Numero1443 (leggere prima il Numero1444).

ALL’ AMICO ALBERTO IN PENSIONE

 

Così il nostro Albertone

finalmente è in pensione

da più di un mese

e da buon anfitrione

offre questa imbandigione

a proprie spese.

 

Siamo qui in riunione

e abbiamo l’occasione

per festeggiarlo.

Ma un piccolo sermone,

che gli serva un po’ da sprone,

vogliamo farlo.

 

Parlo a nome di persone

la cui vera propensione

è l’amicizia

e ogni raccomandazione,

pur se fa provocazione,

non è malizia.

 

Questa semplice canzone

non dà certo l’emozione

di un Battisti

e non ha la presunzione

di fornir la prestazione

dei grandi artisti.

 

Sarà solo un tormentone

per destare l’attenzione

del buon Alberto

sulla nuova situazione

e per la prosecuzione,

ne sono certo,

 

verso una trasformazione

ed una rivoluzione

copernicana,

che non sia una prigione

o una pura reclusione

all’italiana.

 

 

Devi darti uno scossone,

non restare in soggezione

dell’indolenza.

Abbi una motivazione

e di una occupazione

non stare senza.

 

E se hai predilezione

per qualcosa, una passione,

tu dacci dentro.

Ne farai una religione

e la migliore opzione:

sarà il tuo centro.

 

Se tu fai il fannullone

poi ti senti un coglione,

non ti conviene.

Se vivrai da pelandrone

poi cadrai in frustrazione

e non va bene.

 

 

Presta molta attenzione

al tuo amico beverone:

non è sincero.

Vuoi la nostra approvazione?

Usa la moderazione,

ma per davvero.

 

Ma è arrivata la stagione

che avrai la sensazione

di perder colpi.

Ti farò una confessione:

io non vedo un cialtrone

che te ne incolpi.

 

Devi aver la convinzione

che non c’è più paragone

coi bei vent’anni.

E devi avere il pannolone

per salvare il pantalone

dai noti danni.

 

 

Non aver la presunzione,

come un Napoleone,

di avere tutto.

E non fare il farfallone

coi problemi di erezione,

o sarà un lutto.

 

Far la parte del leone,

come uno scapolone,

non è più il caso.

E se cadi dall’arcione

non farai un figurone

siine persuaso.

 

Devi farti una ragione

se sei ciuco e non stallone

nel fare sesso:

lo zampillo non è sciacquone,

lo scopino non è scopone

ma fa lo stesso.

 

 

Tu as dit “Ma vammi in mone,

o soi stuf di là a Verone

in autostrade.

Al à dit ancje Gastone

che mi ven il mal de none

cun che menade”.

 

Meglio il buco che il taccone

come insegna la lezione

del ritornello.

E, come in televisione,

siamo a “striscia lo striscione”

di Militello.

 

Giunto al fin della tenzone,

con un piglio da guascone,

io do l’affondo.

Mi si passi l’irrisione,

perché ho fatto il buontempone,

non lo nascondo.

 

 

All’amico Albertone

una raccomandazione,

nel finale:

ti ci troverai benone

se tu prendi la pensione

per quel che vale.

 

Fa’ che sia un’inversione,

è una grande occasione:

non va fallita.

Forse è l’unica stagione

che darà soddisfazione

alla tua vita.

 

L’amicizia ce lo impone:

darti la benedizione

per i dì futuri.

E, con una acclamazione,

ti mandiamo un bel bacione

e tanti auguri.

 

Alberto Visintino

Ristorante “AL ZUC”,              Fontanabona di Pagnacco,           10 Febbraio 2018

Numero1442.

“Se mi faccio comprare, non sono più libera e non potrò più studiare: è così che funziona una mente libera”.

