Numero1879.

 

CORONAVIRUS

 

Che cos’è il “coronavirus”

se non una forma raffinata

di naturale eutanasia?

Ma come? Perché mai?

Sì, molto semplicemente,

esso toglie di mezzo

chi è già stato colpito

da patologie pregresse.

“Virus, tu uccidi un uomo morto!”:

proprio, quasi, come disse

Francesco Ferrucci condottiero,

ahimè ferito mortalmente

nella battaglia di Gavinana,

a Fabrizio Maramaldo vincitore

che stava per trafiggerlo:

“Vile, tu uccidi un uomo morto!”

 

Numero1808.

Gaudeamus igitur, iuvenes dum sumus.

Post iucundam iuventutem,

post molestam senectutem,

nos habebit humus!

 

Vita nostra brevis est, brevi finietur,

venit mors velociter,

rapit nos atrociter,

nemini parcetur.

 

Spassiamocela dunque, finché siamo giovani.

Dopo l’allegra gioventù,

dopo la fastidiosa vecchiaia,

ci riceverà la terra!

 

La nostra vita è breve, in breve finirà,

arriva la morte in un lampo,

ci strappa crudelmente,

non risparmierà nessuno.

 

De brevitate vitae (Sulla brevità della vita)    canzone dei Clerici Vagantes Medioevali, è considerata l’inno goliardico internazionale.

 

 

Numero1772.

….Quando il mio tempo sfiorerà

la soglia dell’eternità

e qualche cosa mi dirà: ci siamo.

Quando guardandoti, vedrò

che senza il nostro amore no,

non avrai più quei giorni tuoi di prima.

Quando più calmo sembrerò

e la tua mano cercherò

perché il mio polso batterà più piano,

dopo aver accettato Dio,

prima di andarmene lo so,

un’altra volta, se potrò,

io ti dirò, come un addio,

….. ti amo.

 

A mia moglie      Charles  Aznavour.     (testo Italiano di Giorgio Calabrese).

Numero1769.

L’ ETERNA  DOMANDA : COSA  C’ È  DOPO?

Nel ventre di una donna incinta, si trovano due bebè. Uno di loro chiede all’altro:
“Tu credi alla vita dopo il parto?”.
“Certo. Qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello che saremo più tardi”.
“Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita?”
“Non lo so, ma sicuramente…. ci sarà più luce che qua. Magari, cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo con la bocca”.
“Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare con la bocca? Ridicolo! Il cordone ombellicale è la via d’alimentazione…. Ti dico una cosa : la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombellicale è troppo corto”.
“Invece, io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui”.
“Però, nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E, in fin dei conti, la vita non è altro che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla”.
“Beh, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi”.
“Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora?”.
“Dove? Tutta intorno a noi! È in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei, tutto questo mondo non esisterebbe”.
“Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista”.
“Ok, ma, a volte, quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai?…. io penso che ci sia una vita reale che ci aspetta e che, ora, stiamo soltanto preparandoci ad essa”.

Numero1717.

 

LOTTA  PER  LA  VITA     (TORMENTINO  RAP)

 

Se vuoi esistere,

tu devi insistere

e poi persistere

e mai desistere.

 

La terra stessa

ci fu promessa;

la nostra messa

non c’interessa.

 

Abbiamo in dono

il brutto e il buono,

torto e perdono

son quel che sono.

 

Ma quel che viene

non sempre è bene:

ci sono catene,

affanni e pene.

 

Morir si deve.

Il tempo è breve,

si scioglie lieve

come la neve.

 

Si spegne il fuoco,

il lume è fioco,

la vita è un gioco

che dura poco.

 

Lottiamo forte

contro la sorte.

Sbarriamo le porte

in faccia alla morte.

Numero1601.

La morte non è la fine,

bensì l’inizio

di una nuova vita.

In effetti, è

la fine di qualcosa

che è già morto.

Ma anche un “crescendo”

di quello che

chiamiamo vita.

