L’ I N V I D I A
Oh invidia,
radice di mali infiniti
e tarlo della virtù!
Tutti i vizi, Sancio,
recano seco
un non so che di diletto,
ma quello dell’invidia
non reca se non
dispiaceri, rancori e ire.
Don Chisciotte Miguel de Cervantes.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
L’ I N V I D I A
Oh invidia,
radice di mali infiniti
e tarlo della virtù!
Tutti i vizi, Sancio,
recano seco
un non so che di diletto,
ma quello dell’invidia
non reca se non
dispiaceri, rancori e ire.
Don Chisciotte Miguel de Cervantes.
da QUORA
Riporto un articolo che sottoscrivo e di cui faccio tesoro, perché di imparare a vivere non si finisce mai.
Io non credo nel diavolo. Non l’ho mai visto, tranne che nelle immagini create dagli uomini. Sono sicuro che l’inferno, come canta De André, “esiste solo per chi ne ha paura”. Non credo negli esorcisti, credo negli psichiatri. Non credo nel soprannaturale, credo nella natura.
Però mi ha fatto pensare la frase detta dal padre di una delle tante vittime del massacro dei miliziani di Hamas al rave party nel deserto. Quel padre ha detto: “Non dobbiamo chiamarli bestie. Le bestie non fanno quelle cose. Loro non sono bestie, sono diavoli”.
Effettivamente, se esistesse un sindacato delle bestie, emetterebbe un comunicato per diffidarci dall’accostare il loro nome al nostro. Lo facciamo spesso. Lo faccio anche io, ogni volta che non trovo la misura per definire la rabbia e il ribrezzo che mi suscitano certe scene di sangue e di ferocia. Questi non sono uomini, sono bestie. Non dobbiamo più dirlo. Ci allontana dalla realtà.
Certo, la natura non è un pranzo di gala, ogni secondo una bestia scanna un’altra bestia per mangiarla, per sopravvivere. Ma quando hanno la pancia piena, e si sono riprodotte, e hanno garantito la sopravvivenza della specie, le bestie si fermano. “Il leone si è addormentato e paura più non fa” dice una vecchia, bellissima canzone. Le bestie uccidono per sopravvivenza, non uccidono per vendetta, non uccidono per religione, non uccidono per ideologia.
Invece nei kibbutz di Israele come nei villaggi ucraini, nella striscia di Gaza bombardata, l’unica galera al mondo che rinchiude moltitudini di innocenti, nei villaggi sudanesi e yemeniti, non si muore per fame o per necessità. Si muore per odio. Odio etnico, odio religioso, odio politico. E dunque, lasciamo stare le bestie e torniamo al diavolo. Forse è la pista giusta.
La parola viene dal greco diabolos, che vuol dire, grosso modo, “colui che si intromette”. Indicava, in origine, il calunniatore, quello che semina zizzania, che avvelena i discorsi, quello che distorce la verità per alimentare la discordia.
L’arma principale del diavolo, da sempre, è la menzogna. Il diavolo mente, e lo fa per guastare gli animi. Beh, questo è già un grosso indizio. C’è quasi sempre una menzogna, alla radice della guerra. La menzogna della razza superiore e delle razze inferiori, la menzogna dell’aggressore che si spaccia sempre per aggredito, e la menzogna suprema, la più infame, che è muovere guerra perché Dio lo vuole. Se il torto è sempre e solo del nemico, e mai il nostro, la prima vittima è la verità. Il torto, in Medio Oriente, è spalmato come il burro sul pane. Nessuno ne è immune. Ma ammetterlo vorrebbe dire riaprire un varco alla verità, e in guerra non c’è spazio per la verità. Il linguaggio della guerra è la propaganda, la menzogna, la calunnia reciproca. La guerra è il palcoscenico del diavolo.
Nonostante l’uomo abbia sempre cercato di dare al diavolo sembianze di bestia, soprattutto la capra e il serpente, il volto del diavolo è sempre, in ogni immagine che lo raffigura, molto simile al nostro. Trasfigurato, mostrificato, dipinto di verde e di rosso per farlo sembrare più spaventoso: ma il re della menzogna e della guerra ha il volto degli uomini. Basta guardarlo, il diavolo, per scoprire quanto ci assomiglia. Il diavolo non ha nessun bisogno di esistere per davvero. Esiste l’uomo, e tanto basta per dare un volto al Male.
