Numero2149.

 

Ricevo da Efrem, amico recente, ma assiduo e competente lettore, questo contributo che apprezzo molto, senza piaggeria.

 

Un pensiero di Joel Dieker tratto dal romanzo “L’enigma della camera 622”.

“….La vita è un romanzo di cui si conosce già la fine: il protagonista muore.
La cosa più importante, in fondo, non è come va a finire,
ma in che modo ne riempiamo le pagine.”

 

N.d.R. : Non mi rimane che ribadire il concetto:

La vita è un morso
e conta solo
ciò che provi
mentre mordi.
Il resto è un torso.

 

Numero2148.

 

R I F L E S S I O N I

 

L’altro giorno, una ragazza giovane mi ha chiesto:

“Cosa provi nell’essere vecchia?”

Mi ha sorpreso molto la domanda,

dato che non mi sono mai ritenuta vecchia.

La ragazza, vista la mia reazione,

immediatamente si è dispiaciuta, però

le ho spiegato che era una domanda interessante.

E poi ho riflettuto, ho pensato

che invecchiare è un regalo.

A volte mi sorprende la persona che vedo

nel mio specchio. Ma non mi preoccupo

di lei da molto tempo.

Io non cambierei nulla di quello che ho

per qualche ruga in meno e un ventre piatto.

Non mi rimprovero più perché

non mi piace riassettare il letto,

o perché non mangio alcune “cose”.

Mi sento finalmente nel mio diritto

di essere disordinata, stravagante

e trascorrere le mie ore contemplando i fiori.

Ho visto alcuni cari amici andarsene

da questo mondo, prima di aver goduto

della libertà che viene con l’invecchiare.

A chi interessa se scelgo di leggere

o giocare sul computer fino  alle quattro

del mattino e poi dormire fino a chissà che ora?

A chi interessa se ballo da sola ascoltando

la musica anni 60? E se dopo voglio

piangere per un amore perduto?

E se cammino sulla spiaggia in costume da bagno,

portando a spasso  il mio corpo paffuto

e mi tuffo fra le onde lasciandomi  cullare,

nonostante gli sguardi di quelle

che indossano ancora il bikini:

saranno vecchie anche loro se avranno fortuna.

È vero che negli anni il mio cuore ha sofferto

per la perdita di una persona cara, ma

è la sofferenza  che ci dà forza e ci fa crescere.

Un cuore che non si è rotto è sterile e non

saprà mai della felicità di essere imperfetto.

Sono orgogliosa di aver vissuto abbastanza

per far ingrigire i miei capelli e per conservare

il sorriso della mia giovinezza, di quando ancora

non c’erano solchi profondi sul mio viso.

Quindi, per rispondere alla domanda con sincerità,

posso dire che mi piace essere vecchia,

perché la vecchiaia mi rende più saggia, più libera!

So che non vivrò per sempre, ma mentre sono qui,

voglio vivere secondo le mie leggi, quelle del mio cuore.

Non voglio lamentarmi per ciò che non è stato,

né preoccuparmi di quello che sarà.

Nel tempo che rimane, semplicemente amerò

la vita come ho fatto fino ad oggi,

il resto lo lascio a Dio.

Numero2139.

 

A N Z I A N O

 

ANZIANO = Uomo di una certa età, non ben definibile.
C’è chi è anziano a 60 anni, chi a 70, chi, ancora, a 80, nel qual caso è più pertinente il termine “vecchio”.

ANZI …. ANO = Uomo di una certa età, che ha avuto il “culo” di raggiungerla in buone condizioni di salute.

ANZI …. NO = Uomo di una certa età che è ancora vitale, vigoroso, voglioso.

 

L’età anagrafica e l’età fisiologica sono, per fortuna, poco coincidenti. È un dato di fatto che ci sono giovani già “vecchi” e vecchi ancora “giovani” o giovanili.

Siete curiosi di sapere a quale delle categorie sopra specificate, ritiene di appartenere chi scrive?
Resterete delusi: lui non lo dirà mai, neanche sotto tortura.

Numero2138.

