Numero1935.

 

Segnalata da Rita

Gira su WHATSAPP.     30 Marzo  2020.

Anche se mi sembra, un po’, una autocelebrazione consolatoria, non me la sento di tralasciarne la pubblicazione, per aderire ad un sincero incoraggiamento.

 

IN ITALIA… ??

??Siamo Italiani perché i camici monouso li fanno Armani e Calzedonia.
??Siamo italiani perché i respiratori li ingegnerizza la Ferrari a Maranello.
??Siamo italiani perché le mascherine le fanno Gucci e Prada.
??Siamo italiani perché il gel disinfettante lo fanno Bulgari e Ramazzotti.
??Siamo italiani perché Cracco cucina per l’ospedale di Milano.
??Siamo Italiani perché la fabbrica d’armi Beretta ingegnerizza e costruisce le valvole per le maschere modificate.
??Siamo Italiani perché l’ospedale da campo più grande d’Europa lo costruiscono gli Alpini.
??Siamo italiani perché riusciamo a ricavare respiratori dalle maschere subacquee della Decathlon.
??Siamo italiani  perché all’appello per una task force di 300 medici volontari, hanno risposto in piu di 1500, e anche i medici ottantenni non si sono tirati indietro. E perché all’appello per 500 infermieri volontari, hanno risposto in 8000!
??Siamo italiani perché l’Europa l’hanno unita gli Antichi Romani, ed era solo una provincia di Roma. (N.d.R. però, conquistata con le armi e sottomessa con la forza).
??Siamo italiani.  DAI ITALIA!

Avremo mille difetti e limiti,
ma che Paese meraviglioso siamo.

GRAZIE ALLE ECCELLENZE ITALIANE,
CE LA CAVIAMO TRANQUILLAMENTE DA SOLI.

 

 

Numero1934.

 

Dal MESSAGGERO  VENETO     del 27 Marzo2020

La peste da Costantinopoli al Friuli
cronache di un flagello manzoniano

 

La peste del 1630, conosciuta come “peste manzoniana” dopo che il grande scrittore la narrò nei “Promessi sposi”, uccise oltre un milione di persone nell’Italia settentrionale su una popolazione di 4 milioni. Ma Udine si salvò da quel flagello. Qui ci furono poche vittime e tra loro il medico Pompeo Caimo, nato in città nel 1568, famosissimo all’epoca tanto che a lui, autore del manuale “Modi di curare la febbre maligna”, il Comune si era rivolto per avere consigli e aiuto.

Visto il pericolo avanzante, Caimo era tornato in Friuli da Padova, dove insegnava all’università medicina teorica e anatomia, trasferendosi nella sua villa di Tissano, ma questo non gli salvò la vita. Vi morì il 30 novembre 1631 a causa proprio di febbre maligna, però senza tracce di peste.

Come fece Udine a mettersi al riparo da una delle epidemie più micidiali? È una storia interessante anche al giorno d’oggi mentre viviamo nella morsa di una paura antica. Per capire cosa accadde si deve rileggere una relazione tenuta nel 1890 dall’avvocato Antonio Measso davanti all’Accademia di scienze lettere e arti. Come tutte le città, Udine era provata allora da continui attacchi di peste e a ogni avvisaglia intesseva avvertimenti e notizie con le varie province e con Venezia, che comandava su questi territori. Appena sorgeva il problema, venivano nominati subito i Provveditori con poteri assoluti, anche di pena di morte contro inadempienti e diffusori dell’epidemia. L’allarme scattò nel 1628 quando un nuovo sprazzo di contagio partì da Costantinopoli estendendosi in Germania e Francia. E poi era cominciata la guerra per la contesa di Mantova e appena gli eserciti entravano in azione la peste si diffondeva in un baleno. Di fronte a tali presagi, Udine si attrezzò come poteva. «Temeva la peste – disse Measso –, si aspettava la guerra in casa, ma arrivò prima la carestia…». Altro flagello immenso questo, causato dalla scarsità del raccolto nel 1627 e 1628. La gente della campagna, affamata, cominciò a riversarsi in città dov’erano state organizzate scorte e dove vigeva un controllo ferreo sugli ingressi grazie alla cinta muraria e alle porte che rendevano obbligatori i varchi. Il Comune decise pure di riaprire il lazzaretto allestito a San Gottardo dal 1505. E una mattina tutti i poveri, esattamente 2.344, dopo un rito in duomo, sfilarono in processione verso il lazzaretto, dove a ognuno vennero dati una medaglietta di ammissione e un vestito. Nel frattempo si raddoppiò il servizio medico e si chiese aiuto a Pompeo Caimo che, dopo essersi laureato a Padova e una bellissima carriera, essendo stato medico personale di tre Papi, di Andrea Doria, di re e granduchi in giro per l’Europa, decise di accettare la proposta, anche perché la marea nera della peste stava invadendo Veneto e Lombardia.

Nonostante ogni intervento, il costo della carestia fu elevatissimo a Udine, dove morirono in 1.500 su 12 mila abitanti, ma la città riuscì almeno a difendersi dal successivo attacco della peste, altrimenti sarebbe stata la sua fine. Venezia si fece invece trovare impreparata davanti al contagio, causato da un ambasciatore giunto da Mantova. Un summit di 36 medici rassicurò il Doge e subito si scatenò l’inferno. La peste fu dichiarata vinta (dopo 44 mila morti in città) il 21 novembre 1631 e, come voto, si costruì la basilica di Santa Maria della Salute.

Quella fu l’ultima volta in cui Udine dovette cautelarsi da un attacco tanto implacabile. Se ne registrarono in seguito altri, ma le difese sanitarie ressero. Una testimonianza di quei giorni è il monumento funebre a Pompeo Caimo, alle Grazie. Il dottore lasciò i suoi 2200 libri alla Serenissima e, come annotò don Marchetti raccontandone la storia, sarebbero piaciuti anche a don Ferrante, lo stravagante erudito narrato da Manzoni, tutto preso da magie, astrologia e scienze occulte, che però non lo salvarono dalla peste. —

Numero1933.

 

Segnalata da Rita

 

Col tempo, impari a

tenerti le cose dentro,

ma non perché hai

un carattere chiuso,

ma perché, spesso, 

spiegare è inutile.

Tanto, alla fine,

le persone che ti

capiscono veramente,

sono quelle a cui

non hai bisogno

di spiegare nulla.

 

A.  Curnetta.

Numero1932.

 

CRONACHE  DEL  CORONAVIRUS

Dal TG1, Telegiornale della Sera del 29 Marzo 2020 :

viene presentato un servizio da Napoli per documentare la diffusione delle situazioni di indigenza, specialmente di tipo alimentare: gente povera in coda per avere un po’ di cibo nei centri del volontariato, provvedimenti di assistenza ai bisognosi ecc.
Ma viene mostrata anche la scena seguente: un cesto di vimini calato con una corda, fino al livello di strada, da gente con la mascherina, chiusa in casa, da un terrazzo del secondo o terzo piano. Sul cesto, un cartello con la scritta:
CHI HA METTA, CHI NON HA PRENDA.
La voce del commento al servizio lo ha definito il PANARO SOLIDALE.
Aggiungo io: Creatività partenopea, dopo il “caffè sospeso”, hanno inventato Il “panaro sospeso”.

Numero1931.

 

Ricevo da mio nipote Alan quanto segue.  Merita la pubblicazione immediata, perché è una “visione” di straordinaria lucidità, da parte di una mente preparata ed autorevole.

 

Posto la traduzione dell’articolo di Mario Draghi al  FINANCIAL TIMES, pubblicato poco fa.
Direi che è sceso in campo un gigante fra i pigmei.

-28 Marzo 2020.-

La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura della propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere supportati.
Ma queste azioni comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano una perdita di vite umane, molti altri affrontano una perdita di sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Le aziende affrontano una perdita di reddito nell’intera economia. Molti stanno già ridimensionando e licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile.

La sfida che affrontiamo è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da una pletora di valori predefiniti che lasciano danni irreversibili. È già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico.
La perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare il divario – deve alla fine essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

È il ruolo corretto dello stato distribuire il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può assorbire. Gli Stati l’hanno sempre fatto di fronte alle emergenze nazionali. Le guerre – il precedente più rilevante – sono state finanziate da aumenti del debito pubblico. Durante la prima guerra mondiale, in Italia e Germania tra il 6 e il 15% delle spese di guerra in termini reali fu finanziato dalle tasse. In Austria-Ungheria, Russia e Francia, nessuno dei costi continui della guerra furono pagati con le tasse. Ovunque, la base imponibile è stata erosa dai danni di guerra e dalla coscrizione. Oggi è a causa dell’angoscia umana della pandemia e della chiusura.

