
FILOSOFIA
I filosofi antichi avevano la tendenza a filosofeggiare, anche in modo paradossale, se non proprio, in modo finemente umoristico.
“L’umorismo può esistere solo là dove la gente distingue ancora il confine tra ciò che è importante e ciò che non lo è.
E questo confine, oggi, non si distingue più . (Milan Kundera).
Preghiera di Sant’Agostino, da ragazzo, al Signore : “Fammi casto, ma non subito”.
Socrate, passando per i mercati stracolmi di merce di ogni genere, era solito esclamare: “Guarda quante cose….che non mi servono!”.
Al momento della sua condanna a morte, mentre la moglie Santippe piange, si dispera e non smette di ripetere che lo stanno uccidendo ingiustamente, Socrate se ne esce con la battuta : “Avresti preferito che mi uccidessero giustamente?”.
Alessandro Magno, chiede a Diogene, il cinico (significa. che conduce una vita da cane N.d.R.), se ha paura di lui, questi replica : “Dipende, tu sei un bene o un male?”. “Un bene, non ci sono dubbi” risponde Alessandro.
Allora Diogene lo liquida, dicendo : “Allora, perché mai dovrei aver paura di te?”.
Un vasaio chiede a Socrate che cosa sia meglio : sposarsi o rimanere scapolo, lui risponde ; “Qualunque scelta farai, te ne pentirai!”.
Epimenide* di Creta (famoso per il paradosso “Tutti i Cretesi sono bugiardi”), andò in India e chiese a Buddha : “Sapresti dirmi qual è la domanda migliore che si possa fare e qual è la risposta migliore che si possa dare?”. Buddha gli rispose : “La domanda migliore che si possa fare è quella che mi hai appena fatto, e la risposta migliore che si possa dare è quella che ti sto dando io, ora”.
Epicuro si trova nel suo orto e, mentre impartisce una lezione a cinque suoi allievi, sta innaffiando filari di rape, carote e altre verdure che serviranno per un banchetto. In realtà, egli continua ad innaffiare le verdure, mentre la brocca è ormai vuota. Un allievo glielo fa notare e, anziché ammettere la distrazione, Epicuro ribatte : “Se, veramente, continuassi ad innaffiare, il fatto che la brocca sia vuota non sarebbe rilevante. In realtà, non sto innaffiando, come tu hai detto, ma sto facendo soltanto il gesto di innaffiare. Insomma, sto facendo un innaffiamento “platonico”.
* Il paradosso del mentitore: versione originale.
La prima formulazione del paradosso si trova nella Lettera a Tito di Paolo di Tarso:
| Uno di loro, proprio un loro profeta, ha detto: «I Cretesi sono sempre bugiardi, brutte bestie e fannulloni». Questa testimonianza è vera.» |
| (Lettera a Tito) |
Il “profeta” a cui allude Paolo sarebbe Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), di cui non ci restano scritti.
Se assumiamo che l’affermazione sia vera, allora sarebbe vero che Epimenide, in quanto cretese, è un bugiardo. Ma allora la sua affermazione «i Cretesi sono sempre bugiardi» non sarebbe vera ed otterremmo una contraddizione. Se invece assumiamo che l’affermazione sia falsa, allora sarebbe vera la negazione di «i Cretesi sono sempre bugiardi», cioè sarebbe vero che alcuni cretesi dicono la verità e alcuni mentono. In questo caso non vi sarebbe alcuna contraddizione e potremmo identificare Epimenide come uno dei cretesi che mentono. Per quanto argomentato nel caso precedente, non può infatti esser vero che Epimenide dica la verità.
STORIA D’AMORE TRA DUE PAESI FRIULANI
( Ispirata liberamente ad una performance di Dario Zampa, ma con aggiunte, interpolazioni e variazioni personali).
CARLINO e MARIA (LA LONGA) erano due bravi giovani Friulani che si piacevano.
Un bel giorno, CARLINO, pungolato da un certo VENDOGLIO, telefonò a MARIA (che era un bel AMPEZZO di GEMONA) :
“Vorrei invitarti nella mia VILLA (SANTINA) che ti faccio vedere il TRAMONTI (DI SOPRA)”.
