Numero1504 (serie fino al Numero1501).

 

ACCIDENTI  AGLI  ACCENTI

 

Alcune altre parole Inglesi, la cui pronuncia è sgangherata e vilipesa, in TV dagli addetti ai lavori (giornalisti, presentatori, commentatori e quant’altro).

 

Insurance (Assicurazione) : viene pronunciato ‘Insurance, con l’accento sulla I.
Accento corretto     Insùrance, con l’accento sulla u.

Endurance (Resistenza)   :  viene pronunciato  Èndurance, con l’accento sulla E.
Accento corretto    Endùrance, con l’accento sulla u.

Relax (Distensione)            :  viene pronunciato   Rélax, con l’accento sulla e.
Accento corretto     Relàx, con l’accento sulla a.

Numero1503 (serie fino al Numero1501).

 

ACCIDENTI  AGLI  ACCENTI

 

Ancora, qui di seguito, alcune parole di lingua Inglese, ancorché abusate,  barbaramente maltrattate  nella pronuncia da giornalisti che pontificano in TV e da altri personaggi che se ne ammantano, facendo una barbina figura. Forse, magari, non lo sanno.

 

Official : viene pronunciato Òfficial, con l’accento sulla Ò.
Accento corretto Offìcial con l’accento sulla prima i.

Universal : viene pronunciato Unìversal, con l’accento sulla i.
Accento corretto  Univèrsal, con l’accento sulla e.

Spiritual :  viene pronunciato  Spìritual, con l’accento sulla prima i.
Accento corretto    Spirìtual, con l’accento sulla seconda i.

Continental :  viene pronunciato  Contìnental, con l’accento sulla i.
Accento corretto    Continèntal, con l’accento sulla e.

Memorial : viene pronunciato Mèmorial, con l’accento sulla e.
Accento corretto   Memòrial, con l’accento sulla o.

Colossal :  Viene pronunciato  Còlossal, con l’accento sulla prima o.
Accento corretto     Colòssal, con l’accento sulla seconda o.

A proposito di quest’ultimo aggettivo, c’è una giornalista, Anna Praderio, critica cinematografica di Mediaset,  che, da sempre, saranno almeno 20 anni, nei suoi reportage alla TV su questo o quel film, pronuncia sempre allo stesso modo sbagliato l’aggettivo Inglese colòssal, dicendo còlossal.
Ma, mondo cane, è possibile che, in tutto questo tempo, non ci sia nessuno che le abbia segnalato la cosa? Né che lei si sia accorta e corretta? Gli Inglesi, quando sentono questa pronuncia, si mettono a ridere! 

Numero1502 (serie fino al Numero1501).

ACCIDENTI  AGLI  ACCENTI

Perfino sui cognomi ci sono delle curiose anomalie di pronuncia, di cui nessuno si accorge, nemmeno coloro che ne sono i portatori e, quindi, i diretti interessati. Mi vengono in mente 3 esempi.
Raiola è un cognome campano (Procida, Torre del Greco, Nocera inferiore, le zone di maggior diffusione). Gli appassionati di calcio hanno sicuramente sentito nominare Mino Raiola, che è considerato il re dei procuratori dei calciatori più importanti del calciomercato. Ebbene, tutti, dico tutti, gli addetti ai lavori, a cominciare dai giornalisti, pronunciano il suo cognome Ràiola, con l’accento sulla a. A parte la cacofonia (è veramente brutta una pronuncia del genere), non sono proprio sicuro che questa sia la esatta pronuncia. A me viene più giusto dire Raiòla, con l’accento sulla o. Mi conforta, nella mia ipotesi, una parola del dialetto (o lingua?) Napoletano: cajola che vuol dire gabbia. Ebbene questa parola, molto simile per assonanza, si pronuncia cajòla, con l’accento sulla o. Chissà?