Michele Serra
Mi è arrivata su WHATSAPP, scritta e interpretata da Gianluca Apicella, con
chiaro riferimento alla poesia di Totò, ‘A LIVELLA, questa poesia recitata.
Ho cercato di scriverla, per quel che ne so di Napoletano: non vi
nascondo che è un po’ difficile, da capire e anche da scrivere.
Accetto, di buon grado, correzioni e suggerimenti per migliorare
la stesura di questo colorito, quanto condivisibile, testo.
‘O RUSSO È N’ OMM’ ‘E MERD !
Voglio parlà cu tte, cinque minuti,
soltanto pe’ te chiedere: Hai fernuto?
Ti rendi cunto di quanto staie facenno
e quanta ggente tu staie distruggenno?
Pe’ colpa toia, campammo ‘nt’ a paura,
e tu ci guardi con disinvoltura.
Te si’ fissato ca vuò chiù potere,
ma staie pazzianno o staie facenno ‘o vero?!
E sulo pe’ te sèntere chiù grosso,
tu miette ‘o munno sano dint’ ‘o fuosso.
Vabbe’, ma tanto a te che te ne fotte,
se sape, nun si’ tu che vaie là sotto.
Tu, forse, ‘e vote, te siente chiù potente,
ma sta perdenno ‘a vita tanta ggente.
E tu, co’ tanto pilo in copp’ ‘o core,
staie fermo e guardi ‘o munno mentre more.
Chiagnenno, ‘na mugliera fuje luntano
e porta ‘na creatura, man’ in mano,
e ‘o marito sta là, co’ o mitra ‘n mano
e guarda ‘a vita mentre s’alluntana.
Pe’ miezz’ ‘e strade, sonano ‘e ssirene,
e a nuie se ggela ‘o sanghe dint’ ‘e vvene.
E vanno a terra n’ ‘ati doie palazzi.
Guagliò, sienteme a mme, tu si’ nu pazzo.
Ma che te serve tutto ‘stu cumanno?
‘O vuò capì ca tiene settant’anni?!
Si’ fatt’ ‘e carne e ossa, nun si’ eterno,
e doppo tu, ca cunt’ a ‘o patreterno?
Pe’ ‘a te conquistà ‘sti quattro mura,
haie massacrato tutte ‘sti creature?
Perciò, chiedi a te stesso a mmò,
e si nun sient’ a mme, siente a Totò.
Fernisci ‘e fare tutto ‘stu burdello,
‘a morte ‘o ssaie che d’è? È ‘na livella. In corsivo: versi della poesia “‘A livella” di Totò.
‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo,
trasenno ‘stu canciello ha fatto ‘o punto
c’ ha perso tutto, ‘a vita e ppure ‘o nomme,
e tu, non t’è fatto ancora chisto cunto.
E co’ rispetto de ‘sta poesia speciale,
m’aggio deciso ‘e càgnare ‘o finale.
Perciò, stamme a sentì, nun fa’ ‘o testardo,
si’ ancora a tiempo, nun è troppo tardi.
Tanto se sape, l’Ucraina perde,
ma tu si’ sempe ‘o russo, ma ‘o russo… è n’ omm’ ‘e merd.
N.d.R. : su consiglio del mio amico Efrem, presento qui la traduzione.
Non posso scriverla a fianco di ogni verso, perché sul cellulare non si potrebbe leggere.
Spero che, comunque, sia utile alla comprensione.
La poesia di Totò, ‘A livella, si trova al Numero1136.
Voglio parlare con te, cinque minuti,
soltanto per chiederti: Hai finito?
Ti rendi conto di quanto stai facendo,
e quanta gente tu stai distruggendo?
Per colpa tua, viviamo nella paura,
e tu ci guardi con disinvoltura (noncuranza).
Ti sei fissato che vuoi più potere,
ma stai dando di matto, o stai facendo sul serio?
E solo per sentirti più grande,
tu metti il mondo intero nella fossa.
Vabbè, ma tanto a te che te ne fotte,
si sa, non sei tu che vai là sotto.
Tu forse, a volte, ti senti più potente,
ma sta perdendo la vita tanta gente.
