Numero1520.

 

PER  FAR DURARE  L’AMORE
OGGI  CI  VUOLE  UNA  LAUREA

Diploma in ascolto,

master in tenerezza,

corso di aggiornamento

in desiderio sessuale.

Le storie d’amore

a tempo indeterminato

esistono ancora.

Ma, per restare insieme,

di questi tempi,

serve un “updating”

pressoché permanente

e di entrambi i partner.

Numero1518.

 

4 Luglio 1776 : Costituzione degli Stati Uniti d’America.
1° Emendamento :
…. noi riteniamo che tutti gli uomini sono stati creati uguali e che ognuno ha il diritto alla “Pursuit of Happiness” (Ricerca della Felicità), a condizione che non ostacoli la Ricerca della Felicità altrui.

Quindi, la Ricerca della Felicità era considerata, dai politici più lungimiranti del tardo ‘700 (erano quasi tutti esponenti della Massoneria), un diritto inalienabile della persona umana.

27 Dicembre 1947 : Costituzione Italiana.
Articolo 1 : L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Bella differenza! No?

Numero1517.

DEUS  EX MACHINA (latino)

“Il Dio che parla o appare da una macchina”.

Nell’antico teatro greco classico, l’apparizione sulla scena della divinità,  quasi sempre dall’alto, che veniva realizzata mediante un apposito meccanismo e che, di solito, costituiva l’elemento risolutore della tragedia; quindi, figurativamente, circostanza o persona che, inaspettatamente, interviene a risolvere una situazione difficile o è l’artefice del buon andamento di qualcosa.

Apò mechanés theòs (Greco antico) = divinità che scende dalla macchina.

E risolve la situazione. La frase trae origine dalla tragedia Greca: in tale ambito, quando era necessario far intervenire una o più divinità sulla scena, l’attore che interpretava il Dio era posizionato su una sorta di gru in legno, mossa da un sistema di funi e argani, chiamata, appunto, mechané. L’intervento “ex machina”  degli dei veniva usato, soprattutto, dal tragediografo Euripide, per risolvere felicemente una situazione intricata e, apparentemente, senza possibile via d’uscita. Nel mondo antico un uso eccessivo del Deus ex machina era considerato prerogativa di autori poco raffinati e sbrigativi, che non sarebbero riusciti a sciogliere altrimenti trame complesse.

Questo è quanto, da sempre, viene detto, ripetuto, recensito nel l’ambito delle letterature e delle scuole di pensiero. Ma, non mi convince.
Sicuramente un tale accorgimento sarà stato adottato, nella pratica scenografica. Ma quel che non si è mai detto, anche perché dirlo sarebbe stato imbarazzante, sorprendente, inspiegabile, inammissibile, è che gli dei, ALIENI extraterrestri, scendevano veramente da machine volanti provenienti dal cielo. E, sulla scena, non si sarebbe mai adottata una riproduzione della realtà così improbabile, se la realtà non fosse stata veramente questa. E di dominio pubblico, comune, risaputa e scontata. Tanto da essere considerata praticabile e riproducibile, perfino per usi artistici o spettacolari.

È fuor di dubbio, ormai, che la razza umana ha compiuto i suoi passi in avanti più significativi, nel campo delle tecnologie che hanno migliorato la vita, con i suggerimenti, gli insegnamenti, il controllo di Entità Superiori, in qualsiasi ambito del sapere. Gli uomini  hanno chiamato “Dei” queste Entità Superiori.
Nelle religioni, quasi tutte, le regole, le norme, i comandamenti, sono stati concepiti dagli uomini; ma la loro “autorità” applicativa, impositiva, punitiva è stata attribuita al “carisma” delle Entità Superiori. Queste si sono sempre ben guardate dall’intervenire, con dimostrazioni miracolistiche, nelle vicende umane. Sono stati sempre gli uomini, certe “caste” di uomini, che si sono artatamente arrogati il diritto religioso, morale, civile, giudiziario, politico/amministrativo di censurare, con metodi intimidatori, di controllare, con provvedimenti vessatori, gli altri uomini in nome di regole superiori. “Caste” sacerdotali, militari, finanziarie, politiche hanno esercitato prevaricazioni di ogni specie, nell’arco dei millenni, violando le regole, molto semplici e condivisibili, della natura e dell’umanità. Per avere una esemplificazione illuminante, rimando al seguente:

Numero347

La prima religione nasce,

quando la scimmia A,

guardando il sole,

dice all’altra scimmia B:

“LUI mi ha detto che TU

devi dare a ME

la tua banana”.