Un’altra parola, che io non capisco perché venga pronunciata da tutti così, è il cognome Ligure/Lombardo Vergassola. È noto il personaggio di Dario Vergassola, comico, documentarista della TV e si conosceva, fino a qualche anno fa, anche un giocatore di calcio che porta lo stesso cognome. La pronuncia unanimemente diffusa di questo cognome è Vergàssola, con l’accento sulla a. Peccato, anche qui i miei dubbi vanno oltre la brutta scansione della accentazione. Vorrei dissertare, per un momento, sulla bellezza di certi cognomi Italiani, che hanno avuto origine dalle arti e dai mestieri dei nostri antenati, specialmente in epoca medievale, quando i cognomi venivano dati alle persone, anche in relazione al proprio lavoro o mestiere. In questo caso, esisteva sicuramente (esiste anche adesso), il calzolaio, o ciabattino, colui che fa le scarpe o le ripara. Una delle operazioni, nella confezione di una scarpa, è quella di applicare la tomaia alla suola. Per secoli questo si faceva cucendo, attraverso una serie di fori procurati da un punteruolo (la lesina) sulla suola, con uno spago (verga), reso impermeabile con una pece particolare, e prendendo dentro e fuori anche la tomaia.
Questa operazione si chiamava, forse si chiama anche adesso, “vergare la sola”(suola). E colui che faceva questo lavoro veniva chiamato “il verga sola”.
È chiaro a tutti, adesso, che una persona che faceva il calzolaio venisse individuato con il cognome di Verga(s)sola e che la pronuncia di tale cognome fosse Vergassòla, con l’accento sulla o. A me pare più romantico.

Un altro esempio di come gli stessi interessati non sappiano pronunciare il proprio cognome è quello di un calciatore centrocampista del Brescia (Serie B) il cui cognome è Sernicola. Ebbene, volete credere che durante la telecronaca di tutta la partita su SKY, il geniale telecronista ha chiamato questo calciatore col cognome Sernìcola (parola sdrucciola)e non Sernicòla (parola piana)? Il guitto non era a conoscenza del fatto storico che, nel Medio Evo, i Notai venissero chiamati con il predicato onorifico di “Ser”, per indicare la categoria e la funzione (un po’ come il “Don” per i nobili o per gli ecclesiastici). E che il Notaio Nicola veniva chiamato Ser Nicola e quindi l’accentazione era ben che scontata. Ma tant’è. Certi giornalisti, specialmente quelli giovani di oggi, oltre all’Italiano non conoscono neanche la Storia.

