Numero1458 (dal Numero1465 al Numero 1455: la serie completa).

A proposito della vicenda della scomparsa di Ettore Majorana, un fisico Russo ha formulato un’ipotesi illuminante: non sappiamo come abbia fatto, ma, in qualche modo strategicamente singolare, pare che Majorana abbia voluto lasciare, anche attraverso la testimonianza di diverse persone, degli indizi, dei tasselli, in ognuna delle possibili versioni ipotetiche della sua scomparsa (vedere in fondo).
E’ un po’ come il comportamento delle “particelle quantiche” infinitamente piccole ( i “quantum” della Teoria Quantistica di Max Planck). Queste particelle non vivono in un solo stato, ma in una sovrapposizione di stati e, solo quando le osserviamo, precipitano, o collassano, in un determinato preciso stato. Ma, finché non riusciamo ad osservarle, è come se, contemporaneamente, stessero in tutte le posizioni possibili o probabili (teoria della probabilità quantica), ma secondo un criterio di casualità (Principio di indeterminazione). Mettendo a fuoco l’osservazione, si determina una serie di “salti” da una orbita ad un’altra degli elettroni, che provoca una generazione di energia rilevabile e sfruttabile. In questo contesto si inquadra anche la formula famigerata di Einstein, secondo cui la massa si trasforma in energia.
E così è di Majorana, una sovrapposizione di stati, ma nel mondo macroscopico.
Sulle capacità di Majorana nel campo della Fisica Teorica, sentirete le valutazioni e gli apprezzamenti di altri che lo conobbero e capirono quello che stava facendo. Io ricorderò, soltanto, un paio di aneddoti che ci dicono delle sue doti di calcolatore e di stratega. All’età di quattro anni, in occasione delle visite di parenti ed amici in casa Majorana, era consuetudine porre al bimbo Ettore , delle domande sul calcolo di moltiplicazioni complesse, di numeri di 3 cifre per numeri di altre 3 cifre. Il bambino aveva l’abitudine, per concentrarsi, di sedersi sotto il tavolo, e da lì rispondeva esattamente a tutti i quesiti. Si racconta poi, che, all’età di 7 anni, partecipò ad un torneo di scacchi, nella città di Catania. Affrontò la sfida con molti giocatori adulti ed esperti, ma li sconfisse tutti brillantemente, senza sforzo alcuno. Non mi meraviglia affatto che lui abbia giocato una partita a scacchi, nella sua vita, con un piano strategico di grande respiro, ispirato al comportamento, nell’ infinitamente piccolo, delle particelle quantiche. Secondo la Fisica, che potremmo chiamare, del Terzo Millennio, fece della sua stessa vita un paradigma esemplificativo. Lui era, anche, molto appassionato al pensiero e alle opere di Luigi Pirandello, il cui fervore immaginativo era molto vicino alle sue tracce mentali: “Uno, nessuno, centomila”, “Così è, se vi pare”. La scomparsa di Ettore Majorana appare come un istrionico “colpo di teatro” pirandelliano, parzialmente casuale e parzialmente voluto, come accade nel personaggio de “Il fu Mattia Pascal”: in tale opera, il protagonista si cerca una nuova identità, dopo essere stato creduto morto, salvo, alla fine, inscenare il suicidio del suo “doppio” per tornare se stesso. Che Majorana abbia voluto emulare il suo eroe, modificando il finale della storia?
Ettore Majorana: un grandissimo genio dell’era moderna. Ha concepito le basi di una Fisica nuova e diversa da quelle accademiche e tradizionali, per traghettare il futuro dell’uomo nel Terzo Millennio.

Accenno, qui di seguito, sinteticamente alle varie piste, ipoteticamente possibili, sulla scomparsa di Majorana:

Pista suicidio (esaurimento nervoso, crisi esistenziale, sindrome di Asperger, omosessualità).

Pista Siciliana ( tale Tommaso Lipari, un barbone con il pallino della matematica, che andava i giro in quel di Mazara del Vallo, risolvendo i problemi di matematica agli studenti).

Pista Tedesca ( rapito dai Tedeschi per sfruttare le sue capacità nel campo nucleare).

Pista Argentina (dopo la fine della guerra potrebbe essere emigrato clandestinamente, come tanti Tedeschi, per rifugiarsi in questo paese, o direttamente dall’Italia).

Pista Venezuelana ( dall’Argentina potrebbe essersi spostato in Venezuela, negli anni 1955-59, ci sono varie testimonianze).

Pista conventuale (accreditata da Leonardo Sciascia e da altri).

Numero1457 (dal Numero1465 al Numero1455: la serie completa).

Venite verso l’orlo del dirupo.

Potremmo precipitare.

Venite verso l’orlo del dirupo.

E’ troppo alto!

VENITE VERSO L’ORLO DEL DIRUPO!

Ed essi vennero.

E lui li sospinse.

Ed essi volarono.

Christopher Logue.

 

IL CODICE DELLA MACCHINA DI MAJORANA

Il Codice, come lo chiama l’autore, consiste in una specie di guida scientifica con i principi della fisica del futuro. Una fisica a noi sconosciuta che, se applicata nella vita reale, potrebbe portare al superamento dell’era dell’energia prodotta da combustibili fossili. Niente più petrolio, né gas, né carbone. Una nuova epoca che, stante l’attuale situazione mondiale, i potentati economici farebbero di tutto per impedire. Il testo del Codice dovrebbe essere di circa 200 pagine, forse qualcosa di più o qualcosa di meno. E dovrebbe contenere, se i documenti in nostro possesso fossero veritieri, anche le istruzioni dettagliate per costruire e collaudare un’incredibile macchina per annichilire la materia trasformandola in energia pura, ma anche riscaldarla, trasmutarla o traslarla in altre dimensioni. Stiamo parlando del Codice Majorana, e cioè della guida che, se fosse vera la storia raccontata da Rolando Pelizza, egli avrebbe ricevuto dallo scienziato scomparso nel nulla il 27 marzo del 1938. Come ormai è noto, Pelizza sostiene che avrebbe conosciuto Majorana in un convento di clausura nel 1958 e ne sarebbe divenuto il discepolo. Per anni, egli afferma, avrebbe seguito gli insegnamenti del grande scienziato e avrebbe appreso da lui le nozioni della nuova fisica. Quello che Pelizza non dice (ma sono davvero tante le cose che egli non vuole rivelare in quanto afferma di essere vincolato da un segreto che per nessuna ragione può divulgare) è che il suo Maestro, come egli lo definisce, gli avrebbe consegnato un Codice da consultare ogni volta che avesse qualche dubbio di carattere tecnico-scientifico. L’unica prova che abbiamo di questa presunta operazione la possiamo trovare nella lettera che Majorana gli avrebbe inviato il 12 Ottobre 1968. In questa missiva, che come le altre è stata pubblicata nel sito www.Majorana-Pelizza.it, tra le altre cose si legge:

“Vai sul codice da pag. 11 a pag. 20, applica ogni singola formula seguendo l’ordine, una per ogni test, e vedrai che, forse, prima di arrivare alla fine, dovresti avere il risultato. Tieni presente (senza usare il tuo intuito) che ad ogni formula aggiunta ci sono X variabili da realizzare. Ripeto, non saltartene neanche una, seguendo il tuo istinto, per accelerare i tempi, perché, invece, potresti allungarli di molto, sai bene il perché”.

Dunque, anche se Pelizza continua a negare tutto quello che potrebbe servire a chiarire razionalmente l’impianto di questa incredibile e controversa storia, ci troveremmo di fronte ad un documento, appunto il Codice Majorana, che spiegherebbe in termini La sezione verticale della macchina di Pelizza in corrispondenza della zona centralescientifici il pensiero di uno dei più grandi scienziati che l’Italia abbia mai avuto nella sua storia millenaria. Dal momento che abbiamo la certezza che questa incredibile macchina sia esistita nel passato (ci sono prove, anche di carattere giudiziario, che ci confermano la presenza di questa tecnologia negli anni Settanta e Novanta del secolo scorso), si dovrebbe supporre che se c’era la macchina, c’era anche il Codice Majorana. Pelizza se lo terrà nascosto da qualche parte, magari nel fondo di un cassetto di chissà quale mobile, Dio solo sa dove. Ma deve pur esserci. Pensiamo per un solo istante, anche in via del tutto ipotetica, che effetto avrebbe la lettura di quel testo se dovesse finire sulle scrivanie di diversi docenti universitari. Ciò che oggi viene definita fantascienza, improvvisamente diventerebbe materia di studio e approfondimento. Con conseguenze del tutto imprevedibili.

