Numero2220.

 

PECCATO  DI  GIOVENTU’

 

Anch’io sono stato giovane. e anch’io ho perso tempo dietro alle chimere. Ma non me ne pento. Mi rimane il bel ricordo di una esperienza che, come tutte le esperienze, lascia una traccia nella vita. Allora io non capivo niente di musica, non conoscevo una nota, avevo solo un “buon orecchio” e tanto entusiasmo. Erano i favolosi anni ’60. Molto più tardi, alla veneranda età di 73 anni, mi sono messo in testa di imparare a suonare la chitarra. Da paziente autodidatta, pian piano, nonostante le artrosi alle dita delle mani che hanno tutti i vecchi, senza l’aiuto di alcuno, se non coi primi rudimenti e consigli colti qua e là, ho cominciato a fare i primi accordi, poi la prima canzonetta semplice, e poi, via via, sono arrivato ad oggi, alla soglia degli ’80: mi diverto a suonare, con i soli accordi, e a cantare, che io chiamo canticchiare, molte canzoni con una voce che Nino Manfredi, su testo di Ettore Petrolini,  in “Tanto pe’ cantà”, definisce “poca, ma intonata”. In aggiunta mi accompagno anche, in certi brani, dove è possibile, con l’armonica a bocca, che io suonavo da bambino e che ho riesumato e migliorato, dopo più di 60 anni, suonandola, ovviamente, “ad orecchio”.
Intendiamoci bene: se io mi sento suonare e canticchiare, da una registrazione, mi faccio un po’ ridere perché il livello è veramente infimo, ma, insomma, …. chi si contenta, gode. Talvolta, mi sono esibito, in qualche dopocena, davanti a una ristretta cerchia di amici che hanno avuto la volontà e la pazienza di ascoltare i miei gorgheggi: bontà loro.

Il peccato di gioventù di cui parlo è stata la mia partecipazione, come comprimario, senza mai mettere piede sulla scena, al complesso THE SAVAGES (I Selvaggi), di cui qui pubblico le vicende, perché il mio amico Armando Morandini, allora capo del complesso, mi ha appena mandato la notizia, e il testo qui sotto edito, della pubblicazione della storia della formazione su ROCKENC, cioè l’enciclopedia del Rock. Siamo passati alla storia! Senza molta gloria.
Ma la gioventù è una sola.

 

 

ROCKENC

ENCICLOPEDIA DEL ROCK ANNI 1964 – 1970

 

DOMANDE GENERICHE PER LA SCHEDA

 

1 – In che città e in che anno nasce il gruppo?
La nascita del gruppo The Savages avviene a Tarcento (Udine) tra febbraio e marzo del 1964 e il debutto in pubblico il 1° maggio 1964 con un concerto nella piazza della frazione Molin Nuovo a Udine.
2 – Chi sono i Fondatori ed i componenti con il relativo ruolo nel gruppo e che strumenti suonavano ?
Bruno di Montegnacco, batteria e voce, Luigi Ortoleva, chitarra e voce, Gilberto Zuliani, chitarra basso, Armando Morandini, sax tenore, chitarra, leader del gruppo, voce solista, Manlio Bertacche tastiere, Alberto Visintino, Art Director, paroliere, si occupava della stesura dei testi in inglese, compositore di testi di varie canzoni inedite del gruppo.
3 – Eventuali esperienze precedenti in altri gruppi da parte dei componenti
Armando Morandini, in organico giovanissimo nella Banda Cittadina di Tricesimo ed in altre formazioni musicali.
4 – Il nome del gruppo e il motivo per cui è stato scelto.
THE SAVAGES (I Selvaggi), in contrapposizione al repertorio tradizionale che le orchestre da ballo suonavano, (mazurke, tanghi, valzer ecc. ecc.)
5 – Che tipo di divisa avevate?
Giacca di tipo inglese, calzoni attillati scuri, gilè a quadri scozzesi e varie camicie colorate.
6 – Dove e cosa suonavate ( nome dei locali e repertori ).
LOCALI: Cinema Tarcentino, Colle Verzan Tarcento, Sala Margherita Tarcento, Sala Concordia Artegna,
Night club Mocambo Udine, Piper Contarena Udine, La Cavalchina San Daniele, Sala Tabeacco Buia, Teatro Spilimbergo, Sala Gajo Spilimbergo, Sala Cento Colonne Feletto Umberto, Teatro Nabucco Tarvisio, Sala Teatro miniera Cave del Predil, Sala da ballo Ampezzo, Sala da ballo Albergo Ravascletto, e vari locali da ballo della Regione.

