Numero3552.

 

U N    P I Z Z I C O    D I    F O L L I A

 

Chi vive senza un pizzico di follia

non è così saggio come crede.

Perché la saggezza non è stare fermi,

né vivere in gabbia per paura di sbagliare.

La vera saggezza è osare,

cambiare strada, rischiare qualcosa,

seguire un’idea che fa battere il cuore.

Un tocco di follia ci ricorda che siamo vivi,

che la vita non è solo prudenza,

ma anche coraggio, curiosità, movimento.

Sii saggio, sì, ma non dimenticare

di essere anche un po’ folle.

È lì che nasce la vera libertà.

 

@healingsoulmusic436

 

Numero2401.

 

Mi è arrivata su WHATSAPP, scritta e interpretata da Gianluca Apicella, con

chiaro riferimento alla poesia di Totò, ‘A LIVELLA, questa poesia recitata.

 

Ho cercato di scriverla, per quel che ne so di Napoletano: non vi

nascondo che è un po’ difficile, da capire e anche da scrivere.

Accetto, di buon grado, correzioni e suggerimenti per migliorare

la stesura di questo colorito, quanto condivisibile, testo.

 

‘O  RUSSO  È  N’ OMM’ ‘E  MERD !

 

Voglio parlà cu tte, cinque minuti,

soltanto pe’ te chiedere: Hai fernuto?

Ti rendi cunto di quanto staie facenno

e  quanta ggente tu staie distruggenno?

Pe’ colpa toia, campammo ‘nt’ a paura,

e tu ci guardi con disinvoltura.

Te si’ fissato ca vuò chiù potere,

ma staie pazzianno o staie facenno ‘o vero?!

E sulo pe’ te sèntere chiù grosso,

tu miette ‘o munno sano dint’ ‘o fuosso.

Vabbe’, ma tanto a te che te ne fotte,

se sape, nun si’ tu che vaie là sotto.

Tu, forse, ‘e vote, te siente chiù potente,

ma sta perdenno ‘a vita tanta ggente.

E tu, co’ tanto pilo in copp’ ‘o core,

staie fermo e guardi ‘o munno mentre more.

Chiagnenno, ‘na mugliera fuje luntano

e porta ‘na creatura, man’ in mano,

e ‘o marito sta là, co’ o mitra ‘n mano

e guarda ‘a vita mentre s’alluntana.

Pe’ miezz’ ‘e strade, sonano ‘e ssirene,

e a nuie se ggela ‘o sanghe dint’ ‘e vvene.

E vanno a terra n’ ‘ati doie palazzi.

Guagliò, sienteme a mme, tu si’ nu pazzo.

Ma che te serve tutto ‘stu cumanno?

‘O vuò capì ca tiene settant’anni?!

Si’ fatt’ ‘e carne e ossa, nun si’ eterno,

e doppo tu, ca cunt’ a ‘o patreterno?

Pe’ ‘a te conquistà ‘sti quattro mura,

haie massacrato tutte ‘sti creature?

Perciò, chiedi a te stesso a mmò,

e si nun sient’ a mme, siente a Totò.

Fernisci ‘e fare tutto ‘stu burdello,

‘a morte ‘o ssaie che d’è? È ‘na livella.                                       In corsivo: versi della poesia “‘A livella” di Totò.

‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo,

trasenno ‘stu canciello ha fatto ‘o punto

c’ ha perso tutto, ‘a vita e ppure ‘o nomme,

e tu, non t’è fatto ancora chisto cunto.

E co’ rispetto de ‘sta poesia speciale,

m’aggio deciso ‘e càgnare ‘o finale.

Perciò, stamme a sentì, nun fa’ ‘o testardo,

si’ ancora a tiempo, nun è troppo tardi.

Tanto se sape, l’Ucraina perde,

ma tu si’ sempe ‘o russo, ma ‘o russo… è n’ omm’ ‘e merd.

 

N.d.R. : su consiglio del mio amico Efrem, presento qui la traduzione.
Non posso scriverla a fianco di ogni verso, perché sul cellulare non si potrebbe leggere.
Spero che, comunque, sia utile alla comprensione.

La poesia di Totò, ‘A livella, si trova al Numero1136.

 

Voglio parlare con te, cinque minuti,

soltanto per chiederti: Hai finito?

Ti rendi conto di quanto stai facendo,

e quanta gente tu stai distruggendo?

Per colpa tua, viviamo nella paura,

e tu ci guardi con disinvoltura (noncuranza).

