Numero1923.

 

Finirà anche la notte più buia

e sorgerà il sole.

 

Victor Hugo.

N.d.R.   È un po’ come  Adda passà ‘a nuttata (o meglio, come si legge nel testo, Ha da passà ‘a nuttata) che è una famosissima frase contenuta nella commedia Napoli milionaria! divenuta nel tempo celeberrima.
Un po’ come è accaduto alla notissima ‘e figlie so’ ffiglie! tratta da Filumena Marturano.
Oppure, anche, a I figli so’ piezz’ e core come cantava Mario Merola.

Numero1921.

 

Sul  FATTO  QUOTIDIANO leggo oggi un articolo che mi piace.
Anche se i miei interessi sono molto lontani dalla politica.

 

Maurizio Montanari

Psicoanalista

POLITICA– 22 MARZO 2020

I leader di oggi sono affetti da narcisismo: il loro riferimento sono loro stessi.

 

Si sprecano in questi tempi le discussioni para-cliniche attorno alle sindromi narcisistiche che interesserebbero i nostri politici. La questione è ben altra: il narcisismo partitico nostrano non è un abito indossato da veri capi (alla De Gaulle o alla Churchill, grandi statisti portatori di ego ipertrofici) quanto la maschera pacchiana di minuscole figure autoreferenti e di scarso peso politico.

Diciamoci la verità, l’italiano ha sempre avuto un debole per l’uomo forte, simbolo totipotente capace di proteggere e mascherare le tante anime di una nazione cucita a forza, priva di un identità condivisa. Dietro l’ombra del condottiero era possibile celare, sia a destra che a sinistra, i micragnosi interessi, gli individualismi pelosi da cortile, i feroci e banali desideri violenti e inconfessabili dell’italiano medio.

Oggi questa tipologia di ometto medio è paradossalmente libera di autorappresentarsi e fare ‘outing’ (N.d.R. esternazione, rivelazione pubblica)  senza più l’affanno del Grande Padre da seguire o accoppare. Sbandierare la propria volgarità come titolo di studio, vantarsi dell’ignoranza come valore aggiunto, abusare di luoghi comuni sono di questi tempi caratteristiche che fanno curriculum. Il leader contemporaneo cavalca banalissimi e triti cliché usurati come la pace nel mondo, l’eliminazione dell’odio, il bene che trionfa sul male, le buone parole contro l’hate speech (N.d.R. discorso di odio). Tutto per un giorno illuminato dai riflettori.

Oggi non esiste più il capopopolo, mutato in capobranco. O, per meglio dire, il capo claque (N.d.R. seguaci che applaudono) di un pubblico preselezionato tra i propri ammiratori, eletto a platea unica di riferimento, sprezzante del fatto che ne esistano altre. L’epoca attuale è quella del ‘narcisisimo territoriale’ nella quale il leader autofabbricato si contraddistingue per una marcata allergia alle regole, che vuole tuttavia ferree per gli altri. Inadatto ai regolamenti, incline al capriccio personale e sempre in cerca di adepti graditi da arruolare, al momento del redde rationem (N.d.R. resa dei conti) con la realtà preferisce fuggire altrove per garantirsi un’ingiudicabilità nel tempo, per poi dedicarsi a ricreare nuovi gruppi con adepti che passino il vaglio della sua adorazione.

La scomparsa dei grandi partiti del secolo passato ha fatto sì che da forti mani si sia passati ad oscuri funzionari vestiti da capo, che arrancavano nella stanza dei bottoni esibendo una cultura politica assente, mancanti di qualsiasi velleità educativa. Goffamente millantano titoli, scopiazzano tesi, sbianchettano il loro curriculum. Il loro riferimento sono loro stessi. Pensate al fenomeno mediatico delle Sardine, sul quale ha egregiamente scritto Francescomaria Tedesco, tratteggiandone l’inconsistenza politica e il vuoto pneumatico.

Nel cosiddetto ‘campo progressista’ abbiamo assistito in questi anni ad uno smantellamento delle idee e delle battaglie della sinistra storica, calpestate da una nuova generazione di politici ‘trendy’ (N.d.R.  in voga,alla moda) provenienti da realtà artefatte o nicchie di privilegio, i quali mai hanno masticato il lessico delle battaglie storiche e popolari, dunque costretti ad abbozzare con narrazioni messianiche nelle quali la virtù e la pace nella galassia erano i mantra utili a sfondare.

