Numero3545.

 

A M A R E,   A M A R S I    E D    E S S E R E    A M A T I

 

Le persone che donano più amore

sono spesso quelle che non si sono

mai sentite amate davvero.

Così finiscono per prendersi cura

degli altri più che di se stesse,

sperando di ricevere in cambio

lo stesso affetto. Ma non accade mai.

Nascondono sempre il loro dolore,

raccontando solo metà della storia

e tengono tutto nascosto, perché

non vogliono  mai essere un peso.

 

@stanzazen

Numero3543.

 

P S I C O L O G I A    D E L L A    S C E L T A.

 

Sai perché finisci sempre per frequentare

lo stesso tipo di persona sbagliata?

E ti chiedi: Ma è possibile che li attiro tutti io?

Sì, è possibile: non è sfortuna, è psicologia.

È che il tuo cervello non sta cercando

la persona giusta per te, sta cercando

la persona familiare. Vedi, il nostro cervello

odia l’ignoto, cerca disperatamente

schemi che già conosce. Se, da bambina,

hai imparato che l’amore è difficile,

che devi lottare per l’affetto che è

instabile, il tuo cervello ha registrato

quello schema come amore, e ora,

da adulta, quando incontri una persona,

calma, stabile, prevedibile, che ti dà

sicurezza, il tuo cervello si annoia,

non riconosce lo schema, la etichetta

come “noiosa”. Ma quando incontri

quella persona complicata, sfuggente,

emotivamente non disponibile, il tuo

cervello fa “click”, e allora riconosce

il dramma, riconosce la fatica e ti dice:

Eccolo, è lui, è questo, è casa.

Non è attrazione, è il tuo passato

che cerca di essere confermato.

E tu confondi quel caos per passione.

 

da YouTube

Numero3511.

 

C I O’    C H E    C O N T A

 

A 70 anni la vita non finisce. Comincia davvero.

Non hai più la giovinezza, ma hai qualcosa di più raro: la pace di sapere chi sei.

Hai amato, dato, avuto, perso e ricominciato.

Hai capito che poche persone restano e che la salute vale più di qualsiasi successo.

A 70 anni non cerchi di impressionare, cerchi di lasciare qualcosa che resti.

È il tempo della integrazione, della condivisione, della restituzione.

E l’unica domanda che ti viene in mente é: “Cosa lascerò al mondo?”.

I 70 anni non sono un momento di compimento, ma il culmine di un processo.

E scopri che la vita non è ciò che ottieni, ma ciò che trasmetti.

 

da YouTube.

Numero3404.

 

C O N F E S S I O N E

 

Quello che ho cercato fuori

è dentro di me.

L’amore, l’affetto, il rispetto

che mi hanno dato,

o che ho desiderato ottenere,

hanno sempre abitato

dentro il mio cuore,

insieme al mio coraggio.

Oggi, mi assumo, da solo,

la responsabilità di me stesso,

del mio splendore, perché

nessuno mi ha reso ciò

che volevo essere, solo io.

Esploro il mio interno

e trovo verità e serenità.

Numero3402.

 

R I M P I A N T I

 

Scrivo, qui di seguito, dei 5 rimpianti più comuni in punto di morte.

 

Sono stati identificati da Bronnie Ware, un’infermiera palliativa australiana che ha raccolto le testimonianze di molte persone negli ultimi giorni di vita.

 

1   Avrei voluto avere il coraggio di vivere una vita più autentica, seguendo i miei sogni, invece di assecondare le aspettative degli altri.

 

2   Avrei voluto non lavorare così tanto, dedicando più tempo a me stesso e alla mia famiglia.

 

3   Avreo voluto avere il coraggio di esprimere i miei sentimenti e di dire ciò che davvero pensavo.

 

4   Avrei voluto mantenere i rapporti con i miei amici più stretti, coltivando le amicizie.

 

5   Avrei voluto permettermi di essere più felice e meno preoccupato, godermi di più la vita.

 

MORALE:   Non rimandare la vita a domani. Sii coraggioso, vivi autenticamente e ama senza riserve.

Solo così eviterai i rimpianti che, di solito, si hanno da vivi.

 

@DianaUrsu

 

 

 

 

Numero3003.

 

B I L A N C I O    D I    U N A    V I T A

 

Il più grande rimorso che possiamo avere nella vita

non è per le cose sbagliate che abbiamo fatto,

ma per le centinaia di cose giuste

che abbiamo fatto per le persone sbagliate.