“Va bene, vengo a vedere la tua CASARSA, ma solo per un ATTIMIS, un (AZZANO) DECIMO di secondo – rispose MARIA, dopo un attimo di esitazione e per FARLA (DI MAIANO) difficile.
Dunque, si incontrarono e, preso un TOLMEZZO pubblico, attraversarono un FIUMICELLO, e arrivarono al PALAZZOLO che era già BUIA.
Visitata la CASASOLA, visto che era una bella serata, uscirono per una passeggiata. MARIA, preso per PRADAMANO il suo CARLINO, gli disse: “Io ANDREIS a sdraiarmi sul BORDANO del PRATO (CARNICO), sotto quel MORARO”.
Così fecero. Mentre ammiravano il panorama col CAMINO (AL TAGLIAMENTO) dei FORNI (DI SOPRA), lungo l’ARZENE del FIUME (VENETO), MARIA, prendendo l’iniziativa, diede un BARCIS sulla bocca di CARLINO e, carezzandogli il CAZZASO, gli sussurrò : ” Bel MORUZZO, sono tutta BAGNARIA ARSA dal desiderio”.
CARLINO, pur sorpreso da quella MOSSA, raccolse il SAN VITO (AL TORRE) della FAGAGNA, le scoprì il PORPETTO, sollevò il GONARS, le TOLMEZZO le mutandine, dicendo : “Io sarò un un MANIAGO, ma anche tu sei una bella PORCIA : sei CAPRIVA di RAGOGNA!”.
E, mentre le SOCCHIEVE la TAIPANA, tirò fuori l’ERTO CASSO e tentò di infilarlo nella TORVISCOSA STREGNA.
“BELLAZOIA, sei CHIUSAFORTE – disse CARLINO – ma SUBIT ti VERZEGNIS ben io!”.
Però MARIA, vedendo quel CORNO DI ROSAZZO, si mise a strillare come un’AQUILEIA : “AIELLO! AIELLO! Ce l’hai TREPPO GRANDE, sei troppo ROVEREDO! Ti prego, fai PIANO (D’ARTA), che c’è più gusto!”.
Allora CARLINO : “Se vuoi – disse – ti metto il CASSACCO nel SEDEGLIANO”.
“NIMIS!” – gridò MARIA – questo è OSOPPO! : mi fa troppo male il CERVIGNANO, mi DOLEGNA l’OVARO! Brutto CASTIONS, sei un MAIANO! PAVIA (DI UDINE), PAVIA!!
CARLINO, colpito a MORTEGLIANO dalla reazione della ragazza, rimase impalato come un CLAUT. Poi, a sua volta, in preda al COLLOREDO, replicò : “Sei una MUZZANA, una BUDOIA! Tu guardi la PALUZZA nell’occhio altrui e non vedi il TRAVESIO che hai nel tuo! Ti do un MORSANO (AL TAGLIAMENTO) in un orecchio e un calcio nel SEDEGLIANO che vai a casa ZOPPOLA!”.
Infine, con grande LESTIZZA, sbottò : ” Ecco, per colpa dei tuoi CAPRIZZI, adesso è diventato TREPPO PICCOLO, ho il CAVAZZO MOGGIO e l’AMARO in bocca.!”.
Così, quel giorno, finì MAL(BORGHETTO) per il buon CARLINO.
MARIA, dopo questo episodio, nel vicino CAMPOLONGO (AL TORRE) trovò il modo di spassarsela con un CAVASSO NUOVO, un certo VITO (D’ASIO) che, con l’amico MARIANO (DEL FRIULI), aveva conosciuto sul SAGRADO della chiesetta del CASTELNOVO (DEL FRIULI).
Così si conclude la storiella di CARLINO e MARIA sperando che il lettore la GRADISCA e ne accolga, di buon GRADO, la scherzosa interpretazione.
N.B. In questa stesura, sono presenti 86 nomi di località delle Province di UDINE, GORIZIA E PORDENONE.
Senza di “me”,
sei solamente
“ravigliosa”.
Adoro le chiacchiere su di me….
scopro sempre cose,
che nemmeno io,
sapevo di aver fatto!
La virgola è la porta girevole del pensiero. Per esempio:
“Se l’uomo sapesse realmente il valore che ha la donna andrebbe a quattro zampe alla sua ricerca”.
