Numero1815.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE  DEL  CIELO.        (continua)

Sonno e sogno

 

Durante la notte, non più bombardato da stimoli sensoriali esterni, il cervello può finalmente effettuare il lavoro di archiviazione ed integrazione delle informazioni della giornata. Studi di imaging cerebrale (RM e RM funzionale, RM = Risonanza Magnetica) rivelano che le aree del cervello che si attivano quando dormiamo sono le stesse coinvolte nei processi di apprendimento: quindi, sognare serve proprio a consolidare le nuove informazioni acquisite. Che il sonno non sia un riposo per il cervello è dimostrato dal fatto che, nel passaggio dalla veglia al sonno, il suo consumo di energia cala solo di un 10%; in talune parti del cervello addirittura aumenta.

Una delle prerogative più affascinanti del cervello è che impara sempre.
Anche nel profondo lavorio delle ore di sonno, la mente impara e, al risveglio, abbiamo reti neurali diverse da quando ci siamo addormentati.
E, imparando, il cervello stimola la nostra creatività.
Anche la peculiare struttura narrativa dei sogni, fatta di salti improvvisi e bizzarre associazioni di idee, può determinare straordinarie interazioni con i processi creativi. Questo rimescolare le carte è, verosimilmente, responsabile dell’esperienza che tutti abbiamo fatto, almeno una volta, ossia di uscire da un sogno con un’idea nuova, una visione chiara rispetto ad un problema, che prima di addormentarci non avevamo.
Sono soprattutto gli stati di dormiveglia, un misto tra libera fantasia del sogno e albeggiare della coscienza, che possono diventare momenti di straordinaria ispirazione. È possibile che, dopo che il cervello, durante la notte, ha rimosso il disordine in eccesso, la mente si trovi più libera di compiere associazioni che prima non era in grado di vedere.

Gli studi sul cervello ci dicono dunque che la nostra vita notturna non è solo un gioco di disattivazione di aree cerebrali. Nel sonno, anzi, si attivano molte aree; per esempio, l’ippocampo, regno dell’apprendimento e della memoria, sede in cui si formano i ricordi. E, con esso, si attiva anche l’amigdala, cioè l’area cerebrale deputata all’elaborazione delle emozioni e dei comportamenti, e ciò significa che i sogni coinvolgono fortemente la sfera emotiva, suscitando gioia, ma anche paura. Contemporaneamente, altre zone cerebrali vengono disattivate, tra queste, soprattutto, la corteccia prefrontale dorso-laterale, sede dei processi decisionali e motivazionali che ci permettono l’adattamento a situazioni nuove; in questo modo, con il sonno, si inattiva la parte più razionale del nostro cervello e, forse per questo, nei nostri sogni troviamo spesso un senso disordinato e senza apparente plausibilità.

Come abbiamo detto, molte cose succedono dentro la nostra testa durante la notte. Mentre il corpo riposa, il cervello si rigenera; si ampliano le connessioni fra le cellule cerebrali, alcuni circuiti si consolidano mentre altri sono sfoltiti, si attivano nuove sinapsi che codificano quanto si è imparato da svegli e, così, si consolidano i ricordi e si modifica la nostra personalità.
Dopo quanto abbiamo detto, appare chiaro come il sonno, per il cervello, per l’acquisizione di conoscenze, per lo sviluppo delle nostre idee e della nostra memoria, sia altrettanto importante della veglia. In un cervello sano tutto è legato: senza la veglia non avremmo coscienza, ma senza la possibilità di dormire non potremmo vivere. Tutto ciò che ci rende quello che siamo dipende anche dalle ore che ogni notte trascorriamo sognando.
Eppure il sonno continua ad essere dimenticato, sottovalutato e messo in secondo piano. Rendersi conto di quanto il sonno sia importante e fare di tutto per dormire bene può migliorare la qualità della nostra vita.
Possiamo dire che noi siamo come dormiamo.

Il sonno acquisisce un’importanza ancora più rilevante nei bambini: fin dai primi giorni di vita, il cervello ha bisogno di incamerare moltissime informazioni; serviranno per sviluppare le reti neurali e costituire il loro patrimonio di conoscenze. Per questo i neonati dormono circa 15 ore al giorno e i bambini dormono molto più degli adulti; e per questo nel loro sonno prevale la fase REM (Rapid Eyes Movement= Movimento Rapido degli Occhi), essenziale per lo sviluppo dei processi nervosi e la formazione di connessioni corticali. È scientificamente dimostrato che i bambini che dormono di più hanno una soglia di attenzione più alta e un atteggiamento più calmo, sono maggiormente in grado di imparare e adattarsi ai cambiamenti intorno a loro.
Per questo è importante  aiutare i bambini a dormire per tutte le ore necessarie, non cercando di farli adattare ai ritmi degli adulti, possibilmente accompagnandoli serenamente verso il sogno con il suono della nostra voce, con racconti inventati o leggendo un libro; sono esperienze che rimarranno per sempre nella loro vita, anche quando saranno adulti e che hanno il compito di accompagnarli verso l’inconscio del sonno, togliendo loro la paura della solitudine. Anche nel mondo di oggi, così cambiato rispetto a quando eravamo noi bambini, il legame che si crea tra le parole dell’adulto e l’attenzione stupita del bambino ci trasporta indietro nel tempo, alle innumerevoli volte che, tra chi racconta e chi ascolta si è realizzato questo momento straordinario in cui le memorie dell’uno sono diventate i sogni dell’altro, creando magie che, per il bambino, diverranno straordinari ricordi e frammenti della sua identità.

