Numero2645.

 

da  QUORA

 

 

Principalmente le persone “normali” hanno due strutture di pensiero, il “passo dopo passo” e il pensiero integrato in cui si includono diversi passi in uno solo.

Le persone “con un QI altissimo” hanno la capacità di creare inconsciamente connessioni utilizzando una rete di informazioni interconnesse, immagazzinate in diversi strati di profondità il che dà loro l’enorme vantaggio di vedere le cose da prospettive ancora più ampie e di fare più associazioni in un lasso di tempo più breve.

Numero2618.

 

DA QUORA

 

L A   S I N D R O M E   D I   G E R U S A L E M M E

 

La “sindrome di Gerusalemme” è un complesso di manifestazioni disfunzionali psichiche che colpiscono alcune persone che visitano la Città Sacra.

 

Le persone che sono colpite da questa sindrome manifestano un improvviso delirio di natura religiosa; si credono personaggi biblici o la loro reincarnazione, profetizzano, oppure raccontano di essere stati scelti dalla divinità per avere un ruolo straordinario nella storia.

Ad esempio:

– una donna si presentò in pronto soccorso dicendo di stare per partorire Gesù, in realtà non era nemmeno incinta;
– un tale pensò di essere Sansone, secondo la Bibbia l’uomo più forte mai vissuto, e cercò di demolire un muro a mani nude per dimostrarlo;
– un austriaco chiese al proprietario dell’hotel ove soggiornava di imbandire la tavola per celebrare l’ultima cena con i suoi discepoli;
– due uomini, entrambi convinti di essere Gesù, si accusarono a vicenda di essere solo dei millantatori;
– un uomo convinto di essere Giovanni Battista, vestito di pelle di capra, vagò per giorni in cerca del fiume Giordano e di locuste e miele da mangiare.

Si tratta di una sindrome che – nella città di Gerusalemme – colpisce in media un centinaio di persone all’anno, e di questi il 40% circa necessita ricovero psichiatrico, che talvolta comporta la somministrazione di farmaci antipsicotici. Le guide turistiche, data l’incidenza, sono addirittura addestrate a cogliere i primi sintomi.

 

 

Numero2572.

 

L A   P A U R A   È   U N   H A N D I C A P     (sullo stesso argomento il Numero2560.)

 

La paura è la più importante e potente emozione che abbiamo: ci permette di fronteggiare al meglio le situazioni di pericolo, di reagire rapidamente, di adattarci alla realtà esterna e interna.

Eppure, se non si è in grado di gestirla e va oltre una certa soglia, diventa il meccanismo più disadattivo che si possa immaginare: basti pensare che il 50% dei disturbi della psicopatologia sono basati sulla paura.

Al primo posto nella classifica delle paure più importanti e più frequenti c’è la paura di perdere il controllo. Di sé stessi, della propria mente, del proprio corpo. La paura di perdere il controllo delle proprie sensazioni e andare in panico, la paura di arrossire e fare una figuraccia, la paura di farsela addosso in pubblico, la paura di impazzire, la paura di compiere involontariamente atti inaccettabili, la paura di pensare a pensieri osceni o immorali… sono solo alcune tra le più frequenti manifestazioni della paura di perdere il controllo.

Fino a quando siamo noi ad instaurare e dare vita alla paura, dopo un attento esame di coscienza, proviamo a rimuoverne le cause usando l’arma più formidabile di cui ci ha dotato la natura: la nostra ragione.
Ma se veniamo investiti, nostro malgrado, da una qualsivoglia aggressione esterna, raccogliamo le forze per reagire, contrastare, resistere. Altrimenti la nostra stessa paura ci bloccherà e le nostre difese saranno flebili ed inutili: inevitabilmente saremo travolti.

 

N.d.R.: Desidero segnalare due Numeri di questo BLOG che riguardano il presente argomento:

 

Numero2032. :

 

La paura non impedisce la morte,

impedisce la vita.