Ma lasciamo stare le fantasie e torniamo con i piedi per terra. Visto che non ci è dato sapere quale sia questa insondabile fisica del futuro, cerchiamo di ipotizzare come e perché la macchina di Pelizza, ammesso e non concesso che nel presente esista, possa funzionare. L’unico indizio concreto ci viene dagli studi che Majorana fece negli anni Trenta, poco prima di sparire, sul monopolo magnetico. Infatti, in via del tutto teorica, la potenziale energia della macchina di Pelizza potrebbe trovare una qualche spiegazione scientifica se in qualche modo fosse correlata con le ricerche sul monopolo magnetico.

 

 

 

Numero1456 (dal Numero1465 al Numero1455: la serie completa).

Il mondo viene creato dai vostri sogni

Avete sognato fabbriche gigantesche,

altissimi palazzi, tante automobili quante

sono le gocce d’acqua di questo fiume.

Ora cominciate a riconoscere che

il vostro sogno è, in realtà, un incubo.

Affinché la vita possa continuare,

dovete insegnare ai vostri figli

a sognare un sogno nuovo.

Numi    sciamano dell’Equador.

 

UNA  NUOVA  FISICA  PER  IL  MONDO

Mi chiamo Rolando Pelizza, ho 78 anni, e vorrei spiegare perché ho dato l’autorizzazione a pubblicare su Internet i progetti relativi alla costruzione della mia “Macchina” in grado di intervenire sulla materia. Vorrei precisare che non ne sono l’inventore, bensì soltanto colui che la manovra. A ideare questo strumento, che può annichilire, riscaldare, trasmutare e traslare la materia, è stato, invece, lo scienziato Ettore Majorana, da me conosciuto casualmente in un convento, nell’ormai lontano 1958. Ne divenni l’allievo e, tramite lui, venni a conoscenza delle regole di una nuova fisica in grado di cambiare il mondo, come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Majorana, tra l’altro, non usava calcolatrici o computer. Eseguiva, infatti, i sui calcoli basandosi su formule contenute in un programma/codice di cui solo lui (e, in parte, anche io) era a conoscenza.
Fu, dunque, grazie ai suoi studi sulla materia che elaborò il progetto della macchina che cominciammo a costruire, intorno agli anni Sessanta. In un primo tempo, ci furono dei problemi operativi, dovuti alla sperimentazione pratica. Ben 228 macchine andarono distrutte durante la fase operativa, e solo nel 1972 fu possibile arrivare al primo esperimento pienamente riuscito.
Questa macchina, della quale oggi pubblichiamo i disegni, è in grado di espellere particelle di antimateria selettiva che, a contatto con analoga materia, si distruggono, provocando l’emissione di grande energia.
L’attuale macchina è rivestita da un cubo di alluminio di circa 55 cm per lato e il meccanismo della struttura è alimentato da una piccola batteria d’automobile, che serve ad azionare il sistema interno. Quest’ultima genera le antiparticelle che poi vengono espulse da un condotto, la cui estremità termina con un foro a quadrifoglio sul frontale della macchina. Dall’esterno, dunque, la macchina appare come un perfetto cubo, senza alcuna estremità. Le antiparticelle hanno una vita di 5 millesimi di secondo e fuoriescono, per “motu proprio”, alla velocità della luce, fino ad una distanza massima di circa 1500 Km.
Per essere più precisi, la macchina è in grado di gestire tutti gli elementi della Tavola Periodica di Mendeleev e può emettere particelle per ogni singolo elemento, graduandone la distanza e le dimensioni, da 1 centimetro cubo, fino ad un volume di 20 metri per lato, pari a 8000 metri cubi. L’emissione è controllabile anche nell’intensità, andando dal solo riscaldamento della materia colpita (rallentando il flusso delle particelle), fino al completo annichilimento della stessa. Ponendo, quindi, l’oggetto che si vuole annichilire o riscaldare ad una certa distanza dalla macchina, l’uscita delle antiparticelle si esaurirà nel rispetto dei comandi impartiti.
Vorrei ricordare che, per far funzionare la macchina, è necessario adottare la formulazione che io ho depositato, affinché venga consegnata al momento dell’esperimento, previa sottoscrizione , da parte degli interessati, di un protocollo molto dettagliato, che garantisca l’uso della macchina esclusivamente per scopi civili.
Aggiungo che la macchina è, dal 2008, coperta da brevetto.
Per quanto riguarda la parte storica, questa macchina venne testata ufficialmente, per la prima volta, nel 1976, con un protocollo elaborato dal Prof. Ezio Clementel, Presidente del CNEN, su mandato del Governo Italiano (III Governo Andreotti). L’esperimento più significativo è quello che avvenne, sempre nel 1976, a Forte Baremone (BS), alla presenza di numerose persone, tra cui l’allora colonnello belga della NATO, Jacques Leclerc.
Successivamente, c’è stato l’interesse del Governo Americano, che mi aveva chiesto di abbattere un satellite geostazionario., e, quindi, del Governo Belga, i cui responsabili mi avevano proposto di distruggere un carro armato. Al mio netto rifiuto, motivato dal fatto che Ettore Majorana ed io non abbiamo mai voluto che la macchina fosse utilizzata per fini bellici, ho cominciato ad accusare i pesanti contraccolpi di quelli che possono essere  definiti “poteri forti”. Questa gente mi ha sottomesso al proprio volere, costringendomi, per decine d’anni, ad operare per loro conto ed, esclusivamente, nel loro unico interesse. Ora, arrivato alla soglia degli 80 anni,, lascio questi disegni alla conoscenza del mondo scientifico, perché qualcuno, dopo di me, possa continuare l’opera che mi è stata impedita.
Voglia il cielo che persone di buona volontà raccolgano il mio testimone, con la sola ed unica motivazione del bene dell’Umanità.

In fede
Rolando Pelizza                                                01.03.2016.

Numero1455 (dal Numero1465 al Numero1455: la serie completa).

Ci sono due modi per cadere in un tranello:

uno sta nel credere in ciò che non è vero,

l’altro è rifiutarsi di credere in ciò che è vero.

Soeren Kirkegaard   (1813-1855)

 

Il mistero Pelizza-Majorana
svelato al mondo accademico
in un congresso scientifico
internazionale in California

Gli studiosi Franco Alessandrini, ingegnere e docente universitario,
e Roberta Rio, storica austriaca, hanno partecipato
al convegno “Scienza e Coscienza” dal 5 al 10 Giugno 2017
a San Diego, con la relazione “La Fisica del Terzo Millennio,
Il ponte tra la scienza e l’Oltre”. Rivelati i segreti della macchina
“che annichilisce la materia, produce energia, trasmuta i metalli
e trasferisce cose e esseri viventi in altre dimensioni”

di Rino Di Stefano

(RinoDiStefano.com, Sabato 1 Luglio 2017)