Io non voglio cancellare il mio passato,

perché, bene o male, mi ha reso quello che sono oggi.

Anzi, ringrazio chi mi ha fatto scoprire

l’amore e il dolore, chi mi ha amato e usato,

chi mi ha detto “ti voglio bene” credendoci,

e chi, invece, l’ha fatto solo per i suoi sporchi comodi.

Io ringrazio me stesso per aver trovato

la forza di rialzarmi e andare avanti, sempre.

 

Oscar  Wilde.

 

N.d.R.: in questa lucida riflessione di una grande mente

ritrovo il compendio di tutta la mia vita.

Numero2895.

 

C R O N O V I S O R E

 

Questo argomento è già stato trattato al Numero1142 e al Numero1141. Qui viene approfondito, almeno in parte, ma meriterebbe di essere sviscerato ulteriormente, perché di enorme importanza.

Pellegrino Ernetti: monaco, fisico, esorcista, esperto di musica

Lunedì 7 Ottobre 2019 di Alberto Toso Fei

 

Se fosse vera – poiché il mistero che vi aleggia e il dibattito che vi si svolse attorno rendono tutto indistinguibile – sarebbe la più sconvolgente scoperta scientifica di tutti i tempi: il “Cronovisore”, un apparecchio che poteva catturare immagini e suoni dal passato, e mostrarli come in una diretta televisiva; come se avvenissero davanti agli occhi di chi osservava.

Il suo inventore, Pellegrino Ernetti, ebbe per questo buona fama, finché ogni cosa – tra smentite e silenzi – fu seppellita dall’oblio. Eppure questo monaco benedettino, che visse e operò per decenni sull’isola di San Giorgio Maggiore, fece parlare a lungo di sé e dei suoi studi, e prima di portare con sé il segreto nella tomba – nel 1994 – operò in più settori singolari.

Frate, fisico, esorcista ufficiale della diocesi di Venezia e titolare dell’unica cattedra del suo genere al mondo (quella di musica prepolifonica) al Conservatorio “Benedetto Marcello”, Pellegrino Alfredo Maria Ernetti nacque a Rocca Santo Stefano – in provincia di Roma – nel 1925: uomo di vasta cultura e di mente estremamente aperta, ebbe la prima intuizione della possibilità di esplorare i confini del tempo dopo la laurea in fisica, a Milano, mentre all’Università Cattolica del Sacro Cuore collaborava con padre Agostino Gemelli. Secondo il suo stesso racconto, gli accadde di essere testimone di un fatto singolare: sul nastro di un registratore era rimasta impressa la voce del defunto genitore di Padre Gemelli, in risposta a una invocazione da parte di suo figlio.

Erano gli anni Cinquanta, e l’idea che la nascente tecnologia elettronica potesse creare dei legami col passato gli sembrò estremamente concreta: la sua “macchina del tempo” (la definizione di “Cronovisore” fu creata più tardi dallo studioso Luigi Borello) si basava sulla teoria che ogni gesto, ogni movimento, ogni azione effettuata dall’uomo si trasforma in energia che non si distrugge ma da quel momento inizia a vagare nell’Universo. Il segreto stava tutto nel decodificare quell’energia, tornando alla posizione che aveva la terra nel momento in cui si svolgeva l’evento passato e “sintonizzandosi” con essa (peraltro seguendo la teoria relativistica di Albert Einstein).

Il gruppo di lavoro sarebbe stato composto da dodici persone, tra cui Enrico Fermi e Werner von Braun, lo scienziato tedesco direttore della Nasa e progettista del missile che più tardi portò l’uomo sulla luna, oltre allo stesso Gemelli. I primi esperimenti riguardarono personaggi vicini a quel tempo, in modo da poter controllare se ciò che veniva visto rispondeva alla realtà conosciuta. Si cominciò dunque con Mussolini, e rapidamente si passò a Napoleone; poi Ernetti e i suoi collaboratori si spinsero nell’antichità, e videro Cicerone mentre pronunciava i suoi discorsi, le legioni romane in marcia, e assistettero alla rappresentazione del “Thyestes” di Quinto Ennio, recitato a Roma nel 169 avanti Cristo, durante i Giochi Pubblici in Onore di Apollo. Arrivarono a trascriverne i passaggi, visto che della tragedia esistevano solo dei frammenti.

Alla fine il gruppo si spinse oltre l’immaginabile, e col visore assistette all’Ultima Cena, al tradimento dell’orto degli ulivi, alla flagellazione, al viaggio sul Calvario, alla crocifissione, sepoltura e resurrezione di Cristo. Videro tutto, sentirono ogni parola, ascoltarono ogni rumore. E giurarono di non dire nulla a nessuno.