 

Numero2014. :

 

La prima qualità di un onest’uomo

è il disprezzo della religione,

che ci vuole timorosi della cosa

più naturale del mondo, che è la morte,

odiatori dell’unica cosa bella

che il destino ci ha dato, che è la vita,

e aspiranti ad un cielo dove

di eterna beatitudine vivono solo i pianeti,

che non godono né di premi,

né di condanne, ma del loro moto.

 

Umberto Eco.

Numero2548.

 

Video meliora proboque,

sed deteriora sequor.

 

Ovidio   Le Metamorfosi

 

Vedo le cose migliori

e le approvo,

ma seguo quelle peggiori.

 

Sono parole di Medea che,

per amore di Giasone,

viene meno ai propri doveri

verso il padre e la patria.

 

Si ripetono, talvolta, per denunciare

il profondo dissidio tra i consigli

della ragione e il concreto agire.

Numero2465.

 

Ricevo da Giuliana e…. diffondo.

 

A  PROPOSITO DI …. CERVELLO.

 

Questa è per noi !!!!

Il direttore della George Washington University School of Medicine sostiene che il cervello di una persona anziana è molto più pratico di quanto si creda comunemente.
A questa età, l’interazione degli emisferi destro e sinistro del cervello diventa armoniosa, il che espande le nostre possibilità creative. Ecco perché tra le persone con più di 60 anni puoi trovare molte personalità che hanno appena iniziato le loro attività creative.

Naturalmente, il cervello non è più veloce come in gioventù. Tuttavia, guadagna in flessibilità. Pertanto, con l’età, è più probabile che prendiamo le decisioni giuste e siamo meno esposti alle emozioni negative. Il picco dell’attività intellettuale umana si verifica intorno ai 70 anni, quando il cervello inizia a funzionare a pieno regime.

Nel tempo aumenta la quantità di mielina nel cervello, una sostanza che facilita il rapido passaggio dei segnali tra i neuroni.
Per questo motivo, le capacità intellettuali aumentano del 300% rispetto alla media.

Interessante anche il fatto che dopo 60 anni una persona può utilizzare 2 emisferi contemporaneamente. Ciò consente di risolvere problemi molto più complessi.

Il professor Monchi Uri, dell’Università di Montreal, ritiene che il cervello del vecchio scelga la strada che consuma meno energia, elimina il superfluo e lascia solo le giuste opzioni per risolvere il problema. È stato condotto uno studio che ha coinvolto diverse fasce di età. I giovani erano molto confusi quando affrontavano i test, mentre quelli con più di 60 anni prendevano le decisioni giuste.

Ora, diamo un’occhiata alle caratteristiche del cervello tra i 60 e gli 80 anni. Sono davvero rosa.

 

CARATTERISTICHE DEL CERVELLO DI UNA PERSONA ANZIANA.

 

1. I neuroni nel cervello non muoiono, come dicono tutti intorno a te. Le connessioni tra di loro semplicemente scompaiono se non ci si impegna nel lavoro mentale.

2. La distrazione e l’oblio sorgono a causa di una sovrabbondanza di informazioni. Pertanto, non è necessario che tu concentri tutta la tua vita su sciocchezze inutili.

3. A partire dai 60 anni, una persona, quando prende decisioni, non usa un singolo emisfero, come i giovani, ma entrambi.

4. Conclusione: se una persona conduce uno stile di vita sano, si muove, svolge un’attività fisica praticabile ed è pienamente attiva mentalmente, le capacità intellettive NON diminuiscono con l’età, semplicemente CRESCONO, raggiungendo un picco all’età di 80-90 anni.

 

Quindi non aver paura della vecchiaia. Sforzati di svilupparti intellettualmente. Impara nuovi mestieri, fai musica, impara a suonare strumenti musicali, dipingi quadri! Danza! Interessati alla vita, incontra e comunica con gli amici, pianifica il futuro, viaggia come meglio puoi. Non dimenticare di andare in negozi, caffè, spettacoli. Non stare zitto da solo: è distruttivo per chiunque. Vivi con il pensiero: tutte le cose belle sono ancora davanti a te!

 

FONTE: New England Journal of Medicine.