Qual è l’obiettivo primario, assillante, pressante di tutte le “caste”? È quello di istituzionalizzare i propri strumenti di potere, mediante la ideologizzazione della “supremazia” di certi princìpi, concepiti e stabiliti da esse stesse, rendendoli metafisici e trascendenti, solo per salvaguardare i propri interessi. Questo porta a esercitare un controllo delle coscienze, con metodi di “advertising” (propaganda pubblicitaria) non molto lontani dal “lavaggio dei cervelli”. Si è trattato, e tuttora si tratta, di un colossale, eclatante, nauseabondo “millantato credito”. È mitologia dell’autoritarismo.

Numero1516.

F U R L A N A D E
(Riservata ai soli lettori che conoscono la lingua Friulana)

 

Limit legal alcolic par guidà l’automobil : 0,5 grams par litro di sang.

 

Concentrazion di alcul tal sang : 0 gr/litro.
Sensazions : Tu as une set mostre.
Efiets : Bisugne che tu cjatis une ostarie viarte.

Concentrazion di alcul tal sang : 0,2 gr/ litro.
Sensazions : Ti par di sta za mior.
Efiets : Cul prin tai no si è mai sigurs.

Concentrazion di alcul tal sang : 0,4.
Sensazions : Al scomenze el divertiment.
Efiets : Le zornade si è indrezade.

Concentrazion di alcul tal sang : 0,5.
Sensazions : Si tache a sta ben.
Efiets : Ocjo che, di chi indevant, ti taconin la patente.

Concentrazion di alcul tal sang : 0,8.
Sensazions : Par tiare l’è dut smarit.
Efiets : Tu stas cjalant traviars el cul onzut de tazze.

Concentrazion di alcul tal sang : 1,5.
Sensazions : Pis cjalds e bagnas.
Efiets : Tu ti ses pissat intor.

Concentrazion di alcul tal sang : 3,0.
Sensazions : Le int ti fevele cu l’eco.
Efiets : No sta fa el mone : gjave le tazze de orele.

Concentrazion di alcul tal sang : 4,0.
Sensazions : Le to muse ti cjale e tu sintis puce di cul.
Efiets : Tu as el cjaf tal vater e tu ciris di butà fur.

Concentrazion di alcul tal sang : 6,0.
Sensazions : Le parintat ti cjale di brut.
Efiets : Tu as sbagliat cjase e tu as rote la claf te siaradure.

Concentrazion di alcul tal sang : 8,0
Sensazions : Le int jè vistude di blanc e tu sintis simpri le stesse musiche.
Efiets : Tu ses te ambulanze.

Le tabele no val par duc’.
Un al po vé 0,1 e viodi la Madone, un altri al po vé 10,0 e rivà a guidà l’apparechio. El fat al è che, dopo 0,5, ti taconin la patente!

Numero1507 (serie fino al Numero1501).

 

ACCIDENTI  AGLI ACCENTI

Io ce l’ho con gli accenti. Sì, con gli accenti sbagliati di parole pronunciate, sia della lingua Italiana (ma qui chi la conosce se ne accorge), sia, soprattutto, delle parole straniere. Quando chi parla vuole adoperare una parola in lingua straniera, dovrebbe avere il pudore e il buon gusto di informarsi per bene sulla  correttezza della pronuncia, sia per rispetto verso la lingua stessa, sia per evitare brutte figure. Ma, tant’è, troppo disinvoltamente si fa sfoggio di padronanza di vocaboli stranieri, per mostrare, ahimè, solo i limiti e le lacune delle proprie conoscenze linguistiche. Meglio sarebbe adoperare il sinonimo od omologo termine italiano, ove esista; qualora non ci sia, si adotti un giro di parole: la lingua Italiana ha tante e tali sfumature diverse nel proprio lessico. Ma la precaria attitudine linguistica, o la scarsa dotazione di vocaboli, (troppi Italiani conoscono malissimo la propria lingua), induce alla “scorciatoia” della parola straniera, che, fra l’altro, fa moda e distinzione. Tutto bene ma, dico io, purché, questa parola la si pronunci in modo corretto.

A proposito, voglio sottolineare il malvezzo, la pratica scorretta che la maggior parte degli Italiani adotta per accentare le parole. Quando un Italiano incontra una parola nuova, o poco adoperata, e non sa dove mettere l’accento, seguendo la propria, inveterata pigrizia mentale, ritrae il più possibile l’accento verso l’inizio della parola: così, non ci pensa più, e chi ha capito, ha capito. Se leggerete il seguito di questa serie, fate attenzione, in quante parole Inglesi l’accento (sbagliato) viene fatto cadere sulla terzultima sillaba.