 

Charles Aznavour

 

I E R I   S Ì                                        (Hier encore)  1970             Testo italiano di Alberto Testa – Mogol.

 

Ieri sì, da giovane
Il gusto della vita, io lo bruciavo in me
Oh, ieri sí, quand’ero giovane, perché
La fiamma trema un po’, ma non si spegne mai

Vivevo tutti i sogni che il cuore suggeriva
Avevo dei castelli che ora non ho più
La notte, poi, cercavo il sole intorno a me
E non vedevo il tempo consumarsi con me

Ieri sì, da giovane,
cantavo le canzoni più facili per me
e, nelle mie mani, Io credevo che
ci fosse già il filo dell’eternità

Io non chiedevo mai agli altri intorno a me
Qual è la verità, la vita che cos’è
Credevo nelle cose che dicevo io
Pensavo solo a me, e a tutto il resto no

Ieri sì, da giovane
La luce di ogni giorno portava una pazzia
La forza dell’età riempiva i giorni miei
E non vedevo mai il vuoto che c’è in lei

I giochi dell’amore, io li ho giocati tutti
Ho fatto dell’orgoglio la prima mia virtù
Gli amici sono andati, non torneranno più
La mia commedia, ormai, da solo finirò

Ho ancora una canzone, ma non la canterò
Il gusto della vita, non lo ritroverò
É il tempo di pagare gli errori miei di ieri
Da giovane

N.d.R. : …. è troppo scontato appropriarsi, per identificazione, del paradigma di questa canzone/poesia, il cui testo italiano è stato elaborato egregiamente da due dei migliori parolieri italiani. Il contenuto si addice, come “copia/incolla” alla vita di ciascuno di noi e, inevitabilmente, fa scaturire suggestioni di struggente malinconia.

Numero2136.

 

L A   M E Z Z A   E T Å

 

Mezz’età è

quando hai

ancora voglia

di qualcosa,

ma poi non ti

ricordi di cosa.

 

Mezz’età è quando

vorresti fare della

ginnastica,

ma ci dormi su,

sperando che ti

passi  la voglia.

 

Mezz’età è

quando il medico

ti consiglia di

fare degli esercizi

all’aria aperta….

e tu sali in macchina

e guidi col

finestrino aperto.

 

Mezz’età è quando cominci

a spegnere le luci

per questioni di economia

e non per incoraggiare un

avvicinamento romantico….

 

Nella mezz’età le cene

a lume di candela….

altro che romantiche!

Non riesci a leggere

il menù!

 

Mezz’età è quando,

invece di pettinarti,

cominci ad “accomodarti”

i capelli che ti rimangono.

 

Infanzia: epoca della vita

in cui facciamo delle smorfie

davanti allo specchio.

Mezz’età: epoca della vita

in cui lo specchio si vendica.

 

Sai di essere nella mezz’età

quando tutto quello che

Madre Natura ti ha dato,

Padre Tempo comincia

a riprenderselo.

 

Mezz’età è quando

smettiamo di criticare

la generazione più vecchia

e cominciamo a criticare

la generazione più giovane.

 

Mezz’età è quando

non abbiamo più l’età

per dare dei cattivi

esempi e ….passiamo

a dare dei buoni consigli….

(di cui tutti ridono a crepapelle).

 

Mezz’età è

quando

sappiamo

tutte le

risposte….

ma nessuno ci

chiede più nulla.

 

Nulla possiamo

davanti al

nascere o

al morire;

l’unica cosa che

possiamo fare

è assaporare

l’ “intervallo”.

 

Ci sono tre età

nella vita:

infanzia,

giovinezza e….

“ma come ti trovo bene!”.

 

Sei nell’età di mezzo?

Coraggio!

Il peggio deve ancora venire!

 

 

 

 

Numero2130.

.

Monologo del protagonista Renzo Nervi, pittore, nel film IL MIO CAPOLAVORO per la regia di Gaston Duprat (Spagna/Argentina 2018).

 

“Se state vedendo questo video, vuol dire che sono morto.