REPERTORIO (titoli di canzoni): Tequila, Subway, Too much tequila , Noi siamo i selvaggi: brano di presentazione del complesso, versione italiana di C’mon everybody (Eddie Cochran)), You really got me, All my loving, Kansas city, Till there was you, Michelle, Girl, Apache, All my sorrows, Uno dei mods, Satisfaction, Il ragazzo della via Gluck, Wooly Bully, Menphis Tennessee, Roll over Beethoven, She’s a woman, No reply, Ticket to ride, Marilisa (canzonetta francese con testo italiano, molto richiesta), Mister moonlight, For your love, Help, Yesterday, And I love her, A Hard day’s night, La casa del sole, Oh pretty woman (di Roy Orbison, forse il pezzo top del complesso), What I say, Don’t let me be misunderstood, Bring it on home to me e altri vari successi, covers di Elvis Presley, Roy Orbison, Chuk Berry, The Shadows , The Champs, The Beatles, The Kinks, The Animals, The Rolling Stones e altri artisti e complessi internazionali dell’epoca sentiti su Radio Luxemburg.
Armando Morandini e Alberto Visintino ascoltavano quotidianamente su questa emittente radiofonica la trasmissione HIT PARADE in lingua inglese dove venivano eseguite le prime 10 canzoni al top del mercato musicale Americano ed Europeo: Armando Morandini trascriveva gli accordi per chitarra, Alberto Visintino trascriveva il testo (quasi sempre Inglese).
7 – Partecipazione a manifestazioni , festival, concerti.
Partecipazione e vittoria al concorso per il miglior complesso della Regione al Parco delle Rose di Grado (Gorizia).Partecipazione e Primo Posto al ” Leggio d’oro” alla Mostra della Casa moderna a Udine. Partecipazione al Festival notturno sul Natisone di Cividale del Friuli. Partecipazione alla festa della Birra Moretti a San Giovanni al Natisone con le Tigri di Gorizia ed i Dogi di Trieste. Partecipazione alla Fiera di Casarsa della delizia con il vincitore del Festival di Sanremo Bobby Solo e i fratelli Ciacci.
8 – Che strumenti avevate ( le marche ) e come li avevate acquistati?
Organo FARFISA (strumenti musicali Vicario Udine) chitarra basso FENDER Jazz bass (Vicario Udine) chitarra elettrica FENDER Stratocaster (Vicario Udine) Sax tenore KING super 20 (strumenti Francescatto Udine) batteria LUDWIG (vicario Udine) Impianto voci MEAZZI amplificatori BINSON e FENDER. Fatta eccezione per la batteria e l’organo il resto degli strumenti furono pagati con diverse cambiali a rate mensili.
9 – Eventuali contatti con case discografiche e successivi dischi.
L’impresario Spartaco Vidoni venne contattato dalla casa discografica DURIUM: in seguito per questioni finanziarie non se ne fece nulla. (il Signor S. Vidoni è stato il procuratore del complesso The Savages).
10 – Presenze televisive o cinematografiche.
Concerto registrato da Telefriuli all’Arena di Lignano Sabbiadoro nel 1997.
11 – Con quali mezzi vi spostavate
Mezzi propri.
12 – Ci sono stati cambi di elementi, quali e in che anni?
No.
13 – Quando e perché nasce la storia del gruppo?
Nella primavera del 1964, dai festini studenteschi ai thè danzanti a suon di 45 giri, siamo passati agli strumenti ed alla musica dal vivo attratti dal genere nuovo. La passione ha coeso tutto il gruppo per quasi due anni.
14 – I singoli componenti cos ‘hanno fatto fino ad oggi?
Quasi tutti i componenti hanno continuato a suonare con altre formazioni.
15 – Ci sono state delle riunioni negli anni dopo lo scioglimento?
Tutta la formazione originale al completo si è riunita nel 1997 all’Arena di Lignano Sabbiadoro in una grande manifestazione presentando i propri successi degli anni ’60.
16 – Ricordi qualche aneddoto?
Siamo stati i primi a presentare in Italia i successi dei Beatles in particolare in lingua Inglese, alcuni brani anche con testo in Italiano. Nessuno lo aveva fatto prima. In una esibizione a Casarsa della Delizia, nel 1965, presentammo in anteprima assoluta in Italia, il brano dei Beatles, MICHELLE fra lo stupore di Bobby Solo e i complimenti di Enrico Ciacci (era il fratello di Little Tony).