Il   mondo accademico internazionale comincia a porsi domande sull’incredibile storia di Rolando Pelizza circa la vita e le scoperte scientifiche di Ettore Majorana, dopo la sua scomparsa nel 1938. A esporre pubblicamente quella che è stata definita la Fisica del Terzo Millennio, sono stati Francesco Alessandrini, ingegnere civile e docente di materie geotecniche presso l’Università di Udine, e Roberta Rio, storica austriaca di origini italiane, specializzata in Paleografia, Archivistica e Diplomatica, nonché membro dell’Associazione degli Storici della Germania. La presentazione pubblica della storia Pelizza-Majorana è avvenuta durante il convegno mondiale “The science of consciousness” (La scienza della coscienza), svoltosi a San Diego, in California, dal 5 al 10 giugno 2017. La relazione “Third Millennium Physics – The bridge between science and the Beyond” (La Fisica del terzo Millennio – Il ponte tra la scienza e l’Oltre) è stata presentata nel pomeriggio di giovedì 7 giugno nell’ambito della sessione C15 “Consciousness and Models of Reality” (Coscienza e Modelli della Realtà) direttamente dall’ingegner Alessandrini. In contemporanea con questo evento, in Italia e nel mondo usciva in autopubblicazione (Ilmiolibro self publishing) un volume in due versioni: “La macchina – Il ponte tra la scienza e l’Oltre” nell’edizione italiana, e “The Machine – The bridge between science and the Beyond”, nell’edizione inglese, sempre degli autori Roberta Rio e Francesco Alessandrini.
Ma cosa c’è di tanto inusuale nella presentazione della relazione al convegno scientifico mondiale di San Diego e nella pubblicazione di quel volume? La risposta è semplice: per la prima volta due studiosi accademici italiani hanno parlato in un contesto internazionale della storia di Rolando Pelizza e della famosa macchina, attribuita a Ettore Majorana, in grado di annichilire la materia trasformandola in energia pura, e non solo. Tra l’altro, questa relazione, sempre in inglese, è stata pubblicata sul sito scientifico mondiale ACADEMIA.EDU, che conta 53.084.680 accademici iscritti in tutto il mondo. Basterebbe questo numero per rendersi conto di quale sia stata la divulgazione della notizia a livello internazionale. L’evento, inoltre, è rilevante anche perché in Italia, nonostante la documentazione, le foto, le perizie e le prove inerenti l’esistenza e l’operatività della famosa macchina, la scienza ufficiale ignora volutamente la storia di Rolando Pelizza e non prende in alcuna considerazione l’ipotesi che, effettivamente, Ettore Majorana potrebbe davvero essersi nascosto in un convento di clausura quel 27 marzo del lontano 1938, appena sbarcato nel porto di Napoli dal traghetto Tirrenia proveniente da Palermo. Così come, vent’anni dopo, nel 1958, potrebbe aver conosciuto casualmente un giovane bresciano, rispondente al nome di Rolando Pelizza, e potrebbe averlo fatto diventare il suo discepolo insegnandogli le nozioni di una nuova e rivoluzionaria fisica. Quella stessa fisica che negli anni Settanta sarebbe poi diventata una macchina in grado di compiere operazioni che, alla luce di quanto sappiamo fino ad oggi, non può che apparire assolutamente fantascientifica. Il condizionale è d’obbligo, ovviamente, non essendoci alcun atto ufficiale o giudiziario che certifichi tale presunta realtà. Ma è pur vero che esiste una tale valanga di prove e indizi da far nascere il ragionevole dubbio che, se questa storia non è stata ancora ufficialmente indagata, forse è perché qualcuno non vuole che si conosca. Ma limitiamoci a prendere atto di quanto è accaduto e vediamo che cosa c’è scritto nella relazione presentata a San Diego. Con una premessa: quel documento altro non è che la sintesi di quanto c’è scritto nel libro del duo Rio-Alessandrini. Il volume, in pratica, costituisce un ulteriore approfondimento del messaggio che i due autori hanno voluto lanciare al mondo, cogliendo l’occasione del convegno scientifico californiano.
Già dal titolo, La Fisica del Terzo Millennio, si capisce che la relazione presenta un contenuto alternativo rispetto alla realtà attuale. E la premessa non è sbagliata, visto che fin dalla sinossi, viene spiegato che “La mente illuminata di Ettore Majorana, dal silenzio di un convento in cui si è volontariamente rinchiuso per decenni, ha prodotto una nuova matematica e una nuova fisica che alimentano un salto epocale nella conoscenza umana.
Qui si richiamano la sua teoria e alcuni aspetti salienti della costruzione di una macchina, realizzata da Rolando Pelizza, che ha dimostrato quanto esatte e reali fossero le ipotesi di Ettore.
Il mondo ha ora nuove grandiose possibilità: può annichilire la materia, può produrre energia infinita a costo zero, può trasmutare la materia e può spostarsi in altre dimensioni.
Ma questa conoscenza, da noi definita la Fisica del Terzo Millennio, non sarà subito disponibile all’umanità … è prima necessario un percorso di graduale presa di coscienza e di cambiamento degli atteggiamenti umani.”
.
E’ così, con questa presentazione che sposa in pieno la storia di Rolando Pelizza e il suo racconto su Ettore Majorana, che Rio e Alessandrini preparano il lettore a quanto di sconvolgente stanno per dire.
Secondo i due autori, la grande innovazione portata dalla scienza di Majorana consiste nell’interpretazione delle leggi della materia attraverso un nuovo modo di concepirle. “Ma, soprattutto, è una fisica che ‘fa pace’ tra Scienza e Spiritualità, riuscendo a colmare quell’enorme iato che l’uomo moderno, piuttosto scioccamente, ha aperto fra i due principali modi di percepire la realtà. La Scienza ha finalmente accesso alla comprensione di ciò che sta Oltre quel che è avvezza a considerare come mondo fisico, per penetrare un ambito dove è posizionato il vero ‘centro decisionale e organizzatore’ della vita nella Materia”.
Questo posto, aggiungono gli autori, avrebbe poco a che fare con la dimensione fisica alla quale siamo abituati, in quanto sarebbe sempre stato nascosto al nostro mondo puramente razionale. Ma che cosa avrebbe scoperto, di preciso, Majorana? “Una conoscenza grandiosa e nel contempo infinitamente semplice – risponde Pelizza – Oggi stiamo spendendo somme enormi di denaro negli acceleratori di particelle e nelle ricerche sulla fusione nucleare, tutti tentativi che cercano di violentare l’atomo per estrargli in modo estremamente forzato la grande energia che gli è stata racchiusa dentro”.
A quanto pare, invece, la fisica di Majorana seguirebbe il cammino della comprensione e della non violenza, per dirla alla maniera di Gandhi. “Ettore è entrato in contatto con ‘l’intimità’ della Materia – si legge nel documento – e a questo livello di ‘rapporto’, la Materia, se adeguatamente e pacatamente assecondata, è in grado di dare tutta sé stessa”.
Entrando nel dettaglio scientifico, Rio e Alessandrini illustrano ciò che, anche allo stato attuale delle cose, si conosce circa il pensiero del grande scienziato scomparso. “Le conoscenze principali di Ettore – viene spiegato – sono riconducibili alla ‘Teoria Generale degli Esponenti’ in cui si percepisce che ‘tutte le leggi della natura sono simmetriche rispetto ai due versi del tempo e che tutti i fenomeni dell’universo sono costituiti da onde sferiche le quali, per detta simmetria, possono essere non solo divergenti – fenomeni ‘entropici’ – come quelle comunemente osservate, ma anche ‘convergenti’ – fenomeni ‘sintropici’. In pratica si riconosce che il mondo non funziona solamente in maniera entropica, ovvero solo con un accrescimento del disordine come asserito dal secondo principio della termodinamica, ma anche in maniera sintropica, ovvero con un accrescimento dell’ordine. La sintropia viene introdotta non come ipotesi arbitraria, ma come conseguenza logica necessaria alla struttura quantistica (meccanica quantistica) e relativistica (relatività Einsteiniana) dell’universo. A valle di questo, casualità e finalità vengono portate sullo stesso piano logico, ‘come sono due le soluzioni di un’equazione di secondo grado’ ”.
Tutto questo, secondo l’esposizione di Rio e Alessandrini, porterebbe ad un nuovo modo, completamente diverso rispetto a quello attuale, di vedere la scienza e la realtà. “Ettore – sostengono – perviene alla formulazione di una teoria unitaria dove vengono riuniti i fenomeni fisici e biologici, introducendo nella scienza esatta il finalismo. Nella teoria assume un particolare rilievo un diverso approccio matematico rispetto a quelli classici. Si comprende che l’ordine matematico naturale non è quello sostenuto dalla base decimale elaborata dall’uomo, ma sottostà ad altre basi, come per esempio, in alcuni casi, a quella del funzionamento atomico a base otto (sistema numerico ottale)”.
Senza voler andare troppo nello specifico, la relazione racconta che, sempre secondo il presunto pensiero di Majorana, subito dopo la creazione dell’universo ci fossero undici dimensioni e nel momento del Big Bang sette dimensioni spaziali si sarebbero “arrotolate”, lasciandone “estese ed esplicite” le quattro che conosciamo: tre spaziali e una temporale. Tuttavia, “le sette dimensioni nascoste hanno un’influenza assolutamente fondamentale sul funzionamento delle altre quattro distese. Se non si considerano e conoscono queste dimensioni nascoste, il funzionamento delle altre 4 diventa solo parzialmente e impropriamente conoscibile”.
Insomma, Majorana sarebbe riuscito a comprendere, per via matematica, la presenza di questa realtà occultata alla nostra vista. Messa in altri termini: “La teoria di Ettore studia un sottoinsieme del Creato ed è in grado di portare una conoscenza ‘scientifica’ completa su ciò che presenta una qualche ‘dimensione’, ovvero ciò che indichiamo come Materia + Oltre Materia (11 dimensioni)”.
La conclusione dialettica è che “Tutta questa conoscenza è stata raggiunta, dunque, perché alla base del nostro Creato c’è una struttura geometrica e, dunque, matematica!”.
Il fatto eclatante è che questa “teoria fantastica” assume incredibili connotazioni reali quando diventa “teoria convalidata dalla sperimentazione”, grazie alla famosa macchina che Rolando Pelizza avrebbe costruito sotto la guida dello stesso Majorana.
Una piccola parentesi prima di continuare nell’esposizione della relazione scientifica che ormai ha fatto il giro del mondo: che la macchina di cui si parla sia stata un fatto reale e concreto tra gli anni Settanta e Ottanta, non c’è dubbio alcuno. Così come è altrettanto certo che nella storia di questa apparecchiatura siano stati coinvolti, a più riprese, i governi italiano, americano e belga. Esiste una tale documentazione a questo riguardo da non lasciare incertezze di sorta su come si svolsero effettivamente i fatti in quell’epoca. Il problema riguarda il presente: nessuno, infatti, ha la più pallida idea se quella macchina esista ancora, eventualmente dove sia nascosta e, nel caso, quali sarebbero gli eventuali interessi che girerebbero attorno ad essa. Detto questo, vediamo come funzionerebbe l’incredibile macchina, anche perché questa è la prima volta che una spiegazione completa viene proposta al mondo accademico e al grande pubblico. Cominciamo col dire che la macchina sarebbe in grado di operare su sei fasi diverse, ma fino ad oggi ne sarebbero state completate solo le prime quattro. La prima prevede l’eliminazione controllata della materia: “La macchina di Rolando riesce a liberare in forma organizzata dell’antimateria. Essa ‘proietta’ atomi uguali e contrari a quelli della materia in esame, ‘cancellandola’ ovvero annichilendola. Rolando riesce a provocare un’annichilazione selettiva, e cioè può decidere quale materiale annullare, anche selezionandolo tra diversi adiacenti o sovrapposti. Inoltre le antiparticelle si possono mescolare, in modo da annichilire oggetti costituiti da materiali diversi”.