La maggioranza degli adulti dovrebbe dormire dalle 7 alle 8 ore a notte. Dormire troppo (più di 9 ore) o troppo poco (meno di 5 ore), mette a rischio il cuore e mette a repentaglio l’organismo (obesità, diabete, ansia).
Particolarmente pericoloso è il dormire poco.
Oltre che dormire bene la notte, un’altra cosa che può essere utile al cervello è schiacciare un pisolino (power nap): la siesta è assolutamente naturale e ci aiuta ed essere più vispi, creativi e produttivi. Si è visto che anche un breve pisolino pomeridiano migliora la coordinazione motoria e l’apprendimento del 20%, mentre è dimostrato da una serie vastissima di studi, che la deprivazione del sonno diminuisce le prestazioni cerebrali e compromette la memoria.
Le statistiche sono impressionanti: secondo alcuni sondaggi, circa un terzo degli adulti non riesce a dormire quanto dovrebbe e molti bambini arrivano a scuola affaticati. La nostra tendenza a dormire poco e male riduce la produttività, impedisce l’apprendimento, rovina i rapporti, blocca il pensiero creativo e indebolisce l’autocontrollo. Negli adulti, il dormire poco e male è spesso causa di depressione e di obesità, nei bambini potrebbe scatenare la sindrome da deficit dell’attenzione con iperattività.

Persino una minima privazione può avere un effetto deleterio sulla salute ed è associata ad un elevato rischio di malattie cardiache, diabete, ipertensione e morte prematura. Anche memoria, vocabolario e pensiero logico sono correlati ad un buon sonno. Sappiamo che la melatonina abbassa la pressione arteriosa e contribuisce a prevenire infarti e ictus. Chi dorme meno di 6 ore a notte produce livelli inferiori di melatonina, aumentando il rischio di ipertensione. Lo stesso vale per il diabete. Non dormire stimola la produzione di cortisolo, ormone dello stress, il quale, oltre ai danni che produce al cervello, inibisce la produzione di collagene, dando alla pelle un’aria malsana e facendo comparire rughe e occhiaie. Se non dormiamo abbastanza faremo fatica a concentrarci, tenderemo ad avere più incidenti, saremo meno determinati e produttivi. In conclusione, avere un sonno regolare permette di riprendere le forze spese durante il giorno e all’organismo di funzionare meglio, favorendo concentrazione, coordinamento e, soprattutto, buonumore.
Il sonno, in breve, contribuisce a farci diventare le persone che vogliamo essere. Per questo il sonno e i sogni, con la loro bellezza e il loro mistero,sono uno straordinario regalo che la natura ci fa.
In cambio ci chiede soltanto di chiudere gli occhi e lasciarci andare.

Numero1814.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE  DEL  CIELO       (continua)

Lo straordinario cervello delle donne.

 

Parlare del cervello delle donne e quindi delle differenze con il cervello dell’uomo e delle basi scientifiche che spiegano queste differenze, significa superare preconcetti sviluppatisi in secoli di osservazioni e, per la grande maggioranza, non suffragati da prove.
Diceva Simone de Beauvoir: “Maschi e femmine si nasce, ma uomini e donne si diventa”, come se i generi da un punto di vista antropologico, fossero determinati su base culturale e non biologica.
Il cervello maschile e quello femminile sono diversi fin dalla nascita, oltre che nell’anatomia anche nel loro modo di funzionare. Si tratta di differenze realizzatesi nel corso di millenni, che coinvolgono la genetica, gli ormoni, i comportamenti, e che non implicano nessun giudizio di superiorità o inferiorità, di maggiore o minore intelligenza, ma sono semplicemente il risultato del fatto che, nell’arco di millenni, nel corso dell’evoluzione, uomini e donne hanno svolto  ruoli diversi e ciò ha determinato nei due sessi sviluppi cerebrali diversi e, di conseguenza, comportamenti diversi.
Louann Brizendine, una neuropsichiatra che insegna a Berkeley, ha scritto: “Mentre gli uomini potenzieranno in particolare i centri cerebrali legati al sesso e all’aggressività, le donne tenderanno a sviluppare doti uniche e straordinarie: una maggiore agilità verbale, la capacità di stabilire profondi legami di amicizia, la facoltà quasi medianica di decifrare emozioni e stati d’animo dalle espressioni facciali e dal tono della voce, e la maestria nel placare conflitti”.

Il codice genetico femminile, per più del 99%, è identico a quello maschile. Questo vuol dire che, dei 30.000 geni presenti nel genoma umano, la variazione tra i sessi è minima, inferiore all’ 1%. Tuttavia sappiamo che differenze anche di pochi geni chiave possono avere profonde influenze sulle dimensioni e sull’organizzazione del cervello.
Le conoscenze di oggi ci dicono che il cervello della donna pesa circa il 12% in meno di quello dell’uomo: in media 1200 grammi contro 1350. Tuttavia, se si fa una misura non assoluta ma relativa al peso corporeo, la differenza si annulla, e anzi, ne viene fuori una, molto lieve, a favore della donna.
Il quoziente intellettivo (QI), per quanto valga misurarlo, è identico; anzi, negli ultimi 100 anni, le donne hanno superato gli uomini in fatto d’intelligenza, migliorando le prestazioni nei test. E questo non certo perché i loro geni o le dimensioni del cervello siano cambiati, ma perché oggi le donne hanno una maggiore istruzione e hanno raggiunto maggiori possibilità di espressione rispetto ai secoli scorsi.
La realtà è che le intelligenze dell’uomo e della donna sono molto diverse e complementari, ed è questa la cosa affascinante dal punto di vista neurobiologico.

