PER PAURA DI MORIRE
NON PUOI RINUNCIARE A VIVERE.
Cosa ci insegna la vita… testamento spirituale di un libero pensatore
PER PAURA DI MORIRE
NON PUOI RINUNCIARE A VIVERE.
Ricevo da Efrem, amico recente, ma assiduo e competente lettore, questo contributo che apprezzo molto, senza piaggeria.
Un pensiero di Joel Dieker tratto dal romanzo “L’enigma della camera 622”.
“….La vita è un romanzo di cui si conosce già la fine: il protagonista muore.
La cosa più importante, in fondo, non è come va a finire,
ma in che modo ne riempiamo le pagine.”
N.d.R. : Non mi rimane che ribadire il concetto:
La vita è un morso
e conta solo
ciò che provi
mentre mordi.
Il resto è un torso.
R I F L E S S I O N I
L’altro giorno, una ragazza giovane mi ha chiesto:
“Cosa provi nell’essere vecchia?”
Mi ha sorpreso molto la domanda,
dato che non mi sono mai ritenuta vecchia.
La ragazza, vista la mia reazione,
immediatamente si è dispiaciuta, però
le ho spiegato che era una domanda interessante.
E poi ho riflettuto, ho pensato
che invecchiare è un regalo.
A volte mi sorprende la persona che vedo
nel mio specchio. Ma non mi preoccupo
di lei da molto tempo.
Io non cambierei nulla di quello che ho
per qualche ruga in meno e un ventre piatto.
Non mi rimprovero più perché
non mi piace riassettare il letto,
o perché non mangio alcune “cose”.
Mi sento finalmente nel mio diritto
di essere disordinata, stravagante
e trascorrere le mie ore contemplando i fiori.
Ho visto alcuni cari amici andarsene
da questo mondo, prima di aver goduto
della libertà che viene con l’invecchiare.
A chi interessa se scelgo di leggere
o giocare sul computer fino alle quattro
del mattino e poi dormire fino a chissà che ora?
A chi interessa se ballo da sola ascoltando
la musica anni 60? E se dopo voglio
piangere per un amore perduto?
E se cammino sulla spiaggia in costume da bagno,
portando a spasso il mio corpo paffuto
e mi tuffo fra le onde lasciandomi cullare,
nonostante gli sguardi di quelle
che indossano ancora il bikini:
saranno vecchie anche loro se avranno fortuna.
È vero che negli anni il mio cuore ha sofferto
per la perdita di una persona cara, ma
è la sofferenza che ci dà forza e ci fa crescere.
Un cuore che non si è rotto è sterile e non
saprà mai della felicità di essere imperfetto.
Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza
per far ingrigire i miei capelli e per conservare
il sorriso della mia giovinezza, di quando ancora
non c’erano solchi profondi sul mio viso.
Quindi, per rispondere alla domanda con sincerità,
posso dire che mi piace essere vecchia,
perché la vecchiaia mi rende più saggia, più libera!
So che non vivrò per sempre, ma mentre sono qui,
voglio vivere secondo le mie leggi, quelle del mio cuore.
Non voglio lamentarmi per ciò che non è stato,
né preoccuparmi di quello che sarà.
Nel tempo che rimane, semplicemente amerò
la vita come ho fatto fino ad oggi,
il resto lo lascio a Dio.
A N Z I A N O
ANZIANO = Uomo di una certa età, non ben definibile.
C’è chi è anziano a 60 anni, chi a 70, chi, ancora, a 80, nel qual caso è più pertinente il termine “vecchio”.
ANZI …. ANO = Uomo di una certa età, che ha avuto il “culo” di raggiungerla in buone condizioni di salute.
ANZI …. NO = Uomo di una certa età che è ancora vitale, vigoroso, voglioso.
L’età anagrafica e l’età fisiologica sono, per fortuna, poco coincidenti. È un dato di fatto che ci sono giovani già “vecchi” e vecchi ancora “giovani” o giovanili.
Siete curiosi di sapere a quale delle categorie sopra specificate, ritiene di appartenere chi scrive?
Resterete delusi: lui non lo dirà mai, neanche sotto tortura.
Charles Aznavour
I E R I S Ì (Hier encore) 1970 Testo italiano di Alberto Testa – Mogol.