 

GRUPPO THE SAVAGES____________ COMPILATORE_Armando Morandini_____________________________

 

N.d.R. : se volete leggere il testo delle canzonette che si suonavano e cantavano nei favolosi anni ’60, andate al Numero1027. e al Numero1028.. Sono un  risibile esempio della fantasia “creativa” dell’allora giovane conduttore di questo BLOG.

Numero2219.

 

UNA  LEZIONE  DI  VITA  DA  CONDIVIDERE

 

C’è un cammelliere che sta per morire. Decide di fare testamento. Ha tre figli e scrive nel testamento: al primo lascio 1/2 (un mezzo), al secondo lascio 1/4 (un quarto) e al terzo lascio 1/6 (un sesto) dei miei averi. Avrà avuto le sue ragioni per fare questo e muore.
I figli aprono il testamento, leggono la ripartizione voluta dal padre e constatano che l’asse ereditario consiste in 11 cammelli: tutto quello che il genitore è riuscito ad accumulare e conservare in vita. E iniziano a litigare, perché 11 non è divisibile per due, farebbe 5 e 1/2 e il primo figlio dice: allora datemene 6. E gli altri due figli dicono: come? Hai avuto la fortuna di averne più di noi, accontentati di 5. Niente da fare e, come succede nelle migliori famiglie, si passa dalle parole alle mani. Dalle mani si passa al pugnale e le cose sarebbero precipitate se, per puro caso, di là non fosse passato un altro cammelliere, che non conosceva la bella famiglia, e andava in un’altra direzione. Questi si fa raccontare l’accaduto e, ad un certo punto, dice di voler donare ai tre figli uno dei suoi cammelli. Allora l’asse ereditario diventa 11 + 1 = 12 cammelli. In questo modo:

12 : 2 = 6
12 : 4 = 3
12 : 6 = 2

Totale: 11.

A quel punto, il cammelliere si riprende il cammello prestato e prosegue per la sua strada.

La storiella ci lascia due messaggi. Il primo ci dice che chi pratica un dono non si impoverisce mai. Il cammelliere che aveva donato il proprio cammello, non c’ha perso, anzi, c’ha guadagnato, perché ha ottenuto la riconoscenza dei tre fratelli. Questi, ammettendo che con quel dono essi si erano risparmiati la vita, avranno  certamente gratificato il cammelliere.
Il secondo messaggio è ancora più interessante ed è questo: le regole della giustizia (cioè la ripartizione secondo la volontà del padre morto), da sole, non bastano a conservare la pace: i tre fratelli si sarebbero scannati.

Nel mondo, quante guerre si sono combattute nel nome della giustizia? Tantissime. Perciò, attenzione ad agire solo secondo giustizia!
Ci vuole ma non basta. Ma quando la giustizia si sposa con il dono, come nel caso della storiella, ecco allora che le cose vanno meglio e si risolvono: il risultato è ottenuto.
Le regole della giustizia, nel raccontino la volontà del padre, sono state rispettate, ma non si sarebbe evitato il conflitto cruento.
La giustizia deve essere benevolente. Non basta applicarne le norme così come sono, ma bisogna ottenere il bene: questo è il fine della giustizia. Se la giustizia non è finalizzata al bene, diventa “giustizialismo”. Questo vuol dire tagliare le teste, come dopo la Rivoluzione Francese, Ecco perché oggi, la vera sfida sul piano sociale, culturale, pedagogico ed anche politico è che non basta dire: giusto, giusto!
Infatti, voi potete avere una società giusta dove la gente si ammazza, oppure viene ammazzata. I casi della storia sono tantissimi.
Noi dobbiamo puntare ad una giustizia benevolente, che opera, cioè, di pari passo con il principio del bene.

N.d.R. : a proposito di riforma della giustizia e di referendum sulla giustizia.

Numero2217.

 

RICORDANDO  DANTE                              ULISSE

 

… né dolcezza di figlio, né la piéta            94

del vecchio padre, né ‘l debito amore

lo qual dovea Penelope far lieta,

 

vincer potero dentro a me l’ardore

ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto

e de li vizi umani e del valore.

 

 

Considerate la vostra semenza:              118

fatti non foste a viver come bruti,

ma per seguir virtute e canoscenza.

 

 

… infin che ‘l mar fu sopra noi richiuso.  142

 

 

DIVINA  COMMEDIA       Inferno       Canto XXVI   VIII Cerchio (Malebolge) dove sono puniti i consiglieri fraudolenti.