Le moderne tecniche di studio consentono di rilevare queste differenze.
Una merita davvero attenzione ed è quella relativa al numero di neuroni ed alla densità delle connessioni. Si è visto che i maschi hanno 6,5  volte più neuroni, mentre le donne hanno 10 volte più connessioni. Che vuol dire?
Partiamo dalle connessioni. Sappiamo che i due emisferi cerebrali hanno modalità differenti, ma complementari, di analizzare ciò che osserviamo: l’una logico-razionale, che corrisponde al modo di operare dell’emisfero dominante (più frequentemente l’emisfero sinistro), l’altra intuitiva-olistica, prerogativa dell’emisfero non dominante (più frequentemente l’emisfero destro).
Naturalmente, un corretto funzionamento del cervello richiede che i due emisferi interagiscano tra loro, che siano connessi.
Una delle differenze più importanti tra i due sessi è proprio quella relativa alle connessioni tra i due emisferi, più sviluppate nella donna che nell’uomo.
Nel cervello della donna è stato riscontrato un maggior spessore di due strutture che facilitano la comunicazione tra i due emisferi: il corpo calloso e la commissura anteriore; e le connessioni sono soprattutto trasversali e vanno dall’emisfero destro a quello sinistro e viceversa. In questo modo, il cervello femminile, ogni volta che deve interagire con la realtà esterna, riesce a reclutare sinapsi in maniera massiva da entrambi gli emisferi, facilitando la comunicazione tra pensiero analitico e pensiero intuitivo. Conseguenza di questo diverso arrangiamento delle fibre è che, nelle donne, la comunicazione interemisferica è facilitata e il loro cervello ha una modalità di funzionamento più globale, più idonea alla comprensione intuitiva dei problemi, anche complessi, rispetto alla procedura razionale e sequenziale, più tipica del sesso maschile.

I maschi, al contrario, hanno meno connessioni trasversali e tendono ad usare un solo emisfero per volta; nel loro cervello le connessioni corrono soprattutto dalla fronte alla nuca lungo lo stesso emisfero.
Possiamo dire, in linea di massima, che l’uomo possiede un cervello che segue schemi logici più basati sulla razionalità, mentre nella donna il funzionamento cerebrale sarebbe maggiormente di tipo intuitivo, e che nell’uomo il funzionamento dei circuiti nervosi è più rigido, mentre è più duttile nella donna.
Tutto questo spiegherebbe come le donne sono, notoriamente, più brave nel multitasking, ovvero nel fare più cose insieme, realizzino una migliore analisi dei problemi, abbiano migliori abilità sociali, siano più intuitive, dimostrino maggiore empatia, siano più sensibili alle espressioni del viso e abili nel comprendere stati d’animo e umore altrui.
Da uno studio di RM (risonanza magnetica), è emerso che le donne posseggono fra 14 e 16 aree del cervello destinate alla valutazione del comportamento degli altri, mentre gli uomini ne hanno da 4 a 6.
I maschi, invece, eccellono nelle attività motorie, dove si impiegano i muscoli, e sono più capaci di analizzare lo spazio, ad orientarsi, a capire le mappe. L’unica area in cui gli uomini dimostrano una maggiore connettività è il cervelletto, quella parte dell’encefalo legata al controllo dei movimenti.

Passiamo adesso ai neuroni. Si calcola che il numero dei neuroni della corteccia cerebrale sia di 19,3 miliardi nelle donne e di 22,8 miliardi negli uomini.
Pur avendo le donne, globalmente, un minor numero di neuroni, possiedono, tuttavia, aree cerebrali con almeno il 10% di neuroni e connessioni in più.
I moderni studi di neuroimaging (RM= Risonanza Magnetica, RM funzionale, eccetera) hanno riscontrato una maggiore densità neuronale in aree della corteccia cerebrale femminile collegate con la parola.
Adesso capisco perché, se io e mia moglie chiamiamo due nostri amici per fare la stessa comunicazione, la conversazione tra me e il mio amico dura un minuto, e quella tra mia moglie e la sua amica ne dura come minimo venti!
Probabilmente la maggiore tendenza delle donne, nel corso dell’evoluzione, alle attività comunicative ha dotato il loro cervello di molti milioni di neuroni in più in queste aree. La spiegazione può essere individuata nella differenziazione dei ruoli che risale all’origine della nostra specie. Mentre gli uomini andavano a caccia in piccoli gruppi, muovendosi furtivi e silenziosi nella savana per non spaventare gli animali, le donne si riunivano nei villaggi per badare ai bambini e chiacchieravano animatamente fra di loro e con i piccoli.
Altre aree più sviluppate, nelle donne, sono l’ippocampo, principale centro di formazione dei ricordi, e le aree delle emozioni. Ciò spiega perché, in media, le donne abbiano maggiore facilità nell’esprimere verbalmente le emozioni e nel ricordare i dettagli degli eventi che le suscitano, e stringono rapporti emotivi e legami affettivi molto più solidi dei maschi. Il cervello femminile, inoltre, è assai dotato nel valutare con rapidità i pensieri, le convinzioni e le intenzioni altrui, basandosi sugli indizi apparentemente più insignificanti.

