Numero3316.

 

da  QUORA

 

Scrive Rosy, corrispondente di QUORA

 

A L L E V A R E    F I G L I

 

Un’aquila diede un consiglio a una donna su come crescere al meglio i propri figli.

— Stai bene, madre umana? — chiese l’aquila.

La donna, sorpresa, la guardò negli occhi.

— Ho paura — rispose — Il mio bambino sta per nascere e ho così tanti dubbi. Voglio dargli il meglio, desidero che la sua vita sia facile e serena… ma come farò a sapere se lo sto crescendo nel modo giusto?

L’aquila la osservò in silenzio, poi si posò vicino a lei.

— Crescere un figlio non è semplice — disse. — Non si tratta di offrirgli una vita comoda. Anzi, spesso è proprio il contrario. Quando nascono i miei aquilotti, il nido è pieno di piume e foglie morbide: è un rifugio accogliente, dove possono sentirsi protetti. Ma quando arriva il momento di imparare a volare, tolgo tutto. Lascio solo i rami secchi e le spine.

La donna aggrottò la fronte, confusa.

— Le spine? Perché rendere tutto così difficile?

— Perché il disagio li sprona a cambiare — rispose l’aquila. — Se il nido resta comodo, loro non si muoveranno mai. Invece, il fastidio li costringe a cercare un nuovo posto, a scoprire la forza che hanno dentro. La comodità non insegna nulla.

La donna rifletté, ma aveva ancora dei dubbi.

— E quando cadono? Cosa fai?

— Li lancio nel vuoto — disse l’aquila con voce calma. — All’inizio precipitano, il vento li travolge. Ma io li raggiungo, li afferro con i miei artigli e li sollevo. Poi li lascio andare di nuovo. Ripeto questo gesto più volte, finché non trovano le ali. E quando finalmente riescono a volare, li lascio andare per davvero. Non intervengo più.

La donna la fissò, ancora incredula.

— Quindi non li proteggi sempre?

— No — rispose l’aquila con fermezza. — Non nutro la loro dipendenza. I miei piccoli devono imparare a volare da soli, a essere forti, a sopravvivere senza di me. Se li tenessi nel nido per sempre, non farei altro che indebolirli. Il mio compito è prepararli al volo, non trattenerli.

La donna abbassò lo sguardo, accarezzandosi il ventre.

— Dunque… devo lasciare che mio figlio affronti qualche difficoltà?

L’aquila annuì.

— Non si tratta di farlo soffrire. Si tratta di insegnargli. E anche se ti farà male, madre umana, la cosa più preziosa che puoi donargli è la forza. Non proteggerlo da tutto. Non coprirlo costantemente. Lascia che affronti il mondo. Fallo volare.

La donna annuì lentamente, guardò l’aquila con gratitudine e le sorrise.

— Grazie, madre aquila — sussurrò mentre si allontanava. — I tuoi consigli sono un dono.

Riprese il cammino, decisa a diventare la madre di cui suo figlio avrebbe avuto bisogno: saggia, coraggiosa, capace di lasciarlo andare al momento giusto.

Se vuoi che tuo figlio impari a volare alto… non fare tutto al posto suo.

Non trattenerlo in un nido di sole comodità.

Le aquile spingono i propri piccoli fuori dal nido, li costringono ad affrontare le spine, perché sanno che solo così scopriranno le proprie ali.

Non temere di vederli cadere. Come l’aquila, sarai lì per sollevarli.

Ma non tenerli sotto la tua ala per sempre.

Lasciali affrontare il vento. Lasciali diventare forti.

Il vero amore non è proteggerli da ogni difficoltà,

ma prepararli alla vita.

Anche se ciò significa lasciarli cadere.

Anche se fa male.

Lasciali trovare la loro strada.

Anche inciampando, anche sbagliando.

È così che si impara a volare.

Numero2925.

 

I N    M O R T E    D I    U N    E X    C O M P A G N O    D I    C L A S S E           (TRENO O EPICEDIO)

 

Caro Pierluigi, vecchio compagno di scuola al Liceo Classico Stellini di Udine, nella seconda metà degli anni ’60, mentre io sto scrivendo, si stanno svolgendo le meste esequie per l’estremo saluto a te, morto da alcuni giorni, dopo lunga malattia per un male incurabile.
Casualmente, circa un mese fa, la cara Giuliana, amica mia da oltre quarant’anni, nominò, con nome e cognome, te, suo amico e sodale nella pratica della fede, e subito le ho chiesto se si trattava di quella persona che avrebbe potuto essere il mio ex compagno di classe, ai tempi del Liceo Classico.
Abbiamo appurato che si trattava veramente di te e, senza esitazione, le ho chiesto di darmi il tuo numero di telefono perché intendevo chiamarti per ripristinare un contatto, dopo oltre 65 anni. Me l’ha dato insieme ad alcune notizie, per sommi capi, sulla tua situazione e sulle tue condizioni di salute.
Ma tu stesso, per primo, avendo avuto da Giuliana il mio numero, mi hai preceduto con un messaggio WhatsApp. Eccolo:

