Numero1815.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE  DEL  CIELO.        (continua)

Sonno e sogno

 

Durante la notte, non più bombardato da stimoli sensoriali esterni, il cervello può finalmente effettuare il lavoro di archiviazione ed integrazione delle informazioni della giornata. Studi di imaging cerebrale (RM e RM funzionale, RM = Risonanza Magnetica) rivelano che le aree del cervello che si attivano quando dormiamo sono le stesse coinvolte nei processi di apprendimento: quindi, sognare serve proprio a consolidare le nuove informazioni acquisite. Che il sonno non sia un riposo per il cervello è dimostrato dal fatto che, nel passaggio dalla veglia al sonno, il suo consumo di energia cala solo di un 10%; in talune parti del cervello addirittura aumenta.

Una delle prerogative più affascinanti del cervello è che impara sempre.
Anche nel profondo lavorio delle ore di sonno, la mente impara e, al risveglio, abbiamo reti neurali diverse da quando ci siamo addormentati.
E, imparando, il cervello stimola la nostra creatività.
Anche la peculiare struttura narrativa dei sogni, fatta di salti improvvisi e bizzarre associazioni di idee, può determinare straordinarie interazioni con i processi creativi. Questo rimescolare le carte è, verosimilmente, responsabile dell’esperienza che tutti abbiamo fatto, almeno una volta, ossia di uscire da un sogno con un’idea nuova, una visione chiara rispetto ad un problema, che prima di addormentarci non avevamo.
Sono soprattutto gli stati di dormiveglia, un misto tra libera fantasia del sogno e albeggiare della coscienza, che possono diventare momenti di straordinaria ispirazione. È possibile che, dopo che il cervello, durante la notte, ha rimosso il disordine in eccesso, la mente si trovi più libera di compiere associazioni che prima non era in grado di vedere.

Gli studi sul cervello ci dicono dunque che la nostra vita notturna non è solo un gioco di disattivazione di aree cerebrali. Nel sonno, anzi, si attivano molte aree; per esempio, l’ippocampo, regno dell’apprendimento e della memoria, sede in cui si formano i ricordi. E, con esso, si attiva anche l’amigdala, cioè l’area cerebrale deputata all’elaborazione delle emozioni e dei comportamenti, e ciò significa che i sogni coinvolgono fortemente la sfera emotiva, suscitando gioia, ma anche paura. Contemporaneamente, altre zone cerebrali vengono disattivate, tra queste, soprattutto, la corteccia prefrontale dorso-laterale, sede dei processi decisionali e motivazionali che ci permettono l’adattamento a situazioni nuove; in questo modo, con il sonno, si inattiva la parte più razionale del nostro cervello e, forse per questo, nei nostri sogni troviamo spesso un senso disordinato e senza apparente plausibilità.

Come abbiamo detto, molte cose succedono dentro la nostra testa durante la notte. Mentre il corpo riposa, il cervello si rigenera; si ampliano le connessioni fra le cellule cerebrali, alcuni circuiti si consolidano mentre altri sono sfoltiti, si attivano nuove sinapsi che codificano quanto si è imparato da svegli e, così, si consolidano i ricordi e si modifica la nostra personalità.
Dopo quanto abbiamo detto, appare chiaro come il sonno, per il cervello, per l’acquisizione di conoscenze, per lo sviluppo delle nostre idee e della nostra memoria, sia altrettanto importante della veglia. In un cervello sano tutto è legato: senza la veglia non avremmo coscienza, ma senza la possibilità di dormire non potremmo vivere. Tutto ciò che ci rende quello che siamo dipende anche dalle ore che ogni notte trascorriamo sognando.
Eppure il sonno continua ad essere dimenticato, sottovalutato e messo in secondo piano. Rendersi conto di quanto il sonno sia importante e fare di tutto per dormire bene può migliorare la qualità della nostra vita.
Possiamo dire che noi siamo come dormiamo.

Il sonno acquisisce un’importanza ancora più rilevante nei bambini: fin dai primi giorni di vita, il cervello ha bisogno di incamerare moltissime informazioni; serviranno per sviluppare le reti neurali e costituire il loro patrimonio di conoscenze. Per questo i neonati dormono circa 15 ore al giorno e i bambini dormono molto più degli adulti; e per questo nel loro sonno prevale la fase REM (Rapid Eyes Movement= Movimento Rapido degli Occhi), essenziale per lo sviluppo dei processi nervosi e la formazione di connessioni corticali. È scientificamente dimostrato che i bambini che dormono di più hanno una soglia di attenzione più alta e un atteggiamento più calmo, sono maggiormente in grado di imparare e adattarsi ai cambiamenti intorno a loro.
Per questo è importante  aiutare i bambini a dormire per tutte le ore necessarie, non cercando di farli adattare ai ritmi degli adulti, possibilmente accompagnandoli serenamente verso il sogno con il suono della nostra voce, con racconti inventati o leggendo un libro; sono esperienze che rimarranno per sempre nella loro vita, anche quando saranno adulti e che hanno il compito di accompagnarli verso l’inconscio del sonno, togliendo loro la paura della solitudine. Anche nel mondo di oggi, così cambiato rispetto a quando eravamo noi bambini, il legame che si crea tra le parole dell’adulto e l’attenzione stupita del bambino ci trasporta indietro nel tempo, alle innumerevoli volte che, tra chi racconta e chi ascolta si è realizzato questo momento straordinario in cui le memorie dell’uno sono diventate i sogni dell’altro, creando magie che, per il bambino, diverranno straordinari ricordi e frammenti della sua identità.

La maggioranza degli adulti dovrebbe dormire dalle 7 alle 8 ore a notte. Dormire troppo (più di 9 ore) o troppo poco (meno di 5 ore), mette a rischio il cuore e mette a repentaglio l’organismo (obesità, diabete, ansia).
Particolarmente pericoloso è il dormire poco.
Oltre che dormire bene la notte, un’altra cosa che può essere utile al cervello è schiacciare un pisolino (power nap): la siesta è assolutamente naturale e ci aiuta ed essere più vispi, creativi e produttivi. Si è visto che anche un breve pisolino pomeridiano migliora la coordinazione motoria e l’apprendimento del 20%, mentre è dimostrato da una serie vastissima di studi, che la deprivazione del sonno diminuisce le prestazioni cerebrali e compromette la memoria.
Le statistiche sono impressionanti: secondo alcuni sondaggi, circa un terzo degli adulti non riesce a dormire quanto dovrebbe e molti bambini arrivano a scuola affaticati. La nostra tendenza a dormire poco e male riduce la produttività, impedisce l’apprendimento, rovina i rapporti, blocca il pensiero creativo e indebolisce l’autocontrollo. Negli adulti, il dormire poco e male è spesso causa di depressione e di obesità, nei bambini potrebbe scatenare la sindrome da deficit dell’attenzione con iperattività.

Persino una minima privazione può avere un effetto deleterio sulla salute ed è associata ad un elevato rischio di malattie cardiache, diabete, ipertensione e morte prematura. Anche memoria, vocabolario e pensiero logico sono correlati ad un buon sonno. Sappiamo che la melatonina abbassa la pressione arteriosa e contribuisce a prevenire infarti e ictus. Chi dorme meno di 6 ore a notte produce livelli inferiori di melatonina, aumentando il rischio di ipertensione. Lo stesso vale per il diabete. Non dormire stimola la produzione di cortisolo, ormone dello stress, il quale, oltre ai danni che produce al cervello, inibisce la produzione di collagene, dando alla pelle un’aria malsana e facendo comparire rughe e occhiaie. Se non dormiamo abbastanza faremo fatica a concentrarci, tenderemo ad avere più incidenti, saremo meno determinati e produttivi. In conclusione, avere un sonno regolare permette di riprendere le forze spese durante il giorno e all’organismo di funzionare meglio, favorendo concentrazione, coordinamento e, soprattutto, buonumore.
Il sonno, in breve, contribuisce a farci diventare le persone che vogliamo essere. Per questo il sonno e i sogni, con la loro bellezza e il loro mistero,sono uno straordinario regalo che la natura ci fa.
In cambio ci chiede soltanto di chiudere gli occhi e lasciarci andare.

Numero1814.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE  DEL  CIELO       (continua)

Lo straordinario cervello delle donne.

 

Parlare del cervello delle donne e quindi delle differenze con il cervello dell’uomo e delle basi scientifiche che spiegano queste differenze, significa superare preconcetti sviluppatisi in secoli di osservazioni e, per la grande maggioranza, non suffragati da prove.
Diceva Simone de Beauvoir: “Maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa”, come se i generi da un punto di vista antropologico, fossero determinati su base culturale e non biologica.
Il cervello maschile e quello femminile sono diversi fin dalla nascita, oltre che nell’anatomia anche nel loro modo di funzionare. Si tratta di differenze realizzatesi nel corso di millenni, che coinvolgono la genetica, gli ormoni, i comportamenti, e che non implicano nessun giudizio di superiorità o inferiorità, di maggiore o minore intelligenza, ma sono semplicemente il risultato del fatto che, nell’arco di millenni, nel corso dell’evoluzione, uomini e donne hanno svolto  ruoli diversi e ciò ha determinato nei due sessi sviluppi cerebrali diversi e, di conseguenza, comportamenti diversi.
Louann Brizendine, una neuropsichiatra che insegna a Berkeley, ha scritto: “Mentre gli uomini potenzieranno in particolare i centri cerebrali legati al sesso e all’aggressività, le donne tenderanno a sviluppare doti uniche e straordinarie: una maggiore agilità verbale, la capacità di stabilire profondi legami di amicizia, la facoltà quasi medianica di decifrare emozioni e stati d’animo dalle espressioni facciali e dal tono della voce, e la maestria nel placare conflitti”.

Il codice genetico femminile, per più del 99%, è identico a quello maschile. Questo vuol dire che, dei 30.000 geni presenti nel genoma umano, la variazione tra i sessi è minima, inferiore all’ 1%. Tuttavia sappiamo che differenze anche di pochi geni chiave possono avere profonde influenze sulle dimensioni e sull’organizzazione del cervello.
Le conoscenze di oggi ci dicono che il cervello della donna pesa circa il 12% in meno di quello dell’uomo: in media 1200 grammi contro 1350. Tuttavia, se si fa una misura non assoluta ma relativa al peso corporeo, la differenza si annulla, e anzi, ne viene fuori una, molto lieve, a favore della donna.
Il quoziente intellettivo (QI), per quanto valga misurarlo, è identico; anzi, negli ultimi 100 anni, le donne hanno superato gli uomini in fatto d’intelligenza, migliorando le prestazioni nei test. E questo non certo perché i loro geni o le dimensioni del cervello siano cambiati, ma perché oggi le donne hanno una maggiore istruzione e hanno raggiunto maggiori possibilità di espressione rispetto ai secoli scorsi.
La realtà è che le intelligenze dell’uomo e della donna sono molto diverse e complementari, ed è questa la cosa affascinante dal punto di vista neurobiologico.

