Numero2116.

 

A N Z I A N I   N E L   2 0 2 0

 

Liberamente ispirato da un articolo della scrittrice Lidia Ravera.

 

Cinquant’anni fa, ad ogni persona che aveva più di 65 anni, ne corrispondevano 4 con meno di 25 anni.
Oggi il rapporto è di uno a uno. Oggi noi, over 65, siamo numerosi come non siamo mai stati. Loro, gli under 25, non sono mai stati così pochi.

Da quando la pandemia ci ha costretti a pensare alla malattia, all’ospedalizzazione e alla morte, con la stessa frequenza con cui, una volta, si pensava ai viaggi, alle vacanze, a organizzare una memorabile serata di pizza e cinema, noi “anziani” ( metto le virgolette perché la parola non mi piace) viviamo un’esperienza inutilmente depressiva. Ci sentiamo superflui: “Se ci siete bene, se non ci siete più fa lo stesso”. Tanto, di vita ve ne rimane comunque poca. Tanto, siete in pensione. Tanto, non siete più né fertili né produttivi.

Ci hanno detto più volte, nel corso di questo sciagurato 2020, che non dovevamo uscire di casa, perché, se ci fossimo ammalati, avrebbero scelto di curare persone più giovani. Non dovevamo uscire di casa perché eravamo fragili, e i fragili è meglio se si levano dai piedi. È meglio se non intralciano la vita difficile dei forti. Ci hanno detto che il virus cavalca sui corpi robusti dei giovani, ma poi si scarica, come un fulmine, su quelli usurati dei vecchi. Ci hanno fatto sentire in pericolo, ma anche in scadenza, quasi fossimo una specie particolarissima di “persone – alimenti”, con la data di scadenza sulla confezione, oltre la quale vanno depositate nelle apposite discariche.

È stata dura mantenere quel minimo comune buonumore che ci permette di vivere. Ce l’abbiamo fatta? Lo chiedo a voi. Ce l’avete fatta?
Adesso, dopo mesi di conteggio dei morti e dei contagi, dopo che ho passato – come tutti – quasi un anno a considerare gli altri esseri umani come portatori di rischio da tenere a distanza, come si fa a progettare la piccola felicità di un incontro? Come ci si può nutrire la vita con il nettare della curiosità?

 

 

Numero2002.

 

Segnalata da una cara amica

 

NINNA  NANNA  PER  MIO  PADRE

 

È disteso nel suo letto,

ha lo sguardo assente,

che non ho mai capito

se non sta pensando a niente

 

o è rimasto impigliato,

smarrito, prigioniero

di un tenero ricordo

o del suo ultimo pensiero.

 

Mi guarda e so già

cosa mi vuole dire,

che mi vuole vicino,

che non vuole dormire.

 

Gli  aggiusto il cuscino,

chiude gli occhi e mi spia,

dal lenzuolo tira fuori la mano

per cercare la mia.

 

Vuole sentirla ancora

e poi stringerla forte,

vuole avere il mio aiuto

per affrontare la sorte.

 

Mi guarda e so già

cosa mi vuole dire,

che mi vuole vicino,

che non vuole dormire.

 

Ninna nanna per mio padre,

ninna nanna perché è stanco,

ninna nanna al mio bambino

che mi vuole qui al suo fianco.

 

Il cuscino si confonde

con i suoi capelli bianchi.

“Dormi, amore di tuo figlio,

dormi, amore, che ti stanchi.

 

Ninna nanna a questo vecchio,

ninna nanna ch’è finita,

ninna nanna, se Dio vuole,

questa è l’ultima salita.

 

Mi guarda e so già

cosa mi vuole dire,

che mi vuole vicino,

che non vuole dormire.

 

Che nessuno faccia male,

quando non mi ha più vicino,

al mio scricciolo impaurito,

a questo piccolo uccellino.

 

Ninna nanna che è finita,

che si è appena addormentato,

che domani non lavora,

e non vuol essere svegliato.

 

di  Enrico  Brignano               dallo spettacolo “Tutto suo padre”                 (con qualche mio intervento).

 

 

Numero2000.

