Numero2680.

 

da  QUORA    di  Gennaro Sannino

 

COME  CI  SI  SENTE  AD  ESSERE  MOLTO  VECCHI  E  CON  LA  CONSAPEVOLEZZA  CHE  PRESTO  SI  MORIRÂ ?

 

Io non mi sento estremamente vecchio ( ho 73 anni ) eppure una stranezza l’avverto. Io avevo più paura di morire quando ero giovane che adesso . Non mi spiego il motivo ( o forse il motivo lo conosco ma non lo capisco ). Alla mia età avverto anche il peso di tutto quello che ho vissuto: i ricordi belli ma, ancora di più, i ricordi brutti (che spesso nei sogni compaiono ), inganni e cattiverie ricevute che da giovane non pensavo che potessero esistere . Si diventa anche un poco sclerotici perché non sopportiamo più le cose del passato e non capiamo perché bisogna avere ancora pazienza . Poi curo una malattia e ne esce un’ altra e sembra che la guarigione completa sia una qualità perduta per sempre . Puoi anche aggiungere che nella vita si vive meglio quando hai degli obiettivi da raggiungere e sei gratificato quando li raggiungi. Ma io non lavoro …i miei figli stanno bene …ho la mia casa …il mio piccolo problema è dove posso trascorrere la prossima vacanza . Allora tu pensi al tuo futuro che non ti porta nulla …quello che volevi ce l’hai già, oppure non l’hai raggiunto, ma non hai il tempo per averlo . Hai la sensazione che la morte sia soltanto un aspetto della vita a cui tutti ci dobbiamo rassegnare. Allora si vive bene per oggi e quello che verrà domani non ci interessa, neanche la morte !

 

 

Numero2663.

 

D E D I C A T A   A   R I T A …… R I C O R D A N D O

 

TRENI:

«La vita è fatta di treni.
Treni che si fermano accanto a noi
ma non sappiamo se salire o meno,
treni che sfrecciano veloci ma non
abbiamo il coraggio di fermare.
Treni che ci chiudono le porte in
faccia e se ne vanno senza di noi
lasciandoci dentro il sapore amaro
del dubbio di come sarebbe stato salirci.
E treni sui quali saliamo, nostro malgrado,
per paura che la vita ci lasci a piedi».

– Giorgio Faletti –

Numero2524.

 

Fra le carte di vecchi ricordi, ho ritrovato questa poesia che, anche adesso, mi ha fatto piangere.
Parla della tragedia del terremoto che ha colpito il Friuli il 6 Maggio 1976.

 

Donje Glemone il 13 di Maj 1976.

 

PUAR  FRIUL …. CE CURTISADE

 

Ce tant biel che lu ài viodut,
ce di cur che lu ài cjalat:
e cumò l’è sucedut
che lu cjati dut sdrumat.

Ce dolor, ce tante pene,
ce tanc’ muarz, tant tribulà.
Sint il cur che mi sdrondene,
che s’ingrope, al ‘ul scjampà.

Ma cemut mari nature
ae podut dà tant dolor
a chei fìis che, cun gran cure,
àn cerut di fale mior?

O crodevi che la uere
mi vess zà mostrat dut quant;
mentri invesit, no jè vere:
chi il dolor l’è tant plui grant.

Ciar Friul, ce curtisade
che ti àn dat in plen tal cur:
ogni cjase insanganade
che soffris’, che vai, che mur.

Ma i toi fìis son chi che cjalin
che ti prein di no murì.
Tenju dongje, che no falin,
che ti fasin rinvignì.

Su Furlan, dati coragjo
tal scombati e sapuartà;
sarà chest il ver omagjo
pai Furlans za las di là.

Suje i voi, torne scomence,
torne sude, met adun.
Il paìis nol pò sta cence:
come te no l’à nissun.

E il Signor, s’a l’è seren,
cu la pas e caritat,
l’à il dovè di oreti ben,
a ti lassi tirà flat.

Parcé un presit tant salat
son ben pos’ che lu àn pajat.

 

LEANDRO  DI  BARBORA.

 

Mi rendo conto che il Friulano non è facile e comprensibile per tutti. A seguito della esortazione di alcuni, ho qui sotto riportato una traduzione quasi letterale e, ovviamente, non in rima.