Caro Alberto.
Sono molto contento di averti rintracciato grazie alla Giuliana Belotti.
Mi dicono che giochi a tennis e questo dimostra che stai bene.
Abbiamo passato anni insieme…. ma io di te sapevo solo che eri il più dotato della classe.
Spero tu sia sereno.
Ti auguro ogni bene.
Io sono ammalato di cancro non operabile,
ma sono ben curato.
La mia vita è stata piena di soddisfazioni a tutti i livelli.
Anche oggi sono contornato da mille attenzioni delle tre figlie; il figlio Roberto invece è morto a 32 anni per tumore allo stomaco nel 2006. Mia moglie Mimi mi ha lasciato per un tumore al cervello nel 2015.
Ricordo le tue sonore risate.
Un abbraccio.
Pierluigi

Ti ho risposto così: Ciao, Pierluigi, sono contento di poter ripristinare un contatto con te. Nel pomeriggio, ti chiamo. Mandi.

 

Ti ho chiamato, infatti, e abbiamo parlato, in una lunga telefonata, tu di te e io di me ricordando tante cose e tanti compagni di classe dei nostri bei tempi. A differenza di te, io non ho mai tenuto i contatti con i nostri compagni del Liceo. Tu, invece, anche perché a Udine li avevi vicini, sapevi un po’ tutto di loro. Di alcuni mi hai parlato, ma ti sei ripromesso, dopo una ricognizione nella tua memoria, di richiamarmi per farmi una relazione aggiornata e più accurata su tutta la classe: mi avrebbe fatto piacere.
Sono passate ben più di due settimane, ma da te nessuna chiamata e nessuna notizia. Ci siamo visti con Giuliana ad un pranzo in trattoria, una domenica fa. Mi ha chiesto se avevo proseguito nel contatto con te e le ho detto che da un po’ non ti sentivo e che stavo ancora aspettando che tu mi chiamassi. Lei mi ha raccomandato di essere io a chiamarti, se tu non ti facevi sentire. Tre giorni dopo da Giuliana mi è arrivato questo messaggio:

Albert oggi è morto Pierluigi Presacco…purtroppo…

La mia risposta:

Avevo avuto un presentimento. Non capivo perché non chiamava più. Purtroppo….

 

E così ci hai lasciati.

 

Giuliana mi ha fatto sapere quando ci sarebbe il tuo funerale e mi ha chiesto se volevo essere presente anch’io:  sarebbe passata a prendermi per venirci insieme.
Le ho risposto: “No, non ci sarò. Io non sono l’uomo dei funerali. Non vorrei partecipare neanche al mio, di funerale”. Lei si è messa a ridere, ma mi conosce e mi perdona. Perdonami anche tu. Ma, invece che una presenza pubblica, ho preferito dedicarti il ricordo di un episodio che ci ha visti insieme, in altri e migliori tempi.
Mentre in chiesa ci saranno i rituali funebri, io sto scrivendo alla tastiera, pensando a te.

Ieri, abbiamo fatto un pranzo a casa di Rita, sia perché era rientrato dall’Ospedale suo fratello, reduce da un intervento chirurgico, sia perché oggi è il compleanno di Rita e abbiamo avuto una piccola riunione di famiglia.
Sono venuti a trovarci anche mio figlio Ale e la sua compagna e con loro, fra le altre cose, ho parlato anche di te, di come ci siamo ritrovati e subito ripersi.
Ho letto loro il tuo messaggio e hanno voluto sapere di più. E ho raccontato ….
Nel messaggio tu scrivi: “Ricordo le tue sonore risate”.
Ecco, questa frase mi ha fatto ripensare ad un aspetto del mio carattere che quasi avevo cancellato nei miei ricordi.
Da giovane studente, io ero sì, un gran secchione, ma non ero un tetro, barboso, introverso cultore di libri e vocabolari, bensì un monello un po’ “Giamburrasca”, un creativo animatore, un organizzatore di scherzi, anche ai danni di insegnanti. Mi prestavo anche a passare compiti, esercizi, traduzioni, versioni in classe ai compagni che me li chiedevano.
Ricordo che a casa tua ci sono stato più di qualche volta. Ho perfino dormito da te, perché tu mi avevi chiesto di studiare insieme, in qualche weekend.
Poi, mi è saltato in mente che, una volta, a casa tua, una bella casa grande, con bei mobili e tanta luce, c’è stato un “festino”, di quelli che si organizzavano al sabato, per festeggiare un compleanno. Tutta la classe era invitata.