Le moderne tecniche di studio consentono di rilevare queste differenze.
Una merita davvero attenzione ed è quella relativa al numero di neuroni ed alla densità delle connessioni. Si è visto che i maschi hanno 6,5  volte più neuroni, mentre le donne hanno 10 volte più connessioni. Che vuol dire?
Partiamo dalle connessioni. Sappiamo che i due emisferi cerebrali hanno modalità differenti, ma complementari, di analizzare ciò che osserviamo: l’una logico-razionale, che corrisponde al modo di operare dell’emisfero dominante (più frequentemente l’emisfero sinistro), l’altra intuitiva-olistica, prerogativa dell’emisfero non dominante (più frequentemente l’emisfero destro).
Naturalmente, un corretto funzionamento del cervello richiede che i due emisferi interagiscano tra loro, che siano connessi.
Una delle differenze più importanti tra i due sessi è proprio quella relativa alle connessioni tra i due emisferi, più sviluppate nella donna che nell’uomo.
Nel cervello della donna è stato riscontrato un maggior spessore di due strutture che facilitano la comunicazione tra i due emisferi: il corpo calloso e la commissura anteriore; e le connessioni sono soprattutto trasversali e vanno dall’emisfero destro a quello sinistro e viceversa. In questo modo, il cervello femminile, ogni volta che deve interagire con la realtà esterna, riesce a reclutare sinapsi in maniera massiva da entrambi gli emisferi, facilitando la comunicazione tra pensiero analitico e pensiero intuitivo. Conseguenza di questo diverso arrangiamento delle fibre è che, nelle donne, la comunicazione interemisferica è facilitata e il loro cervello ha una modalità di funzionamento più globale, più idonea alla comprensione intuitiva dei problemi, anche complessi, rispetto alla procedura razionale e sequenziale, più tipica del sesso maschile.

I maschi, al contrario, hanno meno connessioni trasversali e tendono ad usare un solo emisfero per volta; nel loro cervello le connessioni corrono soprattutto dalla fronte alla nuca lungo lo stesso emisfero.
Possiamo dire, in linea di massima, che l’uomo possiede un cervello che segue schemi logici più basati sulla razionalità, mentre nella donna il funzionamento cerebrale sarebbe maggiormente di tipo intuitivo, e che nell’uomo il funzionamento dei circuiti nervosi è più rigido, mentre è più duttile nella donna.
Tutto questo spiegherebbe come le donne sono, notoriamente, più brave nel multitasking, ovvero nel fare più cose insieme, realizzino una migliore analisi dei problemi, abbiano migliori abilità sociali, siano più intuitive, dimostrino maggiore empatia, siano più sensibili alle espressioni del viso e abili nel comprendere stati d’animo e umore altrui.
Da uno studio di RM (risonanza magnetica), è emerso che le donne posseggono fra 14 e 16 aree del cervello destinate alla valutazione del comportamento degli altri, mentre gli uomini ne hanno da 4 a 6.
I maschi, invece, eccellono nelle attività motorie, dove si impiegano i muscoli, e sono più capaci di analizzare lo spazio, ad orientarsi, a capire le mappe. L’unica area in cui gli uomini dimostrano una maggiore connettività è il cervelletto, quella parte dell’encefalo legata al controllo dei movimenti.

Passiamo adesso ai neuroni. Si calcola che il numero dei neuroni della corteccia cerebrale sia di 19,3 miliardi nelle donne e di 22,8 miliardi negli uomini.
Pur avendo le donne, globalmente, un minor numero di neuroni, possiedono, tuttavia, aree cerebrali con almeno il 10% di neuroni e connessioni in più.
I moderni studi di neuroimaging (RM= Risonanza Magnetica, RM funzionale, eccetera) hanno riscontrato una maggiore densità neuronale in aree della corteccia cerebrale femminile collegate con la parola.
Adesso capisco perché, se io e mia moglie chiamiamo due nostri amici per fare la stessa comunicazione, la conversazione tra me e il mio amico dura un minuto, e quella tra mia moglie e la sua amica ne dura come minimo venti!
Probabilmente la maggiore tendenza delle donne, nel corso dell’evoluzione, alle attività comunicative ha dotato il loro cervello di molti milioni di neuroni in più in queste aree. La spiegazione può essere individuata nella differenziazione dei ruoli che risale all’origine della nostra specie. Mentre gli uomini andavano a caccia in piccoli gruppi, muovendosi furtivi e silenziosi nella savana per non spaventare gli animali, le donne si riunivano nei villaggi per badare ai bambini e chiacchieravano animatamente fra di loro e con i piccoli.
Altre aree più sviluppate, nelle donne, sono l’ippocampo, principale centro di formazione dei ricordi, e le aree delle emozioni. Ciò spiega perché, in media, le donne abbiano maggiore facilità nell’esprimere verbalmente le emozioni e nel ricordare i dettagli degli eventi che le suscitano, e stringono rapporti emotivi e legami affettivi molto più solidi dei maschi. Il cervello femminile, inoltre, è assai dotato nel valutare con rapidità i pensieri, le convinzioni e le intenzioni altrui, basandosi sugli indizi apparentemente più insignificanti.

Una differenza importante per le ripercussioni funzionali che ne possono derivare è quella relativa ad un’area considerata la custode delle emozioni, l’amigdala, il centro cerebrale della paura, della rabbia, dell’aggressività, maggiormente rappresentata negli uomini che nelle donne. Ma al di là delle dimensioni, nei due generi l’amigdala funziona in modo molto diverso. Il motivo per cui le donne ricordano meglio i dettagli relativi alle emozioni è, in parte, legato al fatto che l’amigdala femminile viene attivata più facilmente dalle sfumature emotive. Sappiamo che più forte è la risposta dell’amigdala ad un’esperienza che ci colpisce, più particolari l’ippocampo registrerà per conservare quell’esperienza nella memoria. Poiché le donne hanno un ippocampo relativamente più grande, riescono a ricordare i minimi dettagli delle esperienze emotive, i loro primi appuntamenti e le liti più feroci; gli uomini si ricordano a malapena che quei fatti hanno avuto luogo, non per superficialità, e questa volta mi metto dalla parte degli uomini, ma per la diversità dell’amigdala e dell’ippocampo nei due generi. Altro dato importante è che, nel cervello femminile, il circuito dell’emotività e della paura, oltre che essere più strettamente connesso a funzioni cognitive ed emozionali è, rispetto agli uomini, maggiormente connesso a funzioni verbali. Nell’uomo, invece, l’amigdala, che è una delle aree più primitive del cervello, mantiene soprattutto le sue funzioni più ancestrali, quelle che registrano la paura e scatenano l’aggressività; l’amigdala maschile possiede inoltre molti recettori per il testosterone, che tendono a stimolare e potenziare questa risposta.

Per questi motivi, di fronte ad una situazione di stress o di ira,, la donna attiva il sistema limbico, cioè i circuiti emotivi e, insieme a questo, le aree del linguaggio, e la reazione tende ad avere una connotazione affettiva e verbale; l’uomo, invece, attiva la corteccia prefrontale e la risposta tende ad essere prevalentemente motoria e orientata alla reazione fisica. Ecco perché molti uomini possono arrivare ad uno scontro fisico in pochi secondi, mentre molte donne fanno di tutto per evitare un conflitto. Anche in queste differenze di comportamento dei due generi possiamo trovare una spiegazione evoluzionistica: di fronte ad un pericolo, la donna doveva proteggere la prole, rassicurarla con le parole, sedare i conflitti, cercare alleanze con le altre donne del clan, se gli uomini erano assenti; compito dell’uomo era procurare il cibo con la caccia, oppure aggredire ed abbattere l’eventuale aggressore.
Per questi motivi, in genere, in un diverbio con una donna, l’uomo dimostra meno scioltezza verbale e, non riuscendo a tenerle testa con la dialettica, può essere spinto dai suoi circuiti cerebrali ad una reazione rabbiosa ed aggressiva.
Da una esasperazione di questa differente fisiologia della risposta all’ira, possono discendere alcuni comportamenti irrazionali che ci sconvolgono.
Di fronte ad una violenta lite, la donna reagisce piangendo e parlando, l’uomo aggredisce. Questo potrebbe essere alla base di tanti contrasti che degenerano in femminicidio.
Parimenti, abbiamo visto come, in una situazione di allarme, la donna tende a rinchiudersi in se stessa, nel nucleo familiare che deve proteggere. L’amplificazione di questo istinto
 protettivo potrebbe, invece, essere alla base dei casi di infanticidio, visto come distorsione perversa dell’istinto a proteggere la prole davanti ad un pericolo, talvolta solamente immaginato!

Gli ormoni sessuali giocano un ruolo determinante nelle differenze di genere di cui vi ho parlato. Le prime differenze cerebrali si manifestano già a partire dalla ottava settimana di sviluppo fetale, in conseguenza dell’inizio di quell’attività ormonale che condizionerà, per il resto della vita, i sistemi neuronali di maschi e femmine. L’afflusso di testosterone indirizzerà verso un cervello maschile, in caso contrario, il cervello acquisirà una struttura femminile; nei maschi si svilupperanno maggiormente le cellule dei centri del sesso e dell’aggressività, nelle donne si produrranno, già da allora, più connessioni nei centri delle comunicazioni e nelle zone che elaborano le emozioni. È questo bivio della vita fetale che determina il destino biologico di ognuno, reso ancora più evidente e indirizzato al momento della caratterizzazione ormonale che si avrà alla pubertà. Le secrezioni di estrogeni che si ha nelle bambine fin dalla età infantile è necessaria a stimolare lo sviluppo delle ovaie e del cervello a scopi riproduttivi; allo stesso tempo, stimola lo sviluppo di circuiti cerebrali differenti, sollecita la crescita di neuroni, incrementa ulteriormente i centri deputati all’osservazione, alla comunicazione e, perfino, alla protezione. Così, si preparano i circuiti cerebrali femminili, in modo che le bambine imparino a cogliere le sfumature dei rapporti sociali e possano dare impulso alla propria fertilità.

Le ragazze, non essendo influenzate dal testosterone,  ma governate dagli estrogeni, preferiscono evitare gli attriti, perché la discordia le mette in conflitto con il loro bisogno di restare in armonia con gli altri. I maschi non si preoccupano del rischio dei conflitti: la competizione fa parte della loro costituzione. Il cervello dei bambini, plasmato dal testosterone, non cerca affatto il legame sociale come quello delle bambine.
Un’altra differenza importante tra i due cervelli, nell’adolescenza, è che quello delle ragazze matura più in fretta che nei maschi, facendole così progredire più rapidamente verso la maturazione dei circuiti cerebrali, con due o tre anni di anticipo.
Essere donna, però, è un fattore di rischio per deficit cognitivi e demenza. Non solo perché la donna vive di più, ma perché ci sono dei meccanismi, ancora poco conosciuti di tipo genetico e ormonale che determinano una peggiore evoluzione degenerativa del cervello.
Secondo la scienza, i cervelli delle donne sono più vulnerabili.

