Numero2213.

 

C’è chi va a scuola.

C’è chi insegna a scuola.

C’è chi fa scuola.

C’è chi una scuola …. la fa.

 

 

Prima di scrivere una sola parola sul seguente argomento, mi sono premurato di chiedere il consenso del mio carissimo amico Efrem Cosmacini. È stato lui a rifilarmi una brochure di presentazione di quella che lui ha chiamato “la mia creatura”. E lo ha fatto con una luce negli occhi, non so se più di consapevolezza o più di orgoglio, come se si fosse trattato di un altro suo figlio. E come a un figlio, a questa sua “messa in opera e funzione” lui ha dato la sua vita, la sua passione e l’entusiasmo di chi sa che di cultura e per la cultura si vive.

I nostri comuni studi classici, siamo stati entrambi “Stellinari” ai bei tempi, ci hanno insegnato che il sapere e la curiosità per lo scibile e le scienze sono un retaggio, un investimento, una ragione di vita. Insieme con l’apertura mentale che non esclude né la mitezza e la tolleranza, né la determinazione e l’ambizione.
Ecco il concetto che mi è spontaneamente scaturito per definire il suo progetto: ambizioso.

Ambizioso nell’ideazione, nella realizzazione, nella conduzione per decenni. Un progetto concepito e portato avanti fra comprensibili difficoltà, ma con grande, riconosciuto, meritorio successo. Nella sua consueta pacatezza e misura, porgendomi l’opuscolo illustrativo, Efrem mi ha detto: “Guardalo con gli occhi di quarant’anni fa”. È proprio per questo che ne sono rimasto coinvolto e stupito.
Io non conoscevo l’ “Istituto Kennedy” di Udine. Ne avevo solo sentito parlare, ma non c’ ero mai neanche passato davanti. Ora che ho potuto rendermi conto, dall’osservazione delle immagini e dei testi del fascicolo, di cosa sia stato e di cos’è tuttora, beh posso dire: “Bravo, Efrem!”. Altro che quarant’anni fa! Sembra che questa Scuola Privata Parificata, abbia avuto il suo esordio quattro anni fa.
La struttura dell’edificio, gli allestimenti, gli arredi di tutti gli ambienti sono attualissimi e contemporanei adesso, le attrezzature e i laboratori appaiono all’avanguardia delle correnti tecnologie. A quel tempo dovevano costituire qualcosa di veramente avveniristico. Il personale didattico e amministrativo, mi racconta Efrem, era di assoluto prim’ordine: 110 persone. E lui era il Direttore della Società e del Consiglio di Amministrazione.

Sapete, non sono molti coloro che sognano e progettano di fondare una scuola, pur che si possa sempre considerare un “business”.
Credo che molti potrebbero progettare piuttosto di aprire una discoteca o un ambiente da “movida”, perché di questo c’è richiesta sul mercato.
Gli imprenditori del “nulla” hanno spesso riempito i vuoti della società relazionale. Chi, quarant’anni fa, si è intestardito a creare dal nulla, sì, imprenditore dal nulla, perché così è stato, una scuola non statale, oggi sarebbe considerato un “fuori di testa”, un costruttore di cattedrali nel deserto.

Eppure, lo dico alle generazioni presenti e future, la cultura e il sapere hanno sempre “fatto la differenza”.
Promuovete l’istruzione, la didattica, l’educazione all’apprendimento e al senso civico, come ha fatto, da pioniere, Il mio inestimabile e, spero, inossidabile amico Efrem . Solo così il mondo diventerà migliore.

Numero2211.

 

T E S T A M E N T O   S P I R I T U A L E

 

Come seguito del Numero2202., che invito a leggere come premessa necessaria, qui tento di approfondire le mie idee sulla MORTE E L’ALDILÀ. Anche stavolta, come ho fatto al Numero citato, sono ricorso alla formula della rima e della metrica: ho cambiato, però, la disposizione dei quattro versi della strofa . I primi due versi sono liberi, i secondi due sono rimati con finale fisso ( desinenza in ale) per 36 strofe, come nel Numero2202.. Tutti i versi sono, questa volta, non senari ma settenari, cioè composti di 7 sillabe, rispettando le elisioni vocaliche di fine e inizio delle parole. Il contenuto dell’argomento è un riassunto per sommi capi, senza pretese, senza uno schema, magari saltando di palo in frasca, delle mie personalissime convinzioni in merito a temi così importanti e dibattuti.