Ricordo che le parole in Italiano possono essere:

tronche = quando l’accento cade sull’ultima sillaba (esempio: caf-fè);

piane = quando l’accento cade sulla penultima sillaba (esempio: ma-tì-ta);

sdrucciole = quando l’accento cade sulla terzultima sillaba (esempio: te-lè-fo-no);

bisdrucciole = quando l’accento cade sulla quartultima sillaba (esempio: cà-pi-ta-no).

 

Numero1502 (serie fino al Numero1501).

ACCIDENTI  AGLI  ACCENTI

Perfino sui cognomi ci sono delle curiose anomalie di pronuncia, di cui nessuno si accorge, nemmeno coloro che ne sono i portatori e, quindi, i diretti interessati. Mi vengono in mente 3 esempi.
Raiola è un cognome campano (Procida, Torre del Greco, Nocera inferiore, le zone di maggior diffusione). Gli appassionati di calcio hanno sicuramente sentito nominare Mino Raiola, che è considerato il re dei procuratori dei calciatori più importanti del calciomercato. Ebbene, tutti, dico tutti, gli addetti ai lavori, a cominciare dai giornalisti, pronunciano il suo cognome Ràiola, con l’accento sulla a. A parte la cacofonia (è veramente brutta una pronuncia del genere), non sono proprio sicuro che questa sia la esatta pronuncia. A me viene più giusto dire Raiòla, con l’accento sulla o. Mi conforta, nella mia ipotesi, una parola del dialetto (o lingua?) Napoletano: cajola che vuol dire gabbia. Ebbene questa parola, molto simile per assonanza, si pronuncia cajòla, con l’accento sulla o. Chissà?

Un’altra parola, che io non capisco perché venga pronunciata da tutti così, è il cognome Ligure/Lombardo Vergassola. È noto il personaggio di Dario Vergassola, comico, documentarista della TV e si conosceva, fino a qualche anno fa, anche un giocatore di calcio che porta lo stesso cognome. La pronuncia unanimemente diffusa di questo cognome è Vergàssola, con l’accento sulla a. Peccato, anche qui i miei dubbi vanno oltre la brutta scansione della accentazione. Vorrei dissertare, per un momento, sulla bellezza di certi cognomi Italiani, che hanno avuto origine dalle arti e dai mestieri dei nostri antenati, specialmente in epoca medievale, quando i cognomi venivano dati alle persone, anche in relazione al proprio lavoro o mestiere. In questo caso, esisteva sicuramente (esiste anche adesso), il calzolaio, o ciabattino, colui che fa le scarpe o le ripara. Una delle operazioni, nella confezione di una scarpa, è quella di applicare la tomaia alla suola. Per secoli questo si faceva cucendo, attraverso una serie di fori procurati da un punteruolo (la lesina) sulla suola, con uno spago (verga), reso impermeabile con una pece particolare, e prendendo dentro e fuori anche la tomaia.
Questa operazione si chiamava, forse si chiama anche adesso, “vergare la sola”(suola). E colui che faceva questo lavoro veniva chiamato “il verga sola”.
È chiaro a tutti, adesso, che una persona che faceva il calzolaio venisse individuato con il cognome di Verga(s)sola e che la pronuncia di tale cognome fosse Vergassòla, con l’accento sulla o. A me pare più romantico.

Un altro esempio di come gli stessi interessati non sappiano pronunciare il proprio cognome è quello di un calciatore centrocampista del Brescia (Serie B) il cui cognome è Sernicola. Ebbene, volete credere che durante la telecronaca di tutta la partita su SKY, il geniale telecronista ha chiamato questo calciatore col cognome Sernìcola (parola sdrucciola)e non Sernicòla (parola piana)? Il guitto non era a conoscenza del fatto storico che, nel Medio Evo, i Notai venissero chiamati con il predicato onorifico di “Ser”, per indicare la categoria e la funzione (un po’ come il “Don” per i nobili o per gli ecclesiastici). E che il Notaio Nicola veniva chiamato Ser Nicola e quindi l’accentazione era ben che scontata. Ma tant’è. Certi giornalisti, specialmente quelli giovani di oggi, oltre all’Italiano non conoscono neanche la Storia.