 

Vicino a Gemona, il 13 di Maggio 1976.

 

P O V E R O    F R I U L I …. C H E    C O L T E L L A T A.

 

Come l’ho visto tanto bello
come l’ho guardato con amore:
e adesso è accaduto
che lo trovo tutto distrutto.

Che dolore, che tanta pena,
quanti morti, che sofferenza.
Sento il cuore che sussulta
che si stringe, vuole scappare.

Ma come madre natura
ha potuto dare tanto dolore
a questi figli che, con gran cura,
hanno cercato di renderla migliore?

Credevo che la guerra
mi avesse già mostrato tutto quanto;
mentre invece non è vero:
qui il dolore è tanto più grande.

Caro Friuli, che coltellata
che ti hanno dato in pieno nel cuore:
ogni casa insanguinata
che soffre, che piange, che muore.

Ma i tuoi figli son qui che guardano,
che ti pregano di non morire.
Tienili vicino, che non desistano,
che ti facciano rifiorire.

Su Friulano, fatti coraggio
per lottare e sopportare,
sarà questo il vero omaggio
per i Friulani già andati all’aldilà.

Asciuga gli occhi, torna a cominciare,
torna a sudare, ricomponi ogni cosa.
Il paese non può stare senza,
come te non ha nessuno.

E il Signore, se è giusto,
con la pace e la carità,
ha il dovere di volerti bene
e di lasciarti tirare il fiato.

Perché un prezzo tanto salato
ci sono ben pochi che l’hanno pagato.

 

Numero2487.

 

I L    P A D R E    E T E R N O

 

Figlio mio, perdonami, purtroppo

io non sono un padre eterno,

e nemmeno un bolso supereroe,

ma solo un frammento di infinito

che si è incarnato, non per caso,

dando vita a te e ai tuoi sogni.

Questa mia vita sta finendo:

cogline il germe dell’eternità

nel bene che noi ci vogliamo,

strappa brandelli di luce,

come stelle dal buco nero

nascosto nell’universo immoto,

e fugaci attimi di pensiero

beneagurante e grato

nel brivido  del nostro sentire.

Forse, almeno nel tuo ricordo,

ci sia la mia piccola eternità.

Mi basta: la porterò con me.

Numero2255.

 

6 Novembre 2021

 

A N N I V E R S A R I O

 

Il giorno 6 del mese di Novembre del 2018, cioè tre anni fa, nasceva questo BLOG.
Colgo questa occasione per fare gli auguri di Buon Anniversario al BLOG, a me stesso, e dire il mio grazie di cuore a tutti coloro che mi hanno gratificato e onorato della loro presenza come seguaci ( i followers sono un’altra cosa), ai più o meno assidui lettori che hanno dedicato un po’ del loro tempo, non solo alla semplice lettura, ma anche alla partecipazione con commenti che ho sempre, immancabilmente e volentieri, pubblicato. Ad maiora.

Numero2127

 

Nello scambio degli auguri di Natale, mi è arrivato da un amico questo messaggio che ho girato, a mia volta, a tutti i miei conoscenti, familiari e amici. Ho pensato che vale la pena di pubblicarla anche sul BLOG perché ….. lo giudicherete voi.

“Ho letto degli auguri bellissimi e voglio condividerli con voi:

Verrà il giorno in cui, nella tasca interna di una giacca, dentro la tasca interna di una borsa o nel portaoggetti dell’auto, ritroveremo, dimenticata, una vecchia mascherina sgualcita.
Guardandola, la strofineremo tra le mani come per assicurarci di aver davvero vissuto quel lungo incubo.
Mentre chiuderemo le nostre mani, accartocciando quei ricordi lontani, respireremo profondamente liberi per sottolineare a noi stessi quant’è bella la vita.”

 

Numero2045.

 

T H E   S C A R S.

 

Don’t ever be ashamed of the scars life has left you with.

A scar means you conquered the pain, learned a lesson, grew stronger and moved forward.

A scar is the tattoo of a triumph to be proud of.

Don’t allow your scars to hold you hostage.

Don’t allow them to make you live your life in fear.

You can’t make the scars in your life disappear, but you can change the way you see them.

You can start seeing your scars as a sign of strenght and not of pain.