 

Trasmetti queste informazioni alla tua famiglia e ai tuoi amici tra i 60, i 70 e gli 80 anni in modo che possano essere orgogliosi della loro età 😉

 

 

N.d.R. : Obiettivamente, non posso che confermare queste teorie recenti ed un po’ controcorrente. A partire dall’età della pensione, ho registrato in me un rigurgito di attività cerebrali, specialmente di tipo creativo. Ho imparato da solo a suonare la chitarra, ho cominciato a scrivere di tutto e di più su questo BLOG, cose che mai mi sarei sognato di fare in precedenza. E, soprattutto, mi è aumentata la brama di conoscere ed assaporare novità e stimoli di ogni tipo e natura, con una curiosità proporzionale alla quantità di tempo che ho a disposizione: tanta.
Quando sei giovane, sembra che la vita ti sfugga dalle mani, come sabbia dalle tue dita: non ti resta un gran che. Sembra che sia la vita che ti divora il tempo, in pensieri, emozioni ed attività che è lei stessa a gestire e dispensare. Quando, come ora per me, il tempo lo gestisci tu, ti accorgi che la classifica delle priorità e delle importanze è tutta cambiata: i valori, i ritmi, le scadenze, gli approcci e le conseguenze sono molto più intrinsecamente vicini alle loro reali carature, non alterati da una compressione artificiale, indotta e, a volte, truffaldina, che la scarsità del tempo instaura inevitabilmente.

 

 

 

 

Numero2367.

 

Per cattive compagnie non mi riferisco

solo a gente cattiva. Di questa si dovrebbe

evitare la compagnia, perché

la loro influenza è velenosa.

Mi riferisco, soprattutto, alla compagnia

di persone amorfe, la cui anima è morta,

i cui pensieri sono banali, che esprime

opinioni e cliché, invece di pensare.

 

Sigmund  Freud.

Numero2211.

 

T E S T A M E N T O   S P I R I T U A L E

 

Come seguito del Numero2202., che invito a leggere come premessa necessaria, qui tento di approfondire le mie idee sulla MORTE E L’ALDILÀ. Anche stavolta, come ho fatto al Numero citato, sono ricorso alla formula della rima e della metrica: ho cambiato, però, la disposizione dei quattro versi della strofa . I primi due versi sono liberi, i secondi due sono rimati con finale fisso ( desinenza in ale) per 36 strofe, come nel Numero2202.. Tutti i versi sono, questa volta, non senari ma settenari, cioè composti di 7 sillabe, rispettando le elisioni vocaliche di fine e inizio delle parole. Il contenuto dell’argomento è un riassunto per sommi capi, senza pretese, senza uno schema, magari saltando di palo in frasca, delle mie personalissime convinzioni in merito a temi così importanti e dibattuti.

Non stupitevi se non condivido le affermazioni, oggetto di fede cattolica, su Inferno, Paradiso e sul collocamento delle anime eternamente destinate ad espiare peccati o a godere di celestiali armonie. Tutto quanto mi è stato insegnato fin da piccolo, e anche trattato con maestria da Padre Dante, l’ho sottoposto, dentro di me, a revisioni e recensioni critiche nell’arco di decenni, arrivando, per gradi, ad un mio personale panorama, misto di intuizione e di razionalità, di aspettativa e di speranza, che mi ha portato ad adagiarmi su una specie di autoconvincimento, che qui espongo, su questo argomento sconosciuto perché inconoscibile.

Confesso, con assoluta trasparenza, che quello che penso e dico non è assolutamente provato: non è possibile provarlo compiutamente, a ragion veduta.
Ci sono molti indizi. Ad esempio il ritorno dello spirito, trapassato nell’aldilà, in altro corpo è oggetto di indagine di molte correnti di pensiero e dottrina di fede di diverse religioni sulla terra, ma non è mai stato suffragato da prove inconfutabili. Mi interessa poco. Così come non m’interessano argomenti come il libero arbitrio, la possibilità di scelta o la capacità di decisione che è fatta di volontà e di libertà. Mi interessa la morte come passaggio ad una dimensione che sarà nota solo dopo averla raggiunta e che, come leggerete, io stesso sono curioso di raggiungere.