Se sei una donna, certamente metteresti la virgola dopo la parola “donna”.
Se sei un uomo, certamente metteresti la virgola dopo la parola “ha”.
Meno gli uomini pensano,
più parlano.
Montesquieu.
Le parole non sono state inventate
perché gli uomini si ingannino tra loro,
ma perché ciascuno passi all’altro
la bontà dei propri pensieri.
Paulo Coelho.
L’ignorante parla a vanvera,
l’intelligente parla poco,
‘o fesso parla sempre.
Totò.
….che poi, mi piacerebbe
conoscere questa Vanvera
a cui tutti parlano….
Ma cos’è la

risalto (durante la trattazione degli “Odori dell’Umanità”), ai vari oggetti, sistemi e tentativi inventati dall’uomo per mitigare e camuffare gli effetti dei Meteorismi, alias Flatus Ventris, alias Ventosità Anali, alias Scorregge.
o di legno dotato di due fori comunicanti. Tale uovo durante i lunghi banchetti dei Faraoni, degli Imperatori Romani, insomma dei Potenti del mondo, veniva infilato nel pertugio anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze. Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose, inoltre il gas, nel suo attraversamento, provocava una curiosa nota musicale tipo trombetta o fischietto.
nella sua portantina, appoggiava l’ imboccature all’ ano in modo che con l’emissione di flati il piffero suonasse in faccia alla gente che lo osannava dicendo ”Lunga vita al Principe“ o “Salute al Principe”.
era fatta a Coppa (1) e quindi doveva essere per lo più costruita su misura. Questa comunicava attraverso un Collo (2) ad una Vescica (3) atta a contenere i gas intestinali, per terminare con un pertugio munito di chiusura con spaghetto, per consentirne lo sfiato (4). L’ utente nelle occasioni di sofferenza per Meteorismi, ma nella necessità di uscire di casa per doveri di Società, la indossava sotto il mantello, se uomo, e sotto la gonna, se donna. Poteva così tranquillamente recarsi al Caffè Florian o al Teatro La Fenice senza preoccupazione alcuna. Ogni rumore veniva attenuato ed ogni odore veniva evitato nel modo più assoluto. Una volta distante dai luoghi frequentati poteva aprire lo spago!
stato saldato un lungo tubo, sempre in pelle, che doveva arrivare fino ad una finestra aperta durante l’Estate.
La B e la V in spagnolo sono pronunciate nello stesso identico modo. Dopo una pausa o dopo una nasale (m, n) il suono è quello occlusivo della B italiana (/b/), all’interno di parola è un’approssimante ([β̞,] nell’alfabeto IPA; trascritto comunemente [β], il beta greco). Per rendere il suono in termini discorsivi, tale suono si rende accostando semplicemente le due labbra senza farle toccare fra di loro permettendo il passaggio di un sottilissimo filo d’aria, diversamente dall’italiano in cui il suono è più secco e deciso.
Attenzione: la perfetta pronuncia del suono [β̞] è tuttavia considerata una sottigliezza che il più delle volte non viene nemmeno insegnata, in quanto la differenza con i suoni più decisi [b] e [v] tipici dell’italiano, è quasi impercettibile in una normale discussione. Rimane comunque certamente d’obbligo pronunciare la B e la V allo stesso modo.
Pronuncia in spagnolo della b e della v
I due suoni italiani b e v sono tra loro molto differenziati e probabilmente noi non li confondiamo da quando vestivamo un grembiule a scuola. In spagnolo invece non è così, i suoni di b e v sono un mix tra b e v tendente molto alla b. Questo non è un problema solo di comprensione nostra ma anche degli stessi madrelingua che a volte confondono le due lettere (in questo senso gli errori ortografici in certe zone dell’america latina poco scolarizzate veramente si sprecano dando origine a dei veri rebus linguistici).
Alcune parole spagnole:
Altre parole dove la pronuncia B-V è intercambiabile. : Cuba (Cuva), Habana (Havana), caballo (cavallo), cabeza (caveza), bolsa (volsa), vamos (bamos), vivir (bibir) e molte altre.