La domanda chiave non è se, ma come lo Stato dovrebbe mettere a frutto il proprio bilancio. La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita del lavoro. In caso contrario, emergeremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità permanentemente inferiori, poiché le famiglie e le aziende lottano per riparare i propri bilanci e ricostruire le attività nette.

I sussidi per l’occupazione e la disoccupazione e il rinvio delle tasse sono passi importanti che sono già stati introdotti da molti governi. Ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità. Ciò è essenziale per tutte le imprese per coprire le proprie spese operative durante la crisi, siano esse grandi aziende o ancora di più piccole e medie imprese e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto misure di benvenuto per incanalare la liquidità verso le imprese in difficoltà. Ma è necessario un approccio più completo.

Mentre diversi paesi europei hanno diverse strutture finanziarie e industriali, l’unico modo efficace per entrare immediatamente in ogni falla dell’economia è di mobilitare completamente i loro interi sistemi finanziari: mercati obbligazionari, principalmente per grandi società, sistemi bancari e in alcuni paesi anche le poste per tutti gli altri. E deve essere fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici. Le banche in particolare si estendono in tutta l’economia e possono creare denaro istantaneamente consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito.
Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo modo stanno diventando un veicolo per le politiche pubbliche, il capitale necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie statali su tutti gli ulteriori scoperti o prestiti. Né la regolamentazione né le regole di garanzia dovrebbero ostacolare la creazione di tutto lo spazio necessario nei bilanci bancari a tale scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito della società che le riceve, ma dovrebbe essere zero indipendentemente dal costo del finanziamento del governo che le emette.

Le aziende, tuttavia, non attingeranno al supporto di liquidità semplicemente perché il credito è economico. In alcuni casi, ad esempio le aziende con un portafoglio ordini, le loro perdite possono essere recuperabili e quindi ripagheranno il debito. In altri settori, probabilmente non sarà così.
Tali società potrebbero essere ancora in grado di assorbire questa crisi per un breve periodo di tempo e aumentare il debito per mantenere il proprio personale al lavoro. Ma le loro perdite accumulate rischiano di compromettere la loro capacità di investire in seguito. E, se l’epidemia di virus e i blocchi associati dovessero durare, potrebbero realisticamente rimanere in attività solo se il debito raccolto per mantenere le persone impiegate in quel periodo fosse infine cancellato.

O i governi compensano i mutuatari per le loro spese, o quei mutuatari falliranno e la garanzia sarà resa valida dal governo.
Se il rischio morale può essere contenuto, il primo è migliore per l’economia.
Il secondo percorso sarà probabilmente meno costoso per il budget. Entrambi i casi porteranno i governi ad assorbire una grande parte della perdita di reddito causata dalla chiusura, se si vogliono proteggere posti di lavoro e capacità.

I livelli del debito pubblico saranno aumentati.
Ma l’alternativa – una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e infine per il credito pubblico.
Dobbiamo anche ricordare che, visti i livelli attuali e probabili futuri dei tassi di interesse, un tale aumento del debito pubblico non aumenterà i suoi costi di servizio.

Per alcuni aspetti, l’Europa è ben equipaggiata per affrontare questo straordinario shock. Ha una struttura finanziaria granulare in grado di incanalare i fondi verso ogni parte dell’economia che ne ha bisogno. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta politica rapida. La velocità è assolutamente essenziale per l’efficacia.

Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di nessuno di coloro che ne soffrono. Il costo dell’esitazione può essere irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni ’20 è abbastanza una storia di ammonimento.

La velocità del deterioramento dei bilanci privati ​​- causata da una chiusura economica che è sia inevitabile che desiderabile – deve essere soddisfatta della stessa velocità nello schierare i bilanci pubblici, mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nel perseguimento di ciò che è evidentemente una causa comune.

#draghi #covid19 #crisi #reazioni #bce

Numero1930.

 

Prima del Covid-19, almeno altre 13 pandemie hanno infierito negli ultimi 3000 anni. Tutte o quasi generate da zoonosi, il salto di specie fra gli animali, selvatici o da allevamento, e l’uomo attraverso successive mutazioni genetiche dei virus. Polli, anatre, suini, topi, pulci, bovini, dromedari, zibetti e pipistrelli hanno fatto da conduttori, soprattutto in Asia, e in modo particolare in Cina dove hanno sempre vissuto a stretto contatto con l’uomo. Ma quando penetravano in un piccolo villaggio della foresta i virus o i batteri si estinguevano presto. Nelle città del Medioevo europeo, sporche e sovrappopolate, diventarono invece potenti assassini. E dall’epoca dell’urbanizzazione di massa e della globalizzazione, con gli allevamenti intensivi alle porte delle metropoli e i sempre più vasti mercati di animali vivi dentro le megalopoli cinesi, hanno fatto stragi mondiali: 500 milioni o un miliardo di vittime in totale nel corso dei secoli, secondo calcoli approssimativi.

La lotta fra l’uomo e la natura

Ogni pandemia ha cambiato il corso della storia: accompagnando o provocando guerre, migrazioni, crolli di imperi, sistemi economici, poteri religiosi, persecuzioni ideologiche. «È come se da millenni – riflette Ernesto Galli della Loggia, professore di storia contemporanea – fosse in corso una interminabile lotta fra noi umani e il nostro luogo di provenienza, cioè la natura. Grazie al nostro cervello ci siamo distanziati o resi più liberi da lei e una pandemia, attraverso il contatto troppo vicino e pericoloso con alcuni animali, è il modo in cui la stessa natura cerca di rimpossessarsi di quello spazio. Anche noi poi abbiamo contribuito con l’inquinamento ambientale: pensiamo solo al ruolo che l’uomo ha avuto nello sterminio delle api… ma ricordiamoci anche che nessuna pandemia è stata più forte dell’uomo».

La Spagnola, la più terribile

La più spaventosa è stata la Spagnola, pandemia del 1918-1920 (dilagata in due ondate, una primaverile e una autunnale, seguita forse negli Usa da due altre ondate minori fino al 1925). Esplosa alla fine della Grande Guerra, quando le popolazioni erano più debilitate e le truppe si muovevano da un continente all’altro, e trasmessa attraverso uccelli o suini dal virus H1N1. Ha ucciso fra i 50 e 100 milioni di persone nel mondo, molto di più delle vittime della stessa Grande Guerra. Arrivò fino ai confini del globo abitato, sull’Artico. Fu chiamata così perché ne parlarono per primi i giornali spagnoli e quelli americani – forse ancora influenzati dalla censura militare – preferirono evitare l’onta sul loro Paese. Perché, pare, la pandemia arrivò negli Usa con i soldati americani di ritorno dall’Europa. Non si conoscevano cure, se non rimedi empirici contro la febbre e la mascherina facciale o l’isolamento: tutto inutile o quasi. Solo nel 1938 il virologo Thomas Francis riuscì ad isolare il virus e a provare l’esistenza di altri virus influenzali, ma la strada verso il vaccino era ancora lunga e le cause dell’estinzione della pandemia sono ancor or oggi tema di dibattito.

Le conseguenze

La Spagnola provocò un terremoto demografico e migratorio: molti lasciarono le proprie nazioni alla ricerca di Paesi «sani», che però non c’erano, e colpì soprattutto giovani e adulti sani che, nella normale vita civile producendo, vendendo e comprando merci, erano la spina dorsale del sistema economico. La pandemia provocò ovunque la crisi della domanda e dell’offerta, della produzione e del consumo: un vero choc per qualsiasi Paese anche economicamente sano (anche se la manodopera, diventata ricercata e rara, ottenne salari migliori). Il Pil dell’Europa occidentale calò del 7,5%. Tutto questo non poteva non avere effetti destabilizzanti sui sistemi politici e sociali interni. La repubblica di Weimar, grande «bolla» di vuoto politico e incertezza economica, nasce in Germania nel novembre 1918, in coincidenza con la fine della Grande Guerra e l’inizio destabilizzante della Spagnola. E il vuoto di Weimar preparerà l’arrivo di Hitler. Secondo alcuni storici la Spagnola, che coinvolse tutta l’Europa e gli Usa, è alla fine una delle concause indirette anche della Seconda Guerra Mondiale.

L’influenza asiatica e la Sars

Nell’ultimo secolo, un’altra epidemia trasmessa da uccelli (anatre selvatiche dalla Cina) è stata l’influenza asiatica del 1956, provocata da un virus sottotipo dell’H1N1. Durò due anni e fece 1 milione di vittime nel mondo, ma diluita nel tempo non ebbe grandi conseguenze sul boom economico in corso. Nel 2003 arriva la Sars (prima epidemia da coronavirus del ventunesimo secolo), molto contagiosa ma poco letale (8200 vittime nel mondo). Fu portata dalle anatre selvatiche del Guangdong (l’antica provincia cinese meridionale di Canton) e il virus fu identificato dal medico italiano Carlo Urbani, che ne rimase vittima. Ma le pandemie dei millenni precedenti fecero ben altre stragi.