Ebbene, verso la fine della festa, sono arrivati due uomini, uno dei quali era tuo padre e l’altro non ricordo bene chi fosse, forse un tuo parente o un suo amico oppure il padre di una nostra compagna di classe che era venuto a prendere la figlia.
Si sono intrattenuti un po’ con noi, parlando del più e del meno, e quest’ultimo signore, distinto e con una certa cultura, ad un certo punto si è rivolto a noi dicendo più o meno questo:

“Voi, giovani studenti di latino, che ormai masticate da quasi 8 anni, vediamo chi riesce a interpretare e tradurre il significato di una frase latina che adesso vi dico. Guardate che molti illustri latinisti ci hanno provato, ma di soluzioni attendibili poco o niente….
Nel corso di scavi nel sito archeologico del Foro a Roma, è venuta alla luce una lastra di pietra che su una facciata, quella in vista, era liscia e vuota, ma sul retro portava una scritta, che nessuno aveva notato prima perché nascosta.
La scritta era scolpita in caratteri latini e ben leggibile. Eccola:

OLIM

ORTA

OCCISVA

AEDISTI

FIDEM

IGNOTA.

Chi mi sa dire cosa significa?

Punti nell’orgoglio per la sfida, tutti noi ci siamo messi a pensare per trovare la soluzione del rebus che non appariva per niente semplice.
Sono spuntati fuori, fogli di carta, penne, matite, vocabolari e grammatiche latine. Non si sentiva volare una mosca.

Per orientarci, scrivo qui alcuni significati delle 6 parole latine scritte sopra.

OLIM = un tempo, in passato, anticamente.

ORTA = participio passato femminile del verbo “orior” che vuol dire sorgere, alzarsi, spuntare, nascere, cominciare.

OCCISVA = dal verbo “occido” che significa morire, estinguersi, tramontare, svanire, sparire, essere distrutto, cadere, crollare. Bisognava tenere presente l’anomalia della V che si doveva leggere U e che complicava ulteriormente le cose. Cominciò a girare fra i partecipanti al test, la voce che doveva trattarsi di “voce tardo latina”.

AEDISTI = qui il termine era controverso: sembrava il passato remoto di un verbo non conosciuto che aveva la radice di = casa, abitazione, costruzione, “edificio” e simili.

FIDEM = Accusativo singolare femminile del termine fides- ei = fede, fiducia, credenza, lealtà, fedeltà, credulità ecc.

IGNOTA = aggettivo/participio al nominativo (o vocativo, o ablativo) singolare femminile, forse concordabile con ORTA = ignota, sconosciuta.

 

Era passata mezz’ora e nessuno era riuscito a cavare un ragno dal buco.

Io me ne stavo in disparte, un po’ lontano dai miei compagni, che sapevo mi avrebbero avvicinato per chiedermi sicuramente chiarimenti o le miei interpretazioni. Mi sarei deconcentrato se davo retta a loro.
Dopo un po’ arrivai alla conclusione che questo doveva essere uno scherzo, perché la frase non aveva un senso compiuto con i significati di quelle parole.

Mi è venuta l’ispirazione di scrivere le parole tutte in orizzontale e vicine fra loro, le une di seguito alle altre. Così:

OLIMORTAOCCISVAAEDISTIFIDEMIGNOTA:

Allora ho capito che, dopo aver applicato le crasi o elisioni di certe vocali di inizio e fine parola, cosa assai comune nei versi della metrica poetica latina, si poteva scandire la frase in questo modo:

O / LI / MORTACCI / SUA / E / DI / STI / FI / DE / MIGNOTA

Ecco svelato l’arcano!
Si trattava di una frase comune e popolare del vernacolo romanesco, burino e caciottaro, che qualcuno si era divertito a trascrivere con truffaldina maestria su una pietra, per prendere per il culo i lettori.

Le risate e i complimenti tennero banco per il resto della serata.

Te lo ricordi questo episodio?