Considerando che chi volesse può trovare nel mio sito i link per vedere i video della macchina in funzione nel 1976, non ci vuole molta immaginazione per comprendere che un simile meccanismo, se fosse utilizzato per fini bellici, potrebbe essere definito l’arma perfetta.
Vediamo adesso la seconda fase, cioè la produzione di energia. “La macchina di Rolando – è spiegato – in questa fase viene predisposta per rallentare lo spin delle particelle costituenti il materiale in esame. Tale rallentamento induce nella materia una sorta di attrito ‘interno’, un po’ come succede quando il freno rallenta la ruota della vostra bicicletta, il cui effetto evidente è un riscaldamento. Calibrando bene il rallentamento si può portare la materia trattata a una temperatura inferiore a quella che la farebbe sciogliere, diciamo dell’ordine del 40% di quella di fusione o di ebollizione. Questo in modo da stare sufficientemente lontani dalla fusione stessa che corrisponde, di fatto, alla sparizione della materia.
La particolarità è che si può così disporre di un corpo caldo, sempre alla stessa temperatura – le oscillazioni misurate sono minime – che non si riscalda ulteriormente, anche se il calore non viene assorbito dall’esterno.
Se il calore, viceversa, viene assorbito – per esempio con un sistema di circolazione d’acqua attorno al materiale riscaldato –, il corpo continua a rimanere alla stessa temperatura mentre si ha a disposizione dell’acqua calda a qualche centinaio di gradi per produrre energia. Ve la immaginate un’energia infinita, senza consumo di materia prima, a un costo praticamente zero!?”
.
Ci pensate a quanti potrebbero essere interessati a utilizzare questa fase? Ma siamo ancora lontani dal restare a bocca aperta per la sorpresa. Passiamo alla terza fase: la trasmutazione. In altre parole, trasformare un materiale in un altro, cambiandone il numero degli elettroni. Rio e Alessandrini sono molto chiari nella descrizione: “In questa fase, giunta a un livello di completa messa a punto già nel 1992, si può prendere un volume di materia, diciamo un blocco di polistirolo e trasformarlo in un blocco di oro, conservandone volume e forma. Qui lasciamo a voi immaginare cosa potrebbe rendere possibile questa fase; vi assicuriamo solo che questa possibilità può portare alla soluzione di molti dei problemi in cui il mondo si sta dibattendo attualmente. Siccome sappiamo che quello che stiamo dicendo potrebbe suscitare una certa perplessità, vi mostriamo nella figura 3 una sequenza di fotogrammi, ripresi da una telecamera, in cui si vede la trasmutazione di un blocco di gommapiuma in oro. Tutta la sequenza della trasmutazione che vi mostriamo si sviluppa in 25 centesimi di secondo”.
In questo caso è necessaria una spiegazione supplementare. I fotogrammi di cui parlano i due autori fanno parte di un filmato dell’ottobre 1992 quando Rolando Pelizza, che si trovava in un garage nei pressi di Barcellona, fece una ripresa televisiva di se stesso mentre trasformava in oro decine di cubi di gommapiuma. Il filmato dura 103 minuti, comprende due giorni di riprese, e mostra l’intraprendente bresciano con la sua riserva personale d’oro: 125 cubi del peso di circa 65 chili l’uno. E cioè 8 tonnellate e 125 chili di oro al 100%, una percentuale inesistente in natura. Tanto per avere un ordine di grandezza, nel 2007 l’oro valeva circa 18,35 euro al grammo. Quindi parliamo di quasi 150 milioni di euro dell’epoca. Oggi, invece, l’oro viene valutato circa 35,45 euro al grammo, quindi più o meno 288 milioni di euro. Pelizza avrebbe potuto essere l’uomo più ricco del mondo, con l’andazzo di quella produzione. Ma c’è un però: a quanto racconta egli stesso, pare che si fosse messo d’accordo con non meglio precisati “americani” per cedere quel tesoro, a un “prezzo di favore”: il 50% del valore effettivo. La consegna dei cubi avvenne alla fine del giugno 2007, alla presenza di un magistrato donna spagnolo, e venne redatto un verbale. Tutto regolare, quindi, ma quei soldi non vennero mai versati.
Ma non è finita qui. Quel video, da allora, è finito in diverse mani. Si sa per certo che copie del filmato sono finite in Svizzera e in Russia. E chissà in quante altre parti del mondo. Insomma, sono in tanti ormai a sapere che cosa quella macchina sia in grado di fare.
Adesso una copia è anche in mano di Roberto Giacobbo, il noto conduttore di Voyager su RAI2. Nell’intervista a Pelizza mandata in onda il primo agosto 2016, ha mostrato molto velocemente il fotogramma finale della trasmutazione in oro di un cubo di gommapiuma. Pare che a breve ci sarà un altro programma con una nuova intervista a Pelizza.
Ora veniamo alla parte più sconvolgente, e cioè alla quarta fase: il trasferimento dimensionale. “Con la macchina – infatti – è possibile trasferire persone e oggetti in altre dimensioni, nel tempo e nello spazio, e eventualmente ritornare al punto di partenza originale. Ciò significa, ad esempio, far scomparire qualcosa dal mondo fisico e portarlo in una dimensione invisibile. Ma significa anche ringiovanire un corpo di dieci, venticinque, trenta o settant’anni, mantenendo intatti l’intero pacchetto di conoscenze e ricordi: in breve, una volta invecchiati, potremmo far tornare i nostri corpi giovanili, mantenendo tutti i ricordi delle nostre esperienze così come la conoscenza di un’intera vita”.
Spiegata con parole semplici, ciò significa che una persona molto anziana potrebbe tornare agli anni della gioventù, mantenendo l’aspetto e lo stato fisico totale del giovanotto di una volta. A questo proposito, leggete quanto c’è scritto nel libro di Rio e Alessandrini a pagina 91: “Nel monastero dove si trovava Ettore, venne eseguito un primo esperimento conclusivo. Si trattava di ringiovanire un cagnolino, ormai anziano e morente, molto caro ai frati del convento. Essi gli avevano insegnato nel corso della vita a saltare attraverso i cerchi, cosa assolutamente non innata nell’animale. Usando la macchina, lo riportarono all’età di circa un anno. La cosa eccezionale è che, subito dopo l’esperimento, il cagnolino si mise a saltare attraverso i cerchi. Questo fatto fece luce su uno dei dubbi ancora aperti che avevano, ovvero sul fatto se, nel ringiovanimento del corpo fisico, si sarebbe conservata o meno la memoria e la personalità che l’essere aveva prima dell’esperimento. Il fatto di vedere saltare gioiosamente attraverso i cerchi fu la prova che li convinse che tutto era pronto e che si poteva fare il passo successivo. Rolando ricorda con gioia il momento in cui, dopo l’esperimento, lui ed Ettore si misero a giocare con l’animale giovane e vivace. Ma ricorda anche l’efficacia della strumentazione spionistica americana: qualche tempo dopo, infatti, gli venne fatta vedere una foto satellitare in cui si vedevano, in maniera nitida, Ettore e Rolando giocare con il cagnolino ringiovanito”.
A questo punto è ovvio domandarsi se l’anziano Majorana abbia o meno usufruito della sua macchina per ringiovanirsi. Pelizza non si pronuncia a questo riguardo e, comunque, almeno per il momento, non è disponibile alcuna documentazione in merito.
Concludendo la loro relazione per il pubblico mondiale, Rio e Alessandrini ammettono quanto sia difficile credere in tutto quello che hanno esposto. “Siamo consapevoli che la storia che vi raccontiamo possa suscitare in voi un certo scetticismo: è la naturale, potremmo dire biologica, reazione provocata dalla nostra mente razionale, che non può accettare l’esistenza di qualcosa che vada oltre l’ordine costituito – dicono – Anche noi all’inizio eravamo decisamente scettici ma poi, gradualmente, l’evidenza dei fatti ci ha costretti ad ammettere che tutto quello che vi abbiamo raccontato è vero e realmente sperimentato. Siamo di fronte a un ‘colossale’ avanzamento delle conoscenze, un vero salto quantico, come si dice oggi, senza ben sapere cosa voglia dire ‘quantico’. Questa grandiosa scoperta ha però un altrettanto grande limite, come tutta la conoscenza discesa in ambito umano: essa può essere usata per il bene dell’umanità o per il suo male. Siamo di fronte a qualcosa che può salvare un pianeta ormai sull’orlo del collasso o, viceversa, distruggerlo in poche ‘mosse’. Dipende dall’uso che ne facciamo. Ettore e Rolando si sono sempre strenuamente opposti a un uso nefasto della macchina, rendendo la propria vita certamente non semplice e in aperto contrasto con chi voleva farne un’arma. Ci auguriamo che essa diventi di pubblico utilizzo al più presto, operata esclusivamente da persone dedite solo al bene del mondo”.
E Pelizza? Oggi l’anziano bresciano, ormai sulla strada dell’ottantesimo compleanno, è un uomo solo e senza mezzi, che sopravvive grazie all’aiuto di alcuni amici. Non ha più la macchina e non può continuare i suoi amati esperimenti, ma continua a bussare alle porte dei suoi debitori per riscuotere quanto gli è dovuto per quei 125 cubi d’oro. Gli avrebbero fatto molte promesse dal 2007, ma continua a ripetere di non aver mai ricevuto un solo euro. L’unica soddisfazione è che la sua singolarissima storia ha suscitato l’interesse di due grandi università italiane che adesso sono in qualche modo coinvolte nello studio della misteriosa tecnologia. Non è molto, ma è pur sempre un buon inizio per fornire una spiegazione scientifica e razionale ad uno dei più grandi enigmi del Novecento.
Intanto, avvilito per tutte le inesattezze che sono state dette su di lui, alla fine Pelizza ha deciso di uscire allo scoperto inserendo la sua verità (foto, documenti, filmati e perizie) in un sito web dove racconta le esperienze di una vita (Majorana-Pelizza.it). Molti di questi contenuti sono assolutamente inediti, per esempio il filmato dove si vedono Pelizza e Majorana passeggiare nel parco. Oppure vari esperimenti effettuati con la macchina. Le lettere sono state periziate dalla dottoressa Chantal Sala, grafologa specializzata in ambito forense; immagini e filmati sono stati periziati dall’ingegner Michele Vitiello, titolare dello Studio Ingegneria Informatica Forense. Forse la cosa che colpisce di più è il titolo d’apertura di questo materiale: “Con grande amarezza pubblichiamo il contenuto di questo sito”. Infatti, Pelizza spiega che, nonostante tutti i suoi sforzi per far conoscere la nuova tecnologia e donarla allo Stato italiano per il benessere della nazione e del mondo, non c’è riuscito a causa degli intricatissimi giochi di potere in cui si è trovato. Da qui la sua amarezza. Adesso, stanco di combattere, fa conoscere i suoi antichi segreti e si ritira in buon ordine, ammettendo la sconfitta. La verità è che non basta voler cambiare il mondo, anche se ce ne sarebbe un gran bisogno. Qualcuno, e non è difficile immaginare chi, desidera che tutto resti com’è, macchina o non macchina. Con buona pace degli eventuali geni che, come Majorana, ogni tanto fanno capolino su questa piccola e tormentata terra.