Chi ha detto che solo questa vita corporea è l’unica situazione di essere e benessere dell’anima? Restare avvinghiati ostinatamente ad un corpo consunto può darsi che non sia la soluzione migliore ad un certo momento dell’esistenza fisica. Può darsi che sia l’anima stessa che si vuole liberare del suo involucro deteriorato e aspiri ad un “grado di libertà” più alto e più appagante. Per me, guardare tutto nell’ottica della fede inculcata, ma mai provata, mi sta stretto. Vorrei saperne di più. Ma l’unico modo per farlo è….morire.

 

 

 

 

Q U A N D O   V I E N E   L A    M O R T E

 

 

Quando viene la morte,

che n’è dello spirito?

La sua forza vitale,

che è esistenziale,

 

emigra in altro sito,

liberata dal corpo,

che l’ha resa reale

e diventa immortale.

 

È altra dimensione

dove ogni suo valore

non resta più uguale,

dove il bene ed il male

 

non saranno gli stessi

che valevano prima:

il criterio morale

diventerà banale

 

perché là l’energia

non ha più fisicità

e quello che qui vale,

nel nostro tribunale,

 

di là non conta niente,

non è come si crede:

tutto sarà veniale

il bene come il male.

 

È un’ipotesi mia,

non lo so, ma ci credo:

è una fede mentale,

un parto intellettuale.

 

Pur se piange qualcuno

che non puoi consolare,

lì, al tuo capezzale,

quando tu starai male,

 

che ti frega del mondo

che stai per lasciare

se sei in ospedale

o al tuo funerale?

 

Pensa all’anima tua

che rinasce più pura,

che s’eleva e che sale

nell’eterea spirale.

 

E, se sei stato buono,

tu sarai più leggero,

a percorrere il viale

del tramonto finale.

 

Però non ti crucciare,

se male avrai vissuto.

Peccato originale

o  pena capitale,

 

tutto è cancellato

da un salvifico reset:

la fedina penale

ritornerà normale.

 

Io non temo la morte,

anzi, sono curioso:

è uno slancio sensuale

a una vita virtuale.

 

La vita che hai fatto

ti condanna o ti premia:

rivivrai tale e quale

il bilancio morale.

 

Un handicap ti spetta:

tu riparti più indietro,

se hai fatto del male;

se no, rimani tale.

 

La coscienza ti aiuta

per trovare la pace

nel momento fatale

di morte naturale.

 

Questo è ciò che ho capito

vivendo la mia vita:

non è un carnevale

o una lotta bestiale.

 

È un percorso creativo

e di rinnovamento:

riscatto spirituale

dallo stato animale.

 

Quando tu rinascerai

alla nuova esistenza,

la dote cerebrale

sarà “condizionale”

 

per riorganizzare

il piano della vita,

per questo sei speciale,

nessuno ti è uguale.

 

L’anima non muore mai,

neanche dopo la morte:

è forza celestiale,

entità universale.

 

Per veder se sei morto

e lasci questo mondo,

se un dubbio ti assale,

non leggere il giornale.

 

Così, viva la vita,

a causa della morte.

Vi sembrerà banale,

ma questo è radicale.

 

Che ci sia altra vita

dopo quella vissuta

non mi pare anormale,

niente d’ eccezionale.

 

Credo che lo spirito

sia eternamente vivo,

trionfo immateriale

sulla scorza animale.

 

La morte è un parcheggio

dove si paga un ticket,

è la tassa tombale

per un’anima astrale.

 

Per ognuno è diversa,

non è noto l’importo,

né l’esborso venale

esiguo o colossale.

 

Chi ci sia alla cassa

non è dato sapere:

la sentenza arbitrale

è comunque imparziale.

 

Questo mio pensiero

non vuole fare scuola,

niente di dottrinale

né d’anticlericale,

 

sono elucubrazioni

senza secondi fini,

esercizio verbale

di taglio razionale.

 

È solo una speranza,

forse una fantasia,

un trucco concettuale,

retaggio ancestrale

 

di ore che ho passato

sui miei sudati libri:

l’ignoranza abissale

è stata il mio messale.