Sono nato nell’anno 332 dopo Rembrandt. Io conto a partire da Rembrandt che fu un genio e non da Cristo, che fu solo uno svitato.
Perché lavorate? Per comprare delle cose? Per andare in vacanza?
La schiavitù non è finita. Ora si chiama lavoro.
Beh, studiare e andare all’Università è inutile, perché, se sei colto, sei doppiamente ignorante.
Purtroppo, non c’è soluzione, perché, quando un paese intero tiene il culo su un divano davanti a una televisione per osannare 22 milionari che corrono dietro ad una palla, non c’è speranza.
Le ideologie ormai non esistono. Esiste l’uomo; l’uomo che, concreto, si comporta in questo o in quel modo.
L’uomo non proviene da una scimmia, l’uomo è una scimmia, sì, una scimmia che sta in piedi e caga seduta.
E adesso, la cosa più importante di tutte. Sono talmente pessimista che sono ottimista, perché gli estremi si incontrano. E il freddo brucia.
Andate tutti a farvi fottere.
Ciao.”

Numero2127

 

Nello scambio degli auguri di Natale, mi è arrivato da un amico questo messaggio che ho girato, a mia volta, a tutti i miei conoscenti, familiari e amici. Ho pensato che vale la pena di pubblicarla anche sul BLOG perché ….. lo giudicherete voi.

“Ho letto degli auguri bellissimi e voglio condividerli con voi:

Verrà il giorno in cui, nella tasca interna di una giacca, dentro la tasca interna di una borsa o nel portaoggetti dell’auto, ritroveremo, dimenticata, una vecchia mascherina sgualcita.
Guardandola, la strofineremo tra le mani come per assicurarci di aver davvero vissuto quel lungo incubo.
Mentre chiuderemo le nostre mani, accartocciando quei ricordi lontani, respireremo profondamente liberi per sottolineare a noi stessi quant’è bella la vita.”

 

Numero2116.

 

A N Z I A N I   N E L   2 0 2 0

 

Liberamente ispirato da un articolo della scrittrice Lidia Ravera.

 

Cinquant’anni fa, ad ogni persona che aveva più di 65 anni, ne corrispondevano 4 con meno di 25 anni.
Oggi il rapporto è di uno a uno. Oggi noi, over 65, siamo numerosi come non siamo mai stati. Loro, gli under 25, non sono mai stati così pochi.

Da quando la pandemia ci ha costretti a pensare alla malattia, all’ospedalizzazione e alla morte, con la stessa frequenza con cui, una volta, si pensava ai viaggi, alle vacanze, a organizzare una memorabile serata di pizza e cinema, noi “anziani” ( metto le virgolette perché la parola non mi piace) viviamo un’esperienza inutilmente depressiva. Ci sentiamo superflui: “Se ci siete bene, se non ci siete più fa lo stesso”. Tanto, di vita ve ne rimane comunque poca. Tanto, siete in pensione. Tanto, non siete più né fertili né produttivi.

Ci hanno detto più volte, nel corso di questo sciagurato 2020, che non dovevamo uscire di casa, perché, se ci fossimo ammalati, avrebbero scelto di curare persone più giovani. Non dovevamo uscire di casa perché eravamo fragili, e i fragili è meglio se si levano dai piedi. È meglio se non intralciano la vita difficile dei forti. Ci hanno detto che il virus cavalca sui corpi robusti dei giovani, ma poi si scarica, come un fulmine, su quelli usurati dei vecchi. Ci hanno fatto sentire in pericolo, ma anche in scadenza, quasi fossimo una specie particolarissima di “persone – alimenti”, con la data di scadenza sulla confezione, oltre la quale vanno depositate nelle apposite discariche.

È stata dura mantenere quel minimo comune buonumore che ci permette di vivere. Ce l’abbiamo fatta? Lo chiedo a voi. Ce l’avete fatta?
Adesso, dopo mesi di conteggio dei morti e dei contagi, dopo che ho passato – come tutti – quasi un anno a considerare gli altri esseri umani come portatori di rischio da tenere a distanza, come si fa a progettare la piccola felicità di un incontro? Come ci si può nutrire la vita con il nettare della curiosità?