Non stupitevi se non condivido le affermazioni, oggetto di fede cattolica, su Inferno, Paradiso e sul collocamento delle anime eternamente destinate ad espiare peccati o a godere di celestiali armonie. Tutto quanto mi è stato insegnato fin da piccolo, e anche trattato con maestria da Padre Dante, l’ho sottoposto, dentro di me, a revisioni e recensioni critiche nell’arco di decenni, arrivando, per gradi, ad un mio personale panorama, misto di intuizione e di razionalità, di aspettativa e di speranza, che mi ha portato ad adagiarmi su una specie di autoconvincimento, che qui espongo, su questo argomento sconosciuto perché inconoscibile.

Confesso, con assoluta trasparenza, che quello che penso e dico non è assolutamente provato: non è possibile provarlo compiutamente, a ragion veduta.
Ci sono molti indizi. Ad esempio il ritorno dello spirito, trapassato nell’aldilà, in altro corpo è oggetto di indagine di molte correnti di pensiero e dottrina di fede di diverse religioni sulla terra, ma non è mai stato suffragato da prove inconfutabili. Mi interessa poco. Così come non m’interessano argomenti come il libero arbitrio, la possibilità di scelta o la capacità di decisione che è fatta di volontà e di libertà. Mi interessa la morte come passaggio ad una dimensione che sarà nota solo dopo averla raggiunta e che, come leggerete, io stesso sono curioso di raggiungere.

Chi ha detto che solo questa vita corporea è l’unica situazione di essere e benessere dell’anima? Restare avvinghiati ostinatamente ad un corpo consunto può darsi che non sia la soluzione migliore ad un certo momento dell’esistenza fisica. Può darsi che sia l’anima stessa che si vuole liberare del suo involucro deteriorato e aspiri ad un “grado di libertà” più alto e più appagante. Per me, guardare tutto nell’ottica della fede inculcata, ma mai provata, mi sta stretto. Vorrei saperne di più. Ma l’unico modo per farlo è….morire.

 

 

 

 

Q U A N D O   V I E N E   L A    M O R T E

 

 

Quando viene la morte,

che n’è dello spirito?

La sua forza vitale,

che è esistenziale,

 

emigra in altro sito,

liberata dal corpo,

che l’ha resa reale

e diventa immortale.

 

È altra dimensione

dove ogni suo valore

non resta più uguale,

dove il bene ed il male

 

non saranno gli stessi

che valevano prima:

il criterio morale

diventerà banale

 

perché là l’energia

non ha più fisicità

e quello che qui vale,

nel nostro tribunale,

 

di là non conta niente,

non è come si crede:

tutto sarà veniale

il bene come il male.

 

È un’ipotesi mia,

non lo so, ma ci credo:

è una fede mentale,

un parto intellettuale.

 

Pur se piange qualcuno

che non puoi consolare,

lì, al tuo capezzale,

quando tu starai male,

 

che ti frega del mondo

che stai per lasciare

se sei in ospedale

o al tuo funerale?

 

Pensa all’anima tua

che rinasce più pura,

che s’eleva e che sale

nell’eterea spirale.

 

E, se sei stato buono,

tu sarai più leggero,

a percorrere il viale

del tramonto finale.

 

Però non ti crucciare,

se male avrai vissuto.

Peccato originale

o  pena capitale,

 

tutto è cancellato

da un salvifico reset:

la fedina penale

ritornerà normale.

 

Io non temo la morte,

anzi, sono curioso:

è uno slancio sensuale

a una vita virtuale.

 

La vita che hai fatto

ti condanna o ti premia:

rivivrai tale e quale

il bilancio morale.

 

Un handicap ti spetta:

tu riparti più indietro,

se hai fatto del male;

se no, rimani tale.

 

La coscienza ti aiuta

per trovare la pace

nel momento fatale

di morte naturale.

 

Questo è ciò che ho capito

vivendo la mia vita:

non è un carnevale

o una lotta bestiale.

 

È un percorso creativo

e di rinnovamento:

riscatto spirituale

dallo stato animale.

