V I T T O R I A D I S I N N E R A W I M B L E D O N
Non sempre il più forte
è il più saggio:
la costanza vince
più del coraggio.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
V I T T O R I A D I S I N N E R A W I M B L E D O N
Non sempre il più forte
è il più saggio:
la costanza vince
più del coraggio.
da QUORA
Perché in questo periodo tutti sono irritabili e si arrabbiano per poco?
Scrive Luise, corrispondente di QUORA
Se raccogli 100 formiche nere e 100 formiche rosse e le metti in un barattolo di vetro, non succederà niente di speciale.
Ma se prendi il barattolo, lo scuoti violentemente e lo rimetti sul tavolo, le formiche cominceranno ad uccidersi a vicenda.
Le formiche rosse vedono le nere come il nemico, mentre le nere vedono le rosse come il nemico.
Ma il vero nemico è la persona che ha scosso il barattolo.
Lo stesso vale per la società.
Uomini contro donne
Sinistra contro destra
Nero contro bianco
Ricchi contro poveri
Fede contro scienza
Vaccinati contro Non-vaccinati…
Prima di combattere tra di noi, dovremmo chiederci:
Chi ha scosso il barattolo?
Non sottovalutare mai
il tuo potere di cambiare te stesso
e non sopravalutare mai
il tuo potere di cambiare gli altri.
Anonimo.
È lunga quella strada
che non ha mai una svolta.
SUCCISA VIRESCIT
La traduzione di questo motto latino è “Recisa alla base, torna a rinverdire”.
Le parole, che ornano lo stemma dell’abbazia di Montecassino, che mostra una quercia tagliata al piede, dal cui ceppo vanno spuntando rami nuovi, vengono anche usate in riferimento a tutto ciò che, dopo la distruzione, trova in sé la forza di tornare a nuova vita.
Si tratta di un simbolo (o di una allegoria, se considerata dal punto di vista delle figure retoriche) di rigenerazione, forza interiore, capacità di riscatto.
Ha funzione conativa, ovvero il suo scopo è quello di spingere l’individuo a reagire, a risollevarsi anche dopo un avvenimento tragico, distruttivo, che ha quasi annientato il suo essere.
“Quasi”, appunto, non del tutto.
E’ quell’avverbio a fare la differenza, a invitare a chiedersi di che pasta si è fatti, a spronare all’autorigenerazione.
L’icona dell’albero tagliato è metafora della straziante perdita (di una persona cara, di tutti i beni, della propria integrità corporea), ma i rami verdi che nonostante tutto iniziano a spuntare, generando le foglie, lo sono della capacità di affrontare anche i più grandi dolori, le più grandi perdite e rimettersi in piedi, ancora vivi, ancora fecondi di progetti, di idee, di giorni da affrontare con energia.
E’ simbolo della forza della vita che non dipende dall’energia personale, ma che senza la collaborazione e la volontà di chi aspira a rialzarsi non potrebbe comunque agire.
Contiene in sé l’implicazione di un passato pieno e rigoglioso, la presupposizione che si è subito un feroce attacco, l’antitesi tra la perdita quasi totale e la rinascita, il paradosso che un albero reciso possa germogliare e infine l’inferenza generata dai concetti di ceppo e rami verdi: la vita non muore mai, si rigenera in forme nuove e inaspettate.
Insomma, un vero albero della vita.
Queste, che ho riportato, sono le parole, le più espressive possibili, che ho trovato a titolo esplicativo riguardanti l’aforisma.
Le faccio pienamente e convintamente mie, nell’ estendere il mio augurio a tutti gli Italiani di ritrovare la forza di risollevarsi e rinascere da questo “Tsunami” dell’ Epidemia di Coronavirus che ci sta passando sulla testa.
È un’occasione storica: mostriamo al mondo di cosa siamo capaci.
Sono sicuro che ce la faremo.
Terrorizza un uomo
e lo possiederai.
Terrorizza una donna
e combatterai.
Never wrestle with pigs.
You both get dirty
and the pigs like it.
Non lottare mai coi maiali.
Entrambi vi sporcherete
e ai maiali piace.
Ayse Deniz Karacagil, giovane ragazza turca di etnia Curda, aveva 24 anni, quando morì in combattimento.