Ogni singolo esperimento fu filmato e mostrato a Pio XII; fu proprio il Vaticano a impedire che il progetto venisse divulgato: caduto in mani sbagliate, con la sua potenziale capacità di leggere anche i pensieri – altra forma di energia – il “Cronovisore” sarebbe divenuto un’arma di potere terribile e capace di sconvolgere l’intera umanità. Fu quindi smontato e consegnato alle autorità ecclesiastiche, che ne custodirebbero ancora oggi il segreto. E sebbene già allora una delle immagini diffuse da Ernetti sulla passione di Cristo fu riconosciuta come falsa (anche se i sostenitori dell’esistenza dell’apparecchio ritengono che si trattò di una falsa prova escogitata proprio allo scopo di screditare e far dimenticare l’intera operazione), la fama della macchina del tempo creata da un monaco veneziano e languente in qualche magazzino del Vaticano, coperta di polvere, è lontana dal tramontare.

Numero2859.

 

Comportamenti tipici di chi si trascina un vissuto difficile

Ana Maria Sepe    Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi.

 

Crediamo di essere indegni di felicità, di piacere, d’amore o della realizzazione. Tutti abbiamo una “ferita centrale” nel profondo che varia in base alle nostre circostanze ed esperienze. Questa profonda e fondamentale ferita è il risultato delle credenze che ci hanno insegnato fin dalla nascita, contribuendo alla difettosa immagine di noi stessi che continuiamo a portarci dietro fino ad oggi. Le nostre ferite fondamentali sono i nostri dolori più profondi nella vita. Sono i nostri amici più vecchi e più miserabili. Per la maggior parte di noi, queste ferite interiori sono governate dalle seguenti due convinzioni errate:

  • “Sono imperfetto e quindi una persona cattiva.”
  • “Devo cambiare o sistemare qualcosa di me per essere accettabile.”

Riconoscere di avere una ferita interiore

Può essere molto difficile riconoscere di avere una ferita interiore legata agli errori (spesso involontari o inconsapevoli) compiuti dalla figura di accudimento, quella che più di tutte avrebbe dovuto proteggerci, accudirci, accoglierci e insegnarci a diventare sicuri e forti.

Da bambini infatti, assorbiamo tutto ciò che ci viene detto su di noi come se fosse una “verità incontrovertibile” un dato di fatto solido e assodato che non potrà cambiare mai: “sei pigro”, oppure “sei un bambino cattivo” o altro, sono espressioni che il bambino assorbe e fa proprie senza avere la capacità di poterle mettere in discussione, né di comprendere che spesso si tratta di affermazioni imprecise e parziali. In tal modo cresce diventando un adulto che è ancora – spesso inconsapevolmente – profondamente convinto di essere pigro o cattivo, e si comporta di conseguenza, dando per scontato che si tratti di una verità assoluta e immodificabile.

Un’altra ragione che rende difficile comprendere di aver avuto relazioni di accudimento disfunzionali, è legata al fatto che ogni bambino tende a credere che ciò che accade in casa sia “normale”, che accada allo stesso modo in tutte le altre famiglie: penserà che suo papà alza le mani perché “è stanco” oppure “perché mi comporto male”, o che la mamma è arrabbiata o infastidita perché “sono un cattivo bambino che dà fastidio”.

Non è infrequente comprendere che qualcosa non va nella propria famiglia, in seguito all’aver sperimentato cosa accade in altre famiglie, dove magari le figure di accudimento sono più gentili, amorevoli e disponibili. E’ difficile accettare l’idea che il dolore che abbiamo dentro, le difficoltà che viviamo nelle relazioni con le altre persone – specialmente con il/la partner – originano dal modo in cui proprio nostra madre ci ha trattati da bambini (se lei è stata la figura di accudimento principale).

Si tende così a normalizzare, giustificare, negare certi comportamenti, senza che vi sia una vera e profonda comprensione di come sono andate le cose, e delle motivazioni che le hanno prodotte, unica via questa per poter passare dalla comprensione all’accoglimento del passato per ciò che è stato e, infine, al perdono.