 

Quando tu rinascerai

alla nuova esistenza,

la dote cerebrale

sarà “condizionale”

 

per riorganizzare

il piano della vita,

per questo sei speciale,

nessuno ti è uguale.

 

L’anima non muore mai,

neanche dopo la morte:

è forza celestiale,

entità universale.

 

Per veder se sei morto

e lasci questo mondo,

se un dubbio ti assale,

non leggere il giornale.

 

Così, viva la vita,

a causa della morte.

Vi sembrerà banale,

ma questo è radicale.

 

Che ci sia altra vita

dopo quella vissuta

non mi pare anormale,

niente d’ eccezionale.

 

Credo che lo spirito

sia eternamente vivo,

trionfo immateriale

sulla scorza animale.

 

La morte è un parcheggio

dove si paga un ticket,

è la tassa tombale

per un’anima astrale.

 

Per ognuno è diversa,

non è noto l’importo,

né l’esborso venale

esiguo o colossale.

 

Chi ci sia alla cassa

non è dato sapere:

la sentenza arbitrale

è comunque imparziale.

 

Questo mio pensiero

non vuole fare scuola,

niente di dottrinale

né d’anticlericale,

 

sono elucubrazioni

senza secondi fini,

esercizio verbale

di taglio razionale.

 

È solo una speranza,

forse una fantasia,

un trucco concettuale,

retaggio ancestrale

 

di ore che ho passato

sui miei sudati libri:

l’ignoranza abissale

è stata il mio messale.

 

Chissà, forse ho pensato

molto più che vissuto,

essere un asociale

mi è parso abituale,

 

ma ho trovato conforto,

coi miei limiti umani,

nel mondo culturale,

nella sfera ideale.

 

Per la tua riflessione,

dedico questi versi,

lascito spirituale,

a te, figlio mio, Ale.

 

 

 

N.d.R. : Se siete arrivati fino in fondo e non vi siete annoiati, vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione che mi regalate leggendo le mie “panzane”. Questo, che avete appena letto, con le sue rime sempliciotte e uno stile fra il serioso e il faceto, si potrebbe definire un piccolo trattato di filosofia teoretica spicciola ad uso personale che, con la pubblicazione, si rimette al giudizio critico dei pochi lettori che hanno la bontà di seguirmi. Se, anche stavolta, riuscirò a suscitare qualche reazione, di qualsivoglia natura, in merito alle mie “elucubrazioni”, ne sarò onorato e  sarò oltremodo felice di pubblicare i commenti al riguardo. Se non ve la sentite di intraprendere un’impresa così impegnativa, grazie anche solo per avermi letto. Almeno, mi sarò fatto conoscere meglio da chi poco mi ha frequentato e superficialmente con me ha condiviso tempo e idee.

Forse coglierete in questa mia insistenza  ad affrontare temi così spinosi e complessi, un “cupio dissolvi”, che in latino significa “desiderio di scomparire”: non è così. E, magari, una certa volontà di strafare, esagerare, una sottolineatura fuori luogo e non necessaria. Accetto l’osservazione, ma vado oltre. Anche stavolta, più che mai, ribadisco il concetto informatore di questo BLOG: qui, io penso quello che dico e dico quello che penso. Altrimenti non mi sarei cimentato in quest’impresa. Questo è uno spazio di libertà, mio e di tutti, e nei riguardi di qualunque argomento.

Come trovate al Numero2209, recentemente pubblicato, Voltaire dice: “Giudica un uomo dalle sue domande, piuttosto che dalle sue risposte”. Qui, io mi sono interrogato ed ho risposto a modo mio. Non intendo insegnare niente a nessuno, perché sarebbe follia pretendere di insegnare ciò che non si sa. Non ho mai trovato l’argomento “morte” fra le materie della didattica umana. Ma, vivaddio, parlarne si può a livello di scambio d’idee e qui vi ho esposto le mie.
Buona vita a tutti.

 

N.d.R. : Ricordo e ripeto, perché mi sembra molto attinente al contesto, il seguente (che poi è precedente)

Numero2113.

 

Come si fa a vivere

in compagnia di un’assenza?

Dopo aver imparato a vivere,

imparerò a morire.

 

 

 

 

Numero2202.

 

L’uomo mortale

ha una sola cosa

di immortale:

il ricordo che porta

e il ricordo che lascia.