Una differenza importante per le ripercussioni funzionali che ne possono derivare è quella relativa ad un’area considerata la custode delle emozioni, l’amigdala, il centro cerebrale della paura, della rabbia, dell’aggressività, maggiormente rappresentata negli uomini che nelle donne. Ma al di là delle dimensioni, nei due generi l’amigdala funziona in modo molto diverso. Il motivo per cui le donne ricordano meglio i dettagli relativi alle emozioni è, in parte, legato al fatto che l’amigdala femminile viene attivata più facilmente dalle sfumature emotive. Sappiamo che più forte è la risposta dell’amigdala ad un’esperienza che ci colpisce, più particolari l’ippocampo registrerà per conservare quell’esperienza nella memoria. Poiché le donne hanno un ippocampo relativamente più grande, riescono a ricordare i minimi dettagli delle esperienze emotive, i loro primi appuntamenti e le liti più feroci; gli uomini si ricordano a malapena che quei fatti hanno avuto luogo, non per superficialità, e questa volta mi metto dalla parte degli uomini, ma per la diversità dell’amigdala e dell’ippocampo nei due generi. Altro dato importante è che, nel cervello femminile, il circuito dell’emotività e della paura, oltre che essere più strettamente connesso a funzioni cognitive ed emozionali è, rispetto agli uomini, maggiormente connesso a funzioni verbali. Nell’uomo, invece, l’amigdala, che è una delle aree più primitive del cervello, mantiene soprattutto le sue funzioni più ancestrali, quelle che registrano la paura e scatenano l’aggressività; l’amigdala maschile possiede inoltre molti recettori per il testosterone, che tendono a stimolare e potenziare questa risposta.

Per questi motivi, di fronte ad una situazione di stress o di ira,, la donna attiva il sistema limbico, cioè i circuiti emotivi e, insieme a questo, le aree del linguaggio, e la reazione tende ad avere una connotazione affettiva e verbale; l’uomo, invece, attiva la corteccia prefrontale e la risposta tende ad essere prevalentemente motoria e orientata alla reazione fisica. Ecco perché molti uomini possono arrivare ad uno scontro fisico in pochi secondi, mentre molte donne fanno di tutto per evitare un conflitto. Anche in queste differenze di comportamento dei due generi possiamo trovare una spiegazione evoluzionistica: di fronte ad un pericolo, la donna doveva proteggere la prole, rassicurarla con le parole, sedare i conflitti, cercare alleanze con le altre donne del clan, se gli uomini erano assenti; compito dell’uomo era procurare il cibo con la caccia, oppure aggredire ed abbattere l’eventuale aggressore.
Per questi motivi, in genere, in un diverbio con una donna, l’uomo dimostra meno scioltezza verbale e, non riuscendo a tenerle testa con la dialettica, può essere spinto dai suoi circuiti cerebrali ad una reazione rabbiosa ed aggressiva.
Da una esasperazione di questa differente fisiologia della risposta all’ira, possono discendere alcuni comportamenti irrazionali che ci sconvolgono.
Di fronte ad una violenta lite, la donna reagisce piangendo e parlando, l’uomo aggredisce. Questo potrebbe essere alla base di tanti contrasti che degenerano in femminicidio.
Parimenti, abbiamo visto come, in una situazione di allarme, la donna tende a rinchiudersi in se stessa, nel nucleo familiare che deve proteggere. L’amplificazione di questo istinto
 protettivo potrebbe, invece, essere alla base dei casi di infanticidio, visto come distorsione perversa dell’istinto a proteggere la prole davanti ad un pericolo, talvolta solamente immaginato!

Gli ormoni sessuali giocano un ruolo determinante nelle differenze di genere di cui vi ho parlato. Le prime differenze cerebrali si manifestano già a partire dalla ottava settimana di sviluppo fetale, in conseguenza dell’inizio di quell’attività ormonale che condizionerà, per il resto della vita, i sistemi neuronali di maschi e femmine. L’afflusso di testosterone indirizzerà verso un cervello maschile, in caso contrario, il cervello acquisirà una struttura femminile; nei maschi si svilupperanno maggiormente le cellule dei centri del sesso e dell’aggressività, nelle donne si produrranno, già da allora, più connessioni nei centri delle comunicazioni e nelle zone che elaborano le emozioni. È questo bivio della vita fetale che determina il destino biologico di ognuno, reso ancora più evidente e indirizzato al momento della caratterizzazione ormonale che si avrà alla pubertà. Le secrezioni di estrogeni che si ha nelle bambine fin dalla età infantile è necessaria a stimolare lo sviluppo delle ovaie e del cervello a scopi riproduttivi; allo stesso tempo, stimola lo sviluppo di circuiti cerebrali differenti, sollecita la crescita di neuroni, incrementa ulteriormente i centri deputati all’osservazione, alla comunicazione e, perfino, alla protezione. Così, si preparano i circuiti cerebrali femminili, in modo che le bambine imparino a cogliere le sfumature dei rapporti sociali e possano dare impulso alla propria fertilità.

Le ragazze, non essendo influenzate dal testosterone,  ma governate dagli estrogeni, preferiscono evitare gli attriti, perché la discordia le mette in conflitto con il loro bisogno di restare in armonia con gli altri. I maschi non si preoccupano del rischio dei conflitti: la competizione fa parte della loro costituzione. Il cervello dei bambini, plasmato dal testosterone, non cerca affatto il legame sociale come quello delle bambine.
Un’altra differenza importante tra i due cervelli, nell’adolescenza, è che quello delle ragazze matura più in fretta che nei maschi, facendole così progredire più rapidamente verso la maturazione dei circuiti cerebrali, con due o tre anni di anticipo.
Essere donna, però, è un fattore di rischio per deficit cognitivi e demenza. Non solo perché la donna vive di più, ma perché ci sono dei meccanismi, ancora poco conosciuti di tipo genetico e ormonale che determinano una peggiore evoluzione degenerativa del cervello.
Secondo la scienza, i cervelli delle donne sono più vulnerabili.

 

Numero1812.