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Articolo redatto da Francesco Alessandrini e Roberta Rio
per la presentazione a
The Science of Consciousness (TSC) 2017
a San Diego – CA
Giugno 2017

© 2017 Francesco Alessandrini e Roberta Rio

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Numero1453.

 

Una poesia in musica, dedicata ad una categoria di persone molto speciali,
scritta da un giovane Claudio Baglioni, quasi 40 anni fa (1981).

 

I   V E C C H I

 

I vecchi sulle panchine dei giardini
succhiano fili d’aria a un vento di ricordi
il segno del cappello sulle teste da pulcini
i vecchi mezzi ciechi
i vecchi mezzi sordi…

I vecchi che si addannano alle bocce
mattine lucide di festa che si può dormire
gli occhiali per vederci da vicino
a misurar le gocce
per una malattia difficile da dire…

I vecchi tosse secca che non dormono di notte
seduti in pizzo a un letto a riposare la stanchezza
si mangiano i sospiri e un po’ di mele cotte
i vecchi senza un corpo
i vecchi senza una carezza…

I vecchi un po’ contadini
che nel cielo sperano e temono il cielo
voci bruciate dal fumo
e dai grappini di un’osteria…
I vecchi vecchie canaglie
sempre pieni di sputi e consigli
i vecchi senza più figli
e questi figli che non chiamano mai…

I vecchi che portano il mangiare per i gatti
e come i gatti frugano tra i rifiuti
le ossa piene di rumori
e smorfie e versi un po’ da matti
i vecchi che non sono mai cresciuti…

I vecchi anima bianca di calce in controluce
occhi annacquati dalla pioggia della vita
i vecchi soli come i pali della luce
e dover vivere fino alla morte
che fatica…

I vecchi cuori di pezza
un vecchio cane e una pena al guinzaglio
confusi inciampano di tenerezza
e brontolando se ne vanno via…
I vecchi invecchiano piano
con una piccola busta della spesa
quelli che tornano in chiesa lasciano fuori bestemmie
e fanno pace con Dio…

I vecchi povere stelle
i vecchi povere patte sbottonate
guance raspose arrossate
di mal di cuore e di nostalgia…
I vecchi sempre tra i piedi
chiusi in cucina se viene qualcuno
i vecchi che non li vuole nessuno
i vecchi da buttare via…

Ma i vecchi… i vecchi
se avessi un’auto da caricarne tanti
mi piacerebbe un giorno portarli al mare
arrotolargli i pantaloni
e prendermeli in braccio tutti quanti…
sedia sediola… oggi si vola…
e attenti a non sudare

 

Numero1452.