Ieri sì, da giovane
Il gusto della vita, io lo bruciavo in me
Oh, ieri sí, quand’ero giovane, perché
La fiamma trema un po’, ma non si spegne mai
Vivevo tutti i sogni che il cuore suggeriva
Avevo dei castelli che ora non ho più
La notte, poi, cercavo il sole intorno a me
E non vedevo il tempo consumarsi con me
Ieri sì, da giovane,
cantavo le canzoni più facili per me
e, nelle mie mani, Io credevo che
ci fosse già il filo dell’eternità
Io non chiedevo mai agli altri intorno a me
Qual è la verità, la vita che cos’è
Credevo nelle cose che dicevo io
Pensavo solo a me, e a tutto il resto no
Ieri sì, da giovane
La luce di ogni giorno portava una pazzia
La forza dell’età riempiva i giorni miei
E non vedevo mai il vuoto che c’è in lei
I giochi dell’amore, io li ho giocati tutti
Ho fatto dell’orgoglio la prima mia virtù
Gli amici sono andati, non torneranno più
La mia commedia, ormai, da solo finirò
Ho ancora una canzone, ma non la canterò
Il gusto della vita, non lo ritroverò
É il tempo di pagare gli errori miei di ieri
Da giovane
L A M E Z Z A E T Å
Mezz’età è
quando hai
ancora voglia
di qualcosa,
ma poi non ti
ricordi di cosa.
Mezz’età è quando
vorresti fare della
ginnastica,
ma ci dormi su,
sperando che ti
passi la voglia.
Mezz’età è
quando il medico
ti consiglia di
fare degli esercizi
all’aria aperta….
e tu sali in macchina
e guidi col
finestrino aperto.
Mezz’età è quando cominci
a spegnere le luci
per questioni di economia
e non per incoraggiare un
avvicinamento romantico….
Nella mezz’età le cene
a lume di candela….
altro che romantiche!
Non riesci a leggere
il menù!
Mezz’età è quando,
invece di pettinarti,
cominci ad “accomodarti”
i capelli che ti rimangono.
Infanzia: epoca della vita
in cui facciamo delle smorfie
davanti allo specchio.
Mezz’età: epoca della vita
in cui lo specchio si vendica.
Sai di essere nella mezz’età
quando tutto quello che
Madre Natura ti ha dato,
Padre Tempo comincia
a riprenderselo.
Mezz’età è quando
smettiamo di criticare
la generazione più vecchia
e cominciamo a criticare
la generazione più giovane.
Mezz’età è quando
non abbiamo più l’età
per dare dei cattivi
esempi e ….passiamo
a dare dei buoni consigli….
(di cui tutti ridono a crepapelle).
Mezz’età è
quando
sappiamo
tutte le
risposte….
ma nessuno ci
chiede più nulla.
Nulla possiamo
davanti al
nascere o
al morire;
l’unica cosa che
possiamo fare
è assaporare
l’ “intervallo”.
Ci sono tre età
nella vita:
infanzia,
giovinezza e….
“ma come ti trovo bene!”.
Sei nell’età di mezzo?
Coraggio!
Il peggio deve ancora venire!
POESIOLA DI CAPODANNO
Molti amici mi hanno chiesto
“Che farai a Capodanno?”
Ho pensato e detto questo:
“Alla fine di quest’anno,
sai che c’è? È che m’intriga,
beh, …. di schioccare le dita,
come augurio che la sfiga
veramente sia finita.”
Buon Anno a tutti!
.
Monologo del protagonista Renzo Nervi, pittore, nel film IL MIO CAPOLAVORO per la regia di Gaston Duprat (Spagna/Argentina 2018).
“Se state vedendo questo video, vuol dire che sono morto.
Sono nato nell’anno 332 dopo Rembrandt. Io conto a partire da Rembrandt che fu un genio e non da Cristo, che fu solo uno svitato.
Perché lavorate? Per comprare delle cose? Per andare in vacanza?
La schiavitù non è finita. Ora si chiama lavoro.
Beh, studiare e andare all’Università è inutile, perché, se sei colto, sei doppiamente ignorante.