La peste nei secoli

Anni 430-426 a.C.Peste ateniese, 70-100 mila vittime durante la guerra con Sparta, politicamente importante anche perché vi muore Pericle, leader dell’egemonia ateniese. Nel 2005, nel Dna estratto dai denti di uno scheletro sepolto in un cimiltero militare dell’epoca, viene isolato un batterio di febbre tifodea. E si pensa a questo, o a un antenato del virus Ebola, come origine della pandemia.
Anni dal 130 d.C in poi, Peste antonina, con 5-10 milioni vittime, forse vaiolo o morbillo portato a Roma dalle Legioni dopo la campagna contro i Parti, per alcuni storici segna l’inizio della fine politica e militare dell’Impero. Vi muore l’imperatore Lucio Vero.

Anni 541-542 e poi a ondate fino al 750: Peste Giustinianea. L’origine è il batterio Yersina Pestis dei ratti, co-fattore la paurosa densità abitativa di Costantinopoli. Sono in totale fra i 50 e 100 milioni i morti stimati in totale. Percorso storico: Giustiniano, ultimo imperatore di lingua latina, vince la campagna contro i Vandali e poi cerca di strappare l’Italia ai Goti. Ma in un porto lungo il Nilo i suoi soldati vengono a contatto con una barca proveniente dall’Etiopia e carica anche di ratti: contagio inevitabile, portato poi anche a Costantinopoli – che allora aveva 500.000 abitanti – e in Italia dai legionari che tornano in patria. È considerata da alcuni storici la causa della fine dell’impero d’Oriente.
La Peste nera

Dal 1346 al 1353 e poi a ondate successive che seguono le invasioni dell’Orda d’Oro tartaro-mongola, lungo la via della Seta arriva la Peste Nera, sempre portata dalle pulci dei ratti. All’assedio di Caffa mongoli e cristiani si lanciano a vicenda i cadaveri degli appestati. La piaga colpisce popolazioni europee già defedate dalle carestie iniziate nel 1315 dopo una serie di alluvioni. Vittime mai calcolate con precisione, dai 25 ai 100 milioni. Cambia il mondo agricolo del Medioevo, alcuni storici scrivono di «fine dell’antichità«. «Se devo morire fra poco, perché andare nei campi?» è il ragionamento che spinge molti agricoltori ad abbandonare le terre, che presto diventano deserti. Ma chi sopravvive, immunizzato e trasferito nelle città, vivrà meglio: diventerà manodopera ricercata e più pagata di prima, mentre la scarsità di braccia fa crescere ovunque l’innovazione tecnico-meccanica, come la stampa e le armi da fuoco. Con meno soldati in campo, ai re e signori occorrono più armi.
La Peste Nera porta anche i pogrom antisemiti, i peggiori fino ai tempi della Shoa, con gli ebrei accusati come untori. Nel 1348 una bolla di papa Clemente VII vieta di «ascrivere agli ebrei delitti immaginari». Ma la piaga colpisce anche il prestigio della Chiesa: quella «vita e salute» chiesta nelle sue preghiere e processioni, non arriva. E si prepara indirettamente il clima morale e ideologico per l’avvento della Riforma (1517: Lutero affigge le sue tesi a Wittenberg).

La Peste nera ha avuto anche riflessi sull’arte e letteratura e l’arte: il Decamerone, il blocco della costruzione del Duomo di Siena, la diffusione delle «danze macabre» nella pittura medievale, influenzò la pittura fiamminga con le ossessioni nei quadri di Bosch, «Il trionfo della morte» di Peter Brueghel il Vecchio. E poi il capolavoro cinematografico di Bergman: «il settimo sigillo».
1629-1630: la Peste manzoniana

Durò due anni e non si può definire pandemia perché fu circoscritta soprattutto nel nord Italia. Arriva probabilmente dal passaggio degli eserciti (lanzichenecchi) che dormivano nei fienili e si presero le pulci dei ratti. Conseguenze: più di un milione di morti, destabilizzazione sociale, carestie, campagne abbandonate, rivolte rurali, guerre sociali e civili in Italia.

Come sarà il mondo dopo il Covid- 19

Negli ultimi 100 anni, la scienza ha accertato senza più dubbi l’origine zoonotica di varie pandemie (anche fuori dalla Cina: lo scimpanzé dei Laghi, in Africa, morsicando un essere umano avrebbe trasmesso nel 1980 il virus dell’HIV-Aids, circa 36 milioni di vittime nel mondo). La ricerca insegue nuovi vaccini, ma tremila anni dopo i coronavirus e i loro «parenti» arrivano lo stesso. Come cambierà il nostro mondo con il Covid-19 è ancora da scrivere. Sappiamo solo che non sarà più lo stesso.

Numero1927.

 

MANIPOLAZIONE  LINGUISTICA
Tecniche e Strategie.

Dott.  Roberto  Ruga
psicoterapeuta

Trascrizione da YOUTUBE

Quali sono i trucchi più diffusi per trarre in inganno le persone e indurre la mente in errore?
Adesso vi faccio un esempio per farvi capire come la forma di un’espressione può valere più del contenuto e come la collocazione delle parole sia molto importante nella manipolazione linguistica.
Ecco l’esempio, noto a tutti gli esperti.
Un novizio chiese al priore. “Padre, posso fumare mentre prego?”. E fu severamente rimproverato.
Un secondo novizio chiese allo stesso priore: “Padre, posso pregare mentre fumo?” E fu lodato per la sua devozione.
Questo esempio ci fa capire come l’arma del manipolatore linguistico non sia il contenuto, ma la forma e, cioè, la posizione delle parole. Ovvero, qualcosa che sfugge all’interlocutore. Infatti, ciò che persuade il Padre priore, è qualcosa che lui non nota. La diversa collocazione delle parole dà luogo ad un effetto differente.

Gli esempi che si possono fare sono tanti. Un esempio: “Daniela è una ragazza bruttina ma ricchissima” è molto diverso dal dire: “Daniela è una ragazza ricchissima ma bruttina”.
In realtà, stiamo dicendo la stessa cosa, ma l’effetto è diverso.
Così come c’è un effetto diverso se dico: “Lui uscì con lei dal locale” piuttosto che: “Lei uscì con lui dal locale”. È chiaro che stiamo dicendo la stessa cosa, ma basta spostare di poco la collocazione di chi compie un atto e di chi lo subisce o vi partecipa, per ottenere significati ed effetti diversi su chi ascolta.

Grazie a questi effetti linguistici, il manipolatore può influenzare la mente di chi ascolta, semplicemente organizzando ciò che dice in un modo piuttosto che in un altro. L’ordine delle parole suggestiona il pensiero e lo induce in errore.
Spesso, l’efficacia della persuasione si nasconde all’inizio della frase. Infatti, ciò che viene detto per primo influenza la percezione di chi ascolta.
A questo riguardo, è noto un meccanismo molto usato dai mezzi di comunicazione di massa,, che possono far pendere la bilancia a favore di uno dei due contendenti politici che si affrontano, senza dare l’impressione di farlo, ma, anzi, sbandierando la propria oggettività. In pratica, si fa parlare per prima la parte politica che si vuole danneggiare, invitando successivamente quella di cui si tutelano gli interessi. Perché? Perché la mente umana registra entrambi i messaggi, ma l’ultimo rimane sempre più impresso.

Un’altra tecnica molto diffusa per screditare qualcuno, consiste nel mettere le sue parole tra virgolette. Le virgolette trasformano le frasi in espressioni un po’ ridicole e le parole diventano, automaticamente, sarcastiche, senza che sia stato detto o fatto nulla.
Un’altra tecnica manipolativa è quella di dire cose scontate, ma ammantandole di termini tecnici e, quindi, attraenti e suggestivi. Ad esempio, inserendo nel discorso l’espressione famosa – espressione ad effetto – cioè “al gusto di cioccolato”. In pratica, succede che l’ascoltatore viene distratto da questa immagine attraente e scambia per cioccolato ciò che, in realtà, è solo un surrogato. Quando si dice che un prodotto è “al gusto di cioccolato”, la nostra mente focalizza l’attenzione sulla parola “cioccolato” e già immagina che ciò che gusterà sarà cioccolato.
Il gusto, però, è legato al naso e non alla bocca, come spesso noi crediamo, per cui, quando mangiamo qualcosa, difficilmente la bocca se ne renderà conto, ma al naso non sfugge il suo sapore.
Perciò, il prodotto “al gusto di cioccolato” sarà solo un surrogato che avrà l’odore del cioccolato, ma non è cioccolato.