Cosa ha interiorizzato chi ha avuto un vissuto difficile

Per procedere dal percorso di comprensione e accettazione di ciò che è stato alla costruzione di uno stile relazionale più sano e gratificante, possiamo partire dal mettere in discussione alcuni falsi miti sui quali spesso poggiano convinzioni, atteggiamenti e comportamenti che automaticamente si esprimono nelle relazioni con gli altri:

1. L’amore va guadagnato

Probabilmente, a causa del modo controllante, giudicante o carico di aspettative in cui siamo stati cresciuti, abbiamo imparato che l’amore non è mai gratuito, ma deve essere meritato e guadagnato dandosi da fare per gli altri, accondiscendendo alle loro richieste oppure cercando di “non dare fastidio” con bisogni e richieste.

2. Bisogna nascondere i propri sentimenti

La lezione si impara quando i genitori si arrabbiano o prendono in giro un figlio a causa della sua sensibilità, chiamandolo  “piagnucolone” o accusandolo di essere esagerato o troppo sensibile. I bambini in genere rispondono a questo comportamento, costruendosi una sorta di “barriera” dietro alla quale nascondere i loro sentimenti e le loro emozioni, prendendo le distanze e proteggendosi da queste. Così facendo però, perdono anche l’opportunità di sviluppare adeguate abilità di gestione delle emozioni stesse.

3. La cosa più importante sono le apparenze

Questo si apprende da un genitore particolarmente votato a curare le apparenze, che tratta i propri figli come “estensioni di sé”, pretendendo da questi di fargli/le fare sempre bella figura quando sono in pubblico. Il bambino dunque impara che ciò che conta veramente, per essere “amati” dal genitore, non è tanto esprimere il proprio sé, quanto piuttosto dimostrare le apparenze esteriori e le aspettative che contano..

4. E’ meglio non mostrarsi per ciò che si è

La critica e la svalutazione costanti subite dalle figure di accudimento portano il bambino ad assumere comportamenti finalizzati a soddisfare e accontentare i genitori, a fare qualsiasi cosa per sentirsi approvati e apprezzati da questi. Questo processo può portare alla costruzione di un “sé falso”, finalizzato a piacere al genitore, e a imparare a nascondere e non mostrare ciò che si è veramente, fino a perdere quasi il contatto con ciò che si ama davvero e che rende davvero felici.

(N.d.R.: questo tipo di bambino/a, durante tutta la sua vita, andrà sempre alla ricerca di un partner che lo accetti per quello che è: sarebbe quello l’amore che non ha avuto da piccolo/a, perché le figure genitoriali (una o entrambe) lo “condizionavano”. Invece di ricevere affetto senza contropartite, aveva ottenuto l’accudimento solo a patto di obbedienza e rispetto: un pesante ricatto psicologico che adoperava una leva formidabile come quella inculcata dal senso di colpa, che si instaurava, in un lancinante stillicidio, con la sottolineatura dei difetti e mai dei pregi del bambino/a).

5. Occorre controllare il proprio ruolo nella relazione

Quando si è sperimentato un legame di attaccamento con un genitore non amorevole, la relazione non è mai veramente reciproca, perché i comportamenti del genitore nei confronti del bambino gli insegnano che in una relazione c’è sempre un elemento forte e uno debole e che occorre, per proteggersi, mantenere il controllo, cercando di non essere o diventare l’elemento debole.

6. Non sei abbastanza

Svalutazione, giudizio costante, atteggiamento ipercritico delle figure genitoriali, uniti alla mancanza di validazione e supporto sono responsabili dell’origine di questa convinzione di fondo, che opera silenziosamente e in modo dannoso nella costruzione delle future relazioni.

7. Hai meritato di essere trattato male

In presenza di genitori maltrattanti è molto più facile per il bambino giungere alla conclusione di meritare i maltrattamenti, piuttosto che prendersela con chi dovrebbe accudirli e proteggerli amorevolmente. Prendersela con se stessi del resto, serve a molti scopi, non ultimo quello di mantenere in vita – una volta adulti – una relazione abusante.

(N.d.R.: La relazione abusante diventerà normale in tutta la vita. Inconsciamente il bambino/a, diventato adulto/a, non crede che ci sia un altro tipo di rapporto psicologicamente e affettivamente più appagante di questa “comfort zone”, alla quale si è allenato/a ed adagiato/a. Anzi, se lo terrà ben stretto perché costituirà l’unica certezza garantita, anche a costo di vessazioni, angherie e rinunce alle proprie libertà ed espressioni personali).

8. Devi piacere e accontentare gli altri

Pur di andare d’accordo con l’altro – per averlo accanto, per sentirsi apprezzati o non sentirsi in colpa – ci si limita, si rinuncia a far valere la propria voce e ad esprimere se stessi, fino ad annullarsi.