Le notizie sulla vita di Ipazia di Alessandria d’Egitto sono alquanto scarse: le due principali fonti antiche sono la Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico, avvocato presso la Corte di Costantinopoli e contemporaneo di Ipazia, e gli scritti di Damascio, filosofo neoplatonico vissuto un secolo più tardi. A ciò si aggiunge il fatto che gli scritti di Ipazia sono andati perduti o incorporati in pubblicazioni di altri autori.
Ipazia nacque intorno al 370 dopo Cristo ad Alessandria d’Egitto e venne avviata dal padre, Teone d’Alessandria, allo studio della matematica, della geometria e della astronomia. Egli stesso, nella intestazione del III Libro del Commento al Sistema Matematico di Tolomeo scrive: “Commento di Teone di Alessandria al III Libro del Sistema Matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia”.
La principale attività di Ipazia fu la divulgazione del sapere matematico, geometrico ed astronomico. Oltre a questi ambiti del sapere scientifico, si dedicò, a quanto pare diversamente dal padre, anche alla filosofia vera e propria, relativa a pensatori come Platone, Plotino (fondatore del Neoplatonismo), ed Aristotele.
Ipazia succedette al padre nell’insegnamento presso il Museo di Alessandria d’Egitto già dal 393. Nota era pure la sua bellezza, tanto che uno dei suoi allievi s’innamorò di lei, ma Ipazia non si sposò mai e, all’età di 31 anni, assunse la direzione della Scuola Neoplatonica di Alessandria.
Filostorgio, storico della Chiesa, afferma che la donna “introdusse molti alle scienze matematiche”. Sua caratteristica principale fu, infatti, la generosità con cui tramandava pubblicamente il sapere, tanto che ella divenne un’autorità e un indiscusso punto di riferimento culturale nello scenario dell’epoca.
Socrate Scolastico scrive che, per le sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente e provavano verso di lei un timore reverenziale.
Ipazia era amata dal popolo perché non fu mai gelosa del proprio sapere, ma sempre disposta a condividerlo con gli altri e, al contempo, era rispettata da molte autorità cittadine.
Filosofa e scienziata, scopritrice e studiosa, Ipazia riuscì ad ottenere un forte peso politico e culturale in un’epoca in cui le donne non avevano la possibilità di distinguersi nella scienza.
La fama contemporanea circa la figura di Ipazia sembra essere dovuta alla sua tragica morte, avvenuta nel 415 dopo Cristo. Nella Vita di Isidoro, scritta 100 anni dopo i fatti narrati, Damascio scrive: “Così accadde che un giorno Cirillo, vescovo della setta di opposizione ( il Cristianesimo), passò presso la casa di Ipazia e vide una gran folla di persone e di cavalli di fronte alla sua porta. Alcuni stavano arrivando, altri partendo, ed altri sostavano. Quando lui chiese perché c’era là una tale folla ed il motivo di tutto il clamore, gli fu detto, dai seguaci della donna, che era la casa di Ipazia la filosofa e che lei stava per salutarli. Quando Cirillo seppe questo, fu così colpito dall’invidia che cominciò immediatamente a progettare il suo assassinio e la forma più atroce di assassinio che si potesse immaginare”.
Fu così che le venne teso un agguato: un gruppo di fanatici cristiani la sorprese mentre faceva ritorno a casa e, dopo averla tirata giù dal carro, la trascinò fino ad una chiesa. Lì furono strappate ad Ipazia tutte le vesti e la donna venne letteralmente fatta a pezzi. Le varie parti smembrate del suo corpo furono portate al cosiddetto “Cinerone”, dove si dava fuoco a tutti gli scarti, e furono bruciate perché di Ipazia non rimanesse nulla.

Onore ad una delle prime martiri della libertà di pensiero.
Vergogna all’oscurantismo di tutte le religioni. Specialmente contro le donne.

 

Numero1441.

Death is nothing at all. 
It does not count. 
I have only slipped away into the next room. 
Nothing has happened.

Everything remains exactly as it was. 
I am I, and you are you, 
and the old life that we lived so fondly together is untouched, unchanged. 
Whatever we were to each other, that we are still.

Call me by the old familiar name. 
Speak of me in the easy way which you always used. 
Put no difference into your tone. 
Wear no forced air of solemnity or sorrow.

Laugh as we always laughed at the little jokes that we enjoyed together.
Play, smile, think of me, pray for me. 
Let my name be ever the household word that it always was. 
Let it be spoken without an effort, without the ghost of a shadow upon it.

