Numero1713.

“CATINE”
Caterina Tomasulo – cabarista friulolucana ( lavora in un bar e proviene dalla Lucania).

Appena arrivata qua, uscita dalla stazione, sono entrata in un bar per bere un caffè. Mi hanno vista con la valigia e mi hanno detto : “SEI ASSUNTA!”
Come Assunta, non vi va bene Caterina? Io pensavo che fosse un nome. Per noi è solo un nome. Se tu chiedi, da noi, di essere ASSUNTA, “Assunta? E chi si’, la Madonna?” È il nome della Madonna, è una Festa religiosa, si festeggia il 15 di Agosto e basta. Il resto dell’anno, in nero.

Quando io sono arrivata qua, non capivo niente. A parte MANDI e O CUMBININ, io non capivo una madonna. È tutto un intercalare : BEN, MAH, CÈ, PO, BON.
Questo BON che voi mettete dappertutto nella frase, anche 20 volte, all’inizio della frase, alla fine, nel mezzo. Di solito BON comincia la frase e BON BON la finisce. Non si comincia col BON BON, di solito; e, in mezzo, tutti i BON di questo mondo. Perfino un teatro a Colugna, lo hanno chiamato BON : forse non sapevano come chiamarlo. Allora BON, BON BON.
E poi c’è il BEN : BEN, POBEN, POBEN BON; CÈ, PO, CEPO. Ma MONOMO, Ah, PONOPO, Ma SUPOSU, SUPO, DAI PO, SUPODAI PO, Ma VAMO, VAMO, VA SUL’OSTIE VA. Così lo “slang” si confonde. Poi ci sono le parole belle : NININ.
C’era NININ che mi piaceva tanto. CJALE CE NININ CA L’È, AL È TANT NININ, SATU. Allora NININ vuol dire “carino”. E poi sentivo : PASSIMI UN NININ DI PAN, VA UN NININ PUI IN LÀ. Allora NININ vuol dire anche “un poco”. Ma “un poco” non si dice anche UN TIC? Sì.
A volte si unisce UN TIC e UN NININ e viene fuori UN TINININ : “poco poco poco”, ‘N’ANTICCHIA, come dicono i Meridionali.
Il Friulano tende a unire le parole perché non ha tempo da perdere dietro alle parole, deve andare a lavorare. E anche il saluto è breve e conciso : breve la domanda e concisa la risposta, mica come i Meridionali che perdono un quarto d’ora.
Il Friulano dice : CE MUT? – ‘SOME.
Un’altra sfumatura di saluto : ALORE? – CÀ.
Un’altra : CE MUT SINO? – BEN.  Basta, non di più.
Se a uno vien voglia di parlare tanto, dice : VONDE BEN. Due parole, ma basta.
Se poi uno si azzarda a dire : TAN BEN CHE MAI, gli fanno l’antidoping subito. C’è qualcosa che non va. E se mai dice : MAI CUSÌ TAN BEN, lo ricoverano direttamente : è pericoloso, parla troppo.
Tranne un’eccezione, tranne sul SI e sul NO. Lì le cose cambiano. I Meridionali diventano improvvisamente sintetici : SI e NO sono troppo lunghi, fanno un cenno con la testa per dire SÌ, eTZ per dire NO. Questo è un suono sconosciuto in tutto il mondo!
Invece il Friulano diventa improvvisamente prolisso. Non dice solo SÌ e NO, ma dice SIVE, NOVE, oppure POSISÌ, PONONÒ, e se poi si cambia la posizione del PO diventa : POSÌPO e PONÒPO, che ribaltano di nuovo la situazione.
POSÌPO nega e PONÒPO conferma.
“O PAI SIMPRI IO DI BEVI” – “POSÌPO, IAR O AI PAIAT IO”
Oppure : “TU NO TU PAIS MAI DI BEVI” – “AH, PONÒPO! CUI AIAL PAIAT IAR?”
Quindi, il contrario, POSÌPO vuol dire NO, e PONÒPO vuol dire SÌ. Come al Referendum. E, infatti, in Friuli, al Referendum si vota POSÌPO e PONÒPO.
Ma questa è un’eccezione. In generale, il Friulano è breve  bisogna racchiudere in una parola piccola tutto un concetto.
Per esempio : una cosa fatta velocemente si dice TIC E TAC. Qualcosa, invece, fatto con difficoltà : CIF E CIAF. Per dire in qualche maniera, in qualche modo : O DI RIF O DI RAF, che molte volte va accoppiato col SI CUMBINE. E se c’è qualcosa bellissima : ALC E CÈ.
VIOT TU, IAR SERE, O SOI RIVADE CIF E CIAF A FA DI CENE, PERÒ O AI METUT SU DOI US IN FONGHET TIC E TAC; MI SON VEGNUS ALC E CÈ E, O DI RIF O DI RAF, SI CUMBINE.
La saggezza, la saggezza friulana.

Numero1712.