Ma, purtroppo,

veramente in pochi

sanno cosa sia la vita:

vivono, ma in una

ignoranza tale

che non sapranno mai

incontrare la loro

stessa vita

e nemmeno

la loro morte.

Osho.

Numero1448.

Ayse Deniz Karacagil, giovane ragazza turca di etnia Curda, aveva 24 anni, quando morì in combattimento.
Nell’anno 2013, a 20 anni, prese parte alle proteste, spontanee ma reiterate, della gente comune di Istanbul contro la decisione di Erdogan di far radere al suolo un grande polmone verde della città, Gezi Park, per destinare l’area ad un nuovo centro commerciale. Venne arrestata, accusata di terrorismo, condannata chi dice a 98, chi dice a 103, facciamo una media di 100, ma non frustate, non giorni, non mesi, ma anni di carcere. Quando le truppe del Daesh, praticamente l’ISIS, invasero la Siria e un vasto territorio occupato anche dalle popolazioni Curde, le fu offerta la possibilità di commutare la pena, arruolandosi nell’esercito Curdo per difendere il proprio territorio. Scarcerata, si unì ai guerriglieri Curdi dell’YPG (Unità di Protezione Popolare) nella divisione femminile. Il giovane fumettista Romano Michele Rech, noto con lo pseudonimo di “Zerocalcare”, la conobbe sul fronte di guerra e ne descrisse la storia nel fumetto “Kobane calling”. La ragazza era conosciuta con il soprannome di “Cappuccio rosso”, perché aveva in testa sempre un copricapo di questo colore.

Roberto Vecchioni racconta in musica la tragica morte della ragazza, il 29 Maggio 2017, presso Raqqa. Le parole e la melodia, in una struggente commistione di pathos e di rabbia contro la guerra, sono un partecipe, emozionato ed emozionante omaggio al coraggio di una giovane ragazza, morta per un ideale, che non era solo la patria, ma anche il diritto delle donne all’affrancamento da una condizione disumana ed innaturale di sudditanza da principi religiosi, interpretati dagli uomini, e perpetrati surrettiziamente in secoli di oscurantismo.

Questo il testo della canzone:

C A P P U C C I O    R O S S O

Ti penso amore mio che sei lontano
ti penso con il mio fucile in mano,
tu forse crederai che io sia pazza
che queste non son cose da ragazza.

E invece viene un giorno nella vita
che scegli e se non scegli l’hai tradita
e non importa se si vive o muore
piangere gioia o ridere dolore.

Questa curva di sole nel tramonto di Raqqa
mi disegna nel cuore l’arco della tua bocca,
ho tagliato i capelli, ho sfidato la rabbia,
i miei giorni più belli sono lacrime e sabbia.

Noi siamo di una patria senza terra,
noi siamo Curdi naufraghi di guerra:
è l’alba e coi compagni sto partendo
e parto e coi compagni sto cantando.

Ho in me tutte le favole di un tempo,
attorno a un fuoco acceso e ora spento,
e seguo il filo di una ninna nanna,
chiedendomi se ho messo il colpo in canna

C’era un drago di fuoco che sbarrava la strada,
ma non teme nemico un eroe con la spada;
ma non ho mai capito come andava a finire
che succhiandomi il dito cominciavo a dormire.

È il 29 maggio e non ho sonno
e qui c’è proprio il drago di mio nonno.
Saprò questa volta come va a finire,
che non ho proprio tempo di dormire.

Qui sparano li sento e non li vedo
qui sparano e mi sa che mi hanno preso;
ma non temere amore non è niente,
mi brucia un po’ ma in fondo non si sente.

Metti il pane nel fuoco, versa il vino migliore,
che ritorno tra poco, è questione di ore;
spazza tutte le foglie, che l’autunno è passato,
quando l’odio si scioglie, che sia verde il mio prato.

Se qualcuno me lo trova addosso,
riporti a casa il mio cappuccio rosso