Nell’anno 2013, a 20 anni, prese parte alle proteste, spontanee ma reiterate, della gente comune di Istanbul contro la decisione di Erdogan di far radere al suolo un grande polmone verde della città, Gezi Park, per destinare l’area ad un nuovo centro commerciale. Venne arrestata, accusata di terrorismo, condannata chi dice a 98, chi dice a 103, facciamo una media di 100, ma non frustate, non giorni, non mesi, ma anni di carcere. Quando le truppe del Daesh, praticamente l’ISIS, invasero la Siria e un vasto territorio occupato anche dalle popolazioni Curde, le fu offerta la possibilità di commutare la pena, arruolandosi nell’esercito Curdo per difendere il proprio territorio. Scarcerata, si unì ai guerriglieri Curdi dell’YPG (Unità di Protezione Popolare) nella divisione femminile. Il giovane fumettista Romano Michele Rech, noto con lo pseudonimo di “Zerocalcare”, la conobbe sul fronte di guerra e ne descrisse la storia nel fumetto “Kobane calling”. La ragazza era conosciuta con il soprannome di “Cappuccio rosso”, perché aveva in testa sempre un copricapo di questo colore.
Roberto Vecchioni racconta in musica la tragica morte della ragazza, il 29 Maggio 2017, presso Raqqa. Le parole e la melodia, in una struggente commistione di pathos e di rabbia contro la guerra, sono un partecipe, emozionato ed emozionante omaggio al coraggio di una giovane ragazza, morta per un ideale, che non era solo la patria, ma anche il diritto delle donne all’affrancamento da una condizione disumana ed innaturale di sudditanza da principi religiosi, interpretati dagli uomini, e perpetrati surrettiziamente in secoli di oscurantismo.
Questo il testo della canzone:
C A P P U C C I O R O S S O
Ti penso amore mio che sei lontano
ti penso con il mio fucile in mano,
tu forse crederai che io sia pazza
che queste non son cose da ragazza.
E invece viene un giorno nella vita
che scegli e se non scegli l’hai tradita
e non importa se si vive o muore
piangere gioia o ridere dolore.
Questa curva di sole nel tramonto di Raqqa
mi disegna nel cuore l’arco della tua bocca,
ho tagliato i capelli, ho sfidato la rabbia,
i miei giorni più belli sono lacrime e sabbia.
Noi siamo di una patria senza terra,
noi siamo Curdi naufraghi di guerra:
è l’alba e coi compagni sto partendo
e parto e coi compagni sto cantando.
Ho in me tutte le favole di un tempo,
attorno a un fuoco acceso e ora spento,
e seguo il filo di una ninna nanna,
chiedendomi se ho messo il colpo in canna
C’era un drago di fuoco che sbarrava la strada,
ma non teme nemico un eroe con la spada;
ma non ho mai capito come andava a finire
che succhiandomi il dito cominciavo a dormire.
È il 29 maggio e non ho sonno
e qui c’è proprio il drago di mio nonno.
Saprò questa volta come va a finire,
che non ho proprio tempo di dormire.
Qui sparano li sento e non li vedo
qui sparano e mi sa che mi hanno preso;
ma non temere amore non è niente,
mi brucia un po’ ma in fondo non si sente.
Metti il pane nel fuoco, versa il vino migliore,
che ritorno tra poco, è questione di ore;
spazza tutte le foglie, che l’autunno è passato,
quando l’odio si scioglie, che sia verde il mio prato.
Se qualcuno me lo trova addosso,
riporti a casa il mio cappuccio rosso
Le difficoltà che affronti oggi,
sviluppano la forza di domani.
Quando tutto
sembra essere contro,
ricorda che l’aereo
decolla contro vento.
Henry Ford.
I don’t need to fight,
to prove I’m right.
Non ho bisogno di combattere,
per provare che ho ragione.
Vorrei aver partecipato
ad una gara,
in cui nessuno ha perso.
Nessun Guerriero è un’isola.
Per combattere il Buon Combattimento,
egli ha bisogno di aiuto.
Esistono le sconfitte e nessuno può sfuggirvi.
Perciò è meglio perdere alcuni combattimenti
nella lotta per i nostri sogni,
piuttosto che essere sconfitto,
senza neppure conoscere
il motivo per cui stai lottando.
Non scordare che attaccare o fuggire
fanno parte dello stesso scontro.
Quello che non appartiene alla lotta
è restare paralizzati dalla paura.
Il Buon Combattimento del Guerriero
è quello che lui intraprende
perché il suo cuore lo chiede.