Purtroppo, non c’è soluzione, perché, quando un paese intero tiene il culo su un divano davanti a una televisione per osannare 22 milionari che corrono dietro ad una palla, non c’è speranza.
Le ideologie ormai non esistono. Esiste l’uomo; l’uomo che, concreto, si comporta in questo o in quel modo.
L’uomo non proviene da una scimmia, l’uomo è una scimmia, sì, una scimmia che sta in piedi e caga seduta.
E adesso, la cosa più importante di tutte. Sono talmente pessimista che sono ottimista, perché gli estremi si incontrano. E il freddo brucia.
Andate tutti a farvi fottere.
Ciao.”
La vita è una favola vuota
raccontata da un idiota.
Da un monologo di Gigi Proietti (Edmund Kean di Raymond FitzSimmons)
Nello scambio degli auguri di Natale, mi è arrivato da un amico questo messaggio che ho girato, a mia volta, a tutti i miei conoscenti, familiari e amici. Ho pensato che vale la pena di pubblicarla anche sul BLOG perché ….. lo giudicherete voi.
“Ho letto degli auguri bellissimi e voglio condividerli con voi:
Verrà il giorno in cui, nella tasca interna di una giacca, dentro la tasca interna di una borsa o nel portaoggetti dell’auto, ritroveremo, dimenticata, una vecchia mascherina sgualcita.
Guardandola, la strofineremo tra le mani come per assicurarci di aver davvero vissuto quel lungo incubo.
Mentre chiuderemo le nostre mani, accartocciando quei ricordi lontani, respireremo profondamente liberi per sottolineare a noi stessi quant’è bella la vita.”
A N Z I A N I N E L 2 0 2 0
Liberamente ispirato da un articolo della scrittrice Lidia Ravera.
Cinquant’anni fa, ad ogni persona che aveva più di 65 anni, ne corrispondevano 4 con meno di 25 anni.
Oggi il rapporto è di uno a uno. Oggi noi, over 65, siamo numerosi come non siamo mai stati. Loro, gli under 25, non sono mai stati così pochi.
Da quando la pandemia ci ha costretti a pensare alla malattia, all’ospedalizzazione e alla morte, con la stessa frequenza con cui, una volta, si pensava ai viaggi, alle vacanze, a organizzare una memorabile serata di pizza e cinema, noi “anziani” ( metto le virgolette perché la parola non mi piace) viviamo un’esperienza inutilmente depressiva. Ci sentiamo superflui: “Se ci siete bene, se non ci siete più fa lo stesso”. Tanto, di vita ve ne rimane comunque poca. Tanto, siete in pensione. Tanto, non siete più né fertili né produttivi.
Ci hanno detto più volte, nel corso di questo sciagurato 2020, che non dovevamo uscire di casa, perché, se ci fossimo ammalati, avrebbero scelto di curare persone più giovani. Non dovevamo uscire di casa perché eravamo fragili, e i fragili è meglio se si levano dai piedi. È meglio se non intralciano la vita difficile dei forti. Ci hanno detto che il virus cavalca sui corpi robusti dei giovani, ma poi si scarica, come un fulmine, su quelli usurati dei vecchi. Ci hanno fatto sentire in pericolo, ma anche in scadenza, quasi fossimo una specie particolarissima di “persone – alimenti”, con la data di scadenza sulla confezione, oltre la quale vanno depositate nelle apposite discariche.
È stata dura mantenere quel minimo comune buonumore che ci permette di vivere. Ce l’abbiamo fatta? Lo chiedo a voi. Ce l’avete fatta?
Adesso, dopo mesi di conteggio dei morti e dei contagi, dopo che ho passato – come tutti – quasi un anno a considerare gli altri esseri umani come portatori di rischio da tenere a distanza, come si fa a progettare la piccola felicità di un incontro? Come ci si può nutrire la vita con il nettare della curiosità?
Come si fa a vivere
in compagnia di un’assenza?
Dopo aver imparato a vivere,
imparerò a morire.
Questa vita sospesa
ci sta insegnando quanto
sia preziosa la normalità.
La paura non impedisce la morte,
impedisce la vita.
L’arte lava via
dalle nostre anime
la polvere della vita
di tutti i giorni.
Pablo Picasso