La pubblicità televisiva è piena di questi trucchetti.
Ad esempio, si dice: i biscotti X non contengono nitrati. In effetti, nessun tipo di biscotti contiene nitrati, quindi, in questo caso, il manipolatore inganna dicendo il vero. Ultimamente si leggono frasi simili, sulle confezioni dei dolciumi. Chi legge si sente rassicurato per il fatto che il prodotto non contiene nitrati, perché i nitrati non fanno bene alla salute. Per cui, il compratore si sentirà spinto a mangiare i biscotti X piuttosto che i biscotti Y, che non contengono questa informazione e che, forse, quindi, contengono i nitrati. Ma la frase nasconde un inganno: questi biscotti non contengono nitrati e, ad essere sinceri, neanche gli altri biscotti li contengono. E non contengono neanche uranio radioattivo o il batterio della peste. Ma questo non viene detto.

Un altro famoso esempio, che è un altro espediente per manipolare, è quello di dire cose ovvie, cioè la cosiddetta “scoperta dell’acqua calda”.
Ad esempio, quando si dice di un’acqua minerale che “facilita la diuresi”, in realtà, non si dice che bere qualsiasi acqua facilita la diuresi, questo è ovvio, ma la mente di chi ascolta o legge completa la frase immaginando che “quell’acqua facilita la diuresi”, a causa di una sua caratteristica che altre acque non hanno, ma questo non è stato detto. Molte acque minerali sono spesso reclamizzate con questa espressione, indicando che “aiutano a fare pipì”. Dov’è il tranello? Ogni tipo di acqua facilita la diuresi e non solo l’acqua sulla cui confezione è riportata questa espressione. Tuttavia, la mente di chi acquista è indotta a pensare che le acque, che non riportano questa informazione, non facilitano la diuresi.

Un altro modo di indurre una falsa convinzione è quello in cui si lascia intuire l’efficacia di un prodotto, indicandone una componente, anche se quello non ha nessuna influenza sull’azione che quel prodotto compie. Ad esempio,il classico dentifricio X che contiene una certa sostanza: quindi, deduciamo che quella sostanza fa bene ai denti. In realtà, la sostanza in questione non ha nessun potere benefico sui denti e quindi, se non ci fosse, il dentifricio avrebbe le stesse caratteristiche. Alcuni pubblicitari possono aggiungere la precisazione che una tale sostanza “aiuta” a raggiungere un certo risultato. In questo modo, nessuno potrà dire che tale affermazione è falsa. È molto difficile. Un altro trucco usato dai pubblicitari consiste nell’affermare una verità, omettendo, però, di completarla con affermazioni che ne limiterebbero il significato.

Pertanto, indurre la mente in errore non è così difficile, in quanto le parole creano la realtà. Usando le parole nel modo giusto, possiamo creare la realtà che meglio ci aggrada.
Pensiamo che, sulle parole, si basano anche le relazioni tra le persone. all’interno di un contesto sociale.
Il manipolatore sa usare il potere magico del linguaggio.
Ad esempio, in ambito militare, pensiamo a certe espressioni tipo “fuoco amico”. Questa frase viene usata per dire che dei soldati sono stati ammazzati per errore dai loro compagni o alleati. E così la mente crea un’immagine innocua. Addolcisce la pillola. Pensiamo ad un’altra espressione come “conflitto a bassa intensità”. Questa frase veniva usata per dire che pochi esseri umani erano morti, ma la mente crea, comunque, un’immagine edulcorata latente della sparatoria. Sorvolando sui cadaveri che ci sono stati.

Insomma, le armi invisibili del persuasore sono molte.
Ci sono, poi, tutti quegli esempi che hanno come sfondo le aule dei tribunali.
Consideriamo,ad esempio, le seguenti espressioni: “Quando è entrato nella banca, l’imputato aveva UNA pistola?” , oppure, “Quando è entrato nella banca, l’imputato aveva LA pistola?”. Nella prima frase, è chiara la domanda sull’esistenza della pistola. Nella seconda versione, si dà per scontata la detenzione dell’arma da parte dell’imputato.
Nella nostra lingua esistono parole semplicissime, e apparentemente innocue, che possono stravolgere il significato della frase.
Come delle semplici congiunzioni: e, ma , se, sebbene.  Mescolando l’ordine delle parole e delle congiunzioni, si ottengono miscele linguistiche molto diverse. Il cambiamento dell’ordine delle parole può modificare il senso della frase e, quindi, il concetto che sta dietro. Alcune congiunzioni innescano delle reazioni automatiche alle quali una persona reagisce senza rendersene conto. Una di queste congiunzioni è la parola “perché”. La sensibilità della parola “perché” è dovuta ad un nesso di causalità, con cui cerchiamo di spiegarci le cose. E più argomenti si accompagnano ad un “perché”, più è probabile che ci sia volontà di manipolazione.

(N.d.R. : intervengo con una considerazione fuori contesto: “perché” è una congiunzione che introduce una domanda ma anche una risposta. Da un po’ di tempo, è molto in uso, nel linguaggio corrente, una espressione, per introdurre una risposta, che vorrebbe essere esplicativa, che suona così: “perché comunque” .
Quando, io voglio dare una risposta che sia valida, convincente, esaustiva, dovrei evitare di usare questo “comunque”, che vuol dire: in qualche modo, per sì e per no, in qualche caso,forse… cioè una formula dubitativa che toglie o attenua la certezza all’attendibilità della mia asserzione in risposta. La credibilità dell’argomentazione che segue sarà inficiata o sminuita in partenza. È una  formula lubrificante che, magari, dà un attimo di tempo in più per raccogliere le idee, che lì per lì sono confuse, e per trovare gli argomenti più validi. Ma, forse, è soltanto una moda.

C’è da aggiungere che il contesto emotivo orienta il significato delle percezioni e certe parole creano un contesto emotivo. Ad esempio, se parliamo ad una persona ed accenniamo alla paura di sbagliare, si creano, nella mente di questa persona, delle connessioni e delle interconnessioni sulla proiezione della paura, quindi sull’ansia, sulle sensazioni spiacevoli, sui ricordi di esperienze sgradevoli e quindi, indirettamente, sulla visione pessimistica del futuro, sui ricordi di punizioni, sui sensi di colpa, sui sensi di inferiorità o di inadeguatezza.
Basta una sequenza di parole specifiche per orientare una certa visione del mondo. Questo perché il potere delle parole è pressoché infinito. Basta, certe volte, usare termini vaghi ed ambigui per creare un certo effetto.
Alcune parole sono piene di …. vuoto e diventano, così, il ricettacolo di qualunque contenuto di desiderio da parte dell’ascoltatore.
Ad esempio, la medicina è un settore molto fertile, da questo punto di vista.
A questo proposito, anche i cartomanti usano parole “passe partout” e danno l’impressione di leggere nella mente dei loro clienti. Ad esempio, possono dire. “Vedo che hai un problema”, “Il problema riguarda te”….(beh, certo!). “C’è di mezzo un’altra persona”, oppure possono dire: “Vedo tensione”, “È stato fatto qualcosa”. C’è un vuoto intorno e dentro queste espressioni, perché non dicono niente di specifico, In realtà, non viene detto niente, eppure la vittima ha la sensazione che venga detto qualcosa proprio su di lui.

Anche gli stereotipi sono molto persuasivi e sono parole che contengono molte connotazioni psicologiche ed emotive, tutte ben scolpite nell’immaginario collettivo. Ad esempio, i termini “fascista”, “comunista”, “reazionario”, “moralista”, “integralista”, “terrorista”, sono tutte delle etichette che incasellano l’avversario con una forza molto particolare. Una volta utilizzate queste etichette, scatta una serie di pregiudizi.
Un altro modo per persuadere gli altri delle nostre idee, è fornire delle spiegazioni globali, che siano in grado di dare un senso ad ogni cosa, a tutto. Sono un tipo di spiegazioni che noi tendiamo a preferire, perché ci risparmiano la fatica di analizzare criticamente la realtà, quindi ci fanno risparmiare tempo.
Più risposte una teoria ci sembra in grado di fornire, più è gradita ed attraente ai nostri occhi. Ma non è importante che essa sia del tutto vera, perché la cosa importante è che ci permetta di interpretare il più alto numero di eventi possibili. Questo ci fa capire che, col linguaggio, si possono creare anche dei paradossi, ovvero delle situazioni senza alcuna via d’uscita., che intrappolano la logica mandando in tilt la mente. E possono, alla lunga, spingere una persona verso la follia.