E tu, con tanto pelo sul cuore (come dire: con tanto pelo sullo stomaco)
stai fermo e guardi il mondo mentre muore.
Piangendo una moglie fugge lontano,
e porta un figlio (o figlia) per mano,
e il marito sta là, col mitra in mano,
e guarda la vita mentre si allontana.
In mezzo alle strade suonano le sirene,
e a noi si gela il sangue nelle vene.
E vanno a terra altri due palazzi:
ragazzo, stammi a sentire, tu sei un pazzo.
Ma che ti serve tutto questo comando?
lo vuoi capire che hai settant’anni?
Sei fatto di carne e ossa, non sei eterno,
e dopo tu, che racconti al padreterno?
Per accaparrarti queste quattro mura,
ha massacrato tutte queste creature?
Perciò, interroga te stesso, adesso,
e se non ascolti me, ascolta Totò,
Smetti di fare tutto ‘sto bordello,
la morte sai che è? È una livella.
Un re, un magistrato, un grand’uomo,
attraversando questo cancello ha ha fatto il punto (della situazione)
che ha perso tutto, la vita e pure il nome,
e tu, non hai fatto ancora questo conto?
E con rispetto di questa poesia speciale,
mi sono deciso a cambiare il finale.
Perciò, stammi a sentire, non fare il testardo,
sei ancora in tempo, non è troppo tardi,.
Tanto si sa, l’Ucraina perde,
ma tu sei sempre il russo, ma il russo…. è un uomo di merda.
Viviamo in un mondo, in cui
ci nascondiamo per fare l’amore,
mentre la violenza e l’odio
si diffondono alla luce del sole.
John Lennon.
L’oscurità non scaccia l’oscurità,
solo la luce può farlo.
L’odio non scaccia l’odio,
solo l’amore può farlo.
Martin Luther King jr.
Il miglior perdono è la vendetta:
essa ci degrada al livello
di coloro che ci hanno offesi,
gratificandoli di una giustificazione
che non meritano.
L’ O D I O
Quando odiamo qualcuno,
odiamo nella sua immagine
qualcosa che già abbiamo
dentro di noi.
Herman Hesse.
N.d.R. : Cioè, è come dire: odiare gli altri è odiare se stessi. È il conflitto con il nostro brutto carattere, che tentiamo di risolvere con una rimozione, riversando su altri il marasma che, dentro di noi, non siamo capaci di gestire.
Per questo l’odio non può che creare frutti amarissimi.
UNA POESIA DI TRILUSSA DI CENTO ANNI FA.
NINNA NANNA DELLA GUERRA
Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello,
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.***
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili bombe
de li popoli civili.
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro. Tiranno
Ché quer covo d’ assassini la banda
che c’insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura sto macello:
fa la ninna, ché domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro,
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!
*** N.d.R. A leggere questa prima strofa, vien da pensare ad una banale filastrocca per bambini. Ma, quando Trilussa pubblicò questa poesiola, scritta alla sua inconfondibile maniera, correva l’anno 1914 e già era scoppiata la Prima Grande Guerra Mondiale. E la sensibilità autentica di questo vate popolare aveva già intercettato e percepito, con profondità profetica, il dramma ancora più devastante che sarebbe accaduto neanche trent’anni dopo con la Seconda Grande Guerra, e con i suoi oscuri protagonisti. Senza parlare delle molteplici sfrangiature di conflittualità che sarebbero succedute, in seguito, nel dopoguerra. E, seppur camuffati da esigenze economiche, sempre per motivi ideologici: la razza o la religione.
REFUSO DELLA STORIA
Dall’errore si dovrebbe imparare,
dall’orrore, no.
L’odio è un istinto di sopravvivenza.
L’amore è un istinto predatorio.
Il peggior peccato
contro i nostri simili
non è l’odio,
ma l’indifferenza.
Questa è l’essenza
della disumanità.
G.B. Shaw.
Oderint ut metuant.
Mi odino pure, purché mi temano.
Caligola.
Obsequium amicos, veritas odium parit.
L’ossequio procura amici, la verità procura odio.
Più divento vecchio
e più odio aver ragione.
Accumulare amore significa fortuna.
Accumulare odio vuol dire calamità.