IL  CERVELLO  È  PIÙ  GRANDE DEL  CIELO

La coscienza

 

“La coscienza è la forma della conoscenza, l’unica forma veramente reale, intessuta nell’unico linguaggio che possediamo, quello del cervello e del suo  telaio incantato” scrive il neuroscienziato Giulio Tononi.
La coscienza costituisce una delle caratteristiche più peculiari e complesse dell’essere  umano. Addentrarsi nei suoi misteri fa un po’ paura, perché, anche se sulla coscienza sono stati scritti interi libri, poche sono le certezze che abbiamo su cosa sia, perché ci sia, da quale parte del cervello derivi.
La coscienza nasce con il cervello, sboccia quando il cervello sviluppa reti rigogliose e le consolida, e poi invecchia con esso. Quando il cervello muore, anch’essa muore. “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” dice Roy Batty nell’indimenticabile monologo di Blade Runner.
Senza la coscienza non esisterebbe nulla. L’unico modo con il quale “sentiamo” il nostro corpo, le nostre emozioni, le persone, gli alberi, le stelle, la musica, e attraverso le nostre esperienze, i nostri pensieri e i nostri ricordi soggettivi.
Ogni giorno agiamo, amiamo e odiamo, ricordiamo il passato e immaginiamo il futuro, ma, in buona sostanza, il rapporto con il mondo, in tutte le sue manifestazioni, lo stabiliamo esclusivamente con la coscienza. E quando questa viene a mancare, scompare pure il mondo.

Ma qui sta il punto. La natura del rapporto tra il sistema nervoso e la coscienza rimane elusiva e, tuttora, al centro di accesi e interminabili dibattiti. Anche se la coscienza è ben diversa dalla materia, sicuramente della materia ha bisogno. Da un lato c’è il cervello, l’oggetto più complesso dell’universo conosciuto, un’entità materiale soggetta alle leggi della fisica; dall’altro, il mondo della consapevolezza, delle immagini e dei suoni della vita, della paura, della rabbia, del desiderio e dell’amore, della noia. Questi due mondi sono in stretta relazione, come dimostra drammaticamente un’emorragia che, scompaginando la struttura del cervello, all’istante si porta via la nostra mente. A meno di non essere profondamente addormentati o in coma, siamo sempre coscienti di qualcosa: la coscienza è il fatto centrale della nostra vita. Comincia al mattino quando ci svegliamo e continua per l’intera giornata, fino a quando cadiamo in un mondo senza sogni.
Eppure la coscienza la diamo per scontata, perché ci accompagna da sempre e non richiede sforzi. Allo stesso modo pensiamo, e questo ci permette di fare le cose meravigliose che facciamo, ma non ci siamo mai dovuti interrogare sulla natura del pensiero o del suo funzionamento.

Quando si parla di coscienza, sono più le domande che ci vengono alla mente che non le certezze che abbiamo. Perché, fino ad un certo punto dell’evoluzione, le operazioni automatiche e silenti del cervello erano sufficienti per la vita, e solo più tardi è balzata prepotentemente fuori la coscienza e, con essa, il concetto di libero arbitrio? Anche se non abbiamo una chiara idea degli eventi biologici che ne hanno reso possibile il manifestarsi, la coscienza è probabilmente la più alta forma di complessità conosciuta nell’universo, e anche la più rara: è stata definita “il più profondo di tutti i misteri scientifici”. In effetti, possiamo considerare la coscienza il vero grande mistero della nostra conoscenza.
Pur così complessa, la coscienza è alquanto fragile e variabile, perché basta subire un’anestesia per farla scomparire, perché ogni volta che ci addormentiamo, ogni sera, si spegne progressivamente e, dentro di noi, l’intero universo scompare, vanno via i suoni, i colori, i pensieri ed è come se non esistessimo più neanche noi stessi. Ma basta svegliarci, perché tutto ritorni esattamente come prima, come se nulla fosse successo. Come per miracolo, così, senza sforzo, ogni mattino la coscienza si attiva da sola,
milioni di persone si riaffacciano alla vita, ridiventando consapevoli della loro esistenza.

Come da quella macchina, il cervello, che ci sembra di conoscere così bene, possa sprigionarsi l’esperienza soggettiva, il colore del cielo, la serenità di un tramonto, come dall’attivarsi di un pugno di neuroni nasca la coscienza, sembra davvero un miracolo inspiegabile. Il filosofo David Chalmers lo ha chiamato “the hard problem” (il problema difficile), perché sembra impossibile anche solo immaginarne una soluzione.
La coscienza è l’espressione massima dell’attività del nostro cervello e dà il senso alla nostra vita.
Ma che cos’è esattamente la coscienza? Su questo quesito, scienziati e filosofi dibattono da tempo, pur sapendo che essa è la cosa più difficile da definire, la caratteristica più misteriosa dell’uomo.
Su di essa possiamo dire tante cose: è la capacità di ognuno di noi di percepire  e di sperimentare il mondo che ci circonda e di sentircene parte, è la soggettività, il libero arbitrio, il centro di comando della mente, è l’esigenza profonda di capire noi stessi, è la maturazione della consapevolezza di sé, con l’insieme di tutto il bagaglio di cose accumulate nel tempo, diversa dal bambino, all’adolescente, all’uomo adulto. Alla coscienza è legata la visione morale del mondo. La coscienza è un’attività della mente e implica il pensiero; se non pensi, non sei cosciente. Ma ciò non comporta che pensiero e coscienza si identifichino, perché non sempre il pensiero è cosciente.