9. L’intimità è pericolosa

Tipica posizione di coloro che hanno sviluppato uno stile di attaccamento evitante e logica conclusione delle relazioni avute con le figure di attaccamento – verosimilmente fredde e indisponibili – dell’infanzia.

Il primo passo per risanare le nostre ferite interiori

Mettere in discussione queste posizioni ed affermazioni – più o meno consapevoli – apprese durante l’infanzia attraverso le relazioni di attaccamento, è un passo importante verso un maggior benessere e relazioni interpersonali e sentimentali gratificanti. Ma prima ancora di poterle mettere in discussione, occorre imparare a individuarle dentro di noi: possiamo farlo portando l’attenzione consapevolmente su certi nostri comportamenti che tendono a ripetersi, e sul nostro dialogo interno nelle situazioni interpersonali.

Può essere utile iniziare a chiedere a noi stessi cosa pensiamo automaticamente di noi e dell’altro, nelle situazioni in cui magari ci sentiamo più vulnerabili o bisognosi: sentiamo di meritare le cure e le attenzioni dell’altro? Riusciamo a chiedere ciò di cui abbiamo bisogno o desiderio? Ci aspettiamo che l’altro possa venirci incontro? Ci fidiamo?

Puoi farcela … A darti quel permesso!!!

Il permesso è quella scelta che fai e che è diversa dalle solite scelte che ripeti da una vita. Esempi. Posso mostrarmi in difficoltà… Mi permetto di dire no… Scelgo di riposarmi… Oppure:

  • Solitamente tieni duro… Ti permetti di mollare!
  • Solitamente fai da solo… Ti permetti di chiedere aiuto!
  • Solitamente trattieni le tue emozioni… Ti permetti di esprimerle!
  • Solitamente reagisci d’impulso… Ti permetti di riflettere un po’ meglio prima di agire!
  • Solitamente non esprimi il tuo pensiero per paura del giudizio… Ti permetti di dire la tua!
  • Solitamente accondiscendi alle richieste altrui anche quando sono eccessive… Ti permetti di dire no e sì in base ad una tua valutazione specifica della situazione!

TROVA IL TUO SOLITO … E DATTI IL TUO PERMESSO!

“Finalmente ce la fai…” perché è veramente la fatica di una vita quella di cambiare ciò che da una vita siamo abituati a fare!!!
Trova l’abitudine di una vita… E prova il permesso per iniziare oggi una nuova vita!
Provando a cambiare ciò che hai sempre fatto, avrai modo di capire perché per te è difficile, perché tendi a ripetere gli stessi schemi da una vita, perché hai paura di cambiare, perché è fondamentale iniziare a fare qualcosa di diverso al fine di migliorare la qualità della tua vita, delle tue scelte, delle tue relazioni.

È proprio necessario cambiare? È proprio necessario darsi questi permessi? Certo che no. È sempre una scelta… Del resto, alcuni modi di essere, pensare e agire che ci portiamo da una vita ancora oggi orientano in modo utile le scelte che facciamo. Quando, allora, è l’ora di nuovi permessi? Quando arriva la sofferenza, quando la vita ci chiede flessibilità, quando le circostanze esterne cambiano in modo significativo, quando stiamo trascurando i nostri bisogni, quando cominciamo ad avere problemi interpersonali importanti, quando siamo confusi, quando arrivano sintomi e malesseri fisici e psicologici ad invitarci a rivisitare il rapporto tra “ciò che devo”, “ciò che non devo”, “ciò che posso”.

La voglia di riscattarsi e… rinascere!

C’è una cosa che hanno in comune tutte le persone che hanno vissuto un’infanzia difficile: hanno voglia di riscattarsi! Il dolore, i torti, annichiliscono ma al contempo alimentano rabbia e frustrazione. È nella rabbia dell’ingiustizia subita che si può trovare il seme della reattività, il motore che può innescare un processo trasformativo utilissimo. Ogni giorno siamo artefici della nostra stessa evoluzione, siamo responsabili delle maschere che indossiamo, delle parole che diciamo… anche se non ne siamo consapevoli.