 

Chissà, forse ho pensato

molto più che vissuto,

essere un asociale

mi è parso abituale,

 

ma ho trovato conforto,

coi miei limiti umani,

nel mondo culturale,

nella sfera ideale.

 

Per la tua riflessione,

dedico questi versi,

lascito spirituale,

a te, figlio mio, Ale.

 

 

 

N.d.R. : Se siete arrivati fino in fondo e non vi siete annoiati, vi ringrazio per la pazienza e l’attenzione che mi regalate leggendo le mie “panzane”. Questo, che avete appena letto, con le sue rime sempliciotte e uno stile fra il serioso e il faceto, si potrebbe definire un piccolo trattato di filosofia teoretica spicciola ad uso personale che, con la pubblicazione, si rimette al giudizio critico dei pochi lettori che hanno la bontà di seguirmi. Se, anche stavolta, riuscirò a suscitare qualche reazione, di qualsivoglia natura, in merito alle mie “elucubrazioni”, ne sarò onorato e  sarò oltremodo felice di pubblicare i commenti al riguardo. Se non ve la sentite di intraprendere un’impresa così impegnativa, grazie anche solo per avermi letto. Almeno, mi sarò fatto conoscere meglio da chi poco mi ha frequentato e superficialmente con me ha condiviso tempo e idee.

Forse coglierete in questa mia insistenza  ad affrontare temi così spinosi e complessi, un “cupio dissolvi”, che in latino significa “desiderio di scomparire”: non è così. E, magari, una certa volontà di strafare, esagerare, una sottolineatura fuori luogo e non necessaria. Accetto l’osservazione, ma vado oltre. Anche stavolta, più che mai, ribadisco il concetto informatore di questo BLOG: qui, io penso quello che dico e dico quello che penso. Altrimenti non mi sarei cimentato in quest’impresa. Questo è uno spazio di libertà, mio e di tutti, e nei riguardi di qualunque argomento.

Come trovate al Numero2209, recentemente pubblicato, Voltaire dice: “Giudica un uomo dalle sue domande, piuttosto che dalle sue risposte”. Qui, io mi sono interrogato ed ho risposto a modo mio. Non intendo insegnare niente a nessuno, perché sarebbe follia pretendere di insegnare ciò che non si sa. Non ho mai trovato l’argomento “morte” fra le materie della didattica umana. Ma, vivaddio, parlarne si può a livello di scambio d’idee e qui vi ho esposto le mie.
Buona vita a tutti.

 

N.d.R. : Ricordo e ripeto, perché mi sembra molto attinente al contesto, il seguente (che poi è precedente)

Numero2113.

 

Come si fa a vivere

in compagnia di un’assenza?

Dopo aver imparato a vivere,

imparerò a morire.

 

 

 

 

Numero1924.

 

TECNICHE  DI  MANIPOLAZIONE

 

Mi sono avvicinato, per caso, su YOUTUBE ad una serie di filmati, editi da alcuni psicologi e psicoterapeuti, riguardanti dei personaggi apparentemente particolari, o di nicchia : i narcisisti (overt = palese o covert = dissimulato) psicopatici che sono, al contrario, e con mia grande sorpresa, molto più diffusi di quanto si sappia.
Uno dei tipi di narcisista piu’ pericolosi e’ il narcisista covert, poiche’ al contrario dei narcisisti overt (o classici), rendendosi conto che mostrare il suo narcisismo puo’ essere controproducente per i suoi obiettivi, si nasconde, spesso fingendosi l’esatto opposto di cio’ che e’. I narcisisti covert si mostrano spesso come dei buoni, etici, giusti, paladini della giustizia e pilastri della societa’.
I covert sono i peggiori, quelli che fanno più danni di tutti dal punto di vista psicologico. Perché hanno un’empatia cognitiva molto sviluppata (capiscono i tuoi sentimenti ma non li sentono), e sfruttano questa capacità a scopo manipolatorio, conoscendo i punti deboli della vittima. È difficile smascherarli, e quando questo succede sono spietati. Provano gusto nel vedere la vittima distrutta, colpevole, per loro, di aver scoperto la loro reale identità.
Sono, invece, una categoria psicologica di untori e diffusori di malessere sociale, attraverso un inquinamento empatico/affettivo che, come un virus (arriva a proposito, in tempi di Coronavirus, ma questo è di tipo psicisociale), attacca, corrode e stravolge i rapporti interpersonali.
L’ arma letale, di cui si avvalgono questi personaggi, è una tecnica manipolatoria, quasi infallibile, che raramente permette alla vittima di cavarsela senza danni.
Dopo avere letto questa trascrizione, penso che converrete con me che, così stando le cose, sono più facilmente comprensibili tutti quei femminicidi di cui ultimamente sono pieni i telegiornali.
E, in generale, a mio avviso, si può affermare che sono sempre più diffusi l’impreparazione alla vita e i disagi del comportamento relazionale, sia nel ruolo di vittima che in quello di carnefice.