Le frasi che ingabbiano la mente, impedendole di capire dov’è la verità, sono dette “autoimmunizzanti”, cioè si autogiustificano a priori, rendendo impossibile una loro confutazione. Una di queste frasi, ad esempio, è: “La più riuscita strategia del diavolo è far credere che non esiste”. Se ci pensate bene, qui esiste una struttura ritorsiva che è impossibile da confutare.
Dunque, iniziamo a capire come, attraverso il linguaggio, attraverso espressioni apparentemente innocue, la volontà può essere manipolata, incidendo sulla capacità che una persona ha di decidere.
Oltre che nelle campagne pubblicitarie, questa manipolazione si trova dappertutto. Facciamo, intanto, degli esempi nell’ambito pubblicitario.
Ci sono tante pubblicità che si basano sullo stesso concetto. Prendiamo la frase tipica: “Nessuno lava più bianco di me”. Con questa affermazione il pubblicitario vorrebbe che il detersivo sponsorizzato fosse l’unico sul mercato. In realtà, non si sta dicendo che il detersivo è il migliore in assoluto, la frase è parziale. Infatti, dovrebbe dire: “Nessun detersivo lava più bianco di me, anche se ci sono altri detersivi che lavano bene quanto me”. La seconda parte della frase è stata omessa.
La nostra mente arriva alla conclusione che, solo quel detersivo può fornire quelle prestazioni.
Un’altra frase tipica è quella che dice che un certo cibo non contiene colesterolo. Ora, anche ammettendo che dei ricercatori siano riusciti ad estrarre il colesterolo da quel prodotto, l’inganno sta nel fatto che il suddetto cibo, appena disciolto in bocca, e poi nello stomaco, si scinde in molecole di amido e questo si trasforma in zucchero. Dopo un po’, una parte di queste dolci molecole si trasforma in qualche altra cosa, fino a formare il colesterolo. Allora, è vero che in quel certo cibo, ad esempio, i crackers, non c’è colesterolo, ma il pubblicitario non dice nulla di quanto avviene dopo che il prodotto è stato ingerito.

Tutti questi stratagemmi, queste tattiche comunicative fanno leva su errori logici e risultano manipolative, in quanto sono un po’ scorrette.
Le fallacie illogiche più comuni, utilizzate dai manipolatori linguistici sono:
L'”argomento fantoccio” che consiste nel rappresentare scorrettamente l’argomentazione dell’avversario, esagerandola e riportandola in modo caricaturale.. Arrivando, persino, a mettergli in bocca parole che non ha detto, allo scopo di confutare più facilmente la sua tesi.
Per fare un esempio, immaginate un politico che dice. “Avremmo dovuto spendere più soldi nella sanità e nell’istruzione”. E immaginate l’opposizione che risponde dicendo: “Siamo sorpresi che voi odiate così tanto il vostro paese, da volerlo lasciare senza difesa, tagliando le spese militari”. Notate il gioco manipolativo?
Un’altra strategia manipolativa è quella che afferma che una relazione tra due eventi sia necessariamente di tipo causale. Spesso, si tende a presentare due cose accadute contemporaneamente o in sequenza, come se l’una fosse la causa dell’altra. Mentre la loro relazione potrebbe, semplicemente, essere una coincidenza. Oppure, potrebbero essere provocate, tutte e due, da una diversa  stessa causa. Ad esempio, e questo è un esempio famoso, Mario, indicando un grafico, spiega come le temperature si siano alzate negli ultimi secoli, mentre, nello stesso tempo, il numero dei pirati è diminuito. Perciò, sono i pirati che raffreddano il mondo e il riscaldamento globale è una  grande bufala. Notate l’irrazionalità di questa argomentazione?

Un’altra tattica manipolativa è l’argomento “ad hominem” ( verso la persona), che consiste nell’obiettare alle argomentazioni di qualcuno, senza rispondergli nel merito, ma attaccandolo sul piano personale, con lo scopo di indebolire la sua posizione. Per fare un esempio: dopo che Maria aveva presentato un convincente ragionamento in favore di un sistema fiscale più equo, Carlo chiese al pubblico se si fidasse di una donna non sposata, che era stata arrestata in passato e che aveva un odore un po’ strano. Qui si attacca la persona e non le sue idee, che sarebbero, altrimenti, inattaccabili.
Anche con Einstein fecero, più o meno la stessa cosa: lo attaccarono sulla sua vita privata, in particolare sulla sua relazione con la moglie, proprio perché le sue idee erano, invece, inattaccabili.
Poi, c’è un altro accorgimento manipolativo: quando la propria tesi viene smentita, si cerca di avere ragione inventando eccezioni:. Facciamo un esempio. Rocco sostiene di essere un sensitivo, ma quando le sue abilità vengono messe alla prova scientificamente, queste, magicamente, spariscono. E allora Rocco cosa fa? Spiega che la gente deve avere “fede” nei suoi poteri, perché questi funzionino, altrimenti non funzionano. Ma allora, così, è facile.
Poi ci sono le famose “domande accusatorie”, cioè, in sostanza, si fa una domanda che contiene un’affermazione, in modo che l’interpellato non possa rispondere con un sì o con un no, ma deva contestare la domanda. E quindi, in questo modo, appare sulla difensiva, oppure potrebbe sembrare  colpevole, proprio perché contesta la domanda. Ad esempio: “Hai smesso di picchiare tua moglie?” Questo è un celebre esempio da aula di tribunale.

Poi c’è il famoso “carro del vincitore”, cioè cercare di avvalorare una tesi dicendo che è molto popolare, anche se, in realtà, può essere una vecchia superstizione.
Poi, ancora, abbiamo i cosiddetti “falsi dilemmi” che consistono nel far credere che esistono solo due alternative, costringendo la vittima a scegliere fra queste due sole alternative. A sceglierne una quando, in realtà, avrebbe la possibilità di scegliere fra più opzioni. Questo è tipico delle dittature. I dittatori chiedono alla gente se è dalla sua parte o dalla parte del nemico, come se la scelta possibile fosse solo fra queste due alternative.
E, ancora, ci sono i cosiddetti “ragionamenti circolari”, in cui la conclusione è già contenuta nelle premesse. Una frase tipica è: “La giustizia impone che nessun uomo possa comprare un altro uomo, perché non è giusto che un uomo possa essere messo in vendita”. Ma questa non è un’argomentazione valida.
Un’altra tattica manipolativa è l’appello ad una autorità, che consiste nel dire che una cosa è vera perché lo dice l’esperto (N.d.R. : “ipse dixit” ( l’ha detto lui) detto da Cicerone riferendosi ad Aristotele), senza fornire ulteriori argomenti.
Un altro classico errore logico sfruttato dai manipolatori è quello di ritenere che ciò che è valido per una parte sia valido per il tutto. O, viceversa, che ciò che è valido per un intero, sia valido per tutte le sue componenti. Sarebbe come se dicessi: “Siccome gli atomi sono invisibili e noi siamo fatti di atomi, allora noi dovremmo essere invisibili”. Sarebbe un po’ strano.
Oppure, pensate se dicessi: “Siccome mio nonno fuma 80 sigarette al giorno e non ha il cancro ai polmoni, allora io non credo ai dati sulle morti causate dal fumo”. Sarebbe un po’ strano.
Eppure, molti manipolatori fanno uso di queste strategie e fanno leva sui sentimenti dell’interlocutore , senza avere delle valide argomentazioni.
Alcuni manipolatori usano la “tecnica dell’incredulità” che consiste nel rispondere ad una argomentazione, dicendo che è difficile a credersi e, perciò, non può essere vera. Pensiamo, ad esempio, ad un pesce e ad un essere umano. Sono molto diversi e ci chiediamo come un pesce possa essersi trasformato in un uomo, come vorrebbe la teoria evoluzionista  che è stata sperimentata. Oppure, pensate se dicessimo che la teoria evoluzionista non è accettabile perché è una pratica usata dai nazisti. Sarebbe curioso.
I produttori di una nota bevanda gassata mostravano delle ricerche secondo cui, dei 5 paesi dove la bibita era più venduta, 3 erano nella classifica  dei primi 10 paesi al mondo per le condizioni di salute. Quindi, la loro bibita era salutare.
Ma questa è una conclusione azzardata, non è affatto logica.
Un altro errore logico, sfruttato sempre dai manipolatori linguistici, consiste nel sostenere che un compromesso, oppure un punto d’intesa tra due estremi, sia sempre la verità. Ma non è sempre così. Spesso la verità sta nel mezzo, ma questo non è sempre, necessariamente vero e, a volte, capita che la verità sia in uno dei due estremi. Ad esempio: Alice dice che i vaccini causano l’autismo nei bambini, ma la sua amica Marta, esperta di scienza, obietta che questa tesi è stata smentita ed è infondata. Alice, allora, cosa fa? Propone un compromesso: i vaccini possono causare “un po’ d’autismo” nei bambini.
Ma questo è un errore logico.