 

 

S O N O   A R R I V A T O   A L   N U M E R O   2 0 0 0

 

 

Con questo “Numero 2000”, ho doppiato e raddoppiato, in un colpo solo, il  traguardo che mi ero prefissato, quando, un anno e mezzo fa, avevo cominciato a scrivere, in questo BLOG, i primi semplici e brevi aforismi. Pensavo, allora, che raggiungere il Numero 1000, sarebbe stato un risultato prestigioso, di cui andare fiero.
Prova ne sia che l’indirizzo del BLOG era millemotti.mooo.com e tale è rimasto.
Da poco è diventato millemotti.alby.info.
Il neologismo “millemotti”, oltre che a parodiare la raccolta di novelle orientali “Mille e una notte”, voleva significare che mille parole o frasi o detti o aforismi o citazioni, avrebbero potuto bastare per illustrare ed esprimere quello che, nel sottotitolo, è così enunciato: “Cosa ci insegna la vita….testamento spirituale di un libero pensatore”.
Ma così non è stato. Arrivato al fatidico Numero1000, mi sono chiesto: “Mille, non più mille”? Mi sono guardato dentro e….non ho esitato neppure un attimo a decidere di andare oltre, di proseguire nella ricerca e nella stesura di altre cose da scrivere. L’impresa, per quanto ardua, mi ha preso la mano e, per mano, mi ha condotto fino qui, senza fatica e senza pentimento. Anzi, con entusiasmo.
Ed è così, che il titolo del BLOG è diventato “Mille e più motti”.

Però, giunto a questo punto, vi chiederete cosa mi ha spinto a intraprendere questo viaggio, così eclettico, caleidoscopico e multidisciplinare, dentro “il cammin di nostra vita”, andando a ripescare, a rinverdire, a riscoprire, ad attualizzare quelli che sono stati e sono gli interessi della mia esistenza di essere umano “curioso”.
Qua e là, fra i Numeri, vi potreste accorgere che diversi degli argomenti, dei consigli, degli ammonimenti, che vi sono contenuti, sono rivolti a mio figlio.
Dirò qui, e solo ora, con un certo pudore e patema d’animo, che mio figlio ed io abbiamo avuto un percorso di vita in comune travagliato, ostacolato e saltuario, nei primi suoi anni da bambino e, poi, da fanciullo. Non per nostra volontà, tutto sommato, ma così è stato. Fino ai primi suoi anni delle elementari, non ci siamo visti: ci siamo mancati. Non so quanto io a lui, ma lui a me tanto. Ho perso il periodo più bello del nostro rapporto, quando avrei potuto dargli, con l’esempio e la parola e con il quotidiano esercizio sentimentale, quel bagaglio paterno di “algoritmi” di vita, di affetto, di sensibilità, di amore per la cultura che accompagnano, poi, il percorso del resto della vita.

Per fortuna, negli anni che seguirono, abbiamo recuperato, e alla grande, quello che ci era mancato e, sempre più, il nostro rapporto si è consolidato in una normalità, non sembri un paradosso o un ossimoro, eccezionale.
Ma, ho spesso avuto la sensazione di dovergli qualcosa di me, che non avevo avuto la possibilità e l’occasione di dargli, negli anni di mancata frequentazione e vicinanza.. Adesso, lui nel fiore della vita, a 35 anni, e io nella fase calante della mia parabola, ho pensato di dedicargli e di lasciargli questo BLOG, dove troverà, quando avrà voglia di cercarlo, suo padre: i suoi pensieri, il suo modo di ragionare, il suo progetto per la vita, i suoi interessi intellettuali, culturali, i suoi valori affettivi, psicologici, umani.
Di cose materiali, non ho molto da lasciagli. Per la sua vita, saprà lui come fare.
Ma ci tenevo proprio tanto a lasciargli di me, e dell’unica mia ricchezza, questo “testamento spirituale”, come risarcimento di quegli anni, all’inizio della sua giovane vita, quando non ho potuto essere, per lui, il suo papà.

Adesso, che viviamo ognuno la propria vita e siamo lontani, abbiamo un rapporto che ci fa sentire vicini, più che mai. E così saremo, finché…..
Ma, dopo aver detto di quale sia stata la molla che mi ha spinto alla stesura di questo BLOG, devo affrontare, adesso, il tema di un eventuale progetto futuro.  Mi sono, infatti, seriamente interrogato se avrei avuto la volontà e la forza di pormi un altro traguardo e fino a dove.
Dunque, dopo questo Numero 2000, tre sono le opzioni che mi si prospettavano:

1 – Commiato e conclusione.

2 – Aggiornamento e revisione.

3 – Ripartenza e prosecuzione.

Al punto 1: dovrei chiudere qui la pubblicazione e “accontentarmi” dell’esistente, che, però, non è poco. Potrebbe essere sufficiente.