In realtà, esistono due modalità di vita: la prima ci pone come individui passivi-reattivi, cioè ci fa limitare a reagire alle cose che ci capitano nella vita. Ci fa vivere, quindi, in funzione del comportamento degli altri. Una modalità di vita molto più sudata (perché richiede esercizio, una buona dose di distacco, regolazione delle emozioni e tanta tanta riflessione) è la modalità attivo-reattivo. In questo caso, le persone non si limitano a reagire a ciò che capita ma sono pienamente artefici della propria vita, riescono a gestire le proprie maschere, a ridimensionarle o a distruggerle

(N.d.R.: Ironia linguistica: La parola “maschera”, in latino , che è la lingua da cui deriva l’Italiano, è tradotta dal termine “persona”. I personaggi delle rappresentazioni teatrali antiche così si chiamavano perché indossavano le “maschere”, che erano dei  grossi faccioni di cartapesta o altri materiali, e che avevano due funzioni: la prima era quella di caricaturare gli attori, esagerando le caratteristiche tragiche o comiche degli stessi; la seconda era quella di fungere da amplificatori sonori (il verbo latino personare = suonare attraverso). Non vi erano, infatti, microfoni e, per quanto l’acustica delle cavee degli anfiteatri fosse eccezionale, la voce doveva essere sentita fino agli ultimi posti  delle scalee. Nella “recita” delle nostre vite, noi “persone” siamo veramente delle “maschere”: interpretiamo e recitiamo la parte che gli altri (genitori, coniuge, figli, datore di lavoro, società e via dicendo) ci hanno assegnato. Quando toccherà a noi interpretare noi stessi e il ruolo che ci sentiamo ritagliato, proprio da noi e per noi? Ecco perché un numero sempre più grande di esseri umani, oggi e con la vita di oggi, aspira sempre più ardentemente ad una “second life”, una seconda vita che a loro appartenga compiutamente, e permetta a loro di essere veramente “persone” interpretando se stessi).

Numero2851.

 

Le persone che attrai sono il riflesso delle ferite che ti porti dentro

Anna De Simone    Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia.

 

Se sei una calamita per casi umani, non temere! Il titolo vuole indicare semplicemente che i partner che attiri possono raccontarti molto sul tuo vissuto interiore perché questi, in qualche modo, riflettono parti di te e della tua vita emotiva. Per capire quali parti di te riflettono i tuoi ex o l’attuale partner, basterà solo imparare ad analizzare il significato delle tue storie d’amore e nel testo che segue proverò a spiegarti come.

Se non ti piacciono i cenni teorici psicoanalitici, salta subito al paragrafo «quando è il dolore a guidarti nella scelta del partner» perché, come vedremo, è la sofferenza appresa a guidarti nella scelta del partner sbagliato. La stessa sofferenza che innesca la tendenza a stringere sempre relazioni disfunzionali e sbilanciate, dove tu sei quella/o che ci rimette di più. Perché se è vero che quando una coppia si lascia non esistono né’ vincitori né vinti, è altrettanto vero che spesso nelle coppie disfunzionali c’è una persona che dà di più, troppo.

La scelta del partner: ecco perché siamo dei pessimi decisori

Nell’ideale, l’essere umano dovrebbe muoversi e fare scelte volte al profondo e duraturo appagamento. Eppure, quando si tratta di scelte, talvolta dimostriamo di essere pessimi decisori; la scelta del partner sbagliato ne è una testimonianza. Secondo la teoria freudiana, l’uomo si muove alla ricerca di gratificazioni immediate, alla costante ricerca del piacere. Questa teoria non spiegava però le nevrosi, la coazione a ripetere e l’esistenza di alcuni schemi disfunzionali ripetitivi. A risolvere il quesito è stata una successiva teoria psicoanalitica, quella delle relazioni oggettuali (W. Fairbairn). Stando a questa visione, le azioni umane non sono motivate dalla gratificazione ma dalla ricerca di un legame. E’ stringere un legame significativo ciò che ci preme.

Poco dopo, biologi dell’evoluzionismo hanno riferito che gli essere umani sono geneticamente programmati per stringere legami di attaccamento. Quando veniamo al mondo, infatti, siamo del tutto indifesi e abbiamo bisogno di stringere un legame affinché qualcuno ci garantisca sostentamento. Tra le strategie evolutive che ci garantiscono le cure c’è il sorriso e il pianto. Sorridiamo letteralmente per ammaliare l’adulto che dovrà curarsi di noi, e facciamo di tutto per preservare quel legame: tutto questo è nel nostro codice genetico. E’ una forma di adattamento che nei millenni si è evoluta per garantirci la sopravvivenza.