Numero2213.

 

C’è chi va a scuola.

C’è chi insegna a scuola.

C’è chi fa scuola.

C’è chi una scuola …. la fa.

 

 

Prima di scrivere una sola parola sul seguente argomento, mi sono premurato di chiedere il consenso del mio carissimo amico Efrem Cosmacini. È stato lui a rifilarmi una brochure di presentazione di quella che lui ha chiamato “la mia creatura”. E lo ha fatto con una luce negli occhi, non so se più di consapevolezza o più di orgoglio, come se si fosse trattato di un altro suo figlio. E come a un figlio, a questa sua “messa in opera e funzione” lui ha dato la sua vita, la sua passione e l’entusiasmo di chi sa che di cultura e per la cultura si vive.

I nostri comuni studi classici, siamo stati entrambi “Stellinari” ai bei tempi, ci hanno insegnato che il sapere e la curiosità per lo scibile e le scienze sono un retaggio, un investimento, una ragione di vita. Insieme con l’apertura mentale che non esclude né la mitezza e la tolleranza, né la determinazione e l’ambizione.
Ecco il concetto che mi è spontaneamente scaturito per definire il suo progetto: ambizioso.

Ambizioso nell’ideazione, nella realizzazione, nella conduzione per decenni. Un progetto concepito e portato avanti fra comprensibili difficoltà, ma con grande, riconosciuto, meritorio successo. Nella sua consueta pacatezza e misura, porgendomi l’opuscolo illustrativo, Efrem mi ha detto: “Guardalo con gli occhi di quarant’anni fa”. È proprio per questo che ne sono rimasto coinvolto e stupito.
Io non conoscevo l’ “Istituto Kennedy” di Udine. Ne avevo solo sentito parlare, ma non c’ ero mai neanche passato davanti. Ora che ho potuto rendermi conto, dall’osservazione delle immagini e dei testi del fascicolo, di cosa sia stato e di cos’è tuttora, beh posso dire: “Bravo, Efrem!”. Altro che quarant’anni fa! Sembra che questa Scuola Privata Parificata, abbia avuto il suo esordio quattro anni fa.
La struttura dell’edificio, gli allestimenti, gli arredi di tutti gli ambienti sono attualissimi e contemporanei adesso, le attrezzature e i laboratori appaiono all’avanguardia delle correnti tecnologie. A quel tempo dovevano costituire qualcosa di veramente avveniristico. Il personale didattico e amministrativo, mi racconta Efrem, era di assoluto prim’ordine: 110 persone. E lui era il Direttore della Società e del Consiglio di Amministrazione.

Sapete, non sono molti coloro che sognano e progettano di fondare una scuola, pur che si possa sempre considerare un “business”.
Credo che molti potrebbero progettare piuttosto di aprire una discoteca o un ambiente da “movida”, perché di questo c’è richiesta sul mercato.
Gli imprenditori del “nulla” hanno spesso riempito i vuoti della società relazionale. Chi, quarant’anni fa, si è intestardito a creare dal nulla, sì, imprenditore dal nulla, perché così è stato, una scuola non statale, oggi sarebbe considerato un “fuori di testa”, un costruttore di cattedrali nel deserto.

Eppure, lo dico alle generazioni presenti e future, la cultura e il sapere hanno sempre “fatto la differenza”.
Promuovete l’istruzione, la didattica, l’educazione all’apprendimento e al senso civico, come ha fatto, da pioniere, Il mio inestimabile e, spero, inossidabile amico Efrem . Solo così il mondo diventerà migliore.

Numero2212.

 

S À P E R E   À U D E !

 

ABBI IL CORAGGIO DI SAPERE !

 

Immanuel Kant  (1724 – 1804)

 

I L L U M I N I S M O

 

L’illuminismo fu un movimento politico, sociale, culturale e filosofico che si sviluppò nel XVIII secolo in Europa. Nacque in Inghilterra, ma ebbe il suo massimo sviluppo in Francia, poi in tutta Europa e raggiunse anche l’America. Il termine “illuminismo” è passato a significare genericamente qualunque forma di pensiero che voglia “illuminare” la mente degli uomini, ottenebrata dall’ignoranza e dalla superstizione, servendosi della critica, della ragione e dell’apporto della scienza.

 

«L’illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a sé stesso è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.»

Numero2211.