Il termine mente è comunemente usato per descrivere l’insieme delle funzioni cognitive del cervello, quali il pensiero, l’intuizione, la ragione, la memoria, la volontà e tante altre. Anche il termine psiche fa riferimento alla mente nel suo complesso.
Il pensiero è l’attività della mente, in un certo senso, è la mente operativa, un processo che si esplica nella formazione delle idee, dei concetti, della coscienza, dell’immaginazione, dei desideri, della critica, del giudizio e di ogni raffigurazione del mondo. Non sempre il pensiero è cosciente, potendo agire anche in modo inconscio.
Coscienza è lo stato di consapevolezza raggiunto dall’attività della mente, cioè quel momento di presenza alla mente della realtà oggettiva, di percezione di unità di ciò che è nell’intelletto.
La coscienza è il processo di continua formazione di un modello del mondo e di noi stessi nel mondo, al fine di simulare il futuro e realizzare un obiettivo, la capacità di immaginare situazioni che non esistono nel mondo reale e di elaborare un progetto per il futuro che vada oltre i bisogni dettati dall’istinto e dalla sopravvivenza. Il cervello è una macchina anticipatrice e creare il futuro è la sua funzione più importante.
Grazie alla coscienza riusciamo a sostenere un ragionamento, anche complicato, pronunciamo una frase o leggiamo la pagina di un libro. E possiamo dire parole come: penso, credo, voglio. Poiché abbiamo la capacità di parlare, è in particolare attraverso la parola che possiamo affermare di essere coscienti, raccontando tantissime cose di noi e della nostra interiorità.
La coscienza è il meccanismo di controllo e di verifica della mente, ciò che fa sì che l’azione della mente avvenga rispettando le finalità della nostra esistenza, in parte scritte nel genoma ma, soprattutto, fissate dall’ambiente culturale e  sociale che l’uomo ha costruito nel corso dei millenni. Per questo, nel linguaggio comune, coscienza indica anche una valutazione morale del proprio agire, spesso intesa come criterio supremo della moralità, e ci eleva alla trascendenza, alle bellezze astratte ed etiche.
Il meccanismo della nostra mente è complesso. Qualcuno ha detto che, se la nostra mente fosse così semplice da essere compresa, noi non saremmo abbastanza intelligenti per comprenderla.

Pur essendo la coscienza il pianificatore a lungo termine della nostra vita, in realtà essa controlla solo una piccola parte del lavorio del cervello. Buona parte delle operazioni del cervello sono condotte da tanti meccanismi a cui essa non ha accesso, perché molte cose funzionano sotto il suo livello, anche se molte hanno avuto un momento cosciente, hanno necessitato di un apprendimento e hanno un posto nella memoria.
Ma perché, quando dormiamo, la luce della coscienza si spegne e, con essa, tutto il nostro universo privato, se miliardi di neuroni continuano ad inviare impulsi nervosi come quando si è svegli? Ciò vuol dire che dal nostro cervello scaturisce o meno coscienza a seconda della modalità in cui i suoi neuroni si attivano ed interagiscono fra di loro? Ma allora, è il modo di funzionare dei neuroni o, in alternativa, lo stato di attivazione o meno di specifiche aree cerebrali a determinare se siamo coscienti oppure no? E, se è così, che cosa c’è di tanto speciale in queste aree perché possano generare la coscienza?
Secondo una brillante teoria di Giulio Tononi, la coscienza è il risultato dell’azione integrata di tante aree cerebrali. È la teoria dell’informazione integrata, secondo cui le esperienze consce derivano dall’integrazione di grandi quantità di informazioni da parte di molte aree del cervello. Più una specie vivente è capace di integrare informazioni, più il suo grado di coscienza è elevato. Ma tutte le aree cerebrali sono coinvolte nel meccanismo della coscienza? Negli ultimi decenni le neuroscienze sono letteralmente esplose, il sapere e le conoscenze sul cervello sono cresciute a dismisura e noi abbiamo capito cose che prima neanche immaginavamo.
Oggi che le tecniche di imaging cerebrale ci permettono di visualizzare in modo sistematico e affidabile il cervello in azione, lo studio delle basi biologiche della coscienza è diventata una delle sfide scientifiche più affascinanti. Purtroppo, non riusciamo ancora a riconoscere le aree del cervello che si attivano quando si esprime la coscienza, così come riusciamo invece a fare per individuare le aree motorie o quelle del linguaggio.

Certamente, per essere coscienti, non abbiamo bisogno del midollo spinale e una lesione di quest’area non modifica minimamente la nostra coscienza.
Un’altra osservazione interessante e, per certi versi, sorprendente è che una lesione che danneggi il cervelletto, per quanto estesa possa essere e, per quanto possa essere causa di menomazioni neurologiche, non compromette la ricchezza e l’intensità delle elaborazioni della coscienza. La cosa che stupisce è che il cervelletto, benché piccolo,
 contiene più di 60 miliardi di cellule nervose, un numero molto superiore a quello della corteccia cerebrale.Tuttavia, se un tumore o un ictus colpiscono il cervelletto, a venire compromessi sono il nostro equilibrio e la nostra coordinazione: la nostra andatura è maldestra e a gambe divaricate, trascinando i piedi, i movimenti oculari sono irregolari e, più che parlare, farfugliamo. Inoltre, quei movimenti regolari e precisi che, solitamente, diamo per scontati, diventano a scatti e richiedono una particolare attenzione.
Eppure, la nostra consapevolezza delle percezioni e dei ricordi cambia di poco: la nostra coscienza rimane quella di prima.
Anche una grave lesione del tronco encefalico e del talamo può causare disturbi o addirittura perdita della coscienza. Danni della neocortex
  possono modificare profondamente il nostro livello di coscienza. Questo ci dice che l’attività di quasi 30 miliardi di cellule nervose della corteccia cerebrale è rilevante, per la coscienza, a differenza dei 60 miliardi di cellule nervose del cervelletto che non lo sono. Lo sviluppo della corteccia, soprattutto di quella prefrontale, ha determinato la comparsa di funzioni che sempre hanno avuto a che fare con la conoscenza, la consapevolezza, la programmazione; ha portato ad un utilizzo sempre più complesso del cervello. Si sono moltiplicate le connessioni tra le aree e l’uomo ha cominciato a sviluppare un senso morale, a utilizzare le connessioni per sviluppare idee, creatività, progetti. Sicuramente, nell’emergere della coscienza, la corteccia prefrontale gioca un ruolo essenziale. È lì che hanno sede le funzioni intellettive superiori, come il problem solving (capacità di risolvere i problemi), il ragionamento e la presa delle decisioni. 