Ti sei fissato che vuoi più potere,

ma stai dando di matto, o stai facendo sul serio?

E solo per sentirti più grande,

tu metti il mondo intero nella fossa.

Vabbè, ma tanto a te che te ne fotte,

si sa, non sei tu che vai là sotto.

Tu forse, a volte, ti senti più potente,

ma sta perdendo la vita tanta gente.

E tu, con tanto pelo sul cuore (come dire: con tanto pelo sullo stomaco)

stai fermo e guardi il mondo mentre muore.

Piangendo una moglie fugge lontano,

e porta un figlio (o figlia) per mano,

e il marito sta là, col mitra in mano,

e guarda la vita mentre si allontana.

In mezzo alle strade suonano le sirene,

e a noi si gela il sangue nelle vene.

E vanno a terra altri due palazzi:

ragazzo, stammi a sentire, tu sei un pazzo.

Ma che ti serve tutto questo comando?

lo vuoi capire che hai settant’anni?

Sei fatto di carne e ossa, non sei eterno,

e dopo tu, che racconti al padreterno?

Per accaparrarti queste quattro mura,

ha massacrato tutte queste creature?

Perciò, interroga te stesso, adesso,

e se non ascolti me, ascolta Totò,

Smetti di fare tutto ‘sto bordello,

la morte sai che è? È una livella.

Un re, un magistrato, un grand’uomo,

attraversando questo cancello ha ha fatto il punto (della situazione)

che ha perso tutto, la vita e pure il nome,

e tu, non hai fatto ancora questo conto?

E con rispetto di questa poesia speciale,

mi sono deciso a cambiare il finale.

Perciò, stammi a sentire, non fare il testardo,

sei ancora in tempo, non è troppo tardi,.

Tanto si sa, l’Ucraina perde,

ma tu sei sempre il russo, ma il russo…. è un uomo di merda.

 

 

 

 

Numero2049.

 

F R I E D R I C H   N I E T Z S C H E.

Nelle parole di un altro scrittore filosofo, Marcello Veneziani.

 

Quando morì, il 25 agosto del 1900, Friedrich Nietzsche era già morto da una decina d’anni. La sua mente aveva cessato di pensare, sragionava, era entrata nella sacra oscurità della follia. Ma la sua morte, all’esordio del Novecento, gli spalancò il secolo in cui fu il più influente pensatore, non solo e non tanto nelle ideologie e nei rivolgimenti storici, ma nella svolta antropologica e nell’affiorare delle pulsioni latenti dell’umanità. Perché Nietzsche non è stato solo un filosofo, da capire e da studiare, ma è stato soprattutto una guida per trasformare se stessi e il mondo, più di Marx e Freud.

Nietzsche fu prima considerato poeta del pensiero, letterato aristocratico, amato da altri letterati, come da noi D’Annunzio. Poi fu scoperto in chiave politica, e tra i primi vi fu il giovane socialista Mussolini. Che nel nome di Nietzsche viaggiò dal socialismo alla nascita del fascismo. Poi fu eletto, con la complicità della sorella e di suo cognato, padre putativo del nazismo. Dopo la guerra, Nietzsche riapparve nel pensiero occidentale come tentazione irrazionale, pura dinamite; fino a diventare lo scopritore delle energie vitali della terra e dell’uomo, la vita che primeggia sulla ragione, l’impulso estetico e biologico che domina sulla ratio scientifica e filosofica, l’infanzia e il gioco che prendono il sopravvento sulla maturità e il calcolo. Per lui si può coniare una nuova definizione: non filosofo ma biosofo, scopritore delle sorgenti sanguigne della vita. Nel nostro tempo nasce il superuomo di massa e sfiora il delirio estetico e dionisiaco, tra sesso, fumo e trasgressione. È lui il cattivo maestro, il deicida per eccellenza, il filosofo della Morte di Dio e dell’avvento del nichilismo. Eccolo il distruttore di tutti i valori nel nome della superba energia della vita e dell’arte, scatenata dal pericolo.

Ma non si può attribuire a quell’asceta gentile il catalogo degli errori e degli orrori del nostro tempo, dal Novecento ai giorni nostri. Nietzsche ha acceso gli animi, turbato le menti, reso intrepidi i cuori. Ma conservando l’innocenza tragica e giocosa del suo pensare. E come le fontane di cui aveva scritto non possono impedire di essere sporcate dai passanti così accadde al suo pensiero; ma grazie alla sua fluente profondità “poi torneremo di nuovo limpidi”.