Chi non ha capito il veltronismo non può spiegarsi il renzismo. Questi padri, che dal terrazzo delle loro ville blindate agitavano le forchette e i tovaglioli griffati contro le diseguaglianze e le turpitudini del mondo, hanno figliato una generazione di pargoli che si baloccava nei giardini recintati a battagliare contro i draghi con il cappello di carta e la spada di cartone.

Evaporata in fretta questa classe politica dopo il terrificante incontro col mondo reale la notte del 4 dicembre, i loro figli si sono sentiti autorizzati ad andare in piazza, convinti di doverne proseguire le mirabolanti narrazioni. Festosi e divertenti hanno invaso le città con le loro spade laser roteanti contro il male.

Finché i media hanno dato sponda alla costruzione del Movimento Impegnato per la Bontà (N.d.R. leggi SARDINE), tutto reggeva perché stava su di un piano mediatico virtuale e immaginario.
Le pietre hanno iniziato a piovere quando, andando per strada, hanno fatto incontri inaspettati. Hanno incrociato quella gente fatta di carne, lavoro e disgrazie che la notte del 4 dicembre ha preso a pedate i loro genitori e le loro storytelling (N.d.R. narrazioni).

Cercando spasmodicamente Salvini e le telecamere, si sono imbattuti in figure perturbanti: operai licenziati, insegnanti alla fame, cassintegrati, precari, pensionati.
Mentre erano intenti a eliminare l’odio si sono trovati a fare i conti con quegli strani figuri del mondo reale dai quali i loro genitori li hanno protetti per anni, prima di essere politicamente polverizzati. “Papà, ma cosa ci fa tutta questa gente nel nostro giardino? E perché ha così tanta fame?”.

PER  APPROFONDIRE

Sono andato a leggermi l’articolo di Francescomaria Tedesco, filosofo della politica, che così recita :

LE  SARDINE  MI  FANNO  ORRORE.

Le Sardine hanno finora goduto di una narrazione progressista encomiastica al limite del parossismo.

Cercherò invece di spiegare il mio orrore politico-intellettuale per le Sardine stesse e per i media che le stanno parassitando (e loro ben contente di farsi parassitare).

Se lo scopo delle Sardine, questa versione progressista, à la page bon ton dei 5S, è riportare verso il Pd i voti dei delusi del MoVimento, è vero anche che Santori & Co. lo fanno incarnando la quintessenza della demagogia e del populismo. Non che fossero caratteristiche aliene già al MoVimento, eppure qui si tratta di un significante vuoto che si serve della piazza piena come contenuto. Le Sardine non devono esprimersi su niente poiché ciò che le legittima è la piazza. E questo, paradossalmente, le avvicina non tanto ai 5S, quanto al loro odiato nemico, Salvini. Anche Salvini usa l’argomento della piazza, compresa quella virtuale: gli italiani sono con me, gli italiani dicono, gli italiani vogliono. Le Sardine non hanno bisogno di sottolinearlo a ogni pie’ sospinto, ce lo ricordano i media progressisti al posto loro.

Tuttavia – non è un giudizio di valore – sia il MoVimento che Salvini hanno irrobustito questa loro dimensione plebiscitaria con dei contenuti. Esecrabili? Non è questo il punto. La questione è che le Sardine non hanno detto niente finora (se escludiamo, anche con una certa benevolenza, le sciocchezze esternate sui media-parassiti: il programmino in sei punti che è più una netiquette inquietante per i social, l’equiparazione illiberale e totalitaria tra violenza fisica e violenza verbale, il Daspo, il bambino autistico e il pallone da basket, l’Erasmus a Catanzaro Lido, la giustificazione delle foto con Benetton, le risposte alle domande su Bibbiano di Selvaggia Lucarelli, e via discorrendo).