Infine, un aneddoto autobiografico, per dire come certi cognomi hanno dei significati (e anche delle pronunce) sconosciuti agli stessi che li portano.
Nei miei giri per l’Italia, mi capitò, un giorno, in compagnia di un rappresentante, di visitare un cliente, nella città di Lecco, che tuttora esiste ed è in attività: Ferrario & Aondio Arredamenti. Stavo parlando di lavoro, con il signor Aondio e, ad un certo punto del discorso gli chiesi, ne ero molto curioso, come mai il suo cognome veniva pronunciato, così come lo sentivo, Aòndio, con l’accento sulla o. Lui mi rispose che da generazioni veniva pronunciato così, che non si era mai posto il problema e che, comunque, non lo sapeva. Io gli chiesi il permesso di formulare un’ipotesi etimologica, per spiegare perché, secondo me, il suo cognome si doveva pronunciare Aondìo, con l’accento sulla i. Lui si dichiarò, bontà sua, molto curioso e interessato a saperlo, perché mai aveva sospettato che ci fosse un altro modo di chiamarlo per cognome.
La mia ipotesi fu, ed è, questa. Ho scartato, preliminarmente, l’ eventualità  di crasi (eliminazione interna) della b, per cui avrebbe potuto essere Abondio, perché la parola avrebbe avuto un senso compiuto come nome, per di più diffuso nella zona, quindi sarebbe rimasto Abondio o Abbondio, e non Aòndio.
Ho, invece, suggerito l’ipotesi che Aondìo, con l’accento sulla i, sarebbe la giusta pronuncia di una parola che proverrebbe da una locuzione “Va con Dio”, salvo la caduta consonantica sia della v iniziale che della c.
Vacondio era un cognome che, anticamente, veniva dato dai conventuali ai trovatelli, che venivano lasciati davanti ai sagrati delle chiese, alle porte dei conventi o dentro le ruote, appositamente installate, per impedire la morte per assideramento dei pargoletti abbandonati. Molti sono i cognomi che richiamano lo stato di abbandono e, quindi, la mancanza di genitorialità accertata. Ne ricordo alcuni:
Esposito, Ruotolo, Proietti, Innocenti, Diotaiuti, Degli Innocenti, Infascelli, Servodidio, Diotallevi, Ma ce ne sono diversi altri, magari modificati negli anni o storpiati, anche per dissimulare e camuffare l’etimologia originaria.
Quando un trovatello veniva dato in affidamento, doveva avere un nome e un cognome proprio. I fraticelli o le suorine si inventavano questi curiosi cognomi. Va’ con Dio, tutto attaccato Vacondio, era un cognome dall’espressione augurale, ma per distogliere l’attenzione dal suo significato, che costituiva sempre una vergogna sociale, venne modificato: Vacondìo divenne, un po’ alla volta, Aondìo, ma non bastava, perché, in qualche modo, si capiva ancora l’origine etimologica e semantica e, allora, si spostò l’accento, dalla i alla prima o dopo la A : Aòndio.
Il cliente, sorpreso e addirittura entusiasta di aver scoperto qualcosa che lo riguardava e non conosceva,, 
mi disse che avrebbe fatto fare delle indagini. Negli anni seguenti, aumentò di molto il fatturato.

 

Numero1501 (serie dal Numero1507).

ACCIDENTI  AGLI  ACCENTI

Istanbul : grande città della Turchia, ha un nome il cui suono viene da una locuzione  Greca e che significa “Città delle città”. Così i Greci chiamavano Costantinopoli, divenuta poi Bisanzio e, ora, Istanbul. Come si pronuncia?
Contrariamente a quello che pensano e dicono quasi tutti gli Italiani, che pronunciano Ìstanbul, con l’accento sulla I, si deve dire, invece, Istànbul, con l’accento sulla a. Rarissimo da sentire!

Un’altra curiosità, che io non ho mai capito e che pochi hanno notato è la parola Italiana Milan.
Milano, città Italiana, capitale morale e industriale del nostro paese, si pronuncia, chiaramente, con l’accento sulla a : Milàno. Gli stranieri, a parte i Tedeschi che la chiamano Mailand, si adeguano: gli Inglesi, i Francesi e gli Spagnoli la chiamano Milàn, ad esempio. Perfino i suoi abitanti, i Milanesi, la pronunciano con l’accento sulla a : Milàn l’è un gran Milàn.
Mi sapete spiegare perché la squadra di calcio di questa città si chiama Mìlan, con l’accento sulla i ?

Restando in ambito geografico, osserviamo come le vicende della storia possano determinare una curiosa danza di accenti in Florìda e Canadà, diventati, rispettivamente, Flòrida e Cànada.
Flòrida non è, come qualcuno potrebbe pensare, il femminile dell’aggettivo flòrido, ma è il nome spagnolo dato alla penisola americana dal suo scopritore, Juan Ponce de Leòn, che vi approdò il giorno della domenica delle Palme del 1513, giorno che gli Spagnoli chiamano “Pascua Florìda”, cioè Pasqua fiorita, così detto per la benedizione dei rami fioriti, invece dei tradizionali rami d’ulivo o di palma. Rimasto Spagnolo per tre secoli, quel territorio, dopo varie vicende, fu annesso agli Stati Uniti nel 1819, e i nuovi abitanti si guardarono bene dal cambiargli il nome: solo lo pronunciarono secondo le loro leggi fonetiche. Dunque, da Florìda a Flòrida.
Quanto a Canadà, la pronuncia tronca ripete quella Francese, perché tutto Francese era, in origine, quel territorio e, anche oggi, gli abitanti di lingua Francese sono numerosissimi. Anche qui, cambiata la dominazione e subentrati gli Inglesi, essi si limitarono a ritrarre l’accento: Cànada.
Il nome deriva ca “canada” o “canata”, nome dato alle loro “capanne” dalle popolazioni indigene. Come pronunciassero questo nome quei lontanissimi nativi non è dato saperlo. Atteniamoci alla pronuncia Inglese.