 

Cesare  Pavese

 

 

In questo BLOG, di quando in quando, di qua e di là, ho buttato giù delle “poesiole” su diversi argomenti, anche i più strampalati, così, senza pretese. Mi sono cimentato qui, in un’impresa un po’ greve: parlare di cose molto serie ed importanti che mi riguardano: la vita, la morte, la fede, l’aldilà. Ma appunto perché gli argomenti sono molto severi ed impegnativi, ho deciso, per parlarne, di ricorrere alla composizione, in strofe di quattro versi, di senari in rima alternata. Questo perché ho inteso togliere all’esposizione il tono austero,   aulico e un po’ ridondante, che avrebbe avuto discorsivamente.

Scrivere versi non è facile. A me piace scriverli in maniera semplice, con un verseggiare magari banale e un po’ nazionalpopolare, proprio quando l’argomento è serioso e pedantesco. Per l’amor del cielo, non parliamo di poesia, ma, casomai, di filastrocca. Riesco, così, ad alleggerire il messaggio ed i concetti, rendendoli più scorrevoli e comprensibili: i versi, specialmente quelli corti, sono un concentrato, un nucleo, di pensieri appena accennati da sviluppare con la riflessione. La lettura poi è favorita dal ritmo della metrica. Sì, perché, oltre alle rime sono molto importanti le metriche, ossia le scansioni sillabiche di ogni verso. In questo caso ogni verso è composto di una successione di sei sillabe (senario). Mi raccomando, bisogna tener conto delle elisioni vocaliche.
Il duplice condizionamento della rima, in questo caso alternata (A B A B) e della scansione sillabica sempre uguale a se stessa, forma una specie di piano Cartesiano bidimensionale di ascisse e ordinate, oppure un tessuto, contesto di trama e ordito, che ingabbiano la composizione entro uno schema predefinito. Le parole, poi, cercano di restare quelle del senso comune e di immediata comprensione, evitando voli pindarici o afflati lirici che lascio a ben altri tipi letterari.
Provo così a devitalizzare, sdrammatizzare e rendere più accessibile la prosopopea delle affermazioni didascaliche od apodittiche.
Mi piace ricordare che questo modo di scrivere o verseggiare è tornato e resta di gran moda, tutt’oggi, fra i giovani con i loro idoli cantautori, i RAPPER, che scrivono e tentano di cantare dei versi rimati e ritmati. Di quello che dicono mi taccio, di come lo dicono, beh, ho qualcosa da dire: i versi hanno, magari, una rima o una assonanza, ma hanno una metrica, cioè una scansione ritmica, molto zoppicante ed approssimativa, per nulla rigorosa ed uniforme. Ci sono versi più lunghi, altri più corti, altri stiracchiati e pasticciati. Ma sembra che vada bene così. Parlando, poi, della musica, eviterei di chiamarla tale perché, tale non è. È solo ritmo ossessivo e tampinante senza un motivo musicale conduttore, con forse alcuni accordi per l’orchestrazione ritmica. Ma non so bene neanch’io di cosa sto parlando. So solo che, ascoltando, non ci capisco niente e che, delle loro canzonette, non ricordo un solo motivetto da fischiettare. E ai giovani ricordo, infine, che i testi delle composizioni epiche antiche, come l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide, come anche tutte le produzioni poetiche e liriche, erano composte in versi solo scanditi ritmicamente e senza alcuna rima. Probabilmente perché si potevano raccontare meglio, senza leggere alcunché, perché gli Aedi, i cantautori dell’epoca, e Omero era uno di questi, li sapevano recitare, erano migliaia di versi, tutti a memoria. La carta era rara e la scrittura ancora di più.

 

 

 

 

LA  VITA,  LA  MORTE,  LA  FEDE,  L’ ALDILÀ

 

Mi sento onorato

e orgoglioso, certo,

per essere stato

me stesso, Alberto.

 

Ma sono invecchiato,

come tutti anch’io,

non sono malato

ma non sono più mio.

 

Il corpo è diverso

e non m’ubbidisce,

il filo s’è perso,

il fiore appassisce.

 

La morte è qui intorno,

ed attende anche me:

arriverà il giorno,

senza ma e senza se.

 

Grazie alla mia vita,

a chi me l’ha data,

a chi l’ha tradita,

a chi l’ha amata;

 

a chi voglio bene

e mi ha ricambiato,

alle gioie e alle pene

che abbiamo passato.