Riporto trascritto il contenuto di questa conferenza illustrativa a cura di una giovane ma preparata psicologa, che si firma Vappole (non so se è uno pseudonimo). Tenete presente che, pertanto, il punto di vista è femminile.

 

La tecnica di manipolazione più potente che si conosca è usata dagli psicopatici, persone con disturbo narcisistico della personalità.
Prima di parlarvi dei dettagli di questa tecnica, vorrei introdurvi alla conoscenza di uno studio tecnico-scientifico svolto, all’inizio del XX° secolo da Skinner e dal suo team. Barrhus Skinner, nel 1938, ha coniato l’espressione “condizionamento operante”, che consiste nella sperimentazione di vari metodi per condizionare i comportamenti di un essere, in base a diversi tipi di “rinforzi” del suo ambiente circostante.
Ad esempio, “operanti neutrali” si definivano tutti quei condizionamenti dell’ambiente che né incrementavano né decrementavano la probabilità di far ripetere un comportamento all’individuo. Si definivano “rinforzi” tutte quelle risposte dell’ambiente che incrementavano la probabilità di un ripetuto comportamento, e “condizionamento operante” la risposta che decrementava la probabilità di un ripetuto comportamento.

Per svolgere gli esperimenti, Skinner e il suo team usavano dei topi ( e anche dei piccioni) che intrappolavano in scatole (scatole di Skinner), nelle quali c’era una levetta, delle luci ed un erogatore di palline di cibo. A seconda di come la levetta veniva premuta dal topo e, a seconda delle luci accese, l’erogatore dava una pallottola di cibo, oppure no.
Nel primo esperimento, chiamato “rinforzo positivo”, ogni volta che il topo premeva la levetta, veniva erogata una pallottola di cibo. In questo modo, il topo imparava che, se voleva del cibo,  bastava che premesse la levetta. Quindi, ogni tanto, la premeva.
Nel secondo esperimento, indipendentemente dal fatto che il topo premesse o meno la levetta, non veniva erogata nessuna pallottola di cibo. In questo modo, in breve, il topo si stufava di premere la levetta e, semplicemente, smetteva di premerla. Ma, qui arriva la parte interessante.
Dopo aver provato il “rinforzo positivo” per un po’, e, quindi, dopo aver insegnato al topo a premere la levetta per avere il cibo, gli sperimentatori hanno cominciato a mettere in atto quello che viene chiamato il “rinforzo intermittente”. 
Ovvero, qualche volta, quando il topo premeva la levetta, veniva erogata la pallottola di cibo, qualche volta no, in modo del tutto casuale (random).
Secondo voi, qual è stato il risultato? Logicamente, si penserebbe che, dopo un po’ di tempo, il topo si stuferà di premere la levetta perché tanto, dopo un po’, il cibo sarebbe arrivato. Giusto? Sbagliato. Il risultato è stato l’esatto contrario. Il topo diventava ossessionato, nel premere la levetta, al punto che smetteva di fare qualunque altra cosa, di prendersi cura di qualunque altro suo bisogno: semplicemente, rimaneva attaccato alla levetta.
Ma qui avviene la parte ancora più preoccupante. Dopo questa fase di “rinforzo intermittente”, gli sperimentatori provarono a togliere totalmente le pallottole di cibo, per vedere cosa accadeva: se, dopo un po’, non vedendo mai uscire il cibo, il topo avrebbe smesso di premere la levetta.
Secondo voi cosa è successo? Di nuovo l’esatto opposto di quello che ci si aspetterebbe logicamente. Anziché smettere di premere la levetta, il topo diventava ancora più ossessionato. Letteralmente, smetteva di fare qualunque altra cosa, pur di continuare a premere la levetta. Addirittura, arrivava a morire per continuare a premere la levetta.