Chi non ha seguito in Tv la serie degli sceneggiati del commissario Montalbano? In diversi episodi, vengono nominati i Cuffaro e i Sinagra, nomi di due famiglie mafiose rivali della fantomatica cittadina di Vigata. Ebbene, in uno di questi episodi, in particolare, viene portata in ballo, coinvolta nella vicenda, la famiglia Cuffaro. E qui viene il bello! Come si pronuncia questo cognome? In diverse scene del filmato, compaiono il commissario Salvo Montalbano (Luca Zingaretti) e Fazio (Peppino Mazzotta), suo fedele collaboratore, che parlano tra loro nominando più e più volte il cognome incriminato.
Volete crederci? Montalbano pronunciava Cùffaro, con l’accento sulla u, mentre invece Fazio ribatteva, pronunciando la stessa parola Cuffàro, con l’accento sula a. Nello stesso dialogo e nella stessa inquadratura di  sceneggiatura. Ma parlavano della stessa persona (Antonino Cuffaro) o famiglia, oppure no? Certo che si capivano lo stesso! E questo in diversi ripetuti colloqui della puntata. Ma, non si potevano mettere d’accordo prima?

Per precisare, esiste nel dialetto Siciliano una parola ben nota, la “cuffa” che significa “cesta” e colui che fa, costruisce, confeziona la cuffa è “o cuffàro”, cioè il cestaro, o cestaio (toscanismo), con la desinenza “aro” o “aio”, come dicono i Toscani, che vuol dire “colui che fa, produce, lavora quell’oggetto o in quel sito di fabbricazione. Ad esempio: il “fornaro”, o “fornaio”, il “macellaro”, o “macellaio”, il “vasaro””, o “vasaio”, il “calzolaro”, o “calzolaio”, il “bottaro”, o “bottaio”. E via dicendo.
La pronuncia corretta sarebbe, anzi è: Cuffàro, con l’accento sulla a.
E rimandiamo a Settembre il commissario Dottor Salvo Montalbano!

Mi rivolgo, infine, ai miei corregionali, i Friulani, affinché prestino attenzione a come i nostri connazionali, tutti gli Italiani, pronunciano il nome della nostra regione “Friuli Venezia Giulia”. La parola “Friuli” viene, spesso, pronunciata con l’accento sulla i : “Frìuli”, anziché com’è corretto, “Friùli”, con l’accento sulla u.

Senza andare tanto lontano, in Veneto, particolarmente nel Trevigiano, l’accentazione sbagliata è comunissima.

Noi , però, non ci sogneremmo mai di dire: Venèto o Lombàrdia.

Numero1445.

 

C O M M I A T O

 

Quello che segue, che adesso vi leggerò, l’ho letto, a conclusione della serata, ad un gruppo di amici, riunito per una cena seguita da una schitarrata e cantata senza pretese, in tono dimesso, solo per pochi intimi, riesumando le bellissime canzoni dei vecchi tempi.
In questo componimento la rima compare, ma a casaccio, senza uno schema fisso, perciò non lo definirei una poesia vera e propria, bensì una prosa poetica o una poesia prosaica. Come vi pare.
Quello che conta è che la recitazione sia fluida e scorrevole e, soprattutto, che il contenuto sia, all’ascolto, stimolante e condivisibile, intrigante e coinvolgente, pur se colorato dalla nostalgia.
Sembra che lo sia stato, in tale occasione, per chi lo ha ascoltato.
E che lo sia, tuttora e senza un tempo definito, a voi il giudizio e l’eventuale gradimento.