 

T E S T A M E N T O   S P I R I T U A L E

 

Come seguito del Numero2202., che invito a leggere come premessa necessaria, qui tento di approfondire le mie idee sulla MORTE E L’ALDILÀ. Anche stavolta, come ho fatto al Numero citato, sono ricorso alla formula della rima e della metrica: ho cambiato, però, la disposizione dei quattro versi della strofa . I primi due versi sono liberi, i secondi due sono rimati con finale fisso ( desinenza in ale) per 36 strofe, come nel Numero2202.. Tutti i versi sono, questa volta, non senari ma settenari, cioè composti di 7 sillabe, rispettando le elisioni vocaliche di fine e inizio delle parole. Il contenuto dell’argomento è un riassunto per sommi capi, senza pretese, senza uno schema, magari saltando di palo in frasca, delle mie personalissime convinzioni in merito a temi così importanti e dibattuti.

Non stupitevi se non condivido le affermazioni, oggetto di fede cattolica, su Inferno, Paradiso e sul collocamento delle anime eternamente destinate ad espiare peccati o a godere di celestiali armonie. Tutto quanto mi è stato insegnato fin da piccolo, e anche trattato con maestria da Padre Dante, l’ho sottoposto, dentro di me, a revisioni e recensioni critiche nell’arco di decenni, arrivando, per gradi, ad un mio personale panorama, misto di intuizione e di razionalità, di aspettativa e di speranza, che mi ha portato ad adagiarmi su una specie di autoconvincimento, che qui espongo, su questo argomento sconosciuto perché inconoscibile.

Confesso, con assoluta trasparenza, che quello che penso e dico non è assolutamente provato: non è possibile provarlo compiutamente, a ragion veduta.
Ci sono molti indizi. Ad esempio il ritorno dello spirito, trapassato nell’aldilà, in altro corpo è oggetto di indagine di molte correnti di pensiero e dottrina di fede di diverse religioni sulla terra, ma non è mai stato suffragato da prove inconfutabili. Mi interessa poco. Così come non m’interessano argomenti come il libero arbitrio, la possibilità di scelta o la capacità di decisione che è fatta di volontà e di libertà. Mi interessa la morte come passaggio ad una dimensione che sarà nota solo dopo averla raggiunta e che, come leggerete, io stesso sono curioso di raggiungere.

Chi ha detto che solo questa vita corporea è l’unica situazione di essere e benessere dell’anima? Restare avvinghiati ostinatamente ad un corpo consunto può darsi che non sia la soluzione migliore ad un certo momento dell’esistenza fisica. Può darsi che sia l’anima stessa che si vuole liberare del suo involucro deteriorato e aspiri ad un “grado di libertà” più alto e più appagante. Per me, guardare tutto nell’ottica della fede inculcata, ma mai provata, mi sta stretto. Vorrei saperne di più. Ma l’unico modo per farlo è….morire.

 

 

 

 

Q U A N D O   V I E N E   L A    M O R T E

 

 

Quando viene la morte,

che n’è dello spirito?

La sua forza vitale,

che è esistenziale,

 

emigra in altro sito,

liberata dal corpo,

che l’ha resa reale

e diventa immortale.

 

È altra dimensione

dove ogni suo valore

non resta più uguale,

dove il bene ed il male

 

non saranno gli stessi

che valevano prima:

il criterio morale

diventerà banale

 

perché là l’energia

non ha più fisicità

e quello che qui vale,

nel nostro tribunale,

 

di là non conta niente,

non è come si crede:

tutto sarà veniale

il bene come il male.

 

È un’ipotesi mia,

non lo so, ma ci credo:

è una fede mentale,

un parto intellettuale.

 

Pur se piange qualcuno

che non puoi consolare,

lì, al tuo capezzale,

quando tu starai male,

 

che ti frega del mondo

che stai per lasciare

se sei in ospedale

o al tuo funerale?

 

Pensa all’anima tua

che rinasce più pura,

che s’eleva e che sale

nell’eterea spirale.

 

E, se sei stato buono,

tu sarai più leggero,

a percorrere il viale

del tramonto finale.

 

Però non ti crucciare,

se male avrai vissuto.

Peccato originale

o  pena capitale,

 

tutto è cancellato

da un salvifico reset:

la fedina penale

ritornerà normale.

 

Io non temo la morte,

anzi, sono curioso:

è uno slancio sensuale

a una vita virtuale.

 

La vita che hai fatto

ti condanna o ti premia:

rivivrai tale e quale

il bilancio morale.

 

Un handicap ti spetta:

tu riparti più indietro,

se hai fatto del male;

se no, rimani tale.