Da anni sto dando la caccia al perché di questa curiosità linguistica della lingua spagnola. Veramente devo notare che questa “confusione” non esiste solo nello spagnolo. Anche altre lingue, specialmente lingue dell’est europeo, hanno alcune parole dove, anche nella scrittura (a caratteri cirillici), esiste un’equivocità tra l lettere V e B, e la pronuncia. Ad esempio, PRABDA (Pravda), (Verità), il giornale russo più conosciuto, prima della D ha la BETA cirillica, come quella greca, che non si può scrivere con la tastiera normale. Questa BETA si pronuncia V, come tutti sanno. Proprio ieri, guardavo in TV un incontro di tennis degli “Open” degli Stati Uniti. Una delle due tenniste, una Ucraina naturalizzata Americana, si chiama Varvara Lepchenko. Tutti capiscono che il nome corrisponde a Barbara. La identificazione fra B e V è evidente. Ho chiesto a destra e a manca se c’era una spiegazione plausibile di tale fenomeno. Non ho mai trovato chi mi desse soddisfazione.
Allora mi sono formulato io, senza voler darmi ragione da solo, un’ipotesi che potrebbe spianare la strada. Ipotesi che cerca conferma : chi può, o chi sa, dare una risposta, o solo fare un commento, è pregato di comunicarmelo.
Anticamente, le scuole non esistevano. Chi tramandava alle generazioni successive le parole, le scritture, le pratiche del linguaggio, le pronunce erano i genitori. O, in loro assenza, i nonni o altri consanguinei anziani delle tribù o dei clan che istruivano i bambini. Di solito, i genitori erano fuori casa a caccia o al lavoro e stavano poco in compagnia dei figli, come accade anche adesso, del resto. Gli anziani o i vecchi di un tempo, ma anche tuttora, nelle zone più misere della terra, hanno sempre avuto una caratteristica nel loro aspetto morfologico (ed anche estetico) : la mancanza dei denti. La scarsa igiene, in generale e, in particolare, quella orale, era la causa delle caduta dei denti anche in media età.
Ora la pronuncia di determinati fonemi, specialmente quelli labiali, in assenza di denti è un problema di non poco conto. Qui faccio appello a chi è in grado di verificare se quello che sto prospettando abbia fondamento o meno. I portatori di dentiera mobile (specialmente superiore) dovrebbero essere in grado di verificare se la pronuncia della lettera V , che si ottiene accostando la dentatura superiore al labbro inferiore, in assenza dei denti superiori diventa una specie di B sfumato, che scaturisce dall’avvicinamento delle due labbra: il labbro superiore sostituisce la dentatura superiore mancante.
Allora, da dove nasceva la confusione o la fasulla identificazione della V con la B? Semplicemente dal fatto che i genitori, ancora, presumibilmente, forniti di denti pronunciavano una parola con la V, mentre la stessa lettera, nella stessa parola, veniva pronunciata dai vecchi come una B. Il problema è millenario ed irrisolto.
Devo essere sincero. Dubito che qualcuno mi darà una mano a chiarire il dilemma.
PIUTTOSTO CHE
Piuttosto che è una locuzione congiuntiva della lingua italiana. È tipica della coordinazione sostitutiva, per cui una proposizione ne nega un’altra in modo totale e la sostituisce; equivale quindi ad anziché.
A partire dagli anni novanta del XX secolo, l’espressione ha subìto un’estensione di significato con slittamento verso l’uso disgiuntivo, essendo usata, di frequente, nel senso di oppure: taluni parlanti, cioè, costruiscono frasi come «mangio mele piuttosto che pere», volendo così indicare il significato di «mangio mele oppure pere» e non più «mangio mele anziché pere». L’esito può essersi prodotto a partire dal rafforzamento di «o» con l’avverbio «piuttosto».
Grammatici e lessicografi considerano l’uso improprio, ambiguo e semanticamente deviato, anche se trae origine dalle parlate altolocate settentrionali, nelle quali era già diffuso oltre un decennio prima della sua affermazione nel resto d’Italia. Il giudizio di linguisti e altri cultori dell’italiano è quindi negativo, specie per la carica d’ambiguità che l’espressione possiede e che può spingersi fino a provocare un completo nonsenso. Il fenomeno è diventato perfino esemplare degli abusi grammaticali nell’italiano contemporaneo, tanto da essere richiamato dal titolo di pubblicazioni dedicate agli errori e ai tic linguistici più diffusi.