Numero1924.

 

TECNICHE  DI  MANIPOLAZIONE

 

Mi sono avvicinato, per caso, su YOUTUBE ad una serie di filmati, editi da alcuni psicologi e psicoterapeuti, riguardanti dei personaggi apparentemente particolari, o di nicchia : i narcisisti (overt = palese o covert = dissimulato) psicopatici che sono, al contrario, e con mia grande sorpresa, molto più diffusi di quanto si sappia.
Uno dei tipi di narcisista piu’ pericolosi e’ il narcisista covert, poiche’ al contrario dei narcisisti overt (o classici), rendendosi conto che mostrare il suo narcisismo puo’ essere controproducente per i suoi obiettivi, si nasconde, spesso fingendosi l’esatto opposto di cio’ che e’. I narcisisti covert si mostrano spesso come dei buoni, etici, giusti, paladini della giustizia e pilastri della societa’.
I covert sono i peggiori, quelli che fanno più danni di tutti dal punto di vista psicologico. Perché hanno un’empatia cognitiva molto sviluppata (capiscono i tuoi sentimenti ma non li sentono), e sfruttano questa capacità a scopo manipolatorio, conoscendo i punti deboli della vittima. È difficile smascherarli, e quando questo succede sono spietati. Provano gusto nel vedere la vittima distrutta, colpevole, per loro, di aver scoperto la loro reale identità.
Sono, invece, una categoria psicologica di untori e diffusori di malessere sociale, attraverso un inquinamento empatico/affettivo che, come un virus (arriva a proposito, in tempi di Coronavirus, ma questo è di tipo psicisociale), attacca, corrode e stravolge i rapporti interpersonali.
L’ arma letale, di cui si avvalgono questi personaggi, è una tecnica manipolatoria, quasi infallibile, che raramente permette alla vittima di cavarsela senza danni.
Dopo avere letto questa trascrizione, penso che converrete con me che, così stando le cose, sono più facilmente comprensibili tutti quei femminicidi di cui ultimamente sono pieni i telegiornali.
E, in generale, a mio avviso, si può affermare che sono sempre più diffusi l’impreparazione alla vita e i disagi del comportamento relazionale, sia nel ruolo di vittima che in quello di carnefice.

Riporto trascritto il contenuto di questa conferenza illustrativa a cura di una giovane ma preparata psicologa, che si firma Vappole (non so se è uno pseudonimo). Tenete presente che, pertanto, il punto di vista è femminile.

 

La tecnica di manipolazione più potente che si conosca è usata dagli psicopatici, persone con disturbo narcisistico della personalità.
Prima di parlarvi dei dettagli di questa tecnica, vorrei introdurvi alla conoscenza di uno studio tecnico-scientifico svolto, all’inizio del XX° secolo da Skinner e dal suo team. Barrhus Skinner, nel 1938, ha coniato l’espressione “condizionamento operante”, che consiste nella sperimentazione di vari metodi per condizionare i comportamenti di un essere, in base a diversi tipi di “rinforzi” del suo ambiente circostante.
Ad esempio, “operanti neutrali” si definivano tutti quei condizionamenti dell’ambiente che né incrementavano né decrementavano la probabilità di far ripetere un comportamento all’individuo. Si definivano “rinforzi” tutte quelle risposte dell’ambiente che incrementavano la probabilità di un ripetuto comportamento, e “condizionamento operante” la risposta che decrementava la probabilità di un ripetuto comportamento.

Per svolgere gli esperimenti, Skinner e il suo team usavano dei topi ( e anche dei piccioni) che intrappolavano in scatole (scatole di Skinner), nelle quali c’era una levetta, delle luci ed un erogatore di palline di cibo. A seconda di come la levetta veniva premuta dal topo e, a seconda delle luci accese, l’erogatore dava una pallottola di cibo, oppure no.
Nel primo esperimento, chiamato “rinforzo positivo”, ogni volta che il topo premeva la levetta, veniva erogata una pallottola di cibo. In questo modo, il topo imparava che, se voleva del cibo,  bastava che premesse la levetta. Quindi, ogni tanto, la premeva.
Nel secondo esperimento, indipendentemente dal fatto che il topo premesse o meno la levetta, non veniva erogata nessuna pallottola di cibo. In questo modo, in breve, il topo si stufava di premere la levetta e, semplicemente, smetteva di premerla. Ma, qui arriva la parte interessante.
Dopo aver provato il “rinforzo positivo” per un po’, e, quindi, dopo aver insegnato al topo a premere la levetta per avere il cibo, gli sperimentatori hanno cominciato a mettere in atto quello che viene chiamato il “rinforzo intermittente”. 
Ovvero, qualche volta, quando il topo premeva la levetta, veniva erogata la pallottola di cibo, qualche volta no, in modo del tutto casuale (random).
Secondo voi, qual è stato il risultato? Logicamente, si penserebbe che, dopo un po’ di tempo, il topo si stuferà di premere la levetta perché tanto, dopo un po’, il cibo sarebbe arrivato. Giusto? Sbagliato. Il risultato è stato l’esatto contrario. Il topo diventava ossessionato, nel premere la levetta, al punto che smetteva di fare qualunque altra cosa, di prendersi cura di qualunque altro suo bisogno: semplicemente, rimaneva attaccato alla levetta.
Ma qui avviene la parte ancora più preoccupante. Dopo questa fase di “rinforzo intermittente”, gli sperimentatori provarono a togliere totalmente le pallottole di cibo, per vedere cosa accadeva: se, dopo un po’, non vedendo mai uscire il cibo, il topo avrebbe smesso di premere la levetta.
Secondo voi cosa è successo? Di nuovo l’esatto opposto di quello che ci si aspetterebbe logicamente. Anziché smettere di premere la levetta, il topo diventava ancora più ossessionato. Letteralmente, smetteva di fare qualunque altra cosa, pur di continuare a premere la levetta. Addirittura, arrivava a morire per continuare a premere la levetta.

Cosa significa questo? Questi esperimenti ci rivelano un comportamento psicologico dall’ambiente molto basilare, che va contro la nostra intuizione logica. Ovvero, quando abbiamo una cosa in abbondanza, non  ci preoccupiamo di averla o no e, quindi, siamo rilassati al riguardo. Quando quella cosa non c’è, noi sappiamo di non poterla ottenere, quindi non ci preoccupiamo al riguardo. Ma quando quella cosa ci viene data in maniera casuale, scatta una specie di condizionamento di dipendenza e diventiamo quasi drogati da quella cosa, anche se quella cosa smette di esistere.
Questo spiega, ad esempio, i meccanismi di dipendenza che vengono generati dai giochi d’azzardo, dove alcune persone devono essere completamente esonerate dal poter giocare, perché diventano talmente dipendenti, al punto di perdere ogni loro avere, pur di continuare a giocare.
Lo stesso meccanismo viene anche utilizzato in molti videogiochi, dove, ormai, si registrano molti casi di ragazzi che smettono di mangiare o dormire completamente, pur di continuare a giocare.
Ma, e questo è il punto più pertinente a noi, questo meccanismo viene anche utilizzato, senza eccezione, da manipolatori psicopatici e narcisisti, per intrappolare le loro vittime.
Quell’effetto drogante, quindi, che sentiamo verso queste persone, quando siamo coinvolte in una relazione con loro, non è casuale e non è una pazzia.
È creato di proposito. Come viene creato, esattamente? È semplice.

All’inizio della relazione, lo psicopatico narcisista ci “bombarda d’amore”.
Ovvero, crea il processo di “rinforzo positivo”. In questa maniera, ci abituiamo, impariamo ad avere a disposizione questo affetto, questo amore, per cui non ce ne preoccupiamo. Come nella fase iniziale del topo nella scatola.
Poi, arriva la seconda fase: arriva il “rinforzo intermittente”. In questa fase il narcisista psicopatico inizia ad abusarci utilizzando denigrazioni, insulti, critiche, svalutazioni ecc. e le alterna a momenti in cui ci dà affetto ed amore, in maniera totalmente casuale. E questa è la chiave.
Non c’è un “pattern of you” (modello di te). Sembra che ci possa essere ma, in realtà, la loro azione è pressoché casuale. Questo è il momento in cui diventiamo drogate dal narcisista psicopatico.
Noi iniziamo a pensare: “Ma cosa abbiamo fatto di sbagliato?” Dobbiamo fare in modo di ripristinare le cose come erano prima. Dobbiamo ricreare quel “pattern” che ci dava l’affetto incondizionato. Cerchiamo, in tutti i modi, di risolvere, di risistemare le cose, di capire qual è il meccanismo che ci dà l’affetto, dietro il comportamento del narcisista.
Ma, e questa è la parte più importante, non c’è un meccanismo, e non c’è un modo, per ripristinare quella cosa: semplicemente, questo fa parte della tecnica manipolatoria.