 

La coscienza ti aiuta

per trovare la pace

nel momento fatale

di morte naturale.

 

Questo è ciò che ho capito

vivendo la mia vita:

non è un carnevale

o una lotta bestiale.

 

È un percorso creativo

e di rinnovamento:

riscatto spirituale

dallo stato animale.

 

Quando tu rinascerai

alla nuova esistenza,

la dote cerebrale

sarà “condizionale”

 

per riorganizzare

il piano della vita,

per questo sei speciale,

nessuno ti è uguale.

 

L’anima non muore mai,

neanche dopo la morte:

è forza celestiale,

entità universale.

 

Per veder se sei morto

e lasci questo mondo,

se un dubbio ti assale,

non leggere il giornale.

 

Così, viva la vita,

a causa della morte.

Vi sembrerà banale,

ma questo è radicale.

 

Che ci sia altra vita

dopo quella vissuta

non mi pare anormale,

niente d’ eccezionale.

 

Credo che lo spirito

sia eternamente vivo,

trionfo immateriale

sulla scorza animale.

 

La morte è un parcheggio

dove si paga un ticket,

è la tassa tombale

per un’anima astrale.

 

Per ognuno è diversa,

non è noto l’importo,

né l’esborso venale

esiguo o colossale.

 

Chi ci sia alla cassa

non è dato sapere:

la sentenza arbitrale

è comunque imparziale.

 

Questo mio pensiero

non vuole fare scuola,

niente di dottrinale

né d’anticlericale,

 

sono elucubrazioni

senza secondi fini,

esercizio verbale

di taglio razionale.

 

È solo una speranza,

forse una fantasia,

un trucco concettuale,

retaggio ancestrale

 

di ore che ho passato

sui miei sudati libri:

l’ignoranza abissale

è stata il mio messale.

 

Chissà, forse ho pensato

molto più che vissuto,

essere un asociale

mi è parso abituale,

 

ma ho trovato conforto,

coi miei limiti umani,

nel mondo culturale,

nella sfera ideale.

 

Per la tua riflessione,

dedico questi versi,

lascito spirituale,

a te, figlio mio, Ale.

 

 

 

N.d.R. : Se siete arrivati fino in fondo e non vi siete annoiati, vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione che mi regalate leggendo le mie “panzane”. Questo, che avete appena letto, con le sue rime sempliciotte e uno stile fra il serioso e il faceto, si potrebbe definire un piccolo trattato di filosofia teoretica spicciola ad uso personale che, con la pubblicazione, si rimette al giudizio critico dei pochi lettori che hanno la bontà di seguirmi. Se, anche stavolta, riuscirò a suscitare qualche reazione, di qualsivoglia natura, in merito alle mie “elucubrazioni”, ne sarò onorato e  sarò oltremodo felice di pubblicare i commenti al riguardo. Se non ve la sentite di intraprendere un’impresa così impegnativa, grazie anche solo per avermi letto. Almeno, mi sarò fatto conoscere meglio da chi poco mi ha frequentato e superficialmente con me ha condiviso tempo e idee.

Forse coglierete in questa mia insistenza  ad affrontare temi così spinosi e complessi, un “cupio dissolvi”, che in latino significa “desiderio di scomparire”: non è così. E, magari, una certa volontà di strafare, esagerare, una sottolineatura fuori luogo e non necessaria. Accetto l’osservazione, ma vado oltre. Anche stavolta, più che mai, ribadisco il concetto informatore di questo BLOG: qui, io penso quello che dico e dico quello che penso. Altrimenti non mi sarei cimentato in quest’impresa. Questo è uno spazio di libertà, mio e di tutti, e nei riguardi di qualunque argomento.

Come trovate al Numero2209, recentemente pubblicato, Voltaire dice: “Giudica un uomo dalle sue domande, piuttosto che dalle sue risposte”. Qui, io mi sono interrogato ed ho risposto a modo mio. Non intendo insegnare niente a nessuno, perché sarebbe follia pretendere di insegnare ciò che non si sa. Non ho mai trovato l’argomento “morte” fra le materie della didattica umana. Ma, vivaddio, parlarne si può a livello di scambio d’idee e qui vi ho esposto le mie.
Buona vita a tutti.

 

N.d.R. : Ricordo e ripeto, perché mi sembra molto attinente al contesto, il seguente (che poi è precedente)

Numero2113.

 

Come si fa a vivere

in compagnia di un’assenza?

Dopo aver imparato a vivere,

imparerò a morire.