 

Caro Pierluigi, antico compagno di classe, perduto, ritrovato e, adesso, di nuovo, ma questa volta per sempre, riperduto, mi perdonerai se ho rievocato un po’ spensieratamente questo episodio della nostra bella gioventù.
Oggi, nel giorno del tuo funerale, io, come allora, goliardico burlone e clown un po’ sfrontato, ho voluto ricordarti e ricordarci insieme, come ai bei tempi, con la rievocazione di questo aneddoto di vita studentesca.

Dall’alto di quel cielo celeste, che hai tanto e sempre cercato e adesso raggiunto, per la  tua specchiata rettitudine morale e per la tua profonda devozione religiosa, ridi anche tu con me, a questo ricordo.
Forse, in quel cielo dove il tempo e lo spazio non ci sono più, dove le anime si possono trovare liberamente, magari ci rincontreremo, come non siamo riusciti a fare qui sulla terra. E rideremo insieme. E mi racconterai di quello di cui non sei riuscito a ragguagliarmi. come mi avevi promesso.

E, a proposito di “latinorum”, simpaticamente, come in una “lectio non magistralis”, ti saluto con la locuzione “In manu Dei” (nella mano del Signore) che viene compendiata magnificamente, con una sintetica commistione etimologica, nella più bella parola della nostra lingua friulana: MANDI!

 

 

 

Numero2827.

 

da  QUORA

 

La migliore delle esche.

 

Uno studente racconta questo episodio avvenuto in classe, il primo giorno di lezione.

Il mio insegnante di Psicologia mise una bottiglia di Estratto di Menta Piperita sulla cattedra di fronte alla classe e rimosse il tappo.

“Alzate la mano quando riuscite a sentire l’odore della Menta Piperita.”

Essendo seduto nella fila posteriore, mi ci volle un po’ di tempo e, notando come tutti attorno a me alzassero la mano, cominciai a chiedermi se il mio naso avesse qualche problema. Dopo un po’, però, riuscii a sentire l’odore della Menta Piperita e finalmente anche io potei alzare la mano.

A quel punto quasi tutte le mani erano alzate, quindi l’insegnante prese la bottiglia e bevve l’intero contenuto, suscitando il prevedibile stupore degli studenti.

“È solo acqua.”

La lezione sul “Potere della Suggestione” è una delle esperienze formative più belle che io abbia mai fatto in classe. Ancora oggi riesco a ricordare l’odore di quella Menta Piperita.

Numero2716.

 

da QUORA

 

PERCHÈ IL  SISTEMA  SCOLASTICO  ITALIANO  PEGGIORA  DI  ANNO  IN  ANNO?

 

I motivi principali sono questi:

  1. Comandano i genitori e gli studenti, i quali hanno un forte potere di ricatto sulla scuola.
  2. Gli studenti, allenati da 8 anni di asilo nido alla pigrizia mentale e all’indisciplina, arrivano in prima liceo con l’orrore per lo studio e la cultura e l’abitudine a comportarsi a scuola come se fossero ad una festa in discoteca. E il loro cervello a 14 anni è già gravemente deteriorato.
  3. La selezione insufficiente che permette anche a persone che hanno un livello di preparazione da terza elementare di diplomarsi.
  4. Le continue distrazioni che impediscono di fare didattica con sufficiente continuità: PCTO (  Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento ), gite, tornei, colloqui con Personalità esterne, educazione civica, conferenze…
  5. Scarsi investimenti dello Stato sulla scuola.
  6. Scarso rispetto sociale dei docenti. Il primo dei grandi mali è il pericolosissimo sodalizio genitori-alunni; quando io andavo a scuola, l’insegnante era un’assoluta autorità, altamente considerata innanzi tutto dai miei genitori; nessun atteggiamento oppositivo o di contestazione nei loro confronti sarebbe stato tollerato dai miei genitori e per i miei compagni di classe era la stessa cosa; oggi alcuni genitori arrivano finanche ad aggredire fisicamente l’insegnante; mi pare condivisibile la proposta dell’attuale governo di assicurare agli insegnanti aggrediti il patrocinio legale a cura e spese dello Stato di fronte a bestialità del genere;