E poi, alla fine, arriva la terza fase: la fase dello “scarto”, per usare un’espressione conosciuta, ovvero, quando il narcisista psicopatico vi taglia fuori, smette completamente di darvi affetto.
Questa è la fase in cui l’effetto droga si innesta ancora di più e noi ci disperiamo, perché non capiamo cosa abbiamo fatto di sbagliato, perché lui è uscito dalla nostra vita, ci ha tagliato fuori e ha completamente smesso di darci affetto.
Questa è la tattica che rassicura il narcisista di tenerci drogati a lui, mentre lui può fare quello che vuole. Questa tecnica di manipolazione è fondamentale, perché dipende da questo effetto droga, che è il motivo per cui è così difficile guarire da una rottura o da un rapporto con un narcisista psicopatico.
C’è una parte di noi che è letteralmente drogata, quindi, uscire da questo rapporto non è meno facile che, per un drogato di cocaina, di eroina, o di qualunque altra sostanza psicotropa, di smettere, di andare in astinenza.
Gli effetti sono identici. Per questo è fondamentale, se  vogliamo non ricascare in queste dinamiche,  innanzitutto riconoscerle e poi, non caderci dentro.

Come facciamo a non farci prendere di nuovo da questo effetto?

Beh, innanzi tutto, bisogna riconoscere che il motivo per cui caschiamo in questa tattica (o trappola) di manipolazione non è casuale.
È perché, anche nel nostro passato, e precisamente, durante la nostra crescita, nell’infanzia, qualcuno l’ha utilizzata nei nostri confronti: con molta probabilità, un genitore. Quindi, siamo già stati esposti a questa tecnica che, per questo, funziona con noi. Pertanto, il primo passo per la guarigione da qualunque dipendenza psicologica, è andare a fondo nelle proprie ombre, andare a fondo nei propri traumi e guarirli.
La seconda cosa da fare, è che possiamo utilizzare la nostra mente razionale, per renderci conto di quanto ci stiamo avvicinando a questa dinamica e se qualcuno sta cercando di metterla in atto con noi. I segnali sono abbastanza chiari. Ormai, sappiamo tutti cos’è il “love bombing” (bombardamento d’amore) e, soprattutto, dobbiamo subito tenere i nostri sensi all’erta, per scoprire cosa non va, cosa non quadra, quando il nostro istinto ci avverte che, comunque, qualcuno sta cercando di manipolarci.
Se, oltre questa intuizione, vediamo anche che questa persona comincia a denigrarci, ad insultarci, alternando questo a dei momenti in cui ci dà affetto, allora qui dobbiamo stare attente perché quella persona sta utilizzando la tecnica di manipolazione del “rinforzo intermittente” con noi.

Appena ci accorgiamo che quello è il caso, dobbiamo prendere immediatamente le distanze, non dobbiamo cadere nella trappola, dobbiamo cercare altre attività con cui distrarci, cercare di focalizzarci su altre persone oppure, meglio ancora, su noi stessi: cercare di usare la nostra mente razionale, per valutare la situazione e non le nostre emozioni.
Se andiamo ad abboccare a quell’esca, è molto facile cadere nell’effetto droga.
Attenzione, la tecnica del “rinforzo intermittente” viene realizzata non solo con l’affetto (oltre che col sesso), ma anche con le parole.
Per esempio, quando il narcisista psicopatico ci dirà: “Ah, non preoccuparti, migliorerò, farò di tutto per non ripetere gli stessi errori” e poi ricadrà, puntualmente, a rifare gli stessi errori. E questo, di nuovo, è il”rinforzo intermittente”: a parole, promette di migliorare, nei fatti ricomincia peggio di prima.

Vorrei concludere dicendo che, con un narcisista psicopatico, o, anche, con un narcisista vero e proprio, non esiste la guarigione: è soltanto un’illusione, una pallottola di cibo adoperata come esca. Non sperate che si possa avere un rapporto sano con loro, che riusciranno, in qualche modo, a cambiare.
Soltanto in pochi casi, quando il narcisismo della persona non è grave e ci sono veramente delle parti di lui che provano empatia, che hanno veramente voglia di guarire, ci può essere un miglioramento.
Però, attenzione, perché è molto facile confondersi. In generale, è meglio non sperare. Quindi non abbocchiamo all’esca.

Numero1923.

 

Finirà anche la notte più buia

e sorgerà il sole.

 

Victor Hugo.

N.d.R.   È un po’ come  Adda passà ‘a nuttata (o meglio, come si legge nel testo, Ha da passà ‘a nuttata) che è una famosissima frase contenuta nella commedia Napoli milionaria! divenuta nel tempo celeberrima.
Un po’ come è accaduto alla notissima ‘e figlie so’ ffiglie! tratta da Filumena Marturano.
Oppure, anche, a I figli so’ piezz’ e core come cantava Mario Merola.

Numero1922.

 

Me la manda Rita, che lo ha appena ricevuto su WHATSAPP : merita di essere pubblicato.

 

Ricapitolando.

In pochi giorni abbiamo risolto il problema del traffico, dell’inquinamento, dello spreco di cibo, della ludopatia e dell’invasione dei migranti. Difficilmente staremo in futuro a litigare su quote 100 o di quando poter andare in pensione.

Miglioramenti sensibili anche sul fronte dell’evasione fiscale e della tracciabilità dei pagamenti (per giustificare le uscite di casa).

Abbiamo incentivato la digitalizzazione e l’alfabetizzazione informatica, dato forte impulso all’ “e-commerce”, lanciato lo “smart working” e l’ “è-learning”.

Abbiamo finalmente dato al calcio l’importanza che merita, aumentato la lettura dei libri e dei giornali, la visione dei film, riscoperto il piacere della sana cucina casalinga e del giardinaggio, ci siamo rivelati amanti dell’attività fisica e dell’aria aperta.

Siamo diventati più solidali, più socievoli e desiderosi di interagire con il prossimo. Quando suona il campanello il “e adesso chi cazzo è che rompe” è stato sostituito da una scossa adrenalinica.

Abbiamo responsabilizzato i cittadini all’osservanza delle norme e a non voltarsi dall’altra parte se vedono qualcuno che fa il furbo, abbiamo imparato a fare la fila in modo ordinato e a lavarci le mani.

Passiamo molto più tempo con i nostri figli e i nostri partner, forse entro un anno avremo pure risolto il problema demografico.

Abbiamo riabilitato gli scenziati e le competenze, spazzato via no-vax e complottisti vari, abbiamo disintossicato le trasmissioni di informazione dalle inutili liti da salotto dei politici.

Furti, rapine e altri delitti ridotti all’osso, traffico e spaccio di droga che hanno subito un tracollo.

Adesso ci resta solo da risolvere sta sega del coronavirus e siamo a cavallo.

Numero1921.

 

Sul  FATTO  QUOTIDIANO leggo oggi un articolo che mi piace.
Anche se i miei interessi sono molto lontani dalla politica.

 

Maurizio Montanari

Psicoanalista

POLITICA– 22 MARZO 2020

I leader di oggi sono affetti da narcisismo: il loro riferimento sono loro stessi.

 

Si sprecano in questi tempi le discussioni para-cliniche attorno alle sindromi narcisistiche che interesserebbero i nostri politici. La questione è ben altra: il narcisismo partitico nostrano non è un abito indossato da veri capi (alla De Gaulle o alla Churchill, grandi statisti portatori di ego ipertrofici) quanto la maschera pacchiana di minuscole figure autoreferenti e di scarso peso politico.

Diciamoci la verità, l’italiano ha sempre avuto un debole per l’uomo forte, simbolo totipotente capace di proteggere e mascherare le tante anime di una nazione cucita a forza, priva di un identità condivisa. Dietro l’ombra del condottiero era possibile celare, sia a destra che a sinistra, i micragnosi interessi, gli individualismi pelosi da cortile, i feroci e banali desideri violenti e inconfessabili dell’italiano medio.