Al punto 2: potrei dedicarmi a perfezionare, rivedendolo, ampliandolo e correggendolo, tutto il contenuto. Sarebbe un bel lavoro, anche impegnativo.

Al punto 3: sceglierei di proseguire, a partire da questo Numero 2000,  senza prefissarmi il traguardo, troppo ambizioso, di raggiungere il Numero 3000.

Indovinate quale è stata, dopo un lungo esame di coscienza, la mia scelta?

Ma, sì, vado avanti! Prendo l’opzione del punto 3. Dove arrivo, arrivo. Tanto, ormai, il più è fatto e, magari, mi resta di cercare ed affrontare, con spirito rinnovato e, forse, diverso nuovi rigurgiti, inediti stimoli, effetti collaterali inaspettati. Ultimamente, poi, mi avvalgo anche della collaborazione delle persone a me più vicine e care, che mi suggeriscono cose che loro sanno interessanti per me. Io le passo al vaglio ed eventualmente le pubblico.
Potrebbe essere ancor più “divertente”, parlare , a ruota libera come sempre, anche di ciò che ci riserva il futuro. Di questo nulla sappiamo, ma potremo, insieme, farcene un’idea: almeno tenterò di farlo io e la condividerò con voi.

Alexis, figlio mio unico e caro, scusami se mi rivolgo direttamente e pubblicamente a te, in prima persona. Ma è solo per rendermi più agevole la stesura del discorso che sto per rivolgerti. Voglio parlarti, adesso e prima che sia troppo tardi, ancora una volta, della vita. Non della mia, dalla quale traggo l’esperienza che mi fa parlare, ma della tua, quella che ti aspetta.
Dopo aver disseminato, in questo Blog, numerosi Numeri che trattano questo argomento, magari in forma  sintetica e spicciola, ora sento il bisogno di andare più in profondità su questo tema, anche allargando lo scenario.

Ho immaginato e cercato di trovare un taglio e un approccio meno didascalici e un po’ più discorsivi, per evitare di essere un barboso o magniloquente dispensatore di sermoni, ed essere più leggero e delicato possibile nella comunicazione.
Tu sai che la forma migliore che si può dare ad un messaggio, per trasmettere un qualsiasi contenuto, è il simbolismo, o la metafora, o l’allegoria, o la similitudine, o la parafrasi, o il paradigma, o il paragone, o la parabola, o il parallelismo, o l’affabulazione (racconto di favole). Queste sono le formule che hanno avuto, sempre e dovunque, il massimo successo. Perché?
Perché, semplicemente, ricorrono all’astrazione, all’idealizzazione, alla metafisica, alla sublimazione, insomma, al mito: si spogliano del “qui e ora” e valgono per sempre e dovunque, acquisendo il carisma della smaterializzazione, della atemporaneità, della trascendenza, diventando perenni e, quasi, immortali.
Le idee, i concetti, i principi morali, religiosi, politici, filosofici, estetici o, anche, le mode, persino le più deteriori, volano per il mondo e nella storia sulle ali delle immagini, delle icone, delle pareidolie. Talvolta sono “fake” (false) o “kitch” (di cattivo gusto), e così riescono a trovare, comunque e purtroppo, ricezione: basta uno “slogan” azzeccato per istituzionalizzare il cosiddetto “Immaginario collettivo”.
Ebbene, ho trovato una buona metafora per parlarti della vita, almeno credo.
E, provo ad esportela, così come l’ho immaginata.

Hai presente le regate in barca a vela, tipo l'”America’s Cup”?
Non so quanto ti siano familiari, quei tipi di gare, e quanto tu ne sappia di marineria. Neanch’io ne sono un esperto, semplicemente le conosco. Proverò a spiegartele, con quel poco che ne so, cammin facendo.
Innanzi tutto, intendo riferirmi alle competizioni “di flotta”, dove, cioè, gareggiano molte imbarcazioni, tutte assieme contemporaneamente, ciascuna contro tutte le altre, e non ai, cosiddetti, “match race”, dove si sfidano solo due barche, una contro l’altra.
Il percorso, sul campo di gara, è a forma triangolare; si parte da una linea di partenza virtuale, compresa fra due barche ferme, e il primo lato del triangolo viene percorso sino a raggiungere la prima boa. Le barche girano attorno a questa boa per, poi, fare rotta verso un altro traguardo intermedio, una seconda boa.  Doppiata anche questa boa, secondo vertice del triangolo, si torna alla linea di partenza, terzo vertice del triangolo, che è anche il traguardo finale. Gli organizzatori della gara scelgono il braccio di mare, in cui  si svolge la competizione, in un sito dove la direzione del vento non è mai costante: tira, sì, prevalentemente verso una certa direzione, ma le correnti d’aria cambiano continuamente, anche in conseguenza di variazioni climatiche, di pressione, di temperatura, del moto ondoso, della copertura nuvolosa, eccetera.
Lo Skipper, il conduttore o timoniere, che si avvale della consulenza costante di un “tattico di gara”, cioè di colui che studia continuamente il vento e le sue variazioni, ha a che fare, per tutta la gara con molte, imprevedibili e casuali variabili, una indipendente dall’altra, che rendono la guida della barca un rebus continuo. L’abilità dello Skipper è quella di adottare, con prontezza, pazienza, sagacia e grande intuizione, tutti gli accorgimenti per essere sempre nelle migliori condizioni di vento possibili e compatibili con la situazione. Solo così si vince la gara, o si ottiene un buon piazzamento.