Negli ultimi 10 anni, girando per le scuole primarie Italiane, ho potuto constatare che, ormai, in ogni classe, sono presenti uno o più bambini “certificati”.
Certificati per cosa? Per una carenza di apprendimento.
Discalculia, dislessia, disortografia, disprassia, disgrafia.
(Aggiungo io : disastro! N.d.R.).
Oltre che sorprendermi, la cosa mi ha fatto riflettere. Possibile che ci sia un così alto numero di alunni disturbati? Ci sono bambini che, già all’asilo, arrivano con il loro bel certificato in mano; a volte, sono le stesse mamme a richiederlo, mi ha confessato un giorno una maestra, perché sanno che, in tal modo, il figlio avrà un percorso facilitato.
Così, uno scolaro, che ha difficoltà a scrivere a mano, magari perché ha premuto solo tasti, verrà esonerato , per sempre, dall’imparare a tracciare riccioli, occhielli e aste, senza che nessuno possa dirgli che le uniche vie per imparare passano per l’esercizio, la pazienza, la costanza.
Questo non si chiama educare, ma costringere alla povertà, mettere un inutile stigma sulle spalle di bambini che, nella maggior parte dei casi, non ne avrebbero alcun bisogno.
Però, così, alla fine dell’anno, i conti tornano. Tutti promossi! La scuola-azienda può  dormire sonni tranquilli, ha offerto, come sempre, il massimo dell’efficienza. Senza contare il fatto che questa supposta diversità si trasforma facilmente in una comoda pantofola.
Sono dislessico! Sono disprassico!
L’ha detto il dottore, non posso correre, camminare, mi accontento di ciabattare……

Susanna Tamaro     Alzare lo sguardo

Numero1711.

….le autorità superiori hanno detto: basta con queste maestre capaci di spiegare solo cose elementari – le somme delle ciliegie, le divisioni di una torta, i sette Re di Roma. Il fatto che gli Italiani abbiano lasciato l’analfabetismo alle spalle proprio grazie alle maestre forgiate da quella scuola, non ha sfiorato nessuna delle razionalissime menti sessantottarde. Così ora ci troviamo ad avere ragazzi che arrivano all’Università, per esempio, senza conoscere e saper usare le basi della propria madrelingua.
E questa non è l’eccezione, ma la regola.
Diventano medici, avvocati, archeologi, insegnanti senza essere in grado di scrivere in un Italiano corretto e facendo degli errori che, un tempo, chi avesse frequentato anche solo la quinta elementare non si sarebbe mai sognato di fare.
È colpa loro o colpa di chi, più in alto, ha stabilito i programmi e la didattica? Di chi li ha offerti come capi sacrificali sull’altare della Dea Ignoranza?
Per l’aritmetica e la matematica le cose non vanno meglio. Nei test di matematica delle classifiche Europee siamo agli ultimi posti. Come potrebbe essere diversamente, dato che si comincia a confondere le idee fin dall’inizio?
Nella scuola elementare si è, ormai, abbandonato l’insegnamento degli “elementi” e questo abbandono non è, certo, colpa degli insegnanti, che sono, per lo più, molto appassionati del loro lavoro, ma delle idee che stanno a monte. Idee che hanno tutte, alla base, il concetto di “destrutturazione del reale”.
La chiave di lettura che viene offerta è quella della “complessità”.
Non si fanno più pensierini, ma si studia l’analisi del testo letterario; niente affluenti del Po di destra e di sinistra, ma riflessioni approfondite sul cambiamento climatico; niente addizioni di ciliegie, spartizioni di torte, ma “entità equipotenti”.
In una simile visione, non è contemplata l’idea che esista una base comune a tutti i saperi, e che questa base sia necessaria per poter costruire poi qualcosa che duri nel tempo. Tutto è – e deve essere – fluttuante, tutto è – e deve essere – relativo, perché nessuno di noi può avere la certezza, né tanto meno l’arroganza, di credere che esista un’unica versione del reale.
Rendere perversamente e inutilmente complicato ciò che è semplice, è figlio di questa visione ideologica.
La nostra scuola, invece, crea una grande confusione di concetti che cerca poi di risolvere grazie all’abbondanza di crocette – o la va, o la spacca – e con la compilazione di fotocopie, i cui puntini sospesi indicano la direzione da intraprendere.
Usare la mano per tracciare una crocetta o completare i puntini delle parole mancanti è molto diverso che usarla per scrivere un pensiero uscito dalla propria testa. Così come non è la stessa cosa leggere un’ informazione sul tablet e sullo smartphone, oppure sottolinearla sul libro, magari scrivendoci qualche nota accanto.
Non è questione di rimpiangere il bel tempo andato, ma di conoscere i più avanzati studi neurologici. Il rapporto occhio – mano – cervello è  estremamente complesso. Semplificarlo – o, peggio ancora, annullarlo – vuol dire lasciare in sonno migliaia e migliaia di connessioni neuronali.
E dal sonno delle connessioni al sonno della ragione, il passo è piuttosto breve.
È questo il fine della scuola?

Susanna Tamaro        Alzare lo sguardo         (compendio N.d.R.)

Numero1710.