Oggi questa tipologia di ometto medio è paradossalmente libera di autorappresentarsi e fare ‘outing’ (N.d.R. esternazione, rivelazione pubblica)  senza più l’affanno del Grande Padre da seguire o accoppare. Sbandierare la propria volgarità come titolo di studio, vantarsi dell’ignoranza come valore aggiunto, abusare di luoghi comuni sono di questi tempi caratteristiche che fanno curriculum. Il leader contemporaneo cavalca banalissimi e triti cliché usurati come la pace nel mondo, l’eliminazione dell’odio, il bene che trionfa sul male, le buone parole contro l’hate speech (N.d.R. discorso di odio). Tutto per un giorno illuminato dai riflettori.

Oggi non esiste più il capopopolo, mutato in capobranco. O, per meglio dire, il capo claque (N.d.R. seguaci che applaudono) di un pubblico preselezionato tra i propri ammiratori, eletto a platea unica di riferimento, sprezzante del fatto che ne esistano altre. L’epoca attuale è quella del ‘narcisisimo territoriale’ nella quale il leader autofabbricato si contraddistingue per una marcata allergia alle regole, che vuole tuttavia ferree per gli altri. Inadatto ai regolamenti, incline al capriccio personale e sempre in cerca di adepti graditi da arruolare, al momento del redde rationem (N.d.R. resa dei conti) con la realtà preferisce fuggire altrove per garantirsi un’ingiudicabilità nel tempo, per poi dedicarsi a ricreare nuovi gruppi con adepti che passino il vaglio della sua adorazione.

La scomparsa dei grandi partiti del secolo passato ha fatto sì che da forti mani si sia passati ad oscuri funzionari vestiti da capo, che arrancavano nella stanza dei bottoni esibendo una cultura politica assente, mancanti di qualsiasi velleità educativa. Goffamente millantano titoli, scopiazzano tesi, sbianchettano il loro curriculum. Il loro riferimento sono loro stessi. Pensate al fenomeno mediatico delle Sardine, sul quale ha egregiamente scritto Francescomaria Tedesco, tratteggiandone l’inconsistenza politica e il vuoto pneumatico.

Nel cosiddetto ‘campo progressista’ abbiamo assistito in questi anni ad uno smantellamento delle idee e delle battaglie della sinistra storica, calpestate da una nuova generazione di politici ‘trendy’ (N.d.R.  in voga,alla moda) provenienti da realtà artefatte o nicchie di privilegio, i quali mai hanno masticato il lessico delle battaglie storiche e popolari, dunque costretti ad abbozzare con narrazioni messianiche nelle quali la virtù e la pace nella galassia erano i mantra utili a sfondare.

Chi non ha capito il veltronismo non può spiegarsi il renzismo. Questi padri, che dal terrazzo delle loro ville blindate agitavano le forchette e i tovaglioli griffati contro le diseguaglianze e le turpitudini del mondo, hanno figliato una generazione di pargoli che si baloccava nei giardini recintati a battagliare contro i draghi con il cappello di carta e la spada di cartone.

Evaporata in fretta questa classe politica dopo il terrificante incontro col mondo reale la notte del 4 dicembre, i loro figli si sono sentiti autorizzati ad andare in piazza, convinti di doverne proseguire le mirabolanti narrazioni. Festosi e divertenti hanno invaso le città con le loro spade laser roteanti contro il male.

Finché i media hanno dato sponda alla costruzione del Movimento Impegnato per la Bontà (N.d.R. leggi SARDINE), tutto reggeva perché stava su di un piano mediatico virtuale e immaginario.
Le pietre hanno iniziato a piovere quando, andando per strada, hanno fatto incontri inaspettati. Hanno incrociato quella gente fatta di carne, lavoro e disgrazie che la notte del 4 dicembre ha preso a pedate i loro genitori e le loro storytelling (N.d.R. narrazioni).

Cercando spasmodicamente Salvini e le telecamere, si sono imbattuti in figure perturbanti: operai licenziati, insegnanti alla fame, cassintegrati, precari, pensionati.
Mentre erano intenti a eliminare l’odio si sono trovati a fare i conti con quegli strani figuri del mondo reale dai quali i loro genitori li hanno protetti per anni, prima di essere politicamente polverizzati. “Papà, ma cosa ci fa tutta questa gente nel nostro giardino? E perché ha così tanta fame?”.

PER  APPROFONDIRE

Sono andato a leggermi l’articolo di Francescomaria Tedesco, filosofo della politica, che così recita :

LE  SARDINE  MI  FANNO  ORRORE.

Le Sardine hanno finora goduto di una narrazione progressista encomiastica al limite del parossismo.

Cercherò invece di spiegare il mio orrore politico-intellettuale per le Sardine stesse e per i media che le stanno parassitando (e loro ben contente di farsi parassitare).

Se lo scopo delle Sardine, questa versione progressista, à la page bon ton dei 5S, è riportare verso il Pd i voti dei delusi del MoVimento, è vero anche che Santori & Co. lo fanno incarnando la quintessenza della demagogia e del populismo. Non che fossero caratteristiche aliene già al MoVimento, eppure qui si tratta di un significante vuoto che si serve della piazza piena come contenuto. Le Sardine non devono esprimersi su niente poiché ciò che le legittima è la piazza. E questo, paradossalmente, le avvicina non tanto ai 5S, quanto al loro odiato nemico, Salvini. Anche Salvini usa l’argomento della piazza, compresa quella virtuale: gli italiani sono con me, gli italiani dicono, gli italiani vogliono. Le Sardine non hanno bisogno di sottolinearlo a ogni pie’ sospinto, ce lo ricordano i media progressisti al posto loro.

Tuttavia – non è un giudizio di valore – sia il MoVimento che Salvini hanno irrobustito questa loro dimensione plebiscitaria con dei contenuti. Esecrabili? Non è questo il punto. La questione è che le Sardine non hanno detto niente finora (se escludiamo, anche con una certa benevolenza, le sciocchezze esternate sui media-parassiti: il programmino in sei punti che è più una netiquette inquietante per i social, l’equiparazione illiberale e totalitaria tra violenza fisica e violenza verbale, il Daspo, il bambino autistico e il pallone da basket, l’Erasmus a Catanzaro Lido, la giustificazione delle foto con Benetton, le risposte alle domande su Bibbiano di Selvaggia Lucarelli, e via discorrendo).

Dunque, si diceva, le Sardine come quintessenza del populismo, come ‘significante vuoto’ (che, intendiamoci, per il populismo di sinistra di Mouffe-Laclau è un elemento positivo di aggregazione delle domande eterogenee della società). Non c’è nessun contenuto, il contenuto sono le Sardine stesse, e tanto deve bastare. La critica sull’assenza di un programma viene respinta (“è solo un movimento, non un partito”), la critica all’assenza di impegno diretto per ottenere legittimazione democratica anche (“perché dovrebbero candidarsi? Hanno solo risvegliato le coscienze sopite della sinistra”). Non c’è nessuna idea democratica della contendibilità degli spazi politici, nell’ideologia sardinista: non bisogna ‘scalare’ un partito, non bisogna presentare degli argomenti, non bisogna esporsi alla discussione pubblica, perché tutto ciò viene bypassato dalla presenza in piazza. E dalla presenza nei media, che ne è ormai lo specchio legittimante (e anche su questo l’analogia è fortissima più con Salvini, ‘costruito’ ampiamente dalla sovraesposizione mediatica, che con i 5S, storicamente avversi – almeno nella prima fase – a comparire in tv e anzi fortissimamente critici del sistema dell’informazione).

E allora solo a me fa orrore che in una specie di distopia demagogica la leadership si produca come in Oltre il giardino? Fa specie solo a me questa produzione immediata del consenso, immediata nel senso letterale di non mediata da alcunché che abbia potuto rappresentare una sorta di dispiegamento della ragione pubblica? Si dirà che la politica non è solo elezioni e istituzioni. Tuttavia, essa si alimenta del discorso pubblico, della pubblicità. E invece un flash mob è l’esatto opposto di tutto questo: gesto, mobilitazione istantanea, immediata nel senso di cui sopra, che produce anche consenso immediato, direi anche – la parola che occorre cominciare a dire — potere. Potere immediato. C’è la gente in piazza, vero. Ma nello schema plebiscitario-populistico-demagogico, la piazza ratifica, non decide, ha a disposizione il grado zero della ragione pubblica. Interviene a leadership già prodotta. Il popolo non discute, ma alza la mano avendo la possibilità di dire solo sì o no (e dice sì, sempre sì).

Ecco: produzione di potere dall’alto, meccanismi completamente topdown di produzione del consenso e della leadership, assenza di luoghi pubblici di sviluppo analisi e decisione ex ante. Siamo di fronte al grado massimo del populismo. La leadership qui è auto-investitura certificata da un lato dalla piazza, dall’altro dalle televisioni. Come tutto questo non disturbi il ceto intellettuale è una cosa che mi lascia meravigliato, anzi sbalordito.