La più grande poetessa dell’antichità è, fuor di dubbio, Saffo.

Saffo nacque ad Eresos, nell’isola di Lesbo, oggi Mitilene, in Grecia. La data di nascita non è certa: c’è chi dice nel 640 prima di Cristo e chi nel 610. E, comunque, a parte l’incertezza sulla datazione della nascita, molte altre cose non storicamente definite circondano la biografia della nostra, a causa dell’alone romanzesco che vi aleggia. Nasce da famiglia nobile ed ha tre fratelli. A causa delle faide da guerra civile che sconvolgevano l’sola per il predominio politico, è costretta all’esilio, con la famiglia, in Sicilia, probabilmente a Siracusa o Akragas (Agrigento). Torna nel luogo natio, dopo circa 10 anni. Si dedica a scrivere poesie, comporre versi sarà tutta la sua vita, assieme ad un’altra attività: dirige un “tìaso”, una sorta di collegio gineceo, dove le giovani fanciulle delle migliori famiglie aristocratiche dell’isola ricevono una educazione assolutamente particolare. Presso la scuola, le allieve vengono preparate alla vita matrimoniale, con lezioni di economia domestica, non solo, ma anche di educazione ai valori che la società aristocratica di allora richiedeva ad una donna: l’amore, anche quello fisico, la delicatezza, la grazia, la capacità di sedurre, il canto, la musica, la danza, l’eleganza raffinata dell’atteggiamento. Anche in Giappone, le Geishe, le moderne “escort” o “entraineuse”, ricevono una preparazione simile per esercitare il ruolo di accompagnatrici di uomini, nelle sale da tè, ma non certo per fini matrimoniali.
Archeanassa, Atthis, Arignòta, Dike, Eirène, Mègara, Girinno, Tenesippa, Mica: questi i nomi di alcune allieve del “tìaso”. che è anche centro religioso e culturale, dedicato al culto della dea Afrodite (dea della bellezza). Qui, gli strettissimi, quotidiani, rapporti fra l’insegnante e le allieve spiegano la “nomea” che vi si sviluppassero anche “licenziosità” di carattere omosessuale, che hanno avuto, da sempre, la denominazione di “lesbiche” o “saffiche”. Di Saffo ci è rimasto poco: un “Inno ad Afrodite” con il testo intero e circa 200 frammenti, molti dei quali solo interpretabili “ad sensum”.
Però, Saffo ha scritto molto, 8 o 9 libri di poesie, con diverse tipologie di metri poetici adoperati: odi in distici di pentametri, odi in distici saffici, odi in asclepiadei maggiori, carmi ed epitalami: questi erano composizioni destinate alla celebrazione dei matrimoni ed erano molto frequenti nella produzione poetica di Saffo. Infatti, a molte delle sue allieve che, terminato il percorso formativo/educativo, lasciavano la scuola per andare a sposarsi, la nostra poetessa dedicava canti epitalamici (in lode al matrimonio). In essi traspare, in forma lirica e struggente, un empito sentimentale, a volte ricambiato, a volte no, di passione e di amore per le fanciulle, che si allontanavano da lei, ma le descrizioni di atti fisici fra donne sono poche e oggetto di dibattito.
Probabilmente, il fatto va inquadrato secondo il costume dell’epoca e secondo i valori etici e sociali della cultura greca, come forma prodromica di un amore eterosessuale, cioè una fase di “iniziazione” per la futura vita matrimoniale.
Nel “tìaso”, si imparava e rispettava il culto della dea dell’amore, Afrodite. Ricordiamo, per chiarezza, che il sesso e tutto ciò che riguardava il piacere fisico e la sua soddisfazione, non era affatto esecrabile e condannabile, come secondo i dettami della nostra cultura cristiano cattolica, ma era considerata una manifestazione del tutto lecita e, addirittura, patrocinata da una dea, fra le più importanti, del mondo religioso greco. Il piacere fisico, ispirato dall’amore, di qualunque specie, veniva considerato una espressione naturale di vitalità e di gioia di vivere. Le relazioni amorose fra le fanciulle e con la maestra sono, dunque, da inserire in un quadro paideutico più ampio ed analogo a quello della pederastia maschile, che trovava nelle palestre del “Ginnasio”, il suo luogo di esercizio, di culto, di relazione. Il fatto è che, solo oggi, cominciamo a concepire come ammissibile uno stato o condizione abbastanza comuni all’epoca: la bisessualità.
Nell’Iliade, il pelìde Achille fu preso da “ira funesta” perchè gli fu sottratta Briseide, sua schiava ed amante, ma aveva come suo “amico del cuore”, che viveva con lui nella stessa tenda, il bellissimo Patroclo. Fu la morte di questi, per mano di Ettore, a scatenare l’accelerazione degli eventi, la discesa in campo di Achille per vendicarlo e, dopo 10 anni di inutile assedio, la disfatta di Troia.
Alessandro Magno, sposava  le eredi femmine ( almeno 3) dei regni che conquistava, si circondava di concubine e amanti, ma aveva accanto a sé un magnifico giovanotto, Efestione, ” di gran lunga, il più caro di tutti gli amici del re, allevato alla pari con lui e custode di tutti i suoi segreti”. La loro intensa amicizia, per diverse fonti, un vero e proprio amore omosessuale, durò tutta la vita e fu paragonata da altri, ma prima ancora, dai due diretti interessati, a quella, mitica, tra Achille e Patroclo. Alessandro Magno ed Efestione ebbero come precettore  un tale Aristotele!
Tornando a Saffo, la pratica di comunità, ravvicinata in tutti i sensi, delle fanciulle, fra loro e con la maestra, non era affatto immorale nel contesto storico e sociale in cui Saffo viveva:  per gli antichi Greci, l’erotismo, attenzione, si teneva ben lontano dalla pedofilia: tutelavano da frequentazioni estranee i bambini d’ambo i sessi che non avevano compiuto una certa età. Ma, esso si faceva canale di trasmissione di formazione culturale e morale nel contesto di un gruppo ristretto, dedicato all’istruzione e all’educazione delle giovani, qual era il “tìaso” femminile, pur preparando le giovani donne a vivere in una società che prevedeva una stretta separazione fra i sessi e una visione della donna, quasi unicamente, come fattrice di figli e signora del governo domestico.
A proposito di bisessualità, la Suda dice che Saffo sposò un certo Cercila di Andros e da lui ebbe una figlia di nome Cleide a cui dedicò alcuni teneri versi.
Qualcuno insinuò che si trattava di “fake news” e che Cleide fosse una sua allieva che ella amava. Altra “bufala” sarebbe quella della sua morte, avvenuta nel 570 avanti Cristo, (quindi all’età di 70 anni) per suicidio: si sarebbe gettata sugli scogli dalla Rupe di Lefkada (Leucade), perché esasperata dall’amore, non corrisposto, per il bellissimo, giovane battelliere Faone.
Un’altra leggenda riguarda la presunta passione amorosa per Saffo del poeta lirico conterraneo Alceo, che le avrebbe dedicato i seguenti versi: “Crine di viola, eletta dolceridente Saffo”. Questi versi si riferiscono veramente a Saffo o non sono, piuttosto, una idealizzazione non autobiografica? Se effettivamente i versi di Alceo si riferissero a Saffo, descritta come una donna bella e piena di grazia, dal fascino raffinato, dolce e sublime, verrebbe sfatata l’altra leggenda legata alla poetessa di Lesbo, quella della sua non avvenenza fisica. Sembra che fosse bruttina di viso, di bassa statura e con la pelle scura. Capisco bene che, a 70 anni, non si possa essere contenti del proprio aspetto fisico, ma questo non potrebbe essere un alibi per togliersi la vita.
Platone la nomina, chiamandola “Saffo , la bella”: intende dire “bella dentro”?
Pseudo-Platone nell’epigramma XVI scrive: “Alcuni dicono che le Muse siano 9. Guarda qua, c’è anche Saffo di Lesbo”.
Strabone, in età tardoellenistica, la definisce “un essere meraviglioso”.
Solone, suo contemporaneo, dopo aver ascoltato, in vecchiaia, un carme della poetessa, dice che, a quel punto, desidera due sole cose, ossia impararlo a memoria e morire.
Anacreonte, anche lui poeta, di una generazione posteriore a Saffo, parla di lei con una profonda ammirazione.