Man mano che ti descrivo lo svolgimento di questa gara, sicuramente hai cominciato ad intuire il parallelismo con l’andamento della nostra vita.

Prima della partenza, tutte le imbarcazioni si trovano in un “recinto” dove si preparano allo “start” che viene dato  con un colpo, sparato da un cannoncino, allo scadere di un tempo prefissato (mi pare 10 minuti). Durante questa fase preparatoria, tutti i concorrenti cercano di trovare la posizione migliore di partenza, restando sempre in movimento, cioè “nel vento”, anche ostacolando o infastidendo i rivali concorrenti, un po’ come avviene fra i canapi del “Palio di Siena”, prima del “via” del mossiere.
Al colpo del cannoncino tutti partono: chi esce a destra, chi esce a sinistra, chi al centro, a seconda della sensibilità e della strategia programmata di ogni team, tenendo conto anche delle caratteristiche, tutte diverse, di ciascuna imbarcazione. C’è una barca che è pesante, poderosa, che porta una velatura imponente, più adatta, per dire, ad un vento forte; e c’è un’altra che, invece è molto agile e manovrabile, con un volume velico più ridotto, che può sfruttare meglio le brezze leggere. Ogni barca si avvia, dirigendosi verso quella parte del campo di gara, dove ritiene di poter trovare le condizioni di vento migliori per le proprie caratteristiche. Il primo lato del triangolo o, meglio, la linea virtuale o ideale da seguire per raggiungere la prima boa, non è quasi mai quella a favore di vento, che invece, spira obliquamente rispetto a questa linea. C’è, allora una ricerca continua, di approssimare, compensando, la linea da seguire con la migliore spinta possibile del vento a disposizione: bisogna sfruttare il vento, aggiustando e modificando continuamente la velatura, per mezzo dei verricelli azionati dall’equipaggio. (Consulta il Numero669).

Ecco, Alexis, tu, coi tuoi 35 anni fra poco, stai per raggiungere la tua prima boa.
Alla luce di questa metafora velica, puoi dire di doppiarla in discreta, se non buona posizione, nel novero dei concorrenti. Sei dotato di una buona barca, hai acquisito esperienza e sicurezza, col tuo bagaglio di conoscenze tecniche e professionali, hai buona tenacia e buon carattere. Lavorare non ti spaventa.
Anche se, finora, e come tanti della tua età, non hai ancora raggiunto traguardi soddisfacenti, tuttavia puoi credere in te stesso, per quello che hai impostato e preparato per un ottimo secondo lato del triangolo. Hai fatto dei tentativi, alcuni abortiti, altri più felici e formativi, ma in ogni incarico ti sei speso al meglio dando a te stesso e agli altri una buona immagine di te.
Adesso viene il bello e, speriamo, il meglio.
Ma, attenzione, il secondo lato del triangolo è quello più impegnativo.
La direzione è cambiata, così come il vento: adesso, il vento è contrario.
Ma lo è per tutti. E allora come si fa? Bisogna procedere “di bolina”, vale a dire che, per andare avanti, bisogna “risalire il vento”, mantenendo, rispetto alla direzione dello stesso, un angolo compreso fra i 60 e i 37 gradi, a seconda del tipo di barca. Si deve creare una risultante vettoriale, limitata ma reale, che permette alla barca di avanzare ugualmente anche andando contro vento. Detto in soldoni.
E c’è parecchio lavoro da fare, specialmente per l’equipaggio: per tutte le miglia della linea ideale di navigazione, bisogna continuamente modificare l’assetto delle vele, spostandole da un bordo all’altro (“strambare”, in gergo marinaresco) , agendo in perfetta sincronia con l’azione del timoniere.  Per gli spettatori è straordinario assistere a tutte queste spasmodiche operazioni: per gli uomini in manovra ai “winches” (verricelli), è una faticaccia . Ci vuole un gran lavoro di squadra, affiatamento, coordinamento e….sudore.
Nel tuo secondo lato della vita, quello di ” bolina” (bowlines = cavi di prua), sarai, tutto in uno, “tattico” e “Skipper”. Forse potrai delegare solo le mansioni di fatica, ma non ti dovranno mancare energia nervosa, lucidità mentale e grande intuizione. Qui si vince la gara: qui si fa la differenza.
Non ti spaventare, ma preparati.
Attenzione a non sbagliare i tempi: una manovra scoordinata potrebbe compromettere la gara. Guardati intorno assiduamente e attentamente, e cerca di prevedere e prevenire le conseguenze di colpi di vento anomali: sono sempre in agguato. Lascia perdere l’azzardo o la ricerca dell’occasione fortunata, non ti inventare nulla che sia al di fuori del tuo controllo. Fai con quello che hai: sarà ben fatto. E, nella difficoltà, imponiti sempre di rimediare, di recuperare; non svenderti, non abdicare, non rinunciare, non mollare. Mai!