Cosa significa questo? Questi esperimenti ci rivelano un comportamento psicologico dall’ambiente molto basilare, che va contro la nostra intuizione logica. Ovvero, quando abbiamo una cosa in abbondanza, non  ci preoccupiamo di averla o no e, quindi, siamo rilassati al riguardo. Quando quella cosa non c’è, noi sappiamo di non poterla ottenere, quindi non ci preoccupiamo al riguardo. Ma quando quella cosa ci viene data in maniera casuale, scatta una specie di condizionamento di dipendenza e diventiamo quasi drogati da quella cosa, anche se quella cosa smette di esistere.
Questo spiega, ad esempio, i meccanismi di dipendenza che vengono generati dai giochi d’azzardo, dove alcune persone devono essere completamente esonerate dal poter giocare, perché diventano talmente dipendenti, al punto di perdere ogni loro avere, pur di continuare a giocare.
Lo stesso meccanismo viene anche utilizzato in molti videogiochi, dove, ormai, si registrano molti casi di ragazzi che smettono di mangiare o dormire completamente, pur di continuare a giocare.
Ma, e questo è il punto più pertinente a noi, questo meccanismo viene anche utilizzato, senza eccezione, da manipolatori psicopatici e narcisisti, per intrappolare le loro vittime.
Quell’effetto drogante, quindi, che sentiamo verso queste persone, quando siamo coinvolte in una relazione con loro, non è casuale e non è una pazzia.
È creato di proposito. Come viene creato, esattamente? È semplice.

All’inizio della relazione, lo psicopatico narcisista ci “bombarda d’amore”.
Ovvero, crea il processo di “rinforzo positivo”. In questa maniera, ci abituiamo, impariamo ad avere a disposizione questo affetto, questo amore, per cui non ce ne preoccupiamo. Come nella fase iniziale del topo nella scatola.
Poi, arriva la seconda fase: arriva il “rinforzo intermittente”. In questa fase il narcisista psicopatico inizia ad abusarci utilizzando denigrazioni, insulti, critiche, svalutazioni ecc. e le alterna a momenti in cui ci dà affetto ed amore, in maniera totalmente casuale. E questa è la chiave.
Non c’è un “pattern of you” (modello di te). Sembra che ci possa essere ma, in realtà, la loro azione è pressoché casuale. Questo è il momento in cui diventiamo drogate dal narcisista psicopatico.
Noi iniziamo a pensare: “Ma cosa abbiamo fatto di sbagliato?” Dobbiamo fare in modo di ripristinare le cose come erano prima. Dobbiamo ricreare quel “pattern” che ci dava l’affetto incondizionato. Cerchiamo, in tutti i modi, di risolvere, di risistemare le cose, di capire qual è il meccanismo che ci dà l’affetto, dietro il comportamento del narcisista.
Ma, e questa è la parte più importante, non c’è un meccanismo, e non c’è un modo, per ripristinare quella cosa: semplicemente, questo fa parte della tecnica manipolatoria.