Infine, un aneddoto autobiografico, per dire come certi cognomi hanno dei significati (e anche delle pronunce) sconosciuti agli stessi che li portano.
Nei miei giri per l’Italia, mi capitò, un giorno, in compagnia di un rappresentante, di visitare un cliente, nella città di Lecco, che tuttora esiste ed è in attività: Ferrario & Aondio Arredamenti. Stavo parlando di lavoro, con il signor Aondio e, ad un certo punto del discorso gli chiesi, ne ero molto curioso, come mai il suo cognome veniva pronunciato, così come lo sentivo, Aòndio, con l’accento sulla o. Lui mi rispose che da generazioni veniva pronunciato così, che non si era mai posto il problema e che, comunque, non lo sapeva. Io gli chiesi il permesso di formulare un’ipotesi etimologica, per spiegare perché, secondo me, il suo cognome si doveva pronunciare Aondìo, con l’accento sulla i. Lui si dichiarò, bontà sua, molto curioso e interessato a saperlo, perché mai aveva sospettato che ci fosse un altro modo di chiamarlo per cognome.
La mia ipotesi fu, ed è, questa. Ho scartato, preliminarmente, l’ eventualità  di crasi (eliminazione interna) della b, per cui avrebbe potuto essere Abondio, perché la parola avrebbe avuto un senso compiuto come nome, per di più diffuso nella zona, quindi sarebbe rimasto Abondio o Abbondio, e non Aòndio.
Ho, invece, suggerito l’ipotesi che Aondìo, con l’accento sulla i, sarebbe la giusta pronuncia di una parola che proverrebbe da una locuzione “Va con Dio”, salvo la caduta consonantica sia della v iniziale che della c.
Vacondio era un cognome che, anticamente, veniva dato dai conventuali ai trovatelli, che venivano lasciati davanti ai sagrati delle chiese, alle porte dei conventi o dentro le ruote, appositamente installate, per impedire la morte per assideramento dei pargoletti abbandonati. Molti sono i cognomi che richiamano lo stato di abbandono e, quindi, la mancanza di genitorialità accertata. Ne ricordo alcuni:
Esposito, Ruotolo, Proietti, Innocenti, Diotaiuti, Degli Innocenti, Infascelli, Servodidio, Diotallevi, Ma ce ne sono diversi altri, magari modificati negli anni o storpiati, anche per dissimulare e camuffare l’etimologia originaria.
Quando un trovatello veniva dato in affidamento, doveva avere un nome e un cognome proprio. I fraticelli o le suorine si inventavano questi curiosi cognomi. Va’ con Dio, tutto attaccato Vacondio, era un cognome dall’espressione augurale, ma per distogliere l’attenzione dal suo significato, che costituiva sempre una vergogna sociale, venne modificato: Vacondìo divenne, un po’ alla volta, Aondìo, ma non bastava, perché, in qualche modo, si capiva ancora l’origine etimologica e semantica e, allora, si spostò l’accento, dalla i alla prima o dopo la A : Aòndio.
Il cliente, sorpreso e addirittura entusiasta di aver scoperto qualcosa che lo riguardava e non conosceva,, 
mi disse che avrebbe fatto fare delle indagini. Negli anni seguenti, aumentò di molto il fatturato.

 

Numero1501 (serie dal Numero1507).

ACCIDENTI  AGLI  ACCENTI

Istanbul : grande città della Turchia, ha un nome il cui suono viene da una locuzione  Greca e che significa “Città delle città”. Così i Greci chiamavano Costantinopoli, divenuta poi Bisanzio e, ora, Istanbul. Come si pronuncia?
Contrariamente a quello che pensano e dicono quasi tutti gli Italiani, che pronunciano Ìstanbul, con l’accento sulla I, si deve dire, invece, Istànbul, con l’accento sulla a. Rarissimo da sentire!

Un’altra curiosità, che io non ho mai capito e che pochi hanno notato è la parola Italiana Milan.
Milano, città Italiana, capitale morale e industriale del nostro paese, si pronuncia, chiaramente, con l’accento sulla a : Milàno. Gli stranieri, a parte i Tedeschi che la chiamano Mailand, si adeguano: gli Inglesi, i Francesi e gli Spagnoli la chiamano Milàn, ad esempio. Perfino i suoi abitanti, i Milanesi, la pronunciano con l’accento sulla a : Milàn l’è un gran Milàn.
Mi sapete spiegare perché la squadra di calcio di questa città si chiama Mìlan, con l’accento sulla i ?