Doppiata anche la seconda boa, non ti rimane che dirigerti verso il punto da cui sei partito: sarà il traguardo. Si sale sul podio soltanto se la condotta in tutti i tratti di percorso della regata avrà dato una sommatoria ottimale di performance.
Adesso la barca si allinea, dritto per dritto, nella direzione dell’arrivo e, stavolta e finalmente, col vento in poppa. Avrai issato lo “spinnaker”, la vela più ampia, e raccoglierai tutta la potenza del vento. Non ci saranno le frenetiche manovre della “bolina”, ma ci sarà da vigilare parecchio. Magari succederà che qualche tuo avversario,  dotato di una barca più potente della tua, ti si metta dietro ed impedisca al vento di gonfiare le tue vele, perché sarà lui a sfruttarne il soffio. Allora, dovrai zigzagare alacremente e frequentemente (“strambate” di poppa), per evitare di essere “coperto” e  riuscire a ricevere sempre abbondante aria ed energia di spinta. Come vedi, non c’è mai pace in questa regata che si chiama vita. Proprio quando speri di tornare verso casa, tranquillo in buona classifica, godendo della tua posizione di privilegio che ti sei così faticosamente conquistata, ebbene, anche allora ci sarà da lottare per difendere ciò che ti sarai meritato.

Il parallelismo, fra le fasi della vita e le fasi della regata velica, adesso, credo ti sia chiaro.
Il carosello, nel recinto, che precede la partenza è la tua infanzia: la preparazione alla vita. Scaramucce, dispetti, giochi, finte, capricci e qualche scorrettezza, tanto per vedere come va a finire, con il salvacondotto della puerilità.
Il primo lato del triangolo, verso la prima boa, è la tua giovinezza: pieno di energia, ti spendi in tentativi, anche commettendo errori e perdendo tempo.
Ma è il periodo più formativo e più fecondo, quello che ti dà la dote, di determinazione e di conoscenze, che ti permetterà , più avanti, di mettere a buon frutto il tuo impegno e i tuoi sacrifici.
Il secondo lato del triangolo, quello “di bolina” è il più importante e determinate per la tua vita. Per quanto impegnativa e stressante, è la fase della tua vita che ti vedrà protagonista, cosciente di esserlo: è la tua maturità.
Adesso ti si spalanca davanti un mondo tutto tuo, da conquistare, da perlustrare con confidenza e consapevolezza. Qui, potrai dare, anche la vita, anche ad altri da te, con tutto quello che sei e che vali, compiutamente.
E, infine, il lato “di poppa”, che chiude il perimetro triangolare della tua vita, e che ti porta al traguardo.
Vedi di arrivarci sano e salvo, pur in presenza della ingravescente decadenza del corpo e del rattrappirsi dello spirito, prova a ritornare da dove sei partito per fare, davanti al tribunale della tua coscienza, un confronto onesto e sereno fra l’inesperto che eri e il saggio che diventerai. Quello che ti auguro è di essere orgoglioso di quello che ti troverai ad essere, e che il bambino che eri sia contento dell’uomo che sarai diventato.
Vincerai la tua regata e avrai vissuto la tua vita.