Dunque, si diceva, le Sardine come quintessenza del populismo, come ‘significante vuoto’ (che, intendiamoci, per il populismo di sinistra di Mouffe-Laclau è un elemento positivo di aggregazione delle domande eterogenee della società). Non c’è nessun contenuto, il contenuto sono le Sardine stesse, e tanto deve bastare. La critica sull’assenza di un programma viene respinta (“è solo un movimento, non un partito”), la critica all’assenza di impegno diretto per ottenere legittimazione democratica anche (“perché dovrebbero candidarsi? Hanno solo risvegliato le coscienze sopite della sinistra”). Non c’è nessuna idea democratica della contendibilità degli spazi politici, nell’ideologia sardinista: non bisogna ‘scalare’ un partito, non bisogna presentare degli argomenti, non bisogna esporsi alla discussione pubblica, perché tutto ciò viene bypassato dalla presenza in piazza. E dalla presenza nei media, che ne è ormai lo specchio legittimante (e anche su questo l’analogia è fortissima più con Salvini, ‘costruito’ ampiamente dalla sovraesposizione mediatica, che con i 5S, storicamente avversi – almeno nella prima fase – a comparire in tv e anzi fortissimamente critici del sistema dell’informazione).

E allora solo a me fa orrore che in una specie di distopia demagogica la leadership si produca come in Oltre il giardino? Fa specie solo a me questa produzione immediata del consenso, immediata nel senso letterale di non mediata da alcunché che abbia potuto rappresentare una sorta di dispiegamento della ragione pubblica? Si dirà che la politica non è solo elezioni e istituzioni. Tuttavia, essa si alimenta del discorso pubblico, della pubblicità. E invece un flash mob è l’esatto opposto di tutto questo: gesto, mobilitazione istantanea, immediata nel senso di cui sopra, che produce anche consenso immediato, direi anche – la parola che occorre cominciare a dire — potere. Potere immediato. C’è la gente in piazza, vero. Ma nello schema plebiscitario-populistico-demagogico, la piazza ratifica, non decide, ha a disposizione il grado zero della ragione pubblica. Interviene a leadership già prodotta. Il popolo non discute, ma alza la mano avendo la possibilità di dire solo sì o no (e dice sì, sempre sì).

Ecco: produzione di potere dall’alto, meccanismi completamente topdown di produzione del consenso e della leadership, assenza di luoghi pubblici di sviluppo analisi e decisione ex ante. Siamo di fronte al grado massimo del populismo. La leadership qui è auto-investitura certificata da un lato dalla piazza, dall’altro dalle televisioni. Come tutto questo non disturbi il ceto intellettuale è una cosa che mi lascia meravigliato, anzi sbalordito.

Numero1919.

 

ATTENZIONE :  QUESTA  È  UNA BUFALA,  UNA FAKE  NEWS.

Sta circolando su  FACEBOOK e viene attribuita ad una poetessa e scrittrice, KITTY  ‘O  MEARY  (1839 – 1888), che l’avrebbe scritta nel 1869.
NON  È  AFFATTO  VERO:     È stata scritta adesso.

È vero, invece, chiunque l’abbia scritta, che vale la pena di leggerla.
Per questo la pubblico.

 

E la gente rimase a casa.
E lesse libri ed ascoltò.
E riposò e fece esercizi.
E fece arte e giocò.
E imparò nuovi modi di essere.
E si fermò.

E ascoltò più in profondità.
Qualcuno meditava.
Qualcuno pregava.
Qualcuno ballava.
Qualcuno incontrò la propria ombra.
E la gente cominciò a pensare in modo differente.

E la gente guarì.
E, nell’assenza di gente che viveva
in modi ignoranti,
pericolosi,
senza senso e senza cuore,
anche la terra cominciò a guarire.

E quando il pericolo finì.
E la gente si ritrovò.
Si addolorarono per i morti.
E fecero nuove scelte.
E sognarono nuove visioni.
E crearono nuovi modi di vivere.
E guarirono completamente la terra.
Così come erano guariti loro.

Numero1911.

 

Segnalato da mio nipote Alan

 

Radhanath Swami

LA  MENTALITÀ  DIETRO  ALLE  BUONE  RELAZIONI.