 

L E   C I C A T R I C I

 

Non vergognarti mai delle cicatrici che la vita ti ha lasciato.

Una cicatrice significa che hai vinto il dolore, hai imparato una lezione, sei diventato più forte e sei andato avanti.

Una cicatrice è il tatuaggio di un trionfo di cui essere orgogliosi.

Non permettere alle tue cicatrici di tenerti in ostaggio.

Non permettere che ti facciano vivere la tua vita nella paura.

Non puoi far sparire le cicatrici della tua vita, ma puoi cambiare il modo in cui le vedi.

Puoi iniziare a vedere le tue cicatrici come un segno di forza e non di dolore.

Numero1636.

IN  MORTE  DI  UN  AMICO.

Questo  è un panegirico in memoria di un amico, che lui non avrebbe, in vita, mai voluto.

Nella prima mattinata di martedì 3 di Settembre 2019, all’età di 84 anni, muore, in una stanza dell’Ospedale di Udine, dopo poco più di un mese di ingravescente decadimento fisico, un nostro caro amico, Italo Bianchi.

Conto di leggere queste parole davanti alla cerchia di amici del Tennis Club di Martignacco, alla prima occasione di raduno conviviale, per ricordarne la figura indimenticabile.

Caro Italo,

siamo riuniti qui, attorno ad un tavolo, come facciamo sempre nel dopo partita del giovedì. Ci siamo quasi tutti, per bere assieme un paio di bicchieri di vino bianco e fare quattro chiacchiere. Manchi solo tu. E ci mancherai per sempre. Ci mancheranno le tue terrine di pomodori e cetrioli con la cipolla, le tue squisite patate con il prezzemolo e l’erba cipollina, i tuoi friarielli dallo straordinario sapore, tutta roba del tuo orto. E poi i funghi e poi le uova, e poi la lepre con la polenta di Silvano, e poi il fagiano che portava Arturo, e poi le tante altre cose che ci facevi trovare, in silenzio, senza clamore, per puro spirito di buona compagnia, per creare un clima di convivialità con una bevuta di buon vino e un’ora di discorsi. Ma ci mancherai soprattutto tu, amico nostro e di tutti. Tu, che non ci facevi mancare nulla. Zitto zitto, assieme alle verdure e alle cibarie, portavi anche le stoviglie di plastica, o le forchettine,  gli stuzzicadenti e i tovaglioli di carta. E preparavi i piatti, e tagliavi il formaggio e il salame ed il pane e portavi in tavola e sparecchiavi. Facevi da cuoco, da cameriere, da uomo delle pulizie. Un servizio oscuro, di basso profilo, che solo un’animo nobile e docile poteva fornire. Solo adesso che non ci sei più, ci rendiamo conto del bene che avevamo da te e con te. Ancora, ci portavi le verdure e gli ortaggi del terreno che coltivavi con le tue mani e le uova fresche e le susine appena colte dall’albero o il tarassaco tagliato là fuori, a schiena curva, nel campo.
Nel mio garage, c’è una cassetta di plastica nera, l’ultima che mi hai portato piena di verdurine ben separate e chiuse nei sacchetti. Nelle ultime, recenti settimane, ogni giovedì mattina la mettevo nel bagagliaio per riportartela vuota e scambiarla con un’altra simile piena di verdure fresche. Ma, mestamente, la riportavo indietro perché tu non c’eri. E, purtroppo, non ci sarai più. Conserverò quella cassetta per tuo ricordo. Ci metterò dentro un vaso di fiori. Niente di che: una cosa semplice: semplice come te. Eri un uomo buono, mite, umile, modesto, ma generoso, disponibile e servizievole. Facevi tutto, ma non chiedevi mai niente.  Anche nei giorni della tua degenza in Ospedale, hai voluto non essere un problema per la nostra vicinanza, pur accorata e umanamente solidale,  che avremmo potuto e voluto tributarti.
Te ne sei andato in silenzio, alla chetichella, in punta di piedi: scusate il disturbo.
Ora, che vivrai solo nel nostro ricordo, ti diciamo tutti, almeno, grazie di cuore per tutto quello che hai fatto e per quello che sei stato per noi.
Non ti dimenticheremo mai, grande, silenzioso amico.

5 Settembre 2019.                                                                         Alberto  Visintino.