Life means all that it ever meant. 
It is the same as it ever was. 
There is absolute and unbroken continuity. 
What is this death but a negligible accident?

Why should I be out of mind because I am out of sight? 
I am but waiting for you, for an interval, 
somewhere very near, 
just round the corner.

All is well. 
Nothing is hurt; nothing is lost. 
One brief moment and all will be as it was before. 
How we shall laugh at the trouble of parting when we meet again!

Henry Scott Holland

 

La morte non è niente.

Sono solamente passato dall’altra parte:

è come se fossi nascosto

nella stanza accanto.

Io sono sempre io e tu sei sempre tu.

Quello che eravamo prima,

l’uno per l’altro, lo siamo ancora.

Chiamami con il nome che mi hai sempre dato,

che ti è familiare; parlami nello stesso modo

affettuoso che hai sempre usato.

Non cambiare tono di voce,

non assumere un’aria solenne o triste.

Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,

di quelle piccole cose che tanto ci piacevano

quando eravamo insieme.

Prega, sorridi, pensami!

Il mio nome sia sempre

la parola familiare di prima:

pronuncialo senza la minima traccia

d’ombra o di tristezza.

La nostra vita conserva tutto il significato

che ha sempre avuto: è la stessa di prima,

c’è una continuità che non si spezza.

Dovrei essere fuori dai tuoi pensieri

e dalla tua mente, solo perché

sono fuori dalla tua vista?

Non sono lontano, sono dall’altra parte,

proprio dietro l’angolo.

Rassicurati, va tutto bene.

Ritroverai il mio cuore,

ne ritroverai la tenerezza purificata.

Asciuga le tue lacrime e non piangere,

se mi ami, il tuo sorriso è la mia pace.

 

Uno degli apocrifi che vengono falsamente attribuiti dal web a sant’Agostino è del canonico Anglicano Henry Scott Holland. La preghiera appartiene ad un sermone che egli pronunciò in St Paul’s Cathedral a Londra il 15 maggio 1910, poco dopo la morte del re EdoardoVII.
Sant’Agostino ha scritto altri “pensieri” sulla morte e sull’aldilà. Non questo: è troppo “laico” e “moderno”.

 

Numero1438.

Per moltissimo tempo,

anche senza rendermene

conto, non facevo che

cercare di essere mio

padre, che era un tipo

affascinante, un

giocatore, un po’

poeta, un po’

intrigante, un po’

cialtrone…. un tipo

fra Rimbaud e

Fitzgerald. Mio padre

era un amorale, non

gliene fregava niente

di niente. Io, invece,

sono moralissimo,

anche se non in senso

cattolico. Sento una

discriminante tremenda

fra il bene e il male.

Nel momento in cui

sono riuscito a

distaccarlo, ho

cominciato a

liberarmene. Sì,

bisogna assolutamente

uccidere la figura

paterna. O almeno,

castrarla, come

racconta il mito di

Urano, e il mito è

alla base di tutto.

Castrare il padre non

tanto perché, come

dice Freud, ti

toglie la madre, ma

soprattutto perché

toglie la forza

a te stesso.

 

Roberto Vecchioni.

Numero1437.

Mormora fioco l’inverno

nei ricordi di carta.

Ancora nella tua stanza

chiusa si sente

l’alito di brace spenta.

Un desiderio di vento

scavalca la vetrata

e s’interrompe, e sparge

brace sui pavimenti.

 

Tu mi hai raccolto, perché avevo freddo.

 

Roberto Vecchioni.

Numero1433.

Figlio chi ti insegnerà le stelle

se da questa nave non potrai vederle?

Chi ti indicherà le luci della riva?

Figlio, quante volte non si arriva!

Chi ti insegnerà a guardare il cielo

fino a rimanere senza respiro?

A guardare un quadro per ore e ore,

fino ad avere i brividi dentro al cuore?

Che al di là del torto e la ragione,

contano soltanto le persone?

Che non basta premere un bottone

per un’emozione?

 

Figlio,figlio,figlio.        Roberto Vecchioni

Numero1431.