 

C’è una meravigliosa analogia sull’ape e la mosca, che ci insegna una preziosa lezione per migliorare i nostri legami interpersonali e la qualità della nostra vita.
L’ape vola di fiore in fiore, estraendo solo il nettare, senza intaccare la pianta. La mentalità dell’ape è quella di cercare l’essenza di ogni fiore. Persino in un luogo coperto di immondizia imputridita, piuttosto che prestare attenzione a tutto quel sudiciume, l’ape rimane concentrata nella sua ricerca di nettare ed entusiasta, vola addirittura sopra un unico, piccolo, fiore cresciuto in mezzo a chilometri e chilometri di spazzatura.
Nelle nostre relazioni, abbiamo molto da imparare dall’ape; essa ci insegna l’arte di focalizzarsi sugli aspetti positivi ed affrontare in modo opportuno le carenze in ognuno. Ci saranno difetti ovunque e in chiunque, non mancano mai le cose di cui lamentarsi, ma, come l’ape cerca di scovare il nettare, anche nei luoghi più impensati, così  noi possiamo mirare a trovare le buone qualità in chi abbiamo intorno.

La mosca rappresenta un altro tipo di mentalità nei rapporti con gli altri. Sebbene entrambe le specie possono essere apprezzate, per il particolare istinto naturale che le distingue, possiamo comunque studiarle per apprendere importanti lezioni, per migliorare la qualità della nostra vita.
In un corpo altrimenti sano, la mosca si concentrerà nel succhiare una crosta infetta. La mosca può anche sorvolare centinaia di fiori, ma su cosa si concentra? Focalizza la sua attenzione sull’assaporare immondizia ed escrementi. Essa ignora il dolce profumo dei giardini di rose e, anche nelle situazioni migliori, e nei luoghi più puliti, la mosca rivolgerà la sua attenzione alla spazzatura.
Questo rappresenta l’ottica di non considerare le buone qualità di chi ci sta intorno, concentrandosi sulle loro mancanze. È così facile, non occorrono sforzi per trovare difetti negli altri. Criticare è una dipendenza, più le concediamo, più ne diventiamo ossessionati. Nei rapporti con gli altri è importante mantenere una comunicazione onesta e benevola, improntata sul dare valore a ciò che c’è di positivo, affrontando le cose negative in modo cortese e costruttivo, cercando di tirar fuori il meglio di entrambe le parti.
Agendo così, impariamo a riconoscere le qualità positive in noi stessi e a superare l’insana mancanza di autostima.
Mentalità da ape o mentalità da mosca, sta a te decidere.

 

 

Numero1909.

 

Segnalata da Rita

 

Oggi Roberto Piumini, poeta Italiano, compie 73 anni.

L’Humanitas di Milano gli ha chiesto di scrivere di corona virus per i bambini, in modo rigoroso ma senza ansia e paura.

Ecco la sua filastrocca:

??

Che cos’ è che in aria vola?

C’ è qualcosa che non so?

Come mai non si va a scuola?

Ora ne parliamo un po’ .

Virus porta la corona,

ma di certo non è un re,

e nemmeno una persona:

ma allora, che cos’ è?

È un tipaccio piccolino,

così piccolo che proprio,

per vederlo da vicino,

devi avere il microscopio.

È un tipetto velenoso,

che mai fermo se ne sta:

invadente e dispettoso,

vuol andarsene qua e là.

È invisibile e leggero

e, pericolosamente,

microscopico guerriero,

vuole entrare nella gente.

Ma la gente siamo noi,

io, te, e tutte le persone:

ma io posso, e anche tu puoi,

lasciar fuori quel briccone.

Se ti scappa uno starnuto,

starnutisci nel tuo braccio:

stoppa il volo di quel bruto:

tu lo fai, e anch’ io lo faccio.

Quando esci, appena torni,

va’ a lavare le tue mani:

ogni volta, tutti i giorni,

non solo oggi, anche domani.

Lava con acqua e sapone,

lava a lungo, e con cura,

e così, se c’ è, il birbone

va giù con la sciacquatura.

Non toccare, con le dita,

la tua bocca, il naso, gli occhi:

non che sia cosa proibita,

però è meglio che non tocchi.

Quando incontri della gente,

rimanete un po’ lontani:

si può stare allegramente

senza stringersi le mani.

Baci e abbracci? Non li dare:

finché è in giro quel tipaccio,

è prudente rimandare

ogni bacio e ogni abbraccio.

C’ è qualcuno mascherato,

ma non è per Carnevale,

e non è un bandito armato

che ti vuol fare del male.

È una maschera gentile

per filtrare il suo respiro:

perché quel tipaccio vile

se ne vada meno in giro.