L’impiego di «piuttosto che» nel senso di «oppure», inizialmente di carattere snob, è divenuto un fenomeno sociolinguistico dilagante assumendo natura di moda, con il favore del prestigio che molti parlanti attribuiscono ai costumi linguistici settentrionali. Nondimeno, molti comuni parlanti deprecano l’uso.
La deviazione neostandard consistente nell’uso disgiuntivo di «piuttosto che» ricorre in comunicazioni a volte prolisse, specie in presenza di una ricorsività sintattica che in italiano è invece affidata alle congiunzioni «o» e «oppure»: si avverte quindi in costrutti come «Penso che domani andrò al cinema, piuttosto che a teatro, piuttosto che al vernissage. Non ho ancora deciso». «Andare a ballare, piuttosto che prendere una pizza con gli amici, piuttosto che fare un giro in moto…».
In casi simili il parlante intende le diverse opzioni come alternative più o meno indifferenti. In base all’uso consolidato da secoli nella tradizione grammaticale italiana, la frase va intesa invece in senso comparativo, nel senso cioè che egli preferisce la prima ipotesi (andare al cinema) alle altre due. Si deve inoltre notare che l’uso standard neppure consente la reiterazione di “piuttosto che”.
Nei casi più blandi, questa maniera di esprimersi comporta una semplice ambiguità semantica che l’ascoltatore può risolvere valutandone il significato in base al contesto linguistico in cui l’espressione è usata. Tuttavia, l’interlocutore può senz’altro percepire un significato divergente dalle intenzioni del parlante (nell’esempio precedente, «Penso che andrò al cinema, invece che a teatro o al vernissage»), mentre nei casi più gravi può prodursi un vero nonsenso.
La formulazione della frase risulta dunque ambigua, e per la sua comprensione è indispensabile interpretare bene il contesto. Nessun aiuto può venire da una diversa intonazione, dato che tra la forma standard e quella neostandard non sembrano esistere differenze di prosodia (intonazione del linguaggio parlato).
L’uso di «piuttosto che» in funzione disgiuntiva è perciò deprecato dai linguisti: non per ostilità preconcetta a un’innovazione, ma perché tale innovazione è portatrice di un’ambiguità sostanziale che pregiudica la funzione del linguaggio. Quest’ambiguità è ancor più deprecabile quando il parlante vi indulge in ambiti settoriali come quello scientifico o giuridico, nei quali è cruciale la «congruenza e univocità» di lessico e terminologia.
Il «piuttosto che» disgiuntivo è un fenomeno sociolinguistico che nasce senz’altro dal linguaggio parlato, ma non germoglia dall’italiano popolare, bensì piuttosto da un terreno iniziale (probabilmente ristretto) di ambienti agiati del settentrione.
Il fenomeno è ritenuto un prodotto degli anni novanta del Novecento, anche se esiste sicura testimonianza di un uso disgiuntivo di «piuttosto che» limitato al ceto medio torinese già nei primi anni 1980. Sembra che l’uso si sia propagato da un centro di irradiazione lombardo circoscritto a Milano. Più genericamente, comunque, gli si può riconoscere un epicentro settentrionale. Alla fine del XX secolo i linguisti lo avvertivano come un uso limitato all’ambito delle parlate settentrionali e del Canton Ticino.
La diffusione ulteriore del vezzo linguistico sarebbe stata favorita da una «certa aura di prestigio» che alcuni parlanti gli hanno accordato, come spesso avviene, semplicemente per la sua origine settentrionale, imitandolo.
Come in altri casi (si veda l’espressione «assolutamente sì»), un ruolo fondamentale ha svolto poi l’influenza dei principali mezzi di comunicazione, ormai arbitri delle tendenze nell’evoluzione dell’italiano. Una certa venatura di snobismo insita nell’espressione potrebbe averne favorito l’accoglimento da parte di conduttori e giornalisti televisivi o radiofonici, che l’hanno poi trasformata in fenomeno virale, rendendola un tormentone.