E poi, alla fine, arriva la terza fase: la fase dello “scarto”, per usare un’espressione conosciuta, ovvero, quando il narcisista psicopatico vi taglia fuori, smette completamente di darvi affetto.
Questa è la fase in cui l’effetto droga si innesta ancora di più e noi ci disperiamo, perché non capiamo cosa abbiamo fatto di sbagliato, perché lui è uscito dalla nostra vita, ci ha tagliato fuori e ha completamente smesso di darci affetto.
Questa è la tattica che rassicura il narcisista di tenerci drogati a lui, mentre lui può fare quello che vuole. Questa tecnica di manipolazione è fondamentale, perché dipende da questo effetto droga, che è il motivo per cui è così difficile guarire da una rottura o da un rapporto con un narcisista psicopatico.
C’è una parte di noi che è letteralmente drogata, quindi, uscire da questo rapporto non è meno facile che, per un drogato di cocaina, di eroina, o di qualunque altra sostanza psicotropa, di smettere, di andare in astinenza.
Gli effetti sono identici. Per questo è fondamentale, se  vogliamo non ricascare in queste dinamiche,  innanzitutto riconoscerle e poi, non caderci dentro.

Come facciamo a non farci prendere di nuovo da questo effetto?

Beh, innanzi tutto, bisogna riconoscere che il motivo per cui caschiamo in questa tattica (o trappola) di manipolazione non è casuale.
È perché, anche nel nostro passato, e precisamente, durante la nostra crescita, nell’infanzia, qualcuno l’ha utilizzata nei nostri confronti: con molta probabilità, un genitore. Quindi, siamo già stati esposti a questa tecnica che, per questo, funziona con noi. Pertanto, il primo passo per la guarigione da qualunque dipendenza psicologica, è andare a fondo nelle proprie ombre, andare a fondo nei propri traumi e guarirli.
La seconda cosa da fare, è che possiamo utilizzare la nostra mente razionale, per renderci conto di quanto ci stiamo avvicinando a questa dinamica e se qualcuno sta cercando di metterla in atto con noi. I segnali sono abbastanza chiari. Ormai, sappiamo tutti cos’è il “love bombing” (bombardamento d’amore) e, soprattutto, dobbiamo subito tenere i nostri sensi all’erta, per scoprire cosa non va, cosa non quadra, quando il nostro istinto ci avverte che, comunque, qualcuno sta cercando di manipolarci.
Se, oltre questa intuizione, vediamo anche che questa persona comincia a denigrarci, ad insultarci, alternando questo a dei momenti in cui ci dà affetto, allora qui dobbiamo stare attente perché quella persona sta utilizzando la tecnica di manipolazione del “rinforzo intermittente” con noi.

Appena ci accorgiamo che quello è il caso, dobbiamo prendere immediatamente le distanze, non dobbiamo cadere nella trappola, dobbiamo cercare altre attività con cui distrarci, cercare di focalizzarci su altre persone oppure, meglio ancora, su noi stessi: cercare di usare la nostra mente razionale, per valutare la situazione e non le nostre emozioni.
Se andiamo ad abboccare a quell’esca, è molto facile cadere nell’effetto droga.
Attenzione, la tecnica del “rinforzo intermittente” viene realizzata non solo con l’affetto (oltre che col sesso), ma anche con le parole.
Per esempio, quando il narcisista psicopatico ci dirà: “Ah, non preoccuparti, migliorerò, farò di tutto per non ripetere gli stessi errori” e poi ricadrà, puntualmente, a rifare gli stessi errori. E questo, di nuovo, è il”rinforzo intermittente”: a parole, promette di migliorare, nei fatti ricomincia peggio di prima.

Vorrei concludere dicendo che, con un narcisista psicopatico, o, anche, con un narcisista vero e proprio, non esiste la guarigione: è soltanto un’illusione, una pallottola di cibo adoperata come esca. Non sperate che si possa avere un rapporto sano con loro, che riusciranno, in qualche modo, a cambiare.
Soltanto in pochi casi, quando il narcisismo della persona non è grave e ci sono veramente delle parti di lui che provano empatia, che hanno veramente voglia di guarire, ci può essere un miglioramento.
Però, attenzione, perché è molto facile confondersi. In generale, è meglio non sperare. Quindi non abbocchiamo all’esca.

Numero1834.

Uno dei fondamenti,

probabilmente il fondamento

stesso della ragione,

è il principio di ragion sufficiente.

In latino suona così:

“Nihil est sine ratione

cur potius sit

quam non sit”.

Che, più o meno, vuol dire:

“Deve esistere una ragione

per cui le cose stanno

in un modo piuttosto

che in un altro”.