INOLTRE

    • Mancata valorizzazione del docente ed esteso precariato;
    • Sistemi antiquati di reclutamento degli insegnanti che non garantiscono la qualità nella selezione e quindi il reclutamento del docente più capace;
    • Stipendi ben sotto la media europea;
    • Riforme della scuola sempre parziali, sempre ideologiche e sempre prive di finanziamenti adeguati;
    • Mancanza assoluta di cultura politica sul piano degli investimenti in ricerca e sviluppo; si ritiene, forse, che questi campi non siano troppo “appetibili” sul piano del “ritorno immediato” in termini di consenso elettorale;
    • Mancata possibilità per lo studente di personalizzare il percorso di studi nella scuola superiore come avviene, ad esempio, nei sistemi anglosassoni; se studi ciò che ti piace fai meno fatica…
    • Azzeramento della cultura dell’impegno e della motivazione nello studente: il risultato scolastico deve essere sempre garantito anche a chi non ha alcuna voglia di studiare; ciò conduce alla banalizzazione della cultura e ad un livellamento verso il basso;
    • Spinte politiche, purtroppo dalla solita parte ideologica mai paga della devastazione già prodotta, verso addirittura l’abolizione del voto e della bocciatura: forse faremmo meglio ad abolire proprio la scuola che, così com’è, già rasenta il ridicolo;
    • Oggi appare predominante l’idea che se uno studente non studia è colpa dell’insegnante che non lo sa motivare; ebbene quasi sempre questo “assioma” è falso!
    • Delegare alla scuola l’educazione, la disciplina e la motivazione dei propri figli è un alibi che i genitori di oggi sono abilissimi nel costruirsi;
    • Chiudo con Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”: “Si ripaga male il maestro se si rimane sempre e solo scolari”!

    Tanti genitori di oggi purtroppo sono rimasti sempre e solo “scolari”… e, aggiungerei, anche piuttosto somari..

Numero2652.

 

da QUORA

 

Secondo te, qual è la peggiore pecca della scuola italiana?

 

Che non boccia chi se lo merita e disincentiva all’impegno e al rispetto degli insegnanti. Una scuola simile non garantisce nemmeno quel minimo di disciplina senza la quale non è possibile nessuna attività seria. Una scuola che promuove i pelandroni, umilia i docenti e la dà vinta ai maleducati è diseducativa. Una scuola dove i genitori difendono con successo i figli maleducati e/o sfaticati è fallimentare. Queste considerazioni vengono prima anche dei programmi, che comunque in molti casi non vengono affatto svolti . La mia esperienza di docente universitario è triste: c’è stato un crollo della preparazione media degli studenti che vengono dai licei rispetto a quella che avevano negli anni 80.

 

È vero che gli studenti Italiani sono molto poco preparati?

 

Vediamo: se all’esame di maturità il 99% sono promossi uno dovrebbe pensare che gli studenti sono stati bravissimi…
Se nelle scuole del Sud Italia gli studenti con il massimo dei voti e lodi sono molti di più che al Nord, uno arriverebbe alla conclusione che sono molto più preparati.
Peccato che le prove INVALSI e PISA raccontino tutta un’altra storia. Peccato che la metà dei diplomati non comprenda un testo scritto di media complessità.
Peccato ancora che lo stesso ministro dell’istruzione abbia detto che la metà dei maturandi abbia una preparazione a livello di terza media..

 

Insegnanti Italiani

 

È vero che in Puglia ci sono più 110 e lode che in qualsiasi altra regione d’Italia?

 

Beh i dati parlano chiaro!

In Puglia e in generale nel Sud Italia, ci sono studenti molto più dotati intellettualmente di quelli del Nord Italia.

Questo è fattuale e anche altri dati ci vengono incontro per dimostrarlo.

Prendiamo per esempio il test INVALSI. Test uguale in tutta Italia rigido e senza cuore che non guarda la persona: il Nord Italia ha risultati ottimi, ma al Sud? Un disastro!

I risultati mostrano proprio un’Italia spaccata, il Nord ha notevolmente battuto il Sud nella famigerata prova INVALSI. Il Sud è a quasi un livello di analfabetizzazione funzionale, mentre il Nord ne esce di sicuro a testa alta.

Ma allora sono due le opzioni:

1• O se si è analfabeti funzionali si ha più probabilità di prendere 100 e lode alla maturità. Oppure se hai svolto la prova INVALSI in modo pessimo hai più possibilità di prendere un voto alto nel diploma.

2• Oppure evidentemente chi frequenta una scuola del mezzogiorno è notevolmente avvantaggiato in quanto, nonostante l’istruzione sia carente, è aiutato da un sistema di docenza che non corregge o generalmente non fa il suo dovere nella valutazione aiutando forse un po’ troppo.

Questo non solo aiuta i meridionali a scalare immeritatamente i concorsi pubblici, siccome hanno tutti voti di maturità altissimi, rubando e ribadisco RUBANDO il posto a chi si è duramente guadagnato una dignità da maturando ma rende il sistema scolastico italiano poco credibile.

 

Anonimo.