L’influenza del mezzo televisivo non si è esercitata soltanto sulle classi sociali più deboli culturalmente. Il tipico parlante che abusa dell’espressione è un «adulto colto», professionalmente inquadrabile come «impiegato/dirigente/docente», senza differenze tra i sessi. L’uso sembra attestato senza distinzioni sia nel registro informale sia in quello formale.
Una possibile scia del fenomeno emerge da sporadici segni di un appiattimento semantico sul significato disgiuntivo che inizia ad affliggere anche la congiunzione «anziché».
La dinamica dell’evoluzione non è chiara, ma può essere ricostruita ipotizzando che, in una prima fase, sia avvenuto il rafforzamento della congiunzione «o» con l’avverbio «piuttosto» («mangio mele o piuttosto pere») e, in seguito, si sia verificata la sostituzione del corretto «o piuttosto» con l’errato «piuttosto che».
L’abuso di «piuttosto che» in funzione disgiuntiva è all’origine di stroncature come quella decretata nel 2003 dai lettori del Sole 24 ORE nel gioco linguistico Parole da buttare, in cui l’espressione si classificò al quarto posto, preceduta da «quant’altro», «assolutamente sì» e «un attimino» Concludendo l’inchiesta sull’inserto domenicale del quotidiano, il linguista Diego Marani classificò il «piuttosto che» disgiuntivo, dal punto di vista semiotico (studio dei segni), come un’espressione del tutto priva di contenuti comunicativi, classificabile al pari del «mi consenta» berlusconiano tra gli strumenti inutili del lessico di Porta a porta: mere formule utili a «tenere il microfono», ma “con uno spessore semantico equivalente a quello di un grugnito“.
Alcuni studiosi classificano l’espressione tra i modismi: essa apparterrebbe a un novero di «voci, espressioni, formule, intercalari, accomunati proprio dalla grandissima diffusione di cui godono in un determinato (di solito breve) periodo». Queste, «nel periodo di massima fortuna rimbalzano continuamente dal parlato allo scritto (e viceversa) e riescono a infiltrarsi nei contesti più svariati, passando presto dall’uso all’abuso». Il loro successo, che alcuni ritengono effimero, farebbe parte di un processo di creazione dal basso di una «lingua di plastica».
Quanto sopra esposto è ricavato, in sintesi, da Wikipedia. Aggiungo che, il “piuttosto che” viene spessissimo adoperato, in modo inappropriato, in una elencazione di termini fra loro omogenei, quanto a specie. Ad esempio : “Se devo recarmi in una grossa città, a Milano, piuttosto che a Torino, piuttosto che a Genova”. Basterebbe soltanto una “o”, trattandosi di città fra loro intercambiabili e manca, del tutto, il concetto della alternatività o della contrapposizione disgiuntiva. Come si presenta, ad esempio nella frase . “La morte piuttosto che il peccato” (Santa Maria Goretti).
Ricordo di aver ascoltato, in televisione, il discorso di una persona, interrogata da un giornalista, che in ben meno di un minuto, ha pronunciato il famigerato “piuttosto che” per ben 14 volte. Ho rintracciato il programma, l’ho registrato e ho fatto la conta. Era un “intercalare” ossessionante, che veniva adoperato come “formula lubrificante” per far scorrere il discorso senza inceppamenti. Di una antipatia “virale”.
QUESTO BLOG
Su questo BLOG, la maggior parte delle cose scritte non sono mie, ma scelte da me.
E gli aforismi e le citazioni, da me selezionati, rappresentano il paradigma, nudo e sincero, dei miei pensieri, del mio modo di concepire il mondo, della mia personalità.
Le cose mie, a loro volta, spesso sono stemperate, dissimulate nell’anonimato, sotto mentite spoglie.
Per questo BLOG, cerco di tenermi lontano da autocompiacimento, narcisismo, saccenteria.
Quanto allo “stile” espositivo, se di questo si può parlare, gli strumenti di lavoro privilegiati sono la leggerezza e l’autoironia.
In questo BLOG, tento di affrontare ed esprimere concetti più o meno profondi, con parole semplici. Non sempre ci riesco.
Non voglio giudicare, ma rispettare.
E permettere a tutti di scoprire ed esprimere se stessi, come faccio io, attraverso l’identificazione nei pensieri che più coinvolgono, incuriosiscono, intrigano, offendono, sorprendono, emozionano o, magari, insegnano.