 

Numero1812.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE DEL  CIELO

La coscienza

 

“La coscienza è la forma della conoscenza, l’unica forma veramente reale, intessuta nell’unico linguaggio che possediamo, quello del cervello e del suo  telaio incantato” scrive il neuroscienziato Giulio Tononi.
La coscienza costituisce una delle caratteristiche più peculiari e complesse dell’essere  umano. Addentrarsi nei suoi misteri fa un po’ paura, perché, anche se sulla coscienza sono stati scritti interi libri, poche sono le certezze che abbiamo su cosa sia, perché ci sia, da quale parte del cervello derivi.
La coscienza nasce con il cervello, sboccia quando il cervello sviluppa reti rigogliose e le consolida, e poi invecchia con esso. Quando il cervello muore, anch’essa muore. “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” dice Roy Batty nell’indimenticabile monologo di Blade Runner.
Senza la coscienza non esisterebbe nulla. L’unico modo con il quale “sentiamo” il nostro corpo, le nostre emozioni, le persone, gli alberi, le stelle, la musica, e attraverso le nostre esperienze, i nostri pensieri e i nostri ricordi soggettivi.
Ogni giorno agiamo, amiamo e odiamo, ricordiamo il passato e immaginiamo il futuro, ma, in buona sostanza, il rapporto con il mondo, in tutte le sue manifestazioni, lo stabiliamo esclusivamente con la coscienza. E quando questa viene a mancare, scompare pure il mondo.

Ma qui sta il punto. La natura del rapporto tra il sistema nervoso e la coscienza rimane elusiva e, tuttora, al centro di accesi e interminabili dibattiti. Anche se la coscienza è ben diversa dalla materia, sicuramente della materia ha bisogno. Da un lato c’è il cervello, l’oggetto più complesso dell’universo conosciuto, un’entità materiale soggetta alle leggi della fisica; dall’altro, il mondo della consapevolezza, delle immagini e dei suoni della vita, della paura, della rabbia, del desiderio e dell’amore, della noia. Questi due mondi sono in stretta relazione, come dimostra drammaticamente un’emorragia che, scompaginando la struttura del cervello, all’istante si porta via la nostra mente. A meno di non essere profondamente addormentati o in coma, siamo sempre coscienti di qualcosa: la coscienza è il fatto centrale della nostra vita. Comincia al mattino quando ci svegliamo e continua per l’intera giornata, fino a quando cadiamo in un mondo senza sogni.
Eppure la coscienza la diamo per scontata, perché ci accompagna da sempre e non richiede sforzi. Allo stesso modo pensiamo, e questo ci permette di fare le cose meravigliose che facciamo, ma non ci siamo mai dovuti interrogare sulla natura del pensiero o del suo funzionamento.

Quando si parla di coscienza, sono più le domande che ci vengono alla mente che non le certezze che abbiamo. Perché, fino ad un certo punto dell’evoluzione, le operazioni automatiche e silenti del cervello erano sufficienti per la vita, e solo più tardi è balzata prepotentemente fuori la coscienza e, con essa, il concetto di libero arbitrio? Anche se non abbiamo una chiara idea degli eventi biologici che ne hanno reso possibile il manifestarsi, la coscienza è probabilmente la più alta forma di complessità conosciuta nell’universo, e anche la più rara: è stata definita “il più profondo di tutti i misteri scientifici”. In effetti, possiamo considerare la coscienza il vero grande mistero della nostra conoscenza.
Pur così complessa, la coscienza è alquanto fragile e variabile, perché basta subire un’anestesia per farla scomparire, perché ogni volta che ci addormentiamo, ogni sera, si spegne progressivamente e, dentro di noi, l’intero universo scompare, vanno via i suoni, i colori, i pensieri ed è come se non esistessimo più neanche noi stessi. Ma basta svegliarci, perché tutto ritorni esattamente come prima, come se nulla fosse successo. Come per miracolo, così, senza sforzo, ogni mattino la coscienza si attiva da sola,
milioni di persone si riaffacciano alla vita, ridiventando consapevoli della loro esistenza.

Come da quella macchina, il cervello, che ci sembra di conoscere così bene, possa sprigionarsi l’esperienza soggettiva, il colore del cielo, la serenità di un tramonto, come dall’attivarsi di un pugno di neuroni nasca la coscienza, sembra davvero un miracolo inspiegabile. Il filosofo David Chalmers lo ha chiamato “the hard problem” (il problema difficile), perché sembra impossibile anche solo immaginarne una soluzione.
La coscienza è l’espressione massima dell’attività del nostro cervello e dà il senso alla nostra vita.
Ma che cos’è esattamente la coscienza? Su questo quesito, scienziati e filosofi dibattono da tempo, pur sapendo che essa è la cosa più difficile da definire, la caratteristica più misteriosa dell’uomo.
Su di essa possiamo dire tante cose: è la capacità di ognuno di noi di percepire  e di sperimentare il mondo che ci circonda e di sentircene parte, è la soggettività, il libero arbitrio, il centro di comando della mente, è l’esigenza profonda di capire noi stessi, è la maturazione della consapevolezza di sé, con l’insieme di tutto il bagaglio di cose accumulate nel tempo, diversa dal bambino, all’adolescente, all’uomo adulto. Alla coscienza è legata la visione morale del mondo. La coscienza è un’attività della mente e implica il pensiero; se non pensi, non sei cosciente. Ma ciò non comporta che pensiero e coscienza si identifichino, perché non sempre il pensiero è cosciente.

Il termine mente è comunemente usato per descrivere l’insieme delle funzioni cognitive del cervello, quali il pensiero, l’intuizione, la ragione, la memoria, la volontà e tante altre. Anche il termine psiche fa riferimento alla mente nel suo complesso.
Il pensiero è l’attività della mente, in un certo senso, è la mente operativa, un processo che si esplica nella formazione delle idee, dei concetti, della coscienza, dell’immaginazione, dei desideri, della critica, del giudizio e di ogni raffigurazione del mondo. Non sempre il pensiero è cosciente, potendo agire anche in modo inconscio.
Coscienza è lo stato di consapevolezza raggiunto dall’attività della mente, cioè quel momento di presenza alla mente della realtà oggettiva, di percezione di unità di ciò che è nell’intelletto.
La coscienza è il processo di continua formazione di un modello del mondo e di noi stessi nel mondo, al fine di simulare il futuro e realizzare un obiettivo, la capacità di immaginare situazioni che non esistono nel mondo reale e di elaborare un progetto per il futuro che vada oltre i bisogni dettati dall’istinto e dalla sopravvivenza. Il cervello è una macchina anticipatrice e creare il futuro è la sua funzione più importante.
Grazie alla coscienza riusciamo a sostenere un ragionamento, anche complicato, pronunciamo una frase o leggiamo la pagina di un libro. E possiamo dire parole come: penso, credo, voglio. Poiché abbiamo la capacità di parlare, è in particolare attraverso la parola che possiamo affermare di essere coscienti, raccontando tantissime cose di noi e della nostra interiorità.
La coscienza è il meccanismo di controllo e di verifica della mente, ciò che fa sì che l’azione della mente avvenga rispettando le finalità della nostra esistenza, in parte scritte nel genoma ma, soprattutto, fissate dall’ambiente culturale e  sociale che l’uomo ha costruito nel corso dei millenni. Per questo, nel linguaggio comune, coscienza indica anche una valutazione morale del proprio agire, spesso intesa come criterio supremo della moralità, e ci eleva alla trascendenza, alle bellezze astratte ed etiche.
Il meccanismo della nostra mente è complesso. Qualcuno ha detto che, se la nostra mente fosse così semplice da essere compresa, noi non saremmo abbastanza intelligenti per comprenderla.

Pur essendo la coscienza il pianificatore a lungo termine della nostra vita, in realtà essa controlla solo una piccola parte del lavorio del cervello. Buona parte delle operazioni del cervello sono condotte da tanti meccanismi a cui essa non ha accesso, perché molte cose funzionano sotto il suo livello, anche se molte hanno avuto un momento cosciente, hanno necessitato di un apprendimento e hanno un posto nella memoria.
Ma perché, quando dormiamo, la luce della coscienza si spegne e, con essa, tutto il nostro universo privato, se miliardi di neuroni continuano ad inviare impulsi nervosi come quando si è svegli? Ciò vuol dire che dal nostro cervello scaturisce o meno coscienza a seconda della modalità in cui i suoi neuroni si attivano ed interagiscono fra di loro? Ma allora, è il modo di funzionare dei neuroni o, in alternativa, lo stato di attivazione o meno di specifiche aree cerebrali a determinare se siamo coscienti oppure no? E, se è così, che cosa c’è di tanto speciale in queste aree perché possano generare la coscienza?
Secondo una brillante teoria di Giulio Tononi, la coscienza è il risultato dell’azione integrata di tante aree cerebrali. È la teoria dell’informazione integrata, secondo cui le esperienze consce derivano dall’integrazione di grandi quantità di informazioni da parte di molte aree del cervello. Più una specie vivente è capace di integrare informazioni, più il suo grado di coscienza è elevato. Ma tutte le aree cerebrali sono coinvolte nel meccanismo della coscienza? Negli ultimi decenni le neuroscienze sono letteralmente esplose, il sapere e le conoscenze sul cervello sono cresciute a dismisura e noi abbiamo capito cose che prima neanche immaginavamo.
Oggi che le tecniche di imaging cerebrale ci permettono di visualizzare in modo sistematico e affidabile il cervello in azione, lo studio delle basi biologiche della coscienza è diventata una delle sfide scientifiche più affascinanti. Purtroppo, non riusciamo ancora a riconoscere le aree del cervello che si attivano quando si esprime la coscienza, così come riusciamo invece a fare per individuare le aree motorie o quelle del linguaggio.

Certamente, per essere coscienti, non abbiamo bisogno del midollo spinale e una lesione di quest’area non modifica minimamente la nostra coscienza.
Un’altra osservazione interessante e, per certi versi, sorprendente è che una lesione che danneggi il cervelletto, per quanto estesa possa essere e, per quanto possa essere causa di menomazioni neurologiche, non compromette la ricchezza e l’intensità delle elaborazioni della coscienza. La cosa che stupisce è che il cervelletto, benché piccolo,
 contiene più di 60 miliardi di cellule nervose, un numero molto superiore a quello della corteccia cerebrale.Tuttavia, se un tumore o un ictus colpiscono il cervelletto, a venire compromessi sono il nostro equilibrio e la nostra coordinazione: la nostra andatura è maldestra e a gambe divaricate, trascinando i piedi, i movimenti oculari sono irregolari e, più che parlare, farfugliamo. Inoltre, quei movimenti regolari e precisi che, solitamente, diamo per scontati, diventano a scatti e richiedono una particolare attenzione.
Eppure, la nostra consapevolezza delle percezioni e dei ricordi cambia di poco: la nostra coscienza rimane quella di prima.
Anche una grave lesione del tronco encefalico e del talamo può causare disturbi o addirittura perdita della coscienza. Danni della neocortex
  possono modificare profondamente il nostro livello di coscienza. Questo ci dice che l’attività di quasi 30 miliardi di cellule nervose della corteccia cerebrale è rilevante, per la coscienza, a differenza dei 60 miliardi di cellule nervose del cervelletto che non lo sono. Lo sviluppo della corteccia, soprattutto di quella prefrontale, ha determinato la comparsa di funzioni che sempre hanno avuto a che fare con la conoscenza, la consapevolezza, la programmazione; ha portato ad un utilizzo sempre più complesso del cervello. Si sono moltiplicate le connessioni tra le aree e l’uomo ha cominciato a sviluppare un senso morale, a utilizzare le connessioni per sviluppare idee, creatività, progetti. Sicuramente, nell’emergere della coscienza, la corteccia prefrontale gioca un ruolo essenziale. È lì che hanno sede le funzioni intellettive superiori, come il problem solving (capacità di risolvere i problemi), il ragionamento e la presa delle decisioni. 