Con la coscienza, l’uomo ha avuto il privilegio straordinario di elevare la propria mente.
Ciò vuol dire che era, quindi, necessario che, nella sua lunga evoluzione, il cervello raggiungesse una capacità di elaborazione di dati tale da cominciare a riflettere su se stesso? Che, ad un certo punto, dell’evoluzione dell’uomo, una coscienza era necessaria? E tutto ciò è avvenuto semplicemente perché la complessità dei meccanismi della mente comportava la comparsa di una funzione più alta che esercitasse un controllo sul resto, o non piuttosto, perché era previsto da un disegno superiore?
Forse mai l’uomo arriverà a rispondere a questi quesiti, mai arriverà a trovarne il segno, là dove nascono i significati.
Personalmente, mi piace pensare che non sia soltanto la complessità anatomica e funzionale cui era arrivato il cervello umano ad aver fatto emergere la coscienza. Preferisco ritenere che la funzione più straordinaria dell’universo non sia nata per caso, come conseguenza passiva di uno sviluppo eccezionale delle facoltà mentali, ma che, invertendo i termini del problema, la complessità del nostro cervello si sia realizzata per il fine di sviluppare la coscienza, che questa fosse, quindi, già nel progetto iniziale, e che lo sviluppo delle funzioni del cervello fosse l’elemento evoluzionistico principale perché, ad un certo punto, l’uomo delle caverne si trasformasse nell’essere più evoluto dell’universo, perché da un insieme di atomi e molecole si sprigionasse la scintilla dell’anima.
Mi piace pensare che, fin dall’inizio, il progetto fosse “l’uomo cosciente”, e la coscienza era l’elemento ultimo perché l’uomo raggiungesse la conoscenza

Quando si parla di coscienza non si può non parlare di libero arbitrio.
Se la coscienza è capacità di riflettere su se stessi e sul nostro passato per progettare il futuro, essere coscienti presuppone anche la libertà di scelta in queste azioni, l’esistenza per l’uomo del libero arbitrio, il sentirsi soggetti che agiscono in base a volontà e con una molteplicità di opzioni possibili davanti.
Siamo liberi quando decidiamo internamente di agire, quando abbiamo consapevolezza delle nostre scelte, quando non c’è costrizione.
Non lo siamo più, quando qualcuno sceglie al posto nostro.
Nelle nostre azioni quotidiane, abbiamo la sensazione di poter scegliere consciamente tra linee di azione alternative, nella consapevolezza che optare per l’una o per l’altra dipenda da noi. In generale, non abbiamo la sensazione che la nostra mente agisca in balia del caso o delle circostanze, anzi la vita di ogni giorno ci appare come una sequenza di libere scelte.
Secondo molti filosofi e scienziati, questa grande libertà , in realtà, è un’illusione: il libero arbitrio, semplicemente, non esisterebbe.
È stato dimostrato che, nel perseguimento di un compito, certe regioni del cervello si attivano parecchie centinaia di frazioni di secondo prima che quella decisione diventi cosciente: circa 535 millisecondi prima di muovere un dito, prima ancora che il soggetto abbia consapevolezza di quell’azione, il cervello è già attivo. Se è così, dicono alcuni, le nostre decisioni non scaturiscono dal ragionamento. Ci limiteremmo a rispondere a segnali provenienti dall’ambiente nel fluire continuo della nostra attività cerebrale e lo faremmo in modo automatico. Per molti è la riprova che gli atti volontari e le decisioni cominciano oltre la soglia della coscienza e che per il libero arbitrio non ci sia più spazio. La coscienza sarebbe molto ridimensionata, come se dentro la nostra testa ci fosse qualcuno che ci dice cosa fare prima che ne possiamo essere consapevoli.

Ma, se così fosse, cosa resterebbe della vita morale, del concetto di responsabilità che è alla base di tutti i codici civili e penali del mondo?
Se le nostre esistenze si iscrivessero in una trama già imbastita, di che margine di movimento disporremmo? Saremmo schiavi di un percorso già stabilito?
Il pensiero non sempre giunge a livello di consapevolezza, ma molto spesso, dà risposte immediate basandole sulle tante cose ed esperienze sedimentate nella memoria e ora attive, anche senza che ne siamo coscienti. Il cervello si è evoluto in un certo modo, e non in un altro, perché questo era il miglior modo per sopravvivere. Per questo ha ritenuto che alcune informazioni non fossero essenziali per la sua sopravvivenza e le ha rese automatiche.
Ciò non significa che non siamo liberi solo perché non siamo consapevoli di tutto!
L’io cosciente rappresenta solo una piccola parte dell’attività del nostro cervello. Le nostre azioni, i nostri convincimenti, i nostri pregiudizi, sono tutti guidati da reti cerebrali alle quali non abbiamo un accesso cosciente, ma che fanno parte della nostra mente e attingono ai nostri ricordi, alle nostre esperienze e alle nostre valutazioni passate.
Come Sigmund Freud aveva già capito, buona parte della nostra vita mentale è inaccessibile alla coscienza: è l’inconscio.