Restando in ambito geografico, osserviamo come le vicende della storia possano determinare una curiosa danza di accenti in Florìda e Canadà, diventati, rispettivamente, Flòrida e Cànada.
Flòrida non è, come qualcuno potrebbe pensare, il femminile dell’aggettivo flòrido, ma è il nome spagnolo dato alla penisola americana dal suo scopritore, Juan Ponce de Leòn, che vi approdò il giorno della domenica delle Palme del 1513, giorno che gli Spagnoli chiamano “Pascua Florìda”, cioè Pasqua fiorita, così detto per la benedizione dei rami fioriti, invece dei tradizionali rami d’ulivo o di palma. Rimasto Spagnolo per tre secoli, quel territorio, dopo varie vicende, fu annesso agli Stati Uniti nel 1819, e i nuovi abitanti si guardarono bene dal cambiargli il nome: solo lo pronunciarono secondo le loro leggi fonetiche. Dunque, da Florìda a Flòrida.
Quanto a Canadà, la pronuncia tronca ripete quella Francese, perché tutto Francese era, in origine, quel territorio e, anche oggi, gli abitanti di lingua Francese sono numerosissimi. Anche qui, cambiata la dominazione e subentrati gli Inglesi, essi si limitarono a ritrarre l’accento: Cànada.
Il nome deriva ca “canada” o “canata”, nome dato alle loro “capanne” dalle popolazioni indigene. Come pronunciassero questo nome quei lontanissimi nativi non è dato saperlo. Atteniamoci alla pronuncia Inglese.

Chi non ha seguito in Tv la serie degli sceneggiati del commissario Montalbano? In diversi episodi, vengono nominati i Cuffaro e i Sinagra, nomi di due famiglie mafiose rivali della fantomatica cittadina di Vigata. Ebbene, in uno di questi episodi, in particolare, viene portata in ballo, coinvolta nella vicenda, la famiglia Cuffaro. E qui viene il bello! Come si pronuncia questo cognome? In diverse scene del filmato, compaiono il commissario Salvo Montalbano (Luca Zingaretti) e Fazio (Peppino Mazzotta), suo fedele collaboratore, che parlano tra loro nominando più e più volte il cognome incriminato.
Volete crederci? Montalbano pronunciava Cùffaro, con l’accento sulla u, mentre invece Fazio ribatteva, pronunciando la stessa parola Cuffàro, con l’accento sula a. Nello stesso dialogo e nella stessa inquadratura di  sceneggiatura. Ma parlavano della stessa persona (Antonino Cuffaro) o famiglia, oppure no? Certo che si capivano lo stesso! E questo in diversi ripetuti colloqui della puntata. Ma, non si potevano mettere d’accordo prima?

Per precisare, esiste nel dialetto Siciliano una parola ben nota, la “cuffa” che significa “cesta” e colui che fa, costruisce, confeziona la cuffa è “o cuffàro”, cioè il cestaro, o cestaio (toscanismo), con la desinenza “aro” o “aio”, come dicono i Toscani, che vuol dire “colui che fa, produce, lavora quell’oggetto o in quel sito di fabbricazione. Ad esempio: il “fornaro”, o “fornaio”, il “macellaro”, o “macellaio”, il “vasaro””, o “vasaio”, il “calzolaro”, o “calzolaio”, il “bottaro”, o “bottaio”. E via dicendo.
La pronuncia corretta sarebbe, anzi è: Cuffàro, con l’accento sulla a.
E rimandiamo a Settembre il commissario Dottor Salvo Montalbano!

Mi rivolgo, infine, ai miei corregionali, i Friulani, affinché prestino attenzione a come i nostri connazionali, tutti gli Italiani, pronunciano il nome della nostra regione “Friuli Venezia Giulia”. La parola “Friuli” viene, spesso, pronunciata con l’accento sulla i : “Frìuli”, anziché com’è corretto, “Friùli”, con l’accento sulla u.

Senza andare tanto lontano, in Veneto, particolarmente nel Trevigiano, l’accentazione sbagliata è comunissima.

Noi , però, non ci sogneremmo mai di dire: Venèto o Lombàrdia.

Numero1495.

A  CHE  TI SERVE?

A che ti serve essere alto,
se poi non sei all’altezza?

Oppure essere bello,
se dentro di te non c’è bellezza?

A che ti servono i soldi,
se non conosci la ricchezza?

Oppure avere cento diplomi,
se ti manca la saggezza?

A che ti serve una gran casa,
ma non c’è nessuno che l’apprezza?

Oppure tanta gente intorno,
ma nemmeno …..una carezza?