Lui stesso disse che “mi si comincerà a comprendere nel Novecento ma mi si comprenderà appieno solo a partire dal terzo millennio”. Siamo ai primi passi.

Il suo pensiero va oltre la storia e i suoi scenari, la sua stessa idea di Grande Politica mira a oltrepassare la storia e l’umanità del suo tempo. Nietzsche poi non uccide Dio ma descrive la morte del cristianesimo nella nostra epoca. Anche del nichilismo Nietzsche è sismografo e profeta; non lo invoca, lo vede e lo prevede.

Benedetto XVI indicò in Nietzsche il profeta dell’ateismo e del nichilismo, del rifiuto superbo dell’umiltà e dell’obbedienza; ma il Papa poi disse che sono più vicini a Dio i non credenti irrequieti, piuttosto che i credenti di routine. In questa luce, Nietzsche sarebbe più vicino a Dio rispetto ai farisei e ai credenti spenti che seguono la fede per forza d’inerzia. E fu questa, del resto, l’idea di pensatori cristiani come Max Scheler e Gustave Thibon, ma anche Sciacca e Del Noce che non videro Nietzsche nella luce sinistra dell’Anticristo.

Quanto al superuomo di massa della nostra epoca, vaghi sono i legami tra Zarathustra e Superman, tra Dioniso e Vasco Rossi o Jim Morrison, tra il filosofo dell’Amor fati ( Amor fati è una locuzione latina che si traduce con “l’amore del fato”: una concezione del destino trattata dallo stoicismo che riprendeva l’antica visione della circolarità della storia ).o l’asceta dell’Eterno Ritorno e i Rambo, i Palestrati, i Tycoon della finanza e dell’industria, o alcuni feroci satanisti della cronaca nera. E scarsi sono i legami tra il suo superuomo e il transumanesimo. (Il transumanesimo, o transumanismo, a volte abbreviato con >H o H+ o H-plus, è un movimento culturale che sostiene l’uso delle scoperte scientifiche e tecnologiche per aumentare le capacità fisiche e cognitive e migliorare quegli aspetti della condizione umana che sono considerati indesiderabili, come la malattia e l’invecchiamento, in vista anche di una possibile trasformazione post umana).

La volontà di predominio esaltata da Nietzsche non basta a spiegare la natura umana, accanto ad essa vibrano altre volontà, anche opposte: per esempio, la volontà di annientarsi, che poi Freud chiamerà istinto di morte, pulsione suicida; la volontà di trascendersi in una dimensione superiore ed impersonale; la volontà di amare e perfino di annullarsi nell’amare; e sotto tutte, la più umile e primaria volontà di vivere, che aveva descritto Schopenhauer precursore della biosofia nietzschiana. Nietzsche è un moralista, dice il mio amico e suo traduttore Sossio Giametta.

Nietzsche è stato a lungo inchiodato a una citazione, “Non esistono fatti ma interpretazioni” che sarebbe il riassunto cinico di un’epoca che nega la verità, la realtà, e insieme nega le regole, per affidarsi solo all’arbitraria soggettività. In realtà, Nietzsche in quel passo polemizzava col positivismo del suo tempo e il feticismo dei fatti; intendeva negare che i fatti isolati dal contesto, dalle cause e dai soggetti che li vivono, potessero da soli spiegare la realtà. Perfino San Tommaso, maestro di metafisica e realismo, dice che la verità è il combaciare di intelletto e realtà, non basta la sola fisica dei fatti a spiegare la vita e il mondo.

Se dunque non è il superuomo, o meglio l’oltreuomo, come dice Vattimo, se non è l’Anticristo, qual è allora la chiave nefasta del nietzscheanesimo? È la volontà di potenza, ma quel delirio di dominio è proprio quel che più unisce Nietzsche alla parabola occidentale, dal predominio al nichilismo fino alla società globale dell’ultimo uomo. Nella Volontà di Potenza Nietzsche non è originale ma diventa l’altoparlante dell’hybris moderna. (Hybris : presso gli antichi Greci, l’orgogliosa tracotanza che porta l’uomo a presumere della propria potenza e fortuna e a ribellarsi contro l’ordine costituito, sia divino che umano, immancabilmente seguita dalla vendetta o punizione divina ( tísis ): concetto di fondamentale importanza in alcuni scrittori greci, specialmente in Eschilo. Hybris (ˈhyːbris, in greco antico: ὕβϱις, hýbris) è un topos (tema ricorrente) della tragedia e della letteratura greca, presente anche nella Poetica di Aristotele. Significa letteralmente “tracotanza”, “eccesso”, “superbia”, “orgoglio”).

Nietzsche non invoca la distruzione dei valori ma la loro trasvalutazione e aggiunge un’osservazione decisiva: in mancanza di valori tocca a noi essere valorosi, cioè caricarci sulle nostre spalle tutto il peso della perdita di valori. Titanismo tragico per un soggetto destinato a tramontare. Alla fine non è la storia ad accogliere la sua visione ma la natura, il ritmo del cosmo, l’eterno ritorno dell’universo. L’innocenza tragica e giocosa di Nietzsche, biosofo.

MV, La Verità

Numero1878.

 

Segnalata da mio nipote Alan.

Questa è la magistrale lettera che il preside del il liceo Volta di Milano, Domenico Squillace, ha scritto a tutti gli studenti della scuola e pubblicata sul sito. Perdete qualche minuto per leggerla: è un capolavoro.

AGLI STUDENTI DEL VOLTA

“La peste che il tribunale della sanità aveva temuto che potesse entrar con le bande alemanne nel milanese, c’era entrata davvero, come è noto; ed è noto parimente che non si fermò qui, ma invase e spopolò una buona parte d’Italia…..”

Le parole appena citate sono quelle che aprono il capitolo 31 de “I Promessi sposi”, capitolo che insieme al successivo è interamente dedicato all’epidemia di peste che si abbatté su Milano nel 1630. Si tratta di un testo illuminante e di straordinaria modernità che vi consiglio di leggere con attenzione, specie in questi giorni così confusi. Dentro quelle pagine c’è già tutto, la certezza della pericolosità degli stranieri, lo scontro violento tra le autorità, la ricerca spasmodica del cosiddetto paziente zero, il disprezzo per gli esperti, la caccia agli untori, le voci incontrollate, i rimedi più assurdi, la razzia dei beni di prima necessità, l’emergenza sanitaria…. In quelle pagine vi imbatterete fra l’altro in nomi che sicuramente conoscete frequentando le strade intorno al nostro Liceo che, non dimentichiamolo, sorge al centro di quello che era il lazzaretto di Milano: Ludovico Settala, Alessandro Tadino, Felice Casati per citarne alcuni. Insomma più che dal romanzo del Manzoni quelle parole sembrano sbucate fuori dalle pagine di un giornale di oggi.

Cari ragazzi, niente di nuovo sotto il sole, mi verrebbe da dire, eppure la scuola chiusa mi impone di parlare. La nostra è una di quelle istituzioni che con i suoi ritmi ed i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile, non a caso la chiusura forzata delle scuole è qualcosa cui le autorità ricorrono in casi rari e veramente eccezionali. Non sta a me valutare l’opportunità del provvedimento, non sono un esperto né fingo di esserlo, rispetto e mi fido delle autorità e ne osservo scrupolosamente le indicazioni, quello che voglio però dirvi è di mantenere il sangue freddo, di non lasciarvi trascinare dal delirio collettivo, di continuare – con le dovute precauzioni – a fare una vita normale. Approfittate di queste giornate per fare delle passeggiate, per leggere un buon libro, non c’è alcun motivo – se state bene – di restare chiusi in casa. Non c’è alcun motivo per prendere d’assalto i supermercati e le farmacie, le mascherine lasciatele a chi è malato, servono solo a loro. La velocità con cui una malattia può spostarsi da un capo all’altro del mondo è figlia del nostro tempo, non esistono muri che le possano fermare, secoli fa si spostavano ugualmente, solo un po’ più lentamente. Uno dei rischi più grandi in vicende del genere, ce lo insegnano Manzoni e forse ancor più Boccaccio, è l’avvelenamento della vita sociale, dei rapporti umani, l’imbarbarimento del vivere civile. L’istinto atavico quando ci si sente minacciati da un nemico invisibile è quello di vederlo ovunque, il pericolo è quello di guardare ad ogni nostro simile come ad una minaccia, come ad un potenziale aggressore. Rispetto alle epidemie del XIV e del XVII secolo noi abbiamo dalla nostra parte la medicina moderna, non è poco credetemi, i suoi progressi, le sue certezze, usiamo il pensiero razionale di cui è figlia per preservare il bene più prezioso che possediamo, il nostro tessuto sociale, la nostra umanità. Se non riusciremo a farlo la peste avrà vinto davvero.

Vi aspetto presto a scuola.
Domenico Squillace