Anche un poeta di oggi, il bravissimo Roberto Vecchioni, ha scritto parole e musica di una canzone che io trovo bellissima e che invito tutti ad ascoltare: “Il cielo capovolto” che ha, come sottotitolo, “L’ultimo canto di Saffo”, proprio come l’ode di Giacomo Leopardi.
Ah, dimenticavo, Vecchioni ha, con altri 3, una figlia Francesca, che ha dichiarato pubblicamente di essere lesbica.
Ecco il testo di questa poesia di un padre, moderno e sensibile, che ama e rispetta una figlia, diversa ma sua.

Che ne sarà di me e di te,
che ne sarà di noi?
L’orlo del tuo vestito,
un’unghia di un tuo dito,
l’ora che te ne vai…
che ne sarà domani, dopodomani
e poi per sempre?
Mi tremerà la mano
passandola sul seno,
cifra degli anni miei…
A chi darai la bocca, il fiato,
le piccole ferite,
gli occhi che fanno festa,
la musica che resta
e che non canterai?
E dove guarderò la notte,
seppellita nel mare?
Mi sentirò morire
dovendo immaginare
con chi sei…

Gli uomini son come il mare:
l’azzurro capovolto che riflette il cielo;
sognano di navigare,
ma non è vero.
Scrivimi da un altro amore,
e per le lacrime
che avrai negli occhi chiusi,
guardami: ti lascio un fiore
d’immaginari sorrisi.

Che ne sarà di me e di te,
che ne sarà di noi?
Vorrei essere l’ombra,
l’ombra che ti guarda
e si addormenta in te;
da piccola ho sognato un uomo
che mi portava via,
e in quest’isola stretta
lo sognai così in fretta
che era passato già!

Avrei voluto avere grandi mani,
mani da soldato:
stringerti forte
da sfiorare la morte
e poi tornare qui;
avrei voluto far l’amore
come farebbe un uomo,
ma con la tenerezza,
l’incerta timidezza
che abbiamo solo noi…

gli uomini, continua attesa,
e disperata rabbia
di copiare il cielo;
rompere qualunque cosa,
se non è loro!
Scrivimi da un altro amore:
le tue parole
sembreranno nella sera
come l’ultimo bacio
dalla tua bocca leggera.

Francesca Vecchioni racconta di come suo papà Roberto le abbia “estorto” il suo orientamento sessuale.
“Andavo già all’università, ma con lui e mamma non trovavo il coraggio” ha spiegato, ricordando l’insistenza dei genitori nel sapere di chi fosse innamorata.  “Lui chiedeva: Perché non vuoi dirmi chi è? Non sarà un drogato? Sarà mica in galera?”
“Gli dissi che era una donna e lui: Ma vaffa…. mi hai fatto spaventare! Non potevi dirlo subito?”

Numero1448.

Ayse Deniz Karacagil, giovane ragazza turca di etnia Curda, aveva 24 anni, quando morì in combattimento.
Nell’anno 2013, a 20 anni, prese parte alle proteste, spontanee ma reiterate, della gente comune di Istanbul contro la decisione di Erdogan di far radere al suolo un grande polmone verde della città, Gezi Park, per destinare l’area ad un nuovo centro commerciale. Venne arrestata, accusata di terrorismo, condannata chi dice a 98, chi dice a 103, facciamo una media di 100, ma non frustate, non giorni, non mesi, ma anni di carcere. Quando le truppe del Daesh, praticamente l’ISIS, invasero la Siria e un vasto territorio occupato anche dalle popolazioni Curde, le fu offerta la possibilità di commutare la pena, arruolandosi nell’esercito Curdo per difendere il proprio territorio. Scarcerata, si unì ai guerriglieri Curdi dell’YPG (Unità di Protezione Popolare) nella divisione femminile. Il giovane fumettista Romano Michele Rech, noto con lo pseudonimo di “Zerocalcare”, la conobbe sul fronte di guerra e ne descrisse la storia nel fumetto “Kobane calling”. La ragazza era conosciuta con il soprannome di “Cappuccio rosso”, perché aveva in testa sempre un copricapo di questo colore.

Roberto Vecchioni racconta in musica la tragica morte della ragazza, il 29 Maggio 2017, presso Raqqa. Le parole e la melodia, in una struggente commistione di pathos e di rabbia contro la guerra, sono un partecipe, emozionato ed emozionante omaggio al coraggio di una giovane ragazza, morta per un ideale, che non era solo la patria, ma anche il diritto delle donne all’affrancamento da una condizione disumana ed innaturale di sudditanza da principi religiosi, interpretati dagli uomini, e perpetrati surrettiziamente in secoli di oscurantismo.

Questo il testo della canzone:

C A P P U C C I O    R O S S O

Ti penso amore mio che sei lontano
ti penso con il mio fucile in mano,
tu forse crederai che io sia pazza
che queste non son cose da ragazza.

E invece viene un giorno nella vita
che scegli e se non scegli l’hai tradita
e non importa se si vive o muore
piangere gioia o ridere dolore.

Questa curva di sole nel tramonto di Raqqa
mi disegna nel cuore l’arco della tua bocca,
ho tagliato i capelli, ho sfidato la rabbia,
i miei giorni più belli sono lacrime e sabbia.

Noi siamo di una patria senza terra,
noi siamo Curdi naufraghi di guerra:
è l’alba e coi compagni sto partendo
e parto e coi compagni sto cantando.

Ho in me tutte le favole di un tempo,
attorno a un fuoco acceso e ora spento,
e seguo il filo di una ninna nanna,
chiedendomi se ho messo il colpo in canna

C’era un drago di fuoco che sbarrava la strada,
ma non teme nemico un eroe con la spada;
ma non ho mai capito come andava a finire
che succhiandomi il dito cominciavo a dormire.

È il 29 maggio e non ho sonno
e qui c’è proprio il drago di mio nonno.
Saprò questa volta come va a finire,
che non ho proprio tempo di dormire.

Qui sparano li sento e non li vedo
qui sparano e mi sa che mi hanno preso;
ma non temere amore non è niente,
mi brucia un po’ ma in fondo non si sente.

Metti il pane nel fuoco, versa il vino migliore,
che ritorno tra poco, è questione di ore;
spazza tutte le foglie, che l’autunno è passato,
quando l’odio si scioglie, che sia verde il mio prato.

Se qualcuno me lo trova addosso,
riporti a casa il mio cappuccio rosso

Numero1447 (prosegue col Numero1446).

Questo testo, leggermente modificato, si trova anche al Numero1444.

P R E A M B O L O

 

Era meglio se mi tappavo la bocca,

ma ho ceduto alla tentazione,

ho composto questa filastrocca

e ve la canto a guisa di canzone.

 

Si, ve la canto e anche ve la suono.

Se la chitarra piange e ho poca voce,

in anticipo, vi chiederò perdono.

Siate buoni, non mi mettete in croce.

 

La cantata ha soltanto due accordi:

il MI settima alternato con il LA.

“Il Plevan di Malborghet”,se lo ricordi,

allora sai più o meno come fa.

 

È un po’ monotono e ripetitivo,

non c’è intermezzo e poche variazioni

ma tant’è, amici, questo è il motivo,

talvolta sono queste le canzoni.

 

La melodia s’impara molto presto,

così, se qualcuno di voi vuole cantare

insieme a me, vi ho dato il testo,

sarò felice di farmi accompagnare.