E fin quando quel tipaccio

se ne va, dannoso, in giro,

caro amico, sai che faccio?

io in casa mi ritiro.

È un’ idea straordinaria,

dato che è chiusa la scuola,

fino a che, fuori, nell’ aria,

quel tipaccio gira e vola.

E gli amici, e i parenti?

Anche in casa, stando fermo,

tu li vedi e li senti:

state insieme sullo schermo.

Chi si vuole bene, può

mantenere una distanza:

baci e abbracci adesso no,

ma parole in abbondanza.

Le parole sono doni,

sono semi da mandare,

perché sono semi buoni,

a chi noi vogliamo amare.

Io, tu, e tutta la gente,

con prudenza e attenzione,

batteremo certamente

l’ antipatico birbone.

E magari, quando avremo

superato questa prova,

tutti insieme impareremo

una vita saggia e nuova.

Numero1908.

 

Segnalata da Rita

LA  STORIA  DELLE  QUATTRO  CANDELE

Raccontata, in una puntata de I FATTI VOSTRI, da Fabrizio Frizzi.

 

In una stanza quattro candele, bruciando, si consumavano lentamente.

Il luogo era talmente silenzioso che si poteva ascoltare la loro conversazione.

 

La prima diceva “Io sono la pace, ma gli uomini non riescono a mantenermi.

Penso proprio che non mi resti altro da fare che spegnermi”. E, a poco a poco,

la candela si lasciò spegnere.

 

La seconda candela disse “Io sono la fede, ma, purtroppo, non servo a nulla. Gli

uomini non ne vogliono sapere di me e, per questo motivo, non ha senso che io

resti accesa”. Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su

di lei e la spense.

 

Triste, la terza candela, a sua volta disse “Io sono l’amore e non ho la forza per

continuare a rimanere accesa. Gli uomini non mi considerano e non

comprendono la mia importanza”. E, senza attendere oltre, la candela si lasciò

spegnere.

 

In quel momento, un bambino entrò nella stanza, vide le tre candele spente e,

impaurito per la semioscurità, , disse “Ma cosa fate? Voi dovete  rimanere

accese. Io ho paura del buio”. E, così dicendo, scoppiò in lacrime.

 

Allora, la quarta candela, impietosita, disse “Non piangere. Finché io sarò

accesa, potremo sempre riaccendere le altre tre candele: Io sono la speranza”.

Con gli occhi lucidi di lacrime, il bimbo prese la candela della speranza e

riaccese tutte le altre.

 

 

Numero1903.

LA  CRISI

(N.d.R. : L’etimologia di crisi deriva senza dubbio dal verbo greco krino = separare, cernere, in senso più lato, discernere, giudicare, valutare. Nell’uso comune ha assunto un’accezione negativa in quanto vuole significare un peggioramento di una situazione. Se invece riflettiamo sull’etimologia della parola crisi, possiamo coglierne anche una sfumatura positiva, in quanto un momento di crisi cioè di riflessione, di valutazione, di discernimento, può trasformarsi nel presupposto necessario per un miglioramento, per una rinascita, per un rifiorire prossimo).

 

La crisi è la più grande benedizione

per le persone e le nazioni,

perché la crisi porta progressi.

 

La creatività nasce dall’angoscia,

come il giorno nasce

dalla notte oscura.

 

È nella crisi che sorgono

l’inventiva, le scoperte,

e le grandi strategie.

 

Chi supera la crisi,

supera se stesso,

senza essere superato.

 

Albert Einstein

Numero1887.

Segnalato da mio figlio Alexis

 

La mancanza di razionalità, nell’affrontare

molti temi e fenomeni sconosciuti o insoliti,

è comune e frequente a causa di un errore

cognitivo della mente umana.

La mente umana si rifiuta di prendere

in seria considerazione tutte le ipotesi

che sono in eccessiva dissonanza 

con i propri precetti morali.

È, quindi, un errore causato

dalla distorsione morale del giudizio.

 

Roberto Quaglia.

 

(N.d.R. : insomma, tutto ciò che non ci piace o è non attendibile o è falso.
Specularmente, solo ciò che ci piace potrebbe essere vero e credibile.
Su questa lacuna cognitiva della mente umana, sono basati  atteggiamenti fideistici e comportamenti come il negazionismo e la credulità).