Educare.
È la stessa etimologia latina a suggerircelo: E-ducere, cioè portare fuori, condurre verso.
Basta un solo briciolo di buon senso per capire l’importanza di questo ferreo patto. Procedere, come si fa oggi, “l’un contro l’altro armati” non può che portare al suicidio della nostra civiltà.
Sì, la nostra società ricca, aperta e libera, come non mai nella storia umana, ha smesso di educare e non sembra essersi resa, davvero, conto delle conseguenze di questa deleteria scelta.
Un bambino non educato diventa un adulto non educato, ed è difficile immaginare come un adulto non educato possa rivelarsi un elemento attivo e propositivo della società.
Forse, la prima mietitura di questa semina è già da un po’ sotto i nostri occhi.
Il trionfo dell’ignoranza esibita come merito, l’esaltazione dei comportamenti incivili come ammirabili e coraggiosi, la prepotenza come istanza normale di un rapporto, che cosa sono, se non i frutti malati della non educazione?
Cosa ci dicono il dilagare delle droghe tra i ragazzi e, ormai, anche tra i bambini, la diffusione dell’alcolismo giovanile, la crescita esponenziale dei disturbi psichiatrici in età pediatrica?
Ci dicono che è in corso un gravissimo sbilanciamento antropologico e che questo squilibrio, anziché risolversi, con il tempo diventa sempre più grande, più inarrestabile, scende verso di noi – e verso il nostro futuro – come una valanga che travolge ogni cosa nella sua folle corsa.
Non è mia intenzione generalizzare, conosco, per fortuna, tanti ragazzi che non sono affatto così. Ragazzi meravigliosi, curiosi e liberi nella mente e nel cuore come mai la mia generazione, gravata dalle ideologie, ha potuto essere.
C’è una cosa, però, che li separa dai loro coetanei che fluttuano senza peso.
Ad un certo punto della loro crescita, qualcuno ha offerto loro la possibilità di radicarsi. Si torna, così, alle lezioni di scienze delle elementari. Prima di far spuntare le foglie, il fagiolo, avvolto nell’ovatta umida sul davanzale della finestra in classe, sviluppa una radice.
Oh, meraviglia! Per andare verso l’alto, bisogna prima scendere verso il basso.
Niente fondamenta, niente crescita.
Vale per gli uomini, vale per le case, vale per tutto ciò che deve ergersi in altezza e durare nel tempo.

Susanna Tamaro      Alzare lo sguardo.

Numero1709.

Faccio riferimento al Numero1637, che qui riporto:

Noi diventiamo saggi

non col ricordare

il nostro passato,

ma con la responsabilità

del nostro futuro.

G.B.Shaw.

per sviluppare meglio la mia adesione a questo concetto.

Ebbene, sono proprio coloro che non hanno la volontà, o non sono in grado, di prendersi la responsabilità del nostro futuro, che non fanno altro che resuscitare, continuamente e ossessivamente, suggestioni emotive di nefandezze disumane perpetrate nel passato.
A supporto delle proprie idiosincrasie politiche, a sinistra si riscoprono campi di sterminio e stragi di inermi popolazioni.
A destra, si rievocano le foibe e le eliminazioni sommarie di prigionieri ed avversari politici.
Tutto questo, in nome di un assioma,  che è anche uno spauracchio, ripetuto come un mantra: “Il popolo che non ricorda il suo passato, è destinato a ripeterlo.”
Ma, un concetto non ha fondamento e verifica nella realtà, solo perché è espresso suggestivamente, come uno slogan.
Le condizioni storiche e politiche e la maturità e la consapevolezza delle persone, per fortuna, cambiano e si ripropongono in altri e diversi termini.
Uno schieramento politico, di qualunque colore sia, non può accampare credibilità e autorevolezza, per realizzare programmi futuri, richiamando sempre alla memoria i torti subiti, in un lontano passato, dalla parte avversa.
Non ci azzecca una beata fava.
Se l’ideologia che supportava, fino a ieri, un partito politico è scaduta e non è più attuale, questo non può riqualificarsi, millantando un credito obsoleto e non più incassabile, in una moneta che non ha più corso per il futuro.
Perciò, basta! È ora di finirla!
Da ambedue gli schieramenti ideologici, diametralmente opposti, mi aspetto un “dècalage”, un passo indietro, per mettere una pietra sopra tutti gli episodi continuamente incriminati e ricordati.
Non più rievocazioni, commemorazioni!  Di qualunque provenienza e natura. Con buona pace di tutti i morti. Basta rimestare il coltello nella piaga, per tenerla sempre aperta e sanguinante: è diventata putrida e nauseabonda!
Stendiamo un velo pietoso sul passato e dedichiamoci, se ne siamo capaci, a costruire un buon futuro. Soprattutto per i nostri giovani.

Numero1708.

In una piccola isola dell’Indonesia, per incentivare le nascite, che erano scarse, l’amministrazione locale aveva deciso di emettere un francobollo con l’immagine della vagina. Ma, a ragion veduta, furono costretti a rinunciare.
Pensarono che ci sarebbe stato il rischio che i maschi avrebbero leccato il francobollo dal lato sbagliato.