 

Imbraccio la chitarra per Graziella

voi, pazientemente, state ad ascoltare.

Spero che la cantata mia sia bella,

schiarisco la voce e vado a incominciare.

Numero1446 (segue dal Numero1447).

 

LA  PENSIONE  DI  GRAZIELLA

 

Vi racconto una storiella,

una vera bagatella,

miei signori:

una semplice canzone

per narrar la conclusione

dei lavori.

 

Dei lavori di bidella

della nostra Graziella,

brava gente:

è arrivata alla pensione

e con gran soddisfazione,

finalmente.

 

E se nasce una stella,

di sicuro sarà quella

della mia amica;

della nuova condizione

si farà una ragione,

ma con fatica.

 

Ora, alla chetichella,

suonerà la campanella

per se stessa.

È finita la lezione,

così, la ricreazione

le sia concessa.

 

La lavagna lei cancella,

scrive FINE e suggella

la carriera,

che, con grande abnegazione,

ha portato a conclusione

e ne va fiera.

 

Quando apre la cartella,

ogni alunno, in comunella,

la applaude.

Le  maestre, in riunione,

votan la sua prestazione

“Magna cum laude”.

 

Le daranno la pagella,

certamente molto bella

di fine anno:

otterrà la promozione

ed avrà una votazione

che pochi hanno.

 

Tutti sanno che Graziella

non fa certo da modella

al “fancazzismo”;

di sicuro, è un’eccezione

per la grande propensione

al dinamismo.

 

Lei è stata sempre quella

che si spreme le cervella

per far le cose:

con la sua organizzazione,

le fa sempre e benone,

pur se noiose.

 

Per aver la tintarella

e per essere un po’ snella,

fa di tutto.

Ma, se ha qualche frustrazione,

cede alla tentazione,

proprio di brutto.

 

Con l’amica Gabriella

gioca a tennis e favella

per tutta l’ora.

Ma avrà la convinzione

d’imparare la lezione

giocando ancora.

 

E, se vuole una gonnella,

con la Bruna “damigella”

va alla caccia

degli sconti di stagione:

si farà una collezione

che le piaccia.

 

Il marito e mamma bella,

i suoi figli e la sorella

son felici.

Ed ha piena approvazione

e una grande acclamazione

dai suoi amici.

 

Vi annuncio la novella:

la pensione di Graziella

e siam contenti.

È finita la canzone,

a Graziella un gran bacione

e i complimenti!

 

 

 

Numero1445.

 

C O M M I A T O

 

Quello che segue, che adesso vi leggerò, l’ho letto, a conclusione della serata, ad un gruppo di amici, riunito per una cena seguita da una schitarrata e cantata senza pretese, in tono dimesso, solo per pochi intimi, riesumando le bellissime canzoni dei vecchi tempi.
In questo componimento la rima compare, ma a casaccio, senza uno schema fisso, perciò non lo definirei una poesia vera e propria, bensì una prosa poetica o una poesia prosaica. Come vi pare.
Quello che conta è che la recitazione sia fluida e scorrevole e, soprattutto, che il contenuto sia, all’ascolto, stimolante e condivisibile, intrigante e coinvolgente, pur se colorato dalla nostalgia.
Sembra che lo sia stato, in tale occasione, per chi lo ha ascoltato.
E che lo sia, tuttora e senza un tempo definito, a voi il giudizio e l’eventuale gradimento.

 

 

C O M M I A T O

 

Così, pian piano, è quasi finita

questa nostra simpatica serata

che, insieme, abbiamo passata

suonando e ascoltando canzoni:

la colonna sonora della vita,

le speranze, i sogni, le emozioni

di allora, dei nostri anni più belli:

le parole, i refrain, i ritornelli

han portato alla mente i ricordi

delle nostre lontane stagioni.

Una chitarra e quattro accordi

e la voce che vola su in alto

e il cuore che ha un soprassalto

per risentirci giovani e felici,

lontani da eccessi e bagordi,

ma soltanto da buoni amici.

Che bei tempi, lasciatemi dire,

quando tutto sembrava possibile

e il futuro appariva credibile

e potevi sognarlo davvero

e speravi, comunque, nel meglio

e il lavoro era proprio vero,

come l’amore quand’è sincero.

Siamo stati proprio fortunati.

Avevamo poco e ci sembrava tanto,

ci mancavano, forse, soltanto

le illusioni dei superpoteri,

le chimere dei mondi incantati,

e tutte quelle fantascemenze

da cui oggi siamo bersagliati,

che ottundono infantili coscienze.

Sì, pochi diritti e tanti doveri:

tale era la nostra condizione,

ma bastava una semplice canzone

ed ecco tutto diventava più bello:

non il bello di oggi, ma quello di ieri

il bello di classe, il bello elegante,

il buon gusto dei valori veri,

non la moda becera e ignorante

che, per rendere diverso tutto,

abdica al proprio equilibrio

e trasforma ogni cosa in brutto.

Non apparteniamo più e ormai

alle cose di questo tempo.

Non so voi, ma io sono stanco

di disapprovare e contestare

questo mondo che lascio dietro a me:

adesso, ragazzi miei , tocca a voi,

vivete pure come diavolo vi pare,

perché, tanto, le capirete poi

le cose che non dovreste fare.

Io tolgo il disturbo, scusate l’intrusione,

quando sarà ora, me ne voglio andare,

in punta di piedi, con educazione.

Ma se, qui, stasera siete stati bene

e vi è piaciuta la nostra compagnia

e se, fra poco, ve ne andrete via

portandovi dentro qualche cosa

che vi ha arricchiti e resi migliori,

ripetiamo ancora questi incontri,

rimettiamo insieme i nostri cuori

un po’ drogati dalla nostalgia

e ricordiamoci che la poesia

non è soltanto di chi la scrive,

ma anche di chi la sente sua,

di chi l’ascolta dentro e la vive,

come retaggio davvero universale,

nel proprio immaginario personale,

che diventa, per magia, collettivo,

per unirci in un grande abbraccio,

per snidare quel poco di eterno

che c’è dentro di noi ancora vivo

e che ci rende buoni, umani,

liberi e aperti alle cose belle

che abbiamo sempre in comune,

oltre le nostre caduche particelle.

Grazie a tutti per essere stati qui,

per aver partecipato e ascoltato,

per avere sentito e, magari, sognato.

Sempre più spesso, ma senza ipocrisia,

ci capita di pronunciare parole come:

“Ormai,…purtroppo,…che peccato!”

perché ci accorgiamo, con malinconia,

che tanto delle nostre vite è passato

e che il resto se ne sta volando via.

È stato bello, comunque, stare insieme,

perché abbiamo davvero qualcosa

che, ancora, ci accomuna tutti, così:

la musica, la poesia, i buoni sentimenti

che stasera ci hanno lasciati contenti

di aver vissuto, qui insieme, queste ore.

Grazie a tutti e … di tutto cuore.

 

Alberto Visintino      2018

 

 

 

 

Numero1444 (il seguito al Numero1443).

P R E A M B O L O

 

Era meglio se mi tappavo la bocca,

invece ho ceduto alla tentazione,

ho composto questa lunga filastrocca

e ve la canto a guisa di canzone.

 

Si, ve la canto e anche ve la suono.

Se la chitarra piange e ho poca voce,

in anticipo, vi chiederò perdono.

Siate buoni, non mi mettete in croce.

 

La cantata ha soltanto due accordi:

il MI settima alternato con il LA.

“Il Plevan di Malborghet”, te lo ricordi?

L’abbiam cantata un’estate fa.

 

È un po’ monotono e ripetitivo,

non c’è intermezzo e poche variazioni

ma tant’è, amici, questo è il motivo,

talvolta sono queste le canzoni.

 

La melodia s’impara molto presto,

così, se qualcuno di voi vuole cantare

insieme a me, vi ho dato il testo,

sarò felice di farmi accompagnare.

 

Imbraccio la chitarra e butto la stampella,

voi, pazientemente, state ad ascoltare.

Spero che la cantata mia sia bella,

schiarisco la voce e vado a incominciare.