Il 20 Settembre 2013, alle redazioni dei giornali di tutto il mondo, quindi anche di quelli Italiani, arriva una notizia di Agenzia, (in Italia ADNKRONOS) che lascia di stucco i destinatari e che, lì per lì, viene scambiata per una “fake news”.
Dice il testo che l’Accademia Reale Svedese, responsabile incaricata delle “nominations” ai “Premi Nobel”, starebbe per comunicare che , per il “Nobel” della Letteratura 2013, esiste una terna di nomi di candidati “a sorpresa”.
Veramente, a sorpresa, c’era già stata, nel 1997, l’assegnazione del “Nobel” per la Letteratura ad un personaggio molto impegnato nel mondo dello spettacolo, più che  nella produzione libraria: quel geniale, strampalato “giullare medioevale”, che rispondeva al nome di Dario Fo. Evidentemente, si sta instaurando la moda che, per la Letteratura, si deve far riferimento anche ad altre e diverse forme espressive che non siano solo quelle della consueta produzione letteraria cartacea: lo spettacolo, gli audiovisivi, e quant’altro si sta diffondendo come mezzo di comunicazione e di trasmissione del messaggio d’arte letteraria. Questa volta toccherebbe al mondo della canzone, come veicolo culturale che, per la prima volta, viene elevato al rango di arte popolare.

Infatti, questi sono i nomi dei 3 candidati:

Leonard Cohen, cantautore, poeta, scrittore Canadese, chiaramente di religione Ebraica, conosciuto in tutto il mondo per le sue composizioni di canzoni profondamente ispirate alla sfera intima dell’uomo, alla religione, all’isolamento, alla sessualità. Al momento della notizia, Cohen ha 79 anni.

Bob Dylan, anche lui cantautore, poeta e scrittore, mostro sacro di generazioni di giovani, contestatori e pacifisti, anche lui di religione Ebraica, in seguito convertito al Cristianesimo, ma niente affatto coinvolto e piuttosto agnostico.
Vero “guru” dei generi musicali “folk rock”, “country rock”, “gospel” e via dicendo. Nel 2013, Dylan (vero cognome Zimmerman) ha 72 anni.

Il terzo candidato della terna, e qui sta la vera sorpresa, è un cantautore Italiano.

La notizia non ebbe seguito. Si pensò ad una presa in giro. Infatti, il “Nobel” per la Letteratura del 2013 venne assegnato ad Alice Munroe, scrittrice Canadese regina del “romanzo breve”, di larga divulgazione.
Alcuni giornalisti interpellarono la Segreteria dell’Accademia Svedese, chiedendo se avesse fondamento la notizia di cui sopra. La risposta fu che non era loro abitudine riferire alcunché in merito a “candidature”, “nominations” o quant’altro, per motivi di riservatezza o privacy delle persone coinvolte.

Ma chi sarebbe il cantautore Italiano che avrebbe avuto la candidatura?
Sì, è proprio lui, il nostro “professur” di latino e greco al Liceo Beccaria di Milano e in altri Licei Classici della Lombardia, che andava a scuola con i jeans e la camicia bianca sbottonata e che parlava ai suoi studenti come a suoi pari, grande poeta e musicista raffinato e paradossale nella sua “classicità”, che attinge l’ispirazione nel passato per  cristallizzare l’eternità dei pensieri e dei sentimenti in una compartecipe modernità: Roberto Vecchioni.

Leonard Cohen è morto il 7 Novembre 2016. Non avrà mai il “Premio Nobel” perché non viene assegnato postumo o alla memoria.

Bob Dylan ha avuto il “Premio Nobel” per la Letteratura a 75 anni, il 13 Ottobre dell’anno 2016, lo stesso in cui muore, 25 giorni dopo, Leonard Cohen. Lo ha ritirato il 1 Aprile 2017.

Allora, forse quella notizia, poco credibile e stravagante, non era una bufala.

Senza atteggiarmi presuntuosamente a mago o veggente, avanzo qui e ora, 10 Luglio 2019, la previsione che, in uno dei prossimi anni a venire, Roberto Vecchioni riceverà il “Premio Nobel” per la Letteratura.
“Giorno verrà, presago il cor mel dice”.