Un abbraccio,

tuo padre.

 

Numero1771.

DESIDERATA

Passa, tranquillamente, tra il rumore e la fretta, e ricorda quanta pace può esserci nel silenzio.

Finché è possibile, senza doverti abbassare, sii in buoni rapporti con tutte le persone.

Dì la verità con calma e con chiarezza, e ascolta gli altri, anche i noiosi e gli ignoranti, anche loro hanno una storia da raccontare.

Evita le persone volgari ed aggressive; esse opprimono lo spirito. Se ti paragoni agli altri, corri il rischio di far crescere in te orgoglio e acredine, perché sempre ci saranno persone più in basso o più in alto di te.

Gioisci dei tuoi risultati, così come dei tuoi progetti.

Conserva l’interesse per il tuo lavoro, per quanto umile; è ciò che realmente possiedi per cambiare le sorti del tempo.

Sii prudente nei tuoi affari, perché il mondo è pieno di tranelli. Ma ciò non acciechi la tua capacità di distinguere la virtù; molte persone lottano per grandi ideali, e dovunque la vita è piena di eroismo.

Sii te stesso. Soprattutto, non fingere negli affetti e neppure sii cinico riguardo all’amore, poiché, a dispetto di tutte le aridità e disillusioni, esso è perenne come l’erba.

Accetta benevolmente gli ammaestramenti che derivano dall’età, lasciando, con un sorriso sereno, le cose della giovinezza.

Coltiva la forza dello spirito per difenderti contro l’improvvisa sfortuna. Ma non tormentarti con l’immaginazione. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine.

Al di là di una disciplina morale, sii tranquillo con te stesso. Tu sei figlio dell’Universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai diritto ad essere qui. E, che ti sia chiaro o no, non vi è dubbio che l’Universo ti si stia schiudendo, come dovrebbe.

Perciò, sii in pace con Dio, comunque tu lo concepisca, e qualunque siano le tue lotte e le tue aspirazioni, conserva la pace con la tua anima, pur nella rumorosa confusione della vita.

Con tutti i suoi inganni, i lavori ingrati e i sogni infranti, è ancora, e pur sempre, un mondo stupendo.

Fai attenzione.

Cerca di essere felice.

A  MIO  FIGLIO.

Numero1510.

 

….e una donna, che reggeva un bambino al seno, domandò: “Parlaci dei figli”.

 

I Vostri figli non sono figli Vostri.

Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa.

Essi vengono attraverso Voi, ma non da Voi.

E, benché vivano con Voi, non vi appartengono.

Potete dare loro l’amore, ma non i vostri pensieri.

Potete offrire rifugio ai loro corpi,

ma non alle loro anime.

Essi abitano la casa del domani,

che non Vi sarà concesso visitare neppure in sogno.

Potete tentare di essere simili a loro,

ma non farli simili a Voi:

la vita procede e non si attarda sul passato.

Gibran Kahlil Gibran    da “Il Profeta”.

Numero1438.

Per moltissimo tempo,

anche senza rendermene

conto, non facevo che

cercare di essere mio

padre, che era un tipo

affascinante, un

giocatore, un po’

poeta, un po’

intrigante, un po’

cialtrone…. un tipo

fra Rimbaud e

Fitzgerald. Mio padre

era un amorale, non

gliene fregava niente

di niente. Io, invece,

sono moralissimo,

anche se non in senso

cattolico. Sento una

discriminante tremenda

fra il bene e il male.

Nel momento in cui

sono riuscito a

distaccarlo, ho

cominciato a

liberarmene. Sì,

bisogna assolutamente

uccidere la figura

paterna. O almeno,

castrarla, come

racconta il mito di

Urano, e il mito è

alla base di tutto.

Castrare il padre non

tanto perché, come

dice Freud, ti

toglie la madre, ma

soprattutto perché

toglie la forza

a te stesso.

 

Roberto Vecchioni.

Numero1433.

Figlio chi ti insegnerà le stelle

se da questa nave non potrai vederle?

Chi ti indicherà le luci della riva?

Figlio, quante volte non si arriva!

Chi ti insegnerà a guardare il cielo

fino a rimanere senza respiro?

A guardare un quadro per ore e ore,

fino ad avere i brividi dentro al cuore?

Che al di là del torto e la ragione,

contano soltanto le persone?

Che non basta premere un bottone

per un’emozione?

 

Figlio,figlio,figlio.        Roberto Vecchioni