Da questo BLOG, io sto imparando.
Con questo BLOG, io mi sto dipingendo, descrivendo, autocommiserando, deridendo, denudando senza pudore.
N.B. (nota bene) e P.S. (post scriptum)
Di questo BLOG, io mi considero Direttore Irresponsabile.
ACCIDENTI AGLI ACCENTI
Io ce l’ho con gli accenti. Sì, con gli accenti sbagliati di parole pronunciate, sia della lingua Italiana (ma qui chi la conosce se ne accorge), sia, soprattutto, delle parole straniere. Quando chi parla vuole adoperare una parola in lingua straniera, dovrebbe avere il pudore e il buon gusto di informarsi per bene sulla correttezza della pronuncia, sia per rispetto verso la lingua stessa, sia per evitare brutte figure. Ma, tant’è, troppo disinvoltamente si fa sfoggio di padronanza di vocaboli stranieri, per mostrare, ahimè, solo i limiti e le lacune delle proprie conoscenze linguistiche. Meglio sarebbe adoperare il sinonimo od omologo termine italiano, ove esista; qualora non ci sia, si adotti un giro di parole: la lingua Italiana ha tante e tali sfumature diverse nel proprio lessico. Ma la precaria attitudine linguistica, o la scarsa dotazione di vocaboli, (troppi Italiani conoscono malissimo la propria lingua), induce alla “scorciatoia” della parola straniera, che, fra l’altro, fa moda e distinzione. Tutto bene ma, dico io, purché, questa parola la si pronunci in modo corretto.
A proposito, voglio sottolineare il malvezzo, la pratica scorretta che la maggior parte degli Italiani adotta per accentare le parole. Quando un Italiano incontra una parola nuova, o poco adoperata, e non sa dove mettere l’accento, seguendo la propria, inveterata pigrizia mentale, ritrae il più possibile l’accento verso l’inizio della parola: così, non ci pensa più, e chi ha capito, ha capito. Se leggerete il seguito di questa serie, fate attenzione, in quante parole Inglesi l’accento (sbagliato) viene fatto cadere sulla terzultima sillaba.
Ricordo che le parole in Italiano possono essere:
tronche = quando l’accento cade sull’ultima sillaba (esempio: caf-fè);
piane = quando l’accento cade sulla penultima sillaba (esempio: ma-tì-ta);
sdrucciole = quando l’accento cade sulla terzultima sillaba (esempio: te-lè-fo-no);
bisdrucciole = quando l’accento cade sulla quartultima sillaba (esempio: cà-pi-ta-no).
ACCIDENTI AGLI ACCENTI
Ecco qui alcune parole Inglesi che sono state mal ospitate nei discorsi di tanti personaggi della TV, pronunciate in un modo che, per gli Inglesi, sarebbero quasi incomprensibili. Eppure, ne fanno sfoggio, impudentemente, tanti sapienti, o presunti tali, senza preoccuparsi di verificare che la loro pronuncia sia corretta e, soprattutto, senza che nessuno abbia preso l’iniziativa di correggerli. Navighiamo a vista!
Inclusive (compreso) : viene spesso pronunciato ìnclusive, con l’accento sulla prima i.
Accento corretto inclùsive, con l’accento sulla u.
Exclusive (escluso) : viene pronunciato éxclusive, con l’accento sulla prima e.
Accento corretto exclùsive, con l’accento sulla u.
Performance (prestazione) : viene pronunciato pérformance, con l’accento sulla prima e.
Accento corretto perfòrmance, con l’accento sulla o.
Prestate attenzione anche voi, che leggete. Resterete sorpresi di quante volte vengono pronunciate male queste parole.
ACCIDENTI AGLI ACCENTI
Due espressioni Inglesi, che sono diventate, ormai, di uso corrente, nei dibattiti e nella programmazione in TV.
Politically correct : Viene pronuciato Politìcally còrrect, con gli accenti su i e o.
Accento corretto Polìtically corréct, con gli accenti su i e e.
Parental control : viene pronunciato Pàrental còntrol, con gli accenti su a e o.
Accento corretto Parèntal contròl, con gli accenti su e e o.