Infine, e questo è il quesito che può angosciare o dare un senso alla vita, quando moriamo, la nostra coscienza, o la nostra anima, muore con noi o, semplicemente, si distacca dal corpo?
Forse, di tutti i misteri dell’universo, questo è quello che nessuno riuscirà a risolvere con i soli mezzi che la scienza ci mette a disposizione.                                                                                                                                                                       

 

Numero1810.

 

Sto leggendo, in questi giorni, ORIGIN ,l’ultimo libro di Dan Brown.
Riporto, senza commenti, ma a solo scopo di provocatoria comunicazione, alcuni passaggi “decontestualizzati”.

“Io credo che, in alcuni casi, il perdono possa essere addirittura pericoloso.
Se noi perdoniamo il male del mondo, diamo al male il permesso di crescere e diffondersi. Se rispondiamo ad un atto di guerra con un atto di clemenza, incoraggiamo i nostri nemici a commetterne altri.
Arriverà un momento in cui dovremo fare come Gesù e rovesciare, con forza, i tavoli dei cambiamonete, gridando: “Non è più tollerabile!”.
La Chiesa Cattolica di Roma ha preso posizione come ha fatto Gesù? No!
Oggi noi affrontiamo i mali peggiori del mondo solo con la nostra capacità di perdonare, di amare, di essere clementi. E, così facendo, permettiamo…. anzi, incoraggiamo il male a crescere. In risposta ai ripetuti crimini contro di noi, esprimiamo, a mezza voce, le nostre preoccupazioni in un linguaggio politicamente corretto, rammentandoci a vicenda che una persona cattiva è tale solo a causa della sua infanzia difficile, o della sua povertà, o perché ha subito violenze contro i sui cari…. e, così, non ha colpe per il suo odio.
Io, invece, dico basta! Il male è il male. Abbiamo tutti dei problemi nella nostra vita!”
….”Il perdono non è l’unica via verso la salvezza.”

“Molti di noi hanno paura a dichiararsi atei.
Eppure l’ateismo non è una filosofia, né una visione del mondo.
L’ateismo è, semplicemente, un’ammissione dell’ovvio.”

“Il timore di essere giudicati
da una divinità onnisciente
ha sempre contribuito ad ispirare
un comportamento caritatevole”.

“Non è necessario invocare Dio
per far funzionare l’Universo.
La creazione spontanea
è il motivo per cui
esiste qualcosa
invece del nulla.”      Stephen Hawking

“Il prezzo della grandezza
è la responsabilità.”       Winston Churchill.

Botta e risposta fra creazionisti e ateisti:

“Fin dalla notte dei tempi, le religioni del mondo sono state
il principio organizzativo più importante per l’uomo,
una road map per la società civilizzata e la nostra
fonte primaria di etica e morale.
Minando la religione, si mina l’essenza umana.”

“La religione non può monopolizzare la moralità.
Io sono una brava persona, perché sono una brava persona!
Dio non c’entra niente.”

“Venerare Dio è come estrarre combustibile fossile.
Molte persone in gamba sanno che è una scelta imprevidente.
Ma ci hanno investito troppo per smettere.”

“In principio l’Uomo creò Dio.”

“È profondamente sconvolgente che la mente umana
abbia la capacità di elevare un evidente frutto della fantasia
a verità divina e si senta autorizzata ad uccidere in suo nome.”

“Il mio sogno non è distruggere la religione, ma piuttosto crearne una nuova,
una fede universale che unisse le persone, invece che dividerle.
Se riuscissi a convincere tutte le persone a venerare il mondo naturale
e le sue leggi che ci hanno creato, allora tutte le culture avrebbero celebrato
la stessa storia della creazione, invece di farsi la guerra per stabilire
quale dei loro antichi miti fosse il più veritiero.”

“Preferiresti vivere in un mondo senza tecnologia o in un mondo senza religione? È meglio vivere senza medicine, elettricità, mezzi di trasporto e di comunicazione …. oppure senza fanatici che si fanno la guerra per storie inventate ed entità immaginarie?”

“PREGHIERA PER IL FUTURO

…. che le nostre filosofie
riescano a stare al passo
con le nostre tecnologie,
che la nostra umanità
riesca a stare al passo
con i nostri poteri,
e che l’amore, non la paura
possa essere il motore
del cambiamento.”

“The dark religions are departed,
and sweet science reigns                William Blake.

“Le religioni oscure spariranno,
e la dolce scienza regnerà.”

 

Numero1783.

Sono sempre felice, sai perché? 
Perché io non mi aspetto niente
da nessuno, l’attesa fa sempre male.
I problemi non sono eterni
e hanno sempre una soluzione.
L’unica cosa che non ha soluzione
è la morte. Non permettere
a nessuno di offenderti, di umiliarti.
Non devi assolutamente farti
abbassare la tua autostima.
Le urla sono le armi dei vigliacchi,
di coloro che non hanno….ragione.
Troverai sempre persone
che ti vogliono dare
la colpa del loro fallimento,
ma ognuno avrà ciò che merita….
Goditi la vita, perché è molto breve,
amala pienamente e sii
sempre felice e sorridente,
vivi la tua vita intensamente.
E, ricorda:
Prima di discutere, respira;
Prima di parlare, ascolta;
Prima di criticare, esaminati;
Prima di scrivere, pensa;
Prima di far male, senti;
Prima di arrenderti, prova;
Prima di morire, VIVI !

William Shakespeare.

Numero1777.

La guarigione è la libertà

dalle preoccupazioni.

La guarigione è vivere

e non far finta di vivere.

La guarigione è la gratitudine.

La guarigione è l’equilibrio.

La guarigione è lasciarsi andare.

La guarigione è l’energia del momento.

 

Terry Guillemets.