Con la coscienza, l’uomo ha avuto il privilegio straordinario di elevare la propria mente.
Ciò vuol dire che era, quindi, necessario che, nella sua lunga evoluzione, il cervello raggiungesse una capacità di elaborazione di dati tale da cominciare a riflettere su se stesso? Che, ad un certo punto, dell’evoluzione dell’uomo, una coscienza era necessaria? E tutto ciò è avvenuto semplicemente perché la complessità dei meccanismi della mente comportava la comparsa di una funzione più alta che esercitasse un controllo sul resto, o non piuttosto, perché era previsto da un disegno superiore?
Forse mai l’uomo arriverà a rispondere a questi quesiti, mai arriverà a trovarne il segno, là dove nascono i significati.
Personalmente, mi piace pensare che non sia soltanto la complessità anatomica e funzionale cui era arrivato il cervello umano ad aver fatto emergere la coscienza. Preferisco ritenere che la funzione più straordinaria dell’universo non sia nata per caso, come conseguenza passiva di uno sviluppo eccezionale delle facoltà mentali, ma che, invertendo i termini del problema, la complessità del nostro cervello si sia realizzata per il fine di sviluppare la coscienza, che questa fosse, quindi, già nel progetto iniziale, e che lo sviluppo delle funzioni del cervello fosse l’elemento evoluzionistico principale perché, ad un certo punto, l’uomo delle caverne si trasformasse nell’essere più evoluto dell’universo, perché da un insieme di atomi e molecole si sprigionasse la scintilla dell’anima.
Mi piace pensare che, fin dall’inizio, il progetto fosse “l’uomo cosciente”, e la coscienza era l’elemento ultimo perché l’uomo raggiungesse la conoscenza

Quando si parla di coscienza non si può non parlare di libero arbitrio.
Se la coscienza è capacità di riflettere su se stessi e sul nostro passato per progettare il futuro, essere coscienti presuppone anche la libertà di scelta in queste azioni, l’esistenza per l’uomo del libero arbitrio, il sentirsi soggetti che agiscono in base a volontà e con una molteplicità di opzioni possibili davanti.
Siamo liberi quando decidiamo internamente di agire, quando abbiamo consapevolezza delle nostre scelte, quando non c’è costrizione.
Non lo siamo più, quando qualcuno sceglie al posto nostro.
Nelle nostre azioni quotidiane, abbiamo la sensazione di poter scegliere consciamente tra linee di azione alternative, nella consapevolezza che optare per l’una o per l’altra dipenda da noi. In generale, non abbiamo la sensazione che la nostra mente agisca in balia del caso o delle circostanze, anzi la vita di ogni giorno ci appare come una sequenza di libere scelte.
Secondo molti filosofi e scienziati, questa grande libertà , in realtà, è un’illusione: il libero arbitrio, semplicemente, non esisterebbe.
È stato dimostrato che, nel perseguimento di un compito, certe regioni del cervello si attivano parecchie centinaia di frazioni di secondo prima che quella decisione diventi cosciente: circa 535 millisecondi prima di muovere un dito, prima ancora che il soggetto abbia consapevolezza di quell’azione, il cervello è già attivo. Se è così, dicono alcuni, le nostre decisioni non scaturiscono dal ragionamento. Ci limiteremmo a rispondere a segnali provenienti dall’ambiente nel fluire continuo della nostra attività cerebrale e lo faremmo in modo automatico. Per molti è la riprova che gli atti volontari e le decisioni cominciano oltre la soglia della coscienza e che per il libero arbitrio non ci sia più spazio. La coscienza sarebbe molto ridimensionata, come se dentro la nostra testa ci fosse qualcuno che ci dice cosa fare prima che ne possiamo essere consapevoli.

Ma, se così fosse, cosa resterebbe della vita morale, del concetto di responsabilità che è alla base di tutti i codici civili e penali del mondo?
Se le nostre esistenze si iscrivessero in una trama già imbastita, di che margine di movimento disporremmo? Saremmo schiavi di un percorso già stabilito?
Il pensiero non sempre giunge a livello di consapevolezza, ma molto spesso, dà risposte immediate basandole sulle tante cose ed esperienze sedimentate nella memoria e ora attive, anche senza che ne siamo coscienti. Il cervello si è evoluto in un certo modo, e non in un altro, perché questo era il miglior modo per sopravvivere. Per questo ha ritenuto che alcune informazioni non fossero essenziali per la sua sopravvivenza e le ha rese automatiche.
Ciò non significa che non siamo liberi solo perché non siamo consapevoli di tutto!
L’io cosciente rappresenta solo una piccola parte dell’attività del nostro cervello. Le nostre azioni, i nostri convincimenti, i nostri pregiudizi, sono tutti guidati da reti cerebrali alle quali non abbiamo un accesso cosciente, ma che fanno parte della nostra mente e attingono ai nostri ricordi, alle nostre esperienze e alle nostre valutazioni passate.
Come Sigmund Freud aveva già capito, buona parte della nostra vita mentale è inaccessibile alla coscienza: è l’inconscio.

Infine, e questo è il quesito che può angosciare o dare un senso alla vita, quando moriamo, la nostra coscienza, o la nostra anima, muore con noi o, semplicemente, si distacca dal corpo?
Forse, di tutti i misteri dell’universo, questo è quello che nessuno riuscirà a risolvere con i soli mezzi che la scienza ci mette a disposizione.                                                                                                                                                                       

 

Numero1811.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE  DEL  CIELO         (Ultimo numero della serie)

Con quest’ultimo Numero si conclude la sintesi di un argomento straordinariamente importante; ma, il capitolo conclusivo di  questa sintesi non può essere “sintetizzato” perché è di una importanza ancor più straordinaria.
Perciò, mi scuso fin d’ora se sarà molto lungo, ma non me la sono sentita di tagliare nemmeno una parola: l’interesse eccezionale, almeno per me, del contenuto lo richiede. (N.d.R.).

Intelligenza Artificiale: fantascienza o realtà?

1-Intelligenza artificiale, intelligenza limitata, intelligenza generale, computer superintelligente, superintelligenza, singolarità tecnologica, cyborg…..
Ormai non vi è giornale o rete televisiva che non dedichi ampi spazi a questi temi. Il numero di libri scientifici o di fantascienza dedicati al futuro dell’intelligenza è in continua crescita. L’intelligenza artificiale sembra essere tra i primi argomenti nell’interesse della gente.
Ma veramente la fantascienza sta diventando realtà?

2-Nel corso di questo libro, abbiamo potuto apprezzare le qualità del nostro cervello e abbiamo cercato di capire come alcune funzioni, che consideriamo uniche e caratteristiche del solo cervello umano, possano scaturire dall’azione integrata di milioni di miliardi di piccoli elementi che abbiamo imparato a conoscere, i neuroni. Abbiamo considerato, soprattutto, come il funzionamento del cervello ci porti, in un modo per tanti versi ancora incomprensibile, dal materiale all’immateriale, dagli atomi all’intelligenza.
E siamo rimasti colpiti dalla grandiosità di tutto ciò.

3-Appare, dunque, straordinario che alcuni scienziati abbastanza visionari abbiano immaginato che potesse essere possibile creare macchine capaci di realizzare cose ancora oggi ritenute prerogativa della sola mente umana, come produrre idee, comunicare, risolvere problemi, apprendere, o capaci addirittura di superare quest’ultima, di diventare superintelligenti.
Nel formulare questa ipotesi, essi si sono, innanzitutto, basati sugli straordinari progressi preconizzati nell’ambito delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie.

4-Secondo la legge di Moore, la potenza di calcolo dei computer raddoppia, grosso modo, ogni 18 mesi e, secondo questo calcolo, nell’anno 2025, un computer, come quelli che tutti abbiamo in casa, disporrà della stessa capacità di calcolo di un cervello umano e, nel 2045, se si confermerà lo stesso ritmo di crescita, avrà la stessa capacità di calcolo di tutta l’umanità messa insieme.
E ci saranno milioni di computer come questi in tutto il mondo.
Ormai, qualcuno sostiene che sia solo una questione di tempo, prima che le macchine acquisiscano una consapevolezza di sé in grado di rivaleggiare con l’intelligenza umana.

5-Tutto sommato, il motivo principale della posizione dominante dell’umanità sulla terra è dovuta al fatto che il nostro cervello ha un insieme leggermente più ampio di facoltà in confronto agli altri animali, cosa che ci ha consentito di trasmettere la cultura in modo più efficiente. La crescita continua delle conoscenze, di generazione in generazione, ci ha permesso, di conseguenza, di consolidare il nostro vantaggio. Ma se arrivassero entità capaci di accumulare conoscenze molto più velocemente di noi e di inventare nuove tecnologie in tempi molto più brevi, potrebbero anch’esse usare l’intelligenza per elaborare strategie ancora più efficienti, assumendo un controllo diretto sulle tecnologie, e poi sui processi politici, sui mercati finanziari, e sui flussi d’informazioni.

6-Ma la legge di Moore può avere validità eterna?
Stiamo già assistendo ad un suo rallentamento e il ritmo potrebbe interrompersi del tutto alla fine di questo o del prossimo decennio. Il motivo è semplice: oggi è possibile inserire centinaia di milioni di transistor in silicio su un microscopico chip, ma c’è un limite a quanto vi si può stipare. Tuttavia, mentre l’era del silicio volge al termine, i fisici già sperimentano una grande varietà di alternative, forse ancora più efficienti. Probabilmente, anzi sicuramente, fra poco avremo computer quantistici, computer molecolari, nanocomputer, computer a DNA, computer ottici eccetera.

7-L’idea che sta dietro la prospettiva di un’intelligenza artificiale scaturisce dal modo in cui abbiamo visto evolvere e funzionare il nostro cervello.
La configurazione cerebrale è frutto di una evoluzione lunga milioni di anni.
Alla nascita, la sua struttura è già decisa dai geni, dal DNA che abbiamo ricevuto in eredità. Lo sviluppo di gran parte dell’intelligenza e l’accumulo della maggior parte delle nostre conoscenze avviene però successivamente, grazie alla capacità di elaborare tutte le informazioni che vengono dai nostri sensi. Se vogliamo descrivere tutto questo in un linguaggio da computer, seguendo Max Tegmark, professore di fisica al MIT e autore del libro  Vita 3.0:  esseri umani nell’era dell’intelligenza artificiale, possiamo dire che il nostro hardware (l’insieme delle informazioni del nostro DNA che costituiscono la struttura base del cervello e ci forniscono le modalità d’uso) è frutto dell’evoluzione, lo troviamo già quasi pronto alla nascita, fisso e soggetto a piccole modificazioni iniziali legate alla sua crescita fino al volume definitivo, con un DNA praticamente stabile negli ultimi 50.000 anni e con una scarsa capacità di immagazzinamento delle informazioni.
Per questo noi umani, alla nascita, non sappiamo un granché.