 

 

C O M M I A T O

 

Così, pian piano, è quasi finita

questa nostra simpatica serata

che, insieme, abbiamo passata

suonando e ascoltando canzoni:

la colonna sonora della vita,

le speranze, i sogni, le emozioni

di allora, dei nostri anni più belli:

le parole, i refrain, i ritornelli

han portato alla mente i ricordi

delle nostre lontane stagioni.

Una chitarra e quattro accordi

e la voce che vola su in alto

e il cuore che ha un soprassalto

per risentirci giovani e felici,

lontani da eccessi e bagordi,

ma soltanto da buoni amici.

Che bei tempi, lasciatemi dire,

quando tutto sembrava possibile

e il futuro appariva credibile

e potevi sognarlo davvero

e speravi, comunque, nel meglio

e il lavoro era proprio vero,

come l’amore quand’è sincero.

Siamo stati proprio fortunati.

Avevamo poco e ci sembrava tanto,

ci mancavano, forse, soltanto

le illusioni dei superpoteri,

le chimere dei mondi incantati,

e tutte quelle fantascemenze

da cui oggi siamo bersagliati,

che ottundono infantili coscienze.

Sì, pochi diritti e tanti doveri:

tale era la nostra condizione,

ma bastava una semplice canzone

ed ecco tutto diventava più bello:

non il bello di oggi, ma quello di ieri

il bello di classe, il bello elegante,

il buon gusto dei valori veri,

non la moda becera e ignorante

che, per rendere diverso tutto,

abdica al proprio equilibrio

e trasforma ogni cosa in brutto.

Non apparteniamo più e ormai

alle cose di questo tempo.

Non so voi, ma io sono stanco

di disapprovare e contestare

questo mondo che lascio dietro a me:

adesso, ragazzi miei , tocca a voi,

vivete pure come diavolo vi pare,

perché, tanto, le capirete poi

le cose che non dovreste fare.

Io tolgo il disturbo, scusate l’intrusione,

quando sarà ora, me ne voglio andare,

in punta di piedi, con educazione.

Ma se, qui, stasera siete stati bene

e vi è piaciuta la nostra compagnia

e se, fra poco, ve ne andrete via

portandovi dentro qualche cosa

che vi ha arricchiti e resi migliori,

ripetiamo ancora questi incontri,

rimettiamo insieme i nostri cuori

un po’ drogati dalla nostalgia

e ricordiamoci che la poesia

non è soltanto di chi la scrive,

ma anche di chi la sente sua,

di chi l’ascolta dentro e la vive,

come retaggio davvero universale,

nel proprio immaginario personale,

che diventa, per magia, collettivo,

per unirci in un grande abbraccio,

per snidare quel poco di eterno

che c’è dentro di noi ancora vivo

e che ci rende buoni, umani,

liberi e aperti alle cose belle

che abbiamo sempre in comune,

oltre le nostre caduche particelle.

Grazie a tutti per essere stati qui,

per aver partecipato e ascoltato,

per avere sentito e, magari, sognato.

Sempre più spesso, ma senza ipocrisia,

ci capita di pronunciare parole come:

“Ormai,…purtroppo,…che peccato!”

perché ci accorgiamo, con malinconia,

che tanto delle nostre vite è passato

e che il resto se ne sta volando via.

È stato bello, comunque, stare insieme,

perché abbiamo davvero qualcosa

che, ancora, ci accomuna tutti, così:

la musica, la poesia, i buoni sentimenti

che stasera ci hanno lasciati contenti

di aver vissuto, qui insieme, queste ore.

Grazie a tutti e … di tutto cuore.

 

Alberto Visintino      2018