I bambini sono geneticamente programmati per creare legami con i genitori con qualsiasi forma di contatto gli forniscano e quelle forme di contatto diventano modelli relazionali che durano per tutta la vita. Ecco perché, in qualche modo, gli uomini o le donne che attiri, sono il riflesso di ciò che sei e che sei stata/o in passato. Di seguito userò il genere femminile, ma questo varrà anche al maschile!

Attirare il partner appagante

Se da bambina ti è stata garantita gratificazione e sicurezza come forma di contatto, ricercherai la gratificazione non come fine a sé stessa ma come forma appresa di relazione con l’altro. Il partner che attirerai ricercherà le tue stesse cose: interdipendenza, reciprocità, stima, comunicazione, supporto e intimità.

Purtroppo spesso i genitori procurano molte esperienze dolorose. Dal distacco forzato al primo giorno di asilo, senza la minima preparazione per il bambino ancora spaventato dal mondo, ai ricatti emotivi e agli obblighi morali. Gli adulti dovrebbero rendere il mondo a misura di bambino, tuttavia la mentalità genitoriale vede il bambino come subordinato al genitore, quasi come una proprietà.

Quando è il dolore a guidarti nella scelta del partner

W. Fairbairn, medico e psicoanalista, studiò a fondo le dinamiche che accompagnavano i bambini maltrattati. In particolare, lo psicoanalista rimase colpito dall’intensità del legame e dalla fedeltà che quei bambini mostravano verso i genitori maltrattanti. Più tardi, quegli stessi bambini finivano per ricercare la sofferenza come forma di relazione con gli altri. Il dolore era diventato la forma di contatto privilegiata. I bambini, e più tardi gli adulti, cercano nell’altro la stessa forma di contatto che hanno sperimentato all’inizio del loro sviluppo.

In altre parole, costruiamo i nostri modelli relazionali e la nostra vita emotiva intorno al tipo di interazioni che abbiamo avuto con chi si è preso cura di noi all’inizio della nostra vita. Cosa ti raccontano i tuoi ex partner della tua vita emotiva? L’attrazione è scattata quando l’altro ha fatto risuonare in te quel modello che nella prima infanzia ti è stato proposto come esempio fondamentale d’amore. Se reputi di aver vissuto un’infanzia tranquilla, sappi che anche i bambini osservati da W. Fairbairn non erano consapevoli dei torti subiti, ma questi torti risuonavano ancora in loro fino a condizionarne le (cattive) scelte affettive.

Secondo W. Fairbairn, il bambino, per proteggere il legame con il genitore, non sarebbe sempre in grado di riconoscere nel genitore una figura abusante; seguendo il modello d’amore interiorizzato, da adulto, quel bambino potrebbe passare dalle braccia di un partner abusante all’altro. Questo spiega perché alcune persone finiscono sempre con il partner sbagliato, perché il partner sbagliato riflette la vita emotiva inconscia di chi lo ha attirato.

Cosa ci raccontano i tuoi ex-partner della tua vita emotiva?

Dopo tanta teoria, è il momento di passare alla pratica, tirare le somme e fare una sana auto-analisi. Ripensa alle tue storie d’amore, riesci a individuare dei modelli ricorrenti? Se all’apparenza le storie e le personalità dei tuoi ex partner sembrano tutte diverse, soffermati su come ti hanno fatta sentire. Noti una certa ricorrenza dei vissuti emotivi? Questi vissuti emotivi hanno molto a che fare con il tuo funzionamento psichico. Ti faccio alcuni esempi.

Una bambina che ha dovuto sempre combattere (o competere con un fratello/sorella) per le attenzioni genitoriali, finirà per essere attratta (e attrarre a tua volta) persone incoerenti e discontinue. Non solo, questa bambina avrà interiorizzato «l’amore dai grandi gesti». Sarà portata a fare pazzie, impegnarsi al 110%, realizzare sorprese, cene romantiche, regali studiati (…) e tutto questo per convalidare la sua identità e affermare un forte: «io ci sono e voglio essere amata». Purtroppo il modello d’amore interiorizzato durante l’infanzia parla più di un bisogno insoddisfatto che di amore vero, un amore subordinato ad affanni e grandi imprese.

Anche l’essere sempre attratti da persone che non ci filano per nulla racconta qualcosa del genere. Il partner irraggiungibile diventa il riflesso dell’amore negato. Sul partner che non ti corrisponde tu proietti desideri, ideali e valori che in realtà non esistono. Quell’oggetto dei desideri diviene un concentrato di aspettative e speranze creato apposta per far risuonare in te un nuovo rifiuto. La tua attenzione si focalizza su chi non ti desidera perché stai riproponendo il tuo modello d’amore interiorizzato. L’ironia della sorte? Quando quella persona diviene raggiungibile e si avvicina, il tuo interesse svanisce!