8-Al contrario, il nostro software (l’insieme delle reti neurali che si svilupperanno nel corso della vita e che ci permetteranno di acquisire le informazioni che provengono dal mondo che ci circonda e di costituire quello che sarà l’insieme delle nostre conoscenze, del nostro modo di ragionare, di emozionarci e prendere decisioni, ciò che ci farà essere quello che ci caratterizzerà per la vita) viene, in gran parte, continuamente programmato in un secondo momento, attraverso il processo di apprendimento che, senza soluzione di continuità, trasforma il nostro cervello lungo tutta l’esistenza. È questo che ci fa avere un’intelligenza molto superiore a quella che può venirci trasmessa attraverso il DNA all’atto del concepimento. Ed è a questo che dobbiamo una caratteristica straordinaria del nostro cervello, cioè la flessibilità, la sua capacità di modificarsi continuamente, di imparare sempre, di avere quello che finora abbiamo chiamato la sua “plasticità”.

9-Per chi usa termini tecnologici, possiamo dire che il nostro DNA contiene circa soltanto un gigabyte di informazioni, sì e no sufficiente a scaricare e memorizzare un singolo film, mentre l’insieme finale delle nostre sinapsi immagazzina tutto quello che conosciamo e tutte le abilità apprese , sotto forma di circa 100 terabyte (in ordine di grandezza: terabyte = 1000 miliardi di byte) di informazioni.
Nella nostra biologia, possiamo agire poco sul nostro hardware, impiantando, per esempio, qualcosa di artificiale, ma nulla che ci permetta di acquisire un cervello più grande. Ma, e questa è la sfida che si pongono gli scienziati, se riusciamo a costruire un cervello che, oltre ad avere un software duttile, avesse anche un hardware implementabile a piacere, avremmo una macchina immensamente più potente e capace, in pochi decenni, di un’evoluzione che, per la biologia, richiederebbe migliaia di anni.

10-Ha  impiegato circa 13,8 miliardi anni, dal momento del BIG BANG, una materia inerte ed incosciente a diventare intelligente. Uno sviluppo ulteriore certamente richiederà un enorme numero di anni. Secondo chi si occupa di IA (Intelligenza Artificiale), perché ci possa essere il grande salto, è necessario che la vita si liberi dei vincoli della propria evoluzione e riesca a progettare e modificare il proprio hardware. Sarebbe un modo estremamente più rapido di costruire macchine intelligenti rispetto alla soluzione escogitata dalla evoluzione. Probabilmente, la macchina che si otterrà consumerà molto più dei 15 watt di energia che usa il nostro cervello, ma ben presto, si progetteranno altre macchine intelligenti capaci di usare energia in modo anche più efficiente.

11-Gli scienziati, in altri termini, immaginarono di poter creare ciò che oggi chiamiamo un’ Intelligenza Artificiale, con l’obiettivo ultimo di simulare, e possibilmente superare, il funzionamento del cervello umano.
Molti sono pieni di entusiasmo per questo salto nel futuro e lo considerano una delle più grandi sfide dell’umanità, probabilmente il più grande evento della storia dell’uomo. Del resto, dicono, se un processo cieco e lento come l’evoluzione è stato capace di produrre l’IU, l’ Intelligenza Umana, un processo adeguatamente ottimizzato, grazie alla scienza, non dovrebbe farlo in modo più rapido e forse più efficace?
Spinti dal mito dell’IA, dopo decenni passati a puntare tutto sull’esplorazione dello spazio e sui misteri della Fisica, da qualche decennio, gli scienziati, non solo biologi, ma anche matematici, fisici, astrofisici eccetera si occupano di capire come opera il nostro organo più complesso e, oggi, istituzioni e governi di tutto il mondo lanciano grandi progetti per andare alla conquista della mente.

12-Nel 2008, con il sostegno di Google e della NASA, è stata fondata in California la Singularity University per lo sviluppo di biotecnologie finalizzate all’evoluzione di un’IA. La via verso l’IA sta seguendo sostanzialmente due concezioni scientifiche del tutto differenti.
Secondo alcuni, la mente è simile ad una macchina, il cui comportamento può essere studiato e replicato in un computer. Per altri, l’intelligenza è una proprietà funzionale del cervello biologico e, per simularla, dobbiamo cercare di riprodurre la struttura di quest’ultimo, ispirandoci al funzionamento del sistema nervoso e sviluppando concetti come quelli delle reti neurali.
Nel 2013, l’Unione Europea ha lanciato lo Human Brain Project (Progetto Cervello Umano), che mira, mediante un supercomputer, a realizzare la simulazione informatica completa del funzionamento del cervello umano. Con le tecnologie attuali, per realizzare questo progetto ci vorranno macchine imponenti, il consumo di energia di un simile mostro di silicio sarà così elevato da richiedere, per la sua alimentazione, una centrale nucleare da 1000 megawatt e saranno necessari strumenti di raffreddamento eccezionali per evitare che i suoi circuiti fondano. E pensare che tutto ciò servirà soltanto a cercare di simulare una piccola parte del corpo umano che pesa meno di un chilo e mezzo e sta tutto dentro la nostra testa, che, al massimo del suo lavoro, fa salire la temperatura corporea solo di pochissimi gradi, usa meno di 20 watt/ora di potenza e ha bisogno solo di un gradevole pasto per tirare avanti. Senza considerare che, per realizzarla, è sufficiente far congiungere due cellule con un atto naturale, e anche piacevole, e restare in attesa per nove mesi.

13-Sempre nel 2013, Barack Obama ha lanciato il progetto BRAIN (Cervello), per mappare l’intera attività cerebrale, per decifrare in che modo le reti neurali operano per produrre il pensiero e prendere decisioni. Tracciare una mappa completa dei percorsi neurali del cervello umano potrebbe permettere di capire meglio come funziona la nostra mente e cosa si inceppa quando si sviluppa una malattia mentale, come la schizofrenia, l’Alzheimer, l’epilessia, l’autismo, la depressione eccetera. Ma il funzionamento del nostro cervello è ancora, in buona parte misterioso, e la nostra scarsa conoscenza sulla struttura neurale di quest’organo può essere un grosso ostacolo alla ricerca sull’IA. Gli studi sull’IA sono ritenuti così importanti per il futuro del genere umano e per la rilevanza strategica che potranno avere sull’equilibrio tra le nazioni, che la corsa per diventarne leader è già cominciata.

14-Oltre all’Agenzia del Dipartimento della Difesa di Washington che sviluppa tecnologie militari (DARPA), anche la Cina sta investendo cifre ancora più ingenti. Sempre negli USA e in Cina operano due grandi gruppi multinazionali GAFAM: Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft.
BATX: Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi.
Entrambi i gruppi hanno destinato decina di miliardi di dollari allo sviluppo di questo settore.
Nello sviluppo del futuro, avranno un ruolo importante anche le interfacce neurali, sistemi che permettono lo scambio di informazioni tra una macchina  (un computer o una protesi robotica) e il sistema nervoso, per potenziare l’intelligenza e altre funzioni in individui sani. In alcuni laboratori, si lavora per sviluppare piccoli chip da impiantare nel cervello, disegnati per acquisire, interpretare e modificare i segnali elettrici generati durante l’attività cerebrale e consentire quindi una comunicazione diretta con un computer (interfaccia neurale). È l’obiettivo che vogliono raggiungere i ricercatori della Silicon Valley, l’idea degli uomini Cyborg, superintelligenti, ricettivi.

15-Nel futuro, potremmo anche avere un robot controllato a distanza dal cervello umano con cui si interfaccia attraverso un computer, oppure un androide con cervello artificiale nel quale viene trasferita la personalità di un essere umano, un ologramma in grado di esprimersi, in tutto e per tutto, come una persona.
La fantascienza ha già previsto tutto questo ed ha immaginato un futuro in cui la mente potrà essere trasferita in un computer. Ma non si tratta solo di un film, il concetto di mind uploading, di trasferimento della mente, non è pura utopia.
C’è chi è convinto che, nelle prossime decadi, i robot diventeranno il guscio dentro il quale sarà racchiusa la mente degli uomini: corpi meccanici con cervello umano.

16-A questo punto, penso che fornire alcune definizioni riguardanti il mondo dell’IA possa aiutarci a capire meglio.
Cominciamo con la definizione di intelligenza.
Tradizionalmente, si definiva intelligente una persona con una buona formazione e con un buon livello culturale. In realtà, l’intelligenza ha molte più sfumature e possiamo darne varie definizioni quali “la capacità di risolvere problemi nuovi e adattarsi all’ambiente”, oppure, “la capacità di progettare e realizzare fini complessi”.
Il termine IA, invece, indica la capacità di una macchina (un computer, un robot, un androide) di avere comportamenti simili a quelli umani.
Nell’ambito dell’intelligenza, possiamo poi distinguere fra intelligenza ristretta e intelligenza generale; la prima è la capacità di raggiungere un numero limitato di fini. Oggi l’IA è, in genere, ristretta; ogni sistema, per quanto complesso, è in grado di realizzare fini molto specifici. Un formidabile computer come Deep Blue (Blu profondo), in grado di battere un campione mondiale di scacchi, è capace di svolgere l’attività molto ristretta di giocare a scacchi. La maggior parte delle IA specializzate è capace di assolvere alla perfezione compiti precisi,mostrando, invece, una stupidità assoluta non appena si sconfina in qualche campo a loro sconosciuto.
L’intelligenza umana (IU) è invece di un’ampiezza unica, in grado di padroneggiare una gamma straordinaria di abilità; è, cioè, un’intelligenza generale, capace di raggiungere praticamente qualsiasi fine, compreso l’apprendimento. Qualunque bambino, con un tempo di addestramento sufficiente, può diventare bravo non solo in qualsiasi gioco, ma anche in qualsiasi lingua, attività sportiva o lavoro. Ciò vuol dire che, se le macchine ci battono in un numero sempre crescente di campi ristretti, noi umani vinciamo facilmente per generalità.

17-Il sogno della ricerca sull’IA è la costruzione di una macchina con un’intelligenza della massima ampiezza, in grado di realizzare praticamente  qualunque fine, altrettanto bene di un essere umano. Possiamo definirla un’Intelligenza Artificiale Generale (IAG). In fin dei conti, chi si occupa di ciò pensa che la materia inerte possa essere configurata in modo che, obbedendo alle leggi della Fisica,, ricordi, computi e apprenda, anche se non è materia biologica. Una tale intelligenza, se realizzata, potrebbe innescare un cambiamento radicale per l’umanità, un punto di svolta conosciuto come singolarità tecnologica, un futuro dominato da macchine intelligenti nel quale il nostro destino diventerebbe imprevedibile. Il termine singolarità viene usato dagli scienziati per definire questa esplosione di intelligenza artificiale.
Si ritiene che, nel momento in cui un’IA supererà la soglia dell’IU, potrà subire un’accelerazione che la porterebbe in poco tempo alla superintelligenza, cioè ad una intelligenza che supera di molto le prestazioni cognitive degli esseri umani in quasi tutti i domini di interesse, compreso quello dell’apprendimento.
È assai probabile che, a quel punto, questi computer intelligenti creeranno macchine più intelligenti degli esseri umani. E queste macchine, a loro volta, saranno in grado di progettare altre macchine ancora più intelligenti, lasciando l’intelligenza dell’uomo molto indietro. C’è la paura che la prima macchina ultraintelligente possa essere anche l’ultima invenzione che sarà permesso all’uomo di realizzare.

18-L’impiego di IA specializzate già oggi è molto diffuso e molte macchine, in un sempre maggior numero di compiti specifici, superano di gran lunga le capacità del cervello umano. Gli algoritmi che le guidano, cioè quegli strumenti informatici che ci permettono di programmare una macchina, stanno migliorando esponenzialmente, allo scopo di fare ancora meglio molto di ciò che l’IU è in grado di fare. Anche se il mondo dell’IA è in continua evoluzione, ciò che oggi conosciamo ci consente di fare un confronto, anche se non definitivo, fra le due intelligenze.
La prima differenza è relativa alla velocità dei cambiamenti di ognuna: l’evoluzione biologica umana è troppo lenta rispetto alla progressione dell’IA.
L’IA, inoltre, supera nettamente l’IU in tutto ciò che comporta velocità di operazione. Se consideriamo la velocità degli elementi computazionali, ci accorgiamo che i neuroni biologici funzionano ad una velocità molto inferiore a quella di un microprocessore moderno.
Per quel che riguarda la comunicazione interna, gli assoni trasmettono potenziali d’azione a velocità di 120 metri/secondo, mentre i processori elettronici possono comunicare, per via ottica, alla velocità della luce (circa 300 milioni di metri /secondo).
Nel numero degli elementi computazionali siamo indietro: il cervello biologico possiede, all’incirca, 86 mila miliardi di neuroni e questo numero è condizionato dalle sue dimensioni non modificabili; i supercomputer possono essere grandi come un hangar, con la possibilità di aggiungere tutti i cavi ad alta velocità che si vuole.

19-Nella velocità di diffusione delle conoscenze, il cervello appare molto lento, anche se il lavoro fatto dalla nostra mente non è disprezzabile. Se il nostro DNA non si è evoluto sensibilmente negli ultimi 50.000 anni, le informazioni conservate collettivamente nei nostri cervelli, nelle biblioteche e, adesso, nei computer hanno conosciuto, negli ultimi anni, una straordinaria esplosione culturale (usando un termine da IA potremmo definirla una singolarità biologica). Nel corso del tempo (circa 45.000 anni fa) l’uomo ha sviluppato meccanismi che gli hanno permesso di comunicare per mezzo di un linguaggio parlato raffinato e, in questo modo, trasmettere le informazioni più utili da un cervello ad un altro.
Lo sviluppo della capacità di leggere e scrivere (intorno al 4000 a.C. in Mesopotamia) e, successivamente (quasi 5500 anni dopo, a Magonza), l’invenzione della stampa, hanno permesso di immagazzinare e condividere quantità di informazioni molto maggiori di quelle che una singola persona avrebbe potuto custodire, realizzando biblioteche di cultura. Utilizzando la nostra intelligenza e il nostro ingegno, abbiamo prodotto tecnologie informatiche che hanno reso possibile a tutti gli esseri umani l’accesso a buona parte delle informazioni del mondo. Con i computer abbiamo potuto costruire strumenti straordinari, dagli smartphone a Internet a computer ancora più capaci. Così, l’insieme delle conoscenze dell’umanità ha continuato a crescere ad un ritmo sempre più accelerato, permettendo lo straordinario progresso che è sotto gli occhi di tutti e raggiungendo velocità non confrontabili con la lentezza della nostra storia biologica.
Ma, per quanto questo risultato possa sembrarci eccezionale, i meccanismi di condivisione nell’ambito della IA sono infinitamente più veloci. Miliardi di macchine possono conoscere, in pochi attimi, tutto ciò che ognuna di loro ha imparato nell’ora antecedente, con una straordinaria diffusione delle conoscenze.

20-In quanto ad affidabilità nel tempo, noi umani lo siamo relativamente poco; gran parte della struttura del nostro cervello è determinata alla nascita e va incontro ad un deterioramento fisiologico, mentre un computer può essere implementato e potenziato continuamente. Di una macchina, o di un programma algoritmico, si possono creare numeri arbitrari di copie, mentre i cervelli biologici possono essere riprodotti soltanto molto lentamente. Ogni nuovo esemplare, inoltre, all’inizio è in uno stato di impotenza funzionale, non ricordando nulla di ciò che i genitori hanno imparato nel corso della vita.
Un computer, come Watson dell’IBM, è in grado di analizzare l’insieme completo di conoscenze che compongono Wikipedia, ma se si rimuove un singolo transistor da un processore, il computer si blocca immediatamente, mentre il cervello umano può funzionare abbastanza bene anche privato di una sua buona metà.
Un computer ha un’architettura rigida, un cervello umano è costituito da una sofisticatissima rete neurale che si riconnette di continuo e si rafforza dopo aver appreso una nuova attività; le sue reti lavorano massicciamente in parallelo, con un centinaio di miliardi di neuroni che si attivano in contemporanea al fine di raggiungere l’obiettivo di imparare.
Il confronto fra il consumo energetico del campione di scaccchi  Garry Kasparov (circa 20 watt/ora) e quello di Deep Blue mostrò che quest’ultimo di watt ne consumò migliaia. Durante tutta la partita, Kasparov ebbe sempre una temperatura corporea normale, mentre Deep Blue era così incandescente che si dovettero impiegare diversi ventilatori per dissiparne il calore. Ma probabilmente, già oggi sono stati progettati nuovi computer con una maggiore efficienza energetica; e, se non oggi, forse succederà in futuro.

21-Dietro ogni ricerca di Google si nasconde un’IA che, in un istante, pesca il risultato ritenuto migliore da uno sterminato oceano di dati. Ci sono IA che analizzano dati finanziari o forniscono diagnosi mediche con una probabilità di errore di gran lunga inferiore a quella degli esseri umani, rappresentando già un enorme potenziale di miglioramento dell’assistenza sanitaria. Vantaggi straordinari si otterranno con l’analisi dei BIG DATA, cioè con l’elaborazione di sconfinati volumi di informazioni in campi diversi, grazie ad algoritmi e computer sofisticati, addestrati ad estrarre da essi valore e conoscenza per ottenere benefici nel campo, oltre che sanitario, anche aziendale, economico, finanziario, sociale eccetera. È altamente probabile che, durante tutta la nostra vita, molte delle più importanti decisioni circa la nostra salute saranno prese da algoritmi informatici.
Qualcuno dice che ai medici rimarranno solamente quei compiti che richiedono grande creatività.
A mio parere, l’IU rimarrà essenziale nella valutazione clinica finale di un paziente, perché questa, anche se basata su analisi accurate e veloci fornite da una macchina in grado di valutare milioni di dati, richiederà sempre qualcosa che nessun computer avrà mai e che si chiama “buon senso”, cioè l’insieme di tutti i BIG DATA cognitivi ed emozionali che ogni singolo medico ha incamerato nel corso della sua vita professionale e che possiamo chiamare “esperienza”.

22-Relativamente alla capacità di memoria, sembra che quella di un cervello adulto sia abbastanza inferiore a quella di uno smartphone di fascia bassa, ma vi è una significativa differenza tra una macchina e un cervello umano nei meccanismi che ne sono alla base. Il meccanismo che ci permette di conservare tanti ricordi della nostra vita senza intasare la mente è peculiare. Sappiamo che vi è un processo di selezione: fissiamo solo ciò che ha fatto vibrare le corde delle nostre emozioni e trascuriamo tutto il resto. Ciò che ci rimane dentro, che sia un libro o un avvenimento o una persona, è lì perché, nella gerarchia emotiva della nostra mente, valeva la pena di mantenerlo. E poi, interviene il sonno, durante il quale il cervello fa un ulteriore lavoro di rimozione delle cose non importanti e di evidenziazione dei ricordi più rilevanti.
Un computer non ha meccanismi di selezione o di cancellazione razionale. Inoltre, fissa i ricordi in tanti cassetti senza un nesso fra loro, senza un meccanismo di interpretazione del loro significato. Le fotografie di familiari o amici che salviamo non sono connesse le une alle altre; il computer non capisce che in esse si dipana la storia di amicizie e di amori lungo un ampio arco temporale. Noi cogliamo il senso e il significato di quelle immagini perché la nostra mente intreccia per noi i ricordi e dà loro un senso, perché guardarle ci regala un batticuore e il ricordo delle emozioni che ogni avvenimento di ogni fotografia, un tempo, ci ha regalato. Tutto questo, per un’IA almeno oggi, e chissà per quanto tempo ancora, non è possibile.

23-I ricercatori dell’IA hanno cominciato a rendersi conto che le emozioni potrebbero essere una chiave di accesso per la coscienza. Essi sanno che le emozioni sono essenziali per esprimere giudizi di valore e per orientarsi nel prendere decisioni, poiché racchiudono milioni di anni di saggezza pratica; per milioni e milioni di anni, i sentimenti sono stati i più efficaci algoritmi del mondo. Senza l’aiuto delle emozioni e del senso morale, una macchina avrà difficoltà a determinare ciò che è importante e ciò che non lo è, ciò che è giusto e ciò che non lo è. Alcuni ricercatori stanno cominciando a realizzare robot in grado di riconoscere le emozioni nelle espressioni del viso, analizzando i più impercettibili movimenti di sopracciglia, palpebre, labbra, guance. Altri robot cominciano a mostrare emozioni come felicità, tristezza, paura.
Gli scienziati stanno progettando freneticamente nuove macchine capaci di emulare le nostre capacità cognitive. Eppure, anche se domani un calcolatore sarà in grado di replicare perfettamente tutte le funzioni mentali di una persona cosciente, sarà solo una macchina che recita una parte, e agisce solo attivando degli algoritmi e non un pensiero. Watson, il computer della IBM, capace di battere due concorrenti umani nel quiz televisivo Jeopardy, era in grado di elaborare dati alla velocità di 500 gigabyte al secondo, l’equivalente di un milione di libri al secondo, con 16.000 miliardi di byte di memoria RAM.
Ma non era possibile andare da lui a congratularsi per la sua vittoria, come non si può andare da una Ferrari di Formula 1 a congratularsi per una pole position.

24-L’IA si evolverà mai fino a raggiungere una consapevolezza di sé?
Qualcuno sostiene che sia solo una questione di tempo. Ma come facciamo a creare in una macchina qualcosa che ancora non riusciamo a spiegare nell’uomo? Non è solo un problema di tecnologia, è un problema di filosofia, forse. Se poi consideriamo che molto del pensiero umano è costituito dal subconscio e che la parte cosciente dei nostri pensieri  rappresenta la fetta più piccola delle elaborazioni di cui abbiamo contezza, ci rendiamo conto di quanto sia difficile  replicare il pensiero umano in una macchina.
Una delle differenze che vengono ritenute sostanziali è la creatività.
Nel corso di questo libro, il tema della creatività è stato affrontato più volte, ritenendolo tra le espressioni più specifiche dell’uomo.
La creatività, con l’immaginazione, rappresenta il segreto del nostro successo.
Alcuni scienziati sostengono che i computer, una volta diventati abbastanza potenti, potranno mostrare lo stesso tipo di intelligenza creativa generalmente attribuita alle persone, conferendo loro abilità quali la formulazione di nuove idee. Se immaginiamo la creatività come espressione di una libera associazione di idee, pensieri ed emozioni, un computer guidato da algoritmi rigidi non potrà mai esprimerla. e se la capacità di creare cose nuove sarà guidata da programmi oggi, per noi, ancora non concepibili, sarà ancora creatività o dovremo darle un altro nome? Un computer programmato a comporre brani nello stile di Bach, come già succede, dimostra creatività, cioè un’idea frutto di una libera associazione di pensieri, oppure solamente una meccanica combinazione di note, senza alcuna emozione e senza alcuna consapevolezza? E, anche se il risultato apparirà buono, sarà sempre una replica di ciò che l’IU ha già immaginato.

25-Una delle differenze più importanti tra IA e IU riguarda il loro destino finale. Già pochi istanti dopo che la macchina umana è arrivata a fine esercizio, l’intero contenuto della sua mente viene cancellato e nessuno può più ripescarlo.
Per questo, quando muoiono certi uomini, è come se un  intero archivio di conoscenza e di cultura venisse bruciato e tutti ci sentiamo culturalmente più poveri. In un computer, tutta la conoscenza può essere trasferita su una memoria esterna e duplicata quanto si vuole. E , in fine, c’è la cultura.
Quella accumulata dall’IU è stata frutto di un processo di evoluzione di conoscenze elaborate dal cervello stesso. Le conoscenze diffuse dai programmi di un computer da chi sono prodotte, se non dalla mente umana?
Quando i computer saranno capaci di generare cultura?
Avranno mai le macchine consapevolezza di cos’è cultura?

26-Marvin Minsky, nel 1970, aveva detto: “Al massimo, entro otto anni avremo una macchina con una intelligenza simile a quella umana”.
Oggi, si ritiene che lo sviluppo di una IAG di livello umano potrà avvenire, con una probabilità del 10% entro il 2030, con una probabilità del 50% entro il 2050 ed entro il 2100 con una probabilità del 90%. È anche possibile che non accada mai, com’è possibile, invece, che avvenga nel corso della nostra vita.
Ma è corretto parlare sempre di IA, tutte le volte che addestriamo una macchina a svolgere operazioni prima di pertinenza solamente dell’uomo?
Se per intelligenza s’intende la capacità di progettare e realizzare fini complessi, tutte le volte che oggi ci riferiamo all’IA parliamo di software progettati dall’uomo per risolvere determinati problemi particolari.
Penso che, in questi casi, abbiamo a che fare con supertecnologie che aiutano l’uomo a fare quello che già fa, anche se in modo molto più veloce ed efficiente. Il termina IA, ormai entrato nell’uso collettivo, dovrebbe essere riservato a ciò che ancora non c’è e che forse non ci sarà mai, e cioè a una macchina capace di un’intelligenza generale di livello pari o superiore a quello umano. Ed è proprio intorno alla possibilità di creare una superintelligenza, ovvero una macchina la cui intelligenza sia talmente superiore alla nostra da renderci incapaci non solo di migliorarla ma addirittura di comprenderla, che sorgono domande cruciali.
È possibile che una macchina particolarmente complessa possa pervenire alla coscienza in senso umano e che la coscienza possa sorgere spontaneamente? Alcuni scienziati affermano che il cervello umano è semplicemente un’entità con maggiori scambi con neuroni, dendriti e sinapsi, rispetto ai bit disponibili in un cervello artificiale, e che quindi, raggiunto un certo grado di complessità, anche il cervello artificiale potrà esercitare le stesse funzioni di quello umano.
Ma un substrato costituito di rame, silicio e tungsteno potrà spontaneamente sviluppare le stesse caratteristiche supportate dalla materia biologica di un corpo vivente? Anche se la scienza ci ha spesso dimostrato che anche l’impossibile può realizzarsi, certamente è molto difficile.

27-La coscienza è una caratteristica così complessa, implica così tante cose come consapevolezza di sé e della realtà che ci circonda, visione morale del mondo, pensiero e capacità di riflettere sui propri pensieri e, su questo, elaborare un progetto, e talmente tante altre ancora, che appare difficile che una materia grezza, solo per aver raggiunto un livello di elevata complessità computazionale, possa farle emergere.
Coscienza è anche capacità di capire l’armonia di un brano musicale ed emozionarci davanti ad un tramonto. Una macchina cercherà mai un tramonto o si emozionerà mai ascoltando un Notturno di Chopin?
E se quindi un computer difficilmente svilupperà una consapevolezza di se stesso, come potrà essere definito superintelligente? Per fare di una macchina artificiale un’intelligenza bisognerebbe donarle una conoscenza universale del mondo, compreso quel tipo di saggezza che non c’è modo di condensare in algoritmi. Per quanto straordinariamente complessi possano essere gli algoritmi, potranno mai imparare una cosa inafferrabile come i sentimenti? O i valori? O l’etica?
Certamente sono domande per il futuro, perché oggi il sistema di IA più avanzato, secondo qualsiasi criterio di misura ragionevole, è di molto al di sotto delle capacità intellettuali generali dell’uomo. Ma è bene che il genere umano si attrezzi per trovare le risposte perché, come si può facilmente capire, questa è una storia che rischia di assumere dimensioni oggi impensabili, poiché potrebbe riguardare addirittura il futuro ultimo della nostra vita nell’universo. Ed è una storia che sarà l’uomo a scrivere. E, siccome saremo noi a progettare simili macchine, è bene che ci chiediamo: quale futuro vogliamo? Solo dopo aver riflettuto molto sul tipo di futuro che vogliamo, saremo in grado di indirizzare la rotta verso un futuro desiderabile.

28-Lo sviluppo dell’IA ci pone di fronte ad una riflessione, fino a poco tempo fa, ritenuta bizzarra. Finora, un’intelligenza brillante è stata sempre caratteristica di una coscienza evoluta. Soltanto gli esseri consapevoli potevano portare a termine compiti come giocare a scacchi, guidare automobili, diagnosticare malattie. Oggi si stanno sviluppando macchine capaci di svolgere tali compiti in modo assai più efficace degli uomini, basandosi su pattern e e algoritmi che prescindono dalla presenza di una consapevolezza e che, nel loro obiettivo specifico, possono superare l’IU. Tutto questo ci porta a considerare che sia possibile sviluppare nuovi tipi efficienti di “intelligenza” a prescindere dalla coscienza e che ciò che conta, in quest’ambito, è il raggiugimento del fine, non la presenza di una consapevolezza di ciò che si sta per fare. Guidare una macchina non comporta, di necessità, emozionarsi di fronte ad uno spicchio di mare che appare all’improvviso tra gli alberi. Anche senza l’emozione, l’auto a guida autonoma, sarà presto in grado di fare meglio di un conducente umano, anche se, durante il viaggio, non potrà godere della musica che la sua radio diffonde o fare considerazioni sulla meraviglia dell’esistenza.
Ma, se tutto ciò che ci serve è che venga svolto un particolare compito programmato dall’uomo, per quanto complesso possa essere, è così importante che venga realizzato con consapevolezza e creatività invece che sulla base di un programma algoritmico predeterminato?

29-Se un robot decifra e utilizza, in un dato contesto, le parole cinesi molto meglio di un qualunque essere umano, è veramente importante stabilire se capisce il cinese, dal momento che, in tutte le applicazioni pratiche, vi riuscirà meglio di qualunque essere umano? In altri termini, la parola “capire” avrà ancora senso se riferita ad una macchina? Sulla base di quanto detto fin qui, possiamo attribuire ad un computer la parola “pensare”? E siamo sicuri che si possano chiamare “intelligenti” macchine incapaci di costruire una rappresentazione del mondo o di dare vita a processi creativi? Il sospetto che sorge è che questi complessi sistemi di calcolo, invece di essere in grado di operare come la mente umana, di fatto si limitino a calcolare i dati in modo più sofisticato e veloce, cioè che siano solamente delle supertecnologie.
La saggezza, l’intelligenza non sono semplicemente un accumulo di informazioni, per quanto numerose queste possano essere, ma la capacità, partendo da una mole di dati, di rielaborarli e riuscire a pensare una prospettiva più ampia sulle cose.

30-Il progetto IA è in continua evoluzione e gli scienziati, oltre che su una maggiore memoria e velocità, vogliono adesso puntare ad una macchina che apprenda. Per fare questo, si sta cercando di simulare le reti neurali umane, cioè un insieme di gruppi di neuroni interconnessi, realizzando un esempio di tecnica di intelligenza artificiale ispirata al cervello. Si sta cercando di realizzare quello che si chiama machine learning, cioè l’apprendimento autonomo da parte di macchine autodidatte, che non hanno bisogno di un maestro per progredire nella loro conoscenza, evolversi e migliorare.
Il machine learning, grazie all’aumento delle capacità di calcolo e di memoria dei nostri computer, rappresenta un grande passo avanti. Deep Blue, della IBM, ha imparato da solo a giocare a 40 giochi; Alpha Go, di Google, ha fatto lo stesso con Go, un antico gioco diffuso in Cina, assai più complesso degli scacchi.
Le machine learning sono computer che imparano ad estrarre deduzioni dalla massa di dati che assorbono, anziché aspettare che sia un uomo a dar loro istruzioni sul da farsi: formulano ipotesi, le confrontano con i dati raccolti nel mondo esterno, le aggiustano. La loro superiorità sta nel fatto che queste funzioni, proprie della mente umana, loro possono realizzarle ad una velocità un milione di volte superiore. Google, Amazon, Netflix oggi usano questi computer imparanti.
Tutto ciò avvicina le macchine alla IA vera, quella che vuole simulare l’IU. Per certi versi, questa prospettiva appare molto intrigante. Tutto ciò che amiamo della civiltà è il prodotto dell’IU; ampliandolo con l’IA, potenzialmente potremmo rendere la nostra vita ancora migliore, prevenire le calamità naturali, curare le malattie, vivere più a lungo..

31-Ma è necessario fare una riflessione sul tipo di futuro che vogliamo e che noi, come specie, potremmo creare: l’idea stessa di un’IA così avanzata solleva problemi non solo tecnologici e filosofici, ma anche di sicurezza per il genere umano. Gli scienziati e i governanti devono chiedersi cosa si possa fare per aumentare le probabilità di raccogliere i frutti della futura IA ed evitarne i rischi. Questo è il dibattito più importante del nostro tempo.
Poiché un’IA avanzata sarebbe, per definizione, molto abile nel raggiungere i suoi fini, quali che siano, dobbiamo assicurarci che questi siano in linea con i nostri, perché, altrimenti, abbiamo di che preoccuparci. Ma, a quel punto, saremo in grado di cambiare i fini di un’IA più intelligente di noi? E come ci assicureremo che quei fini saranno mantenuti? Cosa sarà della nostra vita, quando l’uomo svilupperà algoritmi non coscienti, ma dotati di grande intelligenza? Siamo sicuri che un software intelligente si limiterà a fare solamente ciò che noi lo programmiamo a fare?

32-Non sappiamo dove ci porterà l’IA, e, ancora meno, quello che accadrà con una superintelligenza, quali opportunità e quali sfide ci presenterà un furturo così fatto. Potremmo trovarci di fronte a qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che, secondo i modelli matematici, potrebbe diventare milioni di volte più intelligente di noi. Probabilmente siamo all’inizio di una storia ancora da scrivere, ma che si prospetta straordinaria. Il livello di investimenti, combinato con i progressi nei BIG DATA, nelle scienze dei materiali e nella tecnologia, stanno ponendo le basi per una svolta decisiva.
Malgrado gli straordinari entusiasmi di molti, alcuni scienziati, come lo svedese Nick Bostrom, direttore del Future of Humanity Institute  presso l’Università di Oxford, trovano ragioni per essere prudenti, fino al punto di affermare che una superintelligenza artificiale potrebbe comportare, per l’essere umano, un pericolo maggiore di qualsiasi altra invenzione della storia umana.
Numerose personalità della scienza e della tecnologia, come Stephen Hawking, il premio Nobel per la Fisica Frank Wilczek, Bill Gates, Elon Musk, così come molti altri, hanno espresso cautele come Bostrom.
Pensata come ausiliaria delle capacità cognitive del cervello umano, l’IA potrebbe dimostrarsi in grado di prendere decisioni autonome e, in seguito, rendere l’uomo schiavo della sua stessa tecnologia. La paura che l’umanità possa creare cose che non è in grado di controllare ci porta a storie lontane, al mito di Prometeo, condannato ad una punizione eterna per aver donato il fuoco ai mortali, o a quello di Icaro, le cui ali si sono sciolte al sole per aver osato volare troppo in alto; i libri e i film di fantascienza ci rappresentano mondi in cui l’uomo appare incapace e succube di intelligenze aliene. La paura è che una superintelligenza ostile o poco amichevole, possa impedirci di controllarla o di modificarne i fini, e che questo possa segnare il nostro destino.

33-La scommessa è che la scienza ci dia gli strumenti per gestire il processo nel modo giusto, calcolando anche i rischi apparentemente inverosimili e prevedendo opportuni accorgimenti. Certamente, ci troviamo di fronte ad una sfida complessa che consiste anche nell’evitare di perdere la nostra umanità e mantenere il nostro buon senso. Ma in tutta questa storia, sicuramente un vantaggio l’abbiamo: saremo noi a progettare la superintelligenza e potremo costruirla in modo che protegga i valori umani; siamo noi, al momento, mentre l’IA prende forma, ad avere in mano il futuro della nostra vita. Gli scienziati, i filosofi, i politici devono capire bene cosa possiamo fare oggi per determinare le condizioni iniziali di un’IAG, in modo da selezionare delle motivazioni che ci garantiscono la sopravvivenza e che siano benefiche. Se riusciamo a fare tutto questo, allora una superintelligenza potrebbe rivelarsi una delle trovate più geniali nella storia dell’umanità. Intanto, il 18 Dicembre 2018, un gruppo di esperti nominato dalla Commissione Europea ha tracciato le prime linee guida etiche in tema di IA. Il documento punta principalmente sulla centralità dell’essere umano: prima degli algoritmi, devono venire la dignità e la libertà dell’uomo. Il primo punto indicato è l’affidabilità,, sia tecnica che etica. La prima discende dalla capacità degli scienziati e dall’utilizzo delle migliori tecnologie oggi disponibili. Le questioni etiche, potenzialmente rilevanti e forse più complesse, vanno dalla possibilità di manipolare il proprio corpo, allo sviluppo ed uso di armi completamente autonome, che prescindono dal controllo diretto dell’essere umano nella decisione di uccidere, alla possibilità di analizzare dati complessi di un individuo, riferibili alle sue abitudini, preferenze, idee politiche e religiose, al fine di definirne il profilo e predire o, addirittura, manipolare il suo comportamento; e, ancora, determinare come una macchina debba agire di fronte ad una scelta tragica, come quella di sacrificare una vita per salvarne un’altra. Il documento fissa alcuni principi fondamentali: l’IA deve promuovere il benessere degli individui e della società, favorendo sviluppo economico, equità sociale e tutela dell’ambiente; non deve nuocere agli uomini, evitando discriminazioni, manipolazioni del singolo o o dell’opinione pubblica (vedi i recenti scandali di Cambridge Analytica, relativi a certi usi di algoritmi e social media per conoscere ed influenzare decisioni politiche);  deve essere assicurata la libertà degli esseri umani dalla subordinazione o coercizione da sistemi di IA; l’utilizzo  deve essere improntato a principi di equità, garantendo eguali opportunità; vi deve essere trasparenza della tecnologia e del modello di business; ogni forma di inganno deve essere esclusa e l’uomo deve essere informato della vera natura della macchina.     L’IA, in pratica, deve avanzare in maniera protetta, benevola, disponibile a tutti e benefica.

34-Cosa possiamo dedurre da tutto questo?
Isaac Newton, secoli fa, pubblicando i Principi matematici della filosofia naturale, intuì come il libro della natura fosse scritto nel linguaggio della matematica. Ci sono voluti secoli perché la scienza usasse estesamente la matematica e, grazie ad uno sviluppo avanzato di questa, l’umanità è giunta alla IA. L’IA rappresenta certamente una sfida tecnologica importantissima. Nuove macchine, sulla base di regole predefinite, saranno capaci di prendere decisioni o di aiutarci a farlo e, nel bene o nel male, la loro esistenza influenzerà fortemente la nostra vita.
Uno degli aspetti più interessanti degli studi sull’IA è che queste ricerche potranno avere un impatto diretto sul futuro della mente: potremo capire meglio i meccanismi del funzionamento del cervello, potenziare la nostra intelligenza, trovare la cura di molte malattie neurologiche, creare interfacce cervello- computer e, in un futuro quasi da fantascienza, fare copie di backup dei nostri pensieri.
Ma come cambierà il nostro rapporto con le macchine, se un giorno l’uomo riuscirà a realizzare un’IA avanzata, che sia di tipo umano e generale?
Se la scienza riuscirà in ciò, il risultato che si raggiungerà sarà eccezionale.
Ma, in quel momento, dovremo avere le leggi per governarlo con quella saggezza che le macchine probabilmente non avranno, perché l’IAG ci presenterà meravigliose opportunità, ma anche difficilissime sfide.
La più difficile di questa sarà fare in modo che le macchine si inseriscano nella nostra vita senza stravolgerla, ma preservando l’equilibrio complessivo del mondo e la dignità e la libertà dell’uomo. Pensare che potremmo essere la prima generazione a vivere questa opportunità è preoccupante, ma, allo stesso tempo, esaltante e bellissimo.
IL mondo, come lo abbiamo immaginato finora, sta letteralmente cambiando e l’impatto economico, sociale e lavorativo che ne conseguirà, sarà rilevante già in un futuro prossimo. Accanto ad effetti positivi ed esaltanti, dobbiamo mettere in conto anche conseguenze negative. per questo dovremo decidere come modernizzare le nostre leggi e quali consigli dare ai nostri figli in modo che evitino lavori destinati a essere presto svolti in modo migliore dalle macchine. Dobbiamo aggiornare i nostri sistemi educativi e ripensare il nostro panorama lavorativo. Il problema cruciale, già oggi, è creare nuovi mestieri che gli uomini riescano a fare meglio degli algoritmi.

35-Per finire, mi sono posto queste domande: dobbiamo veramente preoccuparci del progresso futuro dell’IA e del possibile raggiungimento del punto di singolarità tecnologica? Pensiamo che debba essere fermato?
Se penso come in un romanzo di fantascienza, sì. Ma se penso in modo razionale, no. Per tre motivi.
Innanzitutto, è difficile immaginare che l’uomo possa creare una vera IAG e possa dotarla di una coscienza, senza la quale le scelte tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato non potranno esserci, se non ha ancora capito cosa sia la coscienza umana e quale sia stata l’incredibile sequenza di eventi biologici che si sono dovuti realizzare perché fosse possibile.
Secondariamente, perché ho fiducia nella scienza e nell’uomo che la governa In fondo l’uomo, già altre volte, ha sviluppato tecnologie che avrebbero potuto trasformarsi in armi micidiali, capaci di distruggere l’umanità e, finora, per saggezza o per paura o per spirito di autoconservazione, è riuscito a controllarle e a volgerle in un utilizzo sicuro. La cosa certa è che la scienza si è mossa sempre con affidabilità, con verifiche continue di ogni progressione e con la condivisione nell’ambito del mondo scientifico. Non esistono i laboratori di uomini malvagi che portano avanti scoperte inenarrabili per arrivare al controllo del mondo. Lasciamo tutto ciò alla fantascienza e fidiamoci degli approcci metodologici che guidano gli scienziati e della loro razionalità.
Infine, e questo è il terzo motivo, perché penso che non non si possa arretrare la spinta ad andare oltre che caratterizza la nostra mente e che ha permesso, da sempre, i progressi del genere umano. Non possiamo fermare il progresso e l’IA di questo progresso è parte fondamentale, così come la ricerca per raggiungere la cura dei tumori o per allungare la vita preservandoci in salute.
È proprio in questo anelito continuo al miglioramento che sta la bellezza della vita, non immobile e statica, ma sempre con una tensione verso il nuovo.

36-Ma, mentre da uomo di scienza, guardo con entusiasmo ad un futuro di straordinario progresso scientifico, da semplice essere umano mi chiedo: la vita è davvero soltanto elaborazione di dati, e quindi condizionabile da algoritmi, oppure la coscienza di noi stessi, la capacità di indagarci dentro, di chiederci da dove veniamo e dove andremo ci rende esseri differenti e mai raggiungibili da una macchina?
Per quanto l’intelligenza sia straordinariamente importante,  l’uomo non è solo intelligenza. È  anche emozioni, inserimento in un mondo fatto anche di altre cose in cui l’uomo ha un ruolo, ma non sempre determinante o rilevante.
Come farà una macchina, pur con tutti i suoi complessi algoritmi, ad inserirsi   in una realtà così stupefacente come la natura terrestre?
È probabile che l’uomo non sia essenziale e che possa essere tranquillamente sostituito da una macchina e dalle sue formule. Certamente i fiori, gli alberi e gli uccelli non se ne accorgeranno. Ma che fine farà poi il genere umano? Che fine farà un’esperienza di milioni di anni che ha saputo sviluppare la coscienza e un pensiero intelligente?  La coscienza è la più alta forma di complessità conosciuta nell’universo e, probabilmente, anche la più rara. Siamo certi di voler rinunciare a tutto questo e che tutto quello che potrà venire dopo sia migliore?
O non dovremo, piuttosto, considerare l’IA semplicemente come una straordinaria opportunità tecnologica capace di aiutarci a costruire un mondo migliore, senza malattie, senza povertà, senza discriminazioni, con una più equa distribuzione delle risorse, magari con la possibilità di accrescere le nostre capacità emotive e cognitive, ma senza voler necessariamente raggiungere una superintelligenza pari o superiore all’IU?
Non dimentichiamoci mai che siamo esseri piccolissimi al limite della vastità dell’universo e che dobbiamo considerare la vita e la nostra intelligenza umana miracoli preziosi.
Speriamo che questo limiti il nostro desiderio di onnipotenza e non ci spinga a cercare al di fuori di noi stessi coscienze artificiali, surrogati di una realtà già bellissima, e che l’umanità, affidandosi alla filosofia della sua lunga vita, mantenga sempre il controllo sulle tecnologie.
Chiuderei facendo mie le parole del neuroscienziato David Eagleman: ” Che sconcertante capolavoro è il cervello, e come siamo fortunati ad appartenere ad una generazione che ha la tecnica e la volontà di studiarlo. È la cosa di gran lunga più bella che abbiamo scoperto nell’universo, e quella cosa bellissima siamo noi”.