 

E grazie per tutto,

il dato e l’avuto,

il bello ed il brutto,

che ho conosciuto.

 

E ancora ringrazio,

ne sono sicuro,

se resta lo spazio,

in un certo futuro,

 

di un’altra presenza,

dove credo varrà

la mia esperienza

che ho avuto qua.

 

La vita è energia

che non muore mai,

qualunque cosa sia,

qualunque cosa fai.

 

Ma la morte esiste?

È una vita nuova

e non mi rende triste

mettermi alla prova.

 

Però non mi sfugge,

Lavoisier m’informa,

nulla si distrugge,

tutto si trasforma.

 

Se nell’universo

sono quasi zero,

che cosa avrò perso

in quel buco nero

 

che chiamano morte?

Il dono ch’ho avuto,

toccatomi in sorte,

non andrà perduto.

 

È un dono di vita

che per sempre resta,

anche se è finita

la corsa di questa.

 

L’anima non muore

e, se ho ben vissuto,,

diventa migliore

e nulla è perduto.

 

A chi devo la grazia

non lo so neppur io.

Dicono: “Ringrazia

sempre il buon Dio”

 

Una volta ho creduto,

ma ora non più,

da quando ho saputo

che è morto Gesù,

 

ma dopo è risorto

alla vita eterna.

Perché era morto?

Volontà paterna!

 

Il padre suo, forse,

si sarà pentito:

come lui risorse

non si è mai capito.

 

Io credo e penso

che noi risorgiamo:

se la vita ha senso

io le dico “Ti amo!”.

 

L’energia vitale

che sentiamo ora

rende naturale

il vivere ancora.

 

Lo spirito è anelo

di tornare in vita,

scendendo dal cielo

con forza infinita.

 

E così la natura

rinnova se stessa,

così s’assicura

che la vita non cessa.

 

N.d.R. : da qui in avanti, mi complico le cose, ricorrendo per ogni strofa ad una coppia di versi con rima fissa e ripetuta.

 

Non voglio morire,

non ancora, lo spero,

voglio solo dire

questo mio pensiero.

 

“Se vivi, morirai”.

Ma sono sincero:

questo non è mai

stato un gran mistero.

 

Alle fiabe non credo,

ciò che sembra vero

è quello che vedo

sia bianco, sia  nero.

 

La Chiesa c’insegna

col suo magistero:

“La persona è indegna”

Non è proprio vero.

 

Perché il peccato,

detto per intero,

per me è sempre stato

invenzione del clero.

 

La mia protesta,

non come Lutero,

soltanto contesta

ciò ch’è menzognero.

 

Di ogni menzogna,

lo dico davvero,

io provo vergogna

e ne vado fiero.

 

Coi falsi e gli scaltri

sarò veritiero:

la fede degli altri

non è il mio sentiero.

 

Venite a trovarmi

là al cimitero

solo per portarmi

un fiore ed un cero.

 

Di preghiere pie,

non ditemi altero,

lasciatemi le mie,

con me sono severo.

 

Della mia libertà,

libertà di pensiero,

anche nell’aldilà

sarò messaggero.

 

E la pena che avrò

dal giudice austero

è che diventerò

“di luce prigioniero”.

 

N.d.R. : Del personaggio storico di Gesù Cristo mi hanno sempre affascinato il messaggio di giustizia sociale e la metafora (adoperata, però, a fini fideistici) della resurrezione dello spirito: per me è l’esempio emblematico della resurrezione di tutte le anime. Se è stata possibile per lui, perché non dovrebbe accadere per ogni uomo?
Tentare di capire, con il discernimento umano, è stato e sarà sempre considerato un atto di superbia, poiché a noi non è dato altro che credere acriticamente, come unico atto di fede possibile. Consideratemi pure un uomo superbo.

 

 

Numero2197.

 

Trust the lies

not the “truth”.

 

Fidati delle bugie

non della “verità”.

 

Esempio: due pesi e due misure.

 

Se hai patologie pregresse e, dopo, muori col COVID, sei morto per COVID.

Se hai patologie pregresse e muori dopo il vaccino Astrazeneca (Vaxzevria), sei morto per le patologie pregresse.

Logico, no?