Ancora, chi è cresciuto con un genitore scostante e costantemente rifiutante, potrebbe strutturare la sua vita emotiva sull’incompiuto: iniziare attività per non finirle, cimentarsi in imprese impossibili, inseguire sogni irrealizzabili, standard irraggiungibili e partner impegnati. La bambina cresciuta con un genitore altalenante, che alternava periodi di presenza con periodi di assenza e rifiuto, potrebbe finire con l’attrarre partner abusanti e ambivalenti, che ti idealizzano per poi svalutarti e hanno bisogno di sminuirti per sentirsi meglio.

Come spezzare il circolo vizioso?

Capire entro quali termini il partner che attiri è il riflesso di ciò che hai dentro, ti aiuterà a uscirne. In che modo? Ti mostrerà le tue vulnerabilità e ti farà capire su quali aspetti della tua vita emotiva hai bisogno di lavorare.

Solo guarendo il modello ancestrale interiorizzato potrai finalmente scegliere di amare chi ti piace e non chi fa risuonare in te l’amore disfunzionale appreso. L’introspezione e la profonda conoscenza di te ti mostreranno la via. In questo contesto potrebbe essere utile iniziare un «diario dell’introspezione» che ti avvicinerà a nuove esperienze emotive correttive garantite da un partner disponibile e accudente. Attenzione! Anche tu dovrai essere pronta a questa nuova stabilità, se non lo sarai, finirai per annoiarti subito del partner.

Se è vero che la tua vita emotiva è costruita sulla base di esperienze passate, è anche vero che se fai nuove esperienze emotive puoi correggere quei modelli appresi. Anche le amicizie che stringi possono raccontare molto sulla tua vita interiore e potrebbero fungere da fattore di mantenimento di una vita interiore fatta di bisogni insoddisfatti, oppure metterti sul cammino dell’appagamento a lungo termine.

I sani confini

Che sia un genitore, un partner o un amico, ti farà sentire accettato con la condizionale. Fin quando aderisci al modello del subordinato in cui la relazione è completamente sbilanciata e i carichi gravano tutti sulle tue spalle (sei accondiscendente, lasci che invalidi le tue emozioni, non esci dal ruolo che ti ha assegnato…), allora le cose filano lisce. Ma quando provi ad affermare te stesso o una tua necessità, emergono le minacce. La minaccia dell’abbandono, della rabbia, dell’isolamento, dell’esclusione… Non sempre le minacce sono affettive, qualcuno può utilizzare ricatti economici e sfruttare una posizione di potere in ambito lavorativo. Ecco perché non è sempre facile venirne fuori. Ma un modo sano e sicuro per gestire i confini con queste persone c’è. Un modo per affermare te stesso esiste. Pensaci bene, non sarebbe perfetto avere accanto persone capaci di convalidare le tue emozioni? Di condividere con te la stessa realtà senza tentare di distorcerla?

Esiste una realtà ben concreta in cui tu sei al centro della tua vita. In cui tutti i tuoi bisogni hanno un senso, vanno ascoltati e appagati! Una realtà in cui puoi affermare te stesso, accoglierti e amarti. In tal modo, attrarrai a te solo persone che sono capaci di darti la considerazione che meriti. Che, come nel mio esempio, hanno cura del legame che instaureranno con te. Non si tratta di un’utopia. Tutto questo è possibile e puoi averlo in tutti i rapporti.

Il rispetto di sé è la base

Si parla pochissimo di rispetto di sé. Eppure si tratta di una componente essenziale per la salute (fisica e mentale) e per il mantenimento di relazioni sane. Se ti riconosci in questi punti, vuol dire che stai trascorrendo la tua vita remandoti contro. È mai possibile andare “contro se stessi”? Purtroppo sì, questo capita quando non ti hanno insegnato a riconoscere il tuo valore. Come spiego nei miei incontri e come ho dettagliato nei miei due libri (entrambi bestseller), siamo la sintesi dei nostri vissuti e, il modo in cui ci comportiamo con noi stessi, riflette in qualche misura il modo in cui gli altri ci hanno trattato durante l’infanzia.

È lì, a quell’età che impariamo come scendere a patti con noi stessi, se rispettarci e stimarci oppure se metterci da parte e calpestare i nostri